Pantani arriva a Rimini il 9 febbraio, in taxi, direttamente da Milano. Con sé ha poche cose: una busta di plastica contenente i suoi farmaci personali, due T-shirt, l’occorrente per farsi la barba e un marsupio con molti soldi in contanti.
Dunque non ha bagagli e non ha nemmeno il telefonino, perché l’ha dimenticato a Milano nell’appartamento della sua manager, Manuela Ronchi.
In quella casa di Milano, il 31 gennaio, ha litigato con i genitori, che lo spronavano con forza verso un percorso di disintossicazione dalla droga.
Il confronto è stato molto duro: la mamma e il papà di Pantani erano molto preoccupati per lui e volevano che la sua vita subisse una sterzata decisa. Volevano convincerlo a disintossicarsi dalla cocaina.
Dopo il litigio, uscito dalla casa della manager senza bagagli e senza cellulare, Marco si rifugia per otto giorni all’hotel Jolly di Milano.
In quel periodo, come gli atti ufficiali hanno ricostruito, Pantani non ha più contatti diretti con i genitori e con la Ronchi, con la quale si sente soltanto un paio di volte al telefono, prima di partire in taxi per la Romagna quel 9 febbraio, alle 9 circa del mattino.
Arrivato a Rimini, Marco e il tassista vagano per un po’ nelle vie della città. Il Pirata non si ricorda bene l’indirizzo dell’appartamento dove risiedono coloro che ritiene siano i suoi spacciatori, perciò, quando pensa di essere nelle vicinanze, fa fermare la vettura, paga il prezzo concordato per il viaggio, recupera la busta di plastica e si incammina da solo.
Giunto all’appartamento incontra uno degli occupanti, il quale, come riportano le cronache, non potendo in quel momento esaudire la sua richiesta lo indirizza verso il residence Le Rose, posto esattamente di fronte all’abitazione, dicendogli che si sentiranno più tardi.
Pantani ci va e prenota la sua stanza, la D5.
Per un solo giorno.
Queste le parole del portiere del residence: «Il primo giorno che è arrivato sembrava tranquillissimo, sembrava normale, niente di particolare. Poi non lo abbiamo più visto negli altri giorni in cui è stato solo in camera, chiuso dentro, mattina e pomeriggio, sempre chiuso in camera».
Secondo la ricostruzione ufficiale, Marco non sarebbe mai uscito dal residence e nessuno sarebbe andato a trovarlo all’interno del suo appartamento.
In realtà sappiamo che non è così.
Intorno alle 21.30 di quello stesso giorno, un giovane si presenta alla reception del residence, chiede il numero della stanza di Marco Pantani e sale senza lasciare i suoi documenti. Il suo nome è Ciro Veneruso: è un pusher venuto a consegnare la droga al ciclista.
Lo scambio droga-soldi non avviene all’interno dell’appartamento: di lì a tre o quattro minuti, infatti, Veneruso – come dichiarato da lui stesso – scende da solo e viene raggiunto dopo un po’ di tempo da Pantani in un parcheggio vicino al residence.
Tuttavia il portiere, nelle dichiarazioni rese agli investigatori, non ha riferito di aver visto Pantani uscire quella sera. Ed è un particolare importante, perché dimostra come fosse semplice entrare e andarsene da lì senza essere notati.
In quei giorni passati a Rimini, il Pirata parlerà con la donna delle pulizie, con gli addetti alla reception per farsi portare i pasti, con tre ragazzi incontrati nel residence e con Oliver Laghi, il proprietario di un ristorante nelle vicinanze che gli ha lasciato il cibo in camera la sera prima del decesso.
La sua ultima cena.
Arriviamo così al 14 febbraio. Cinque giorni dopo il suo arrivo in quel residence di Rimini.
Marco Pantani è nella sua stanza.
Attorno alle 10.30 del mattino il Pirata telefona a Lucia Dionigi, la receptionist, chiedendo di chiamare i carabinieri e riferendo la presenza di persone nella sua camera che gli danno fastidio.
Inspiegabilmente, però, nessuno avverte i carabinieri. La sua richiesta rimane senza seguito.
Che strano… Pantani è un personaggio molto famoso, teoricamente un cliente di riguardo, da accontentare in ogni modo. Di solito, quando negli hotel c’è una celebrità, tutti si fanno in quattro e si prodigano per servirla nel migliore dei modi. Eppure, quando quella mattina chiede soccorso, Marco viene ignorato.
Il suo appello cade nel vuoto.
Dopo pochi minuti Pantani telefona ancora una volta alla reception per ribadire la sua richiesta: «Chiamate i carabinieri. Per favore!». Ma anche questa volta, sempre inspiegabilmente, nessuno li chiama.
Sono circa le 10.50 del mattino. Nessuno entra nella sua stanza fino alle 20.30.
C’è un buco di oltre nove ore tra quelle due telefonate e il momento in cui viene ritrovato il corpo senza vita di Marco Pantani.
Ore durante le quali possono essere successe molte cose.