C’è un frammento del filmato di quella notte che voglio esaminare a parte.
È un passaggio che ho guardato e riguardato decine di volte, per cercare di approfondire le dinamiche di quel sopralluogo nella stanza di Pantani e per comprendere la logica che ha guidato la polizia nelle sue scelte investigative.
La scena è questa: piano superiore dell’appartamento, soppalco. Due persone presenti: il medico legale Francesco Toni e un agente di polizia in tuta bianca al suo fianco. Quell’agente e l’operatore che ha girato il video sono gli unici nella scena provvisti di protezione. L’agente in tuta e il medico legale stanno osservando la superficie del materasso e vengono attirati da un oggetto: una bottiglia, appoggiata sul ripiano dietro la testata del letto.
È l’agente della scientifica a indicarla per primo, esclamando: «Su quella bottiglia c’è della polvere bianca!».
In effetti quel recipiente di vetro scuro mostra chiaramente delle tracce bianche. Di sicuro non è borotalco, penso io… E probabilmente lo pensa anche il dottore, che indica come sul piano d’appoggio ci siano altre tracce della stessa polvere.
«Posso toccarla?» dice il medico al poliziotto, che con un cenno deciso lo stoppa.
«No! Non tocchi nulla!»
La bottiglia è piena per un quarto. Di fianco c’è un bicchiere, anche questo con tracce evidenti sedimentate sopra. Potrebbero essere proprio quelli – penso io – gli strumenti utilizzati per far ingollare a Pantani la dose massiccia e letale di cocaina.
Più di un esperto mi aveva assicurato che era pressoché impossibile mangiare la coca da sola: ti si impasta in gola e non scende. E poi ti anestetizza tutto, così perdi pure la mobilità dei muscoli.
Se vuoi ingerirla, devi bere!
Ed è la stessa ipotesi formulata dal professor Francesco Maria Avato dell’università di Ferrara nella perizia da lui effettuata per conto della famiglia di Marco: «La cocaina può essere stata disciolta nell’acqua e poi fatta assumere a Pantani, con la forza o con l’inganno».
Avato parla di “veneficio”: ciò che comunemente chiamiamo avvelenamento. E nel corpo di Pantani la quantità riscontrata era mostruosa.
Il sistema è semplice. Prendo 30 grammi di cocaina, la disciolgo nell’acqua e a quel punto basta costringere o indurre una persona a berne una sorsata decisa per spedirla al creatore.
Quella sorsata è peggio del morso letale di un cobra. Anzi di dieci cobra tutti insieme.
Decine di grammi di coca ingeriti in un colpo solo sono una bomba atomica per l’organismo.
Su quel ripiano, sopra il letto di Pantani, c’erano una bottiglia e un bicchiere sporchi di polvere bianca.
Il medico legale l’ha vista subito. Il poliziotto gli ha impedito di toccarla.
Lo avrà fatto per preservare quell’oggetto in vista di un’analisi più accurata, pensai io.
Lo avrà bloccato per non contaminare quella prova così importante.
L’avranno sicuramente analizzata a fondo, per cercare le impronte digitali, per verificare se ci fossero quelle di Marco o di altri soggetti.
Perciò rimasi per l’ennesima volta senza parole, quando l’avvocato De Rensis mi comunicò che nessuno aveva analizzato quella bottiglia e quel bicchiere.
E che nessuna impronta digitale era stata cercata.
Né su quella bottiglia né altrove.
Sempre in quel filmato c’è un aspetto che mi ha sempre disorientato. Il video ufficiale girato nella stanza di Marco la notte del 14 febbraio ha una durata di 51 minuti. Ma il sopralluogo è durato quasi tre ore.
Perché l’operatore ne ha filmato solo un terzo?
In pratica, di quell’ispezione di polizia è più quello che non vediamo di quello che ci viene mostrato.
Volevo dunque capire se quel tipo di ripresa fosse normale o se anche in questo caso ci fossero degli aspetti da chiarire. Decisi così di porre questa domanda a una persona che sicuramente ne sapeva più di me, un ufficiale dei carabinieri esperto in indagini legate a omicidi.
Lo avevo conosciuto grazie a un nostro comune amico, che poco tempo prima ne aveva elogiato le grandi capacità investigative, la passione per i casi complessi e la naturale propensione ad aiutare chi aveva bisogno di lui. E io, in quel momento, avevo bisogno di un parere autorevole, di un professionista che mi aiutasse a orientarmi su un terreno a me sconosciuto.
Mangiammo un boccone insieme, in un ristorante a Milano, vicino a porta Ticinese. Mentre ci trasferivamo nei nostri studi, in modo da poter visionare il filmato, l’ufficiale mi spiegò che non sempre la durata del video dell’ispezione coincide con il tempo effettivo del sopralluogo, ma che, in ogni caso, era molto interessato a guardarlo con me.
Non feci in tempo a far partire la riproduzione che la sua attenzione fu subito attirata da un dialogo che fino a quel momento mi era sfuggito.
I protagonisti di quello scambio di battute erano ancora una volta il medico legale che stava esaminando il corpo di Pantani e l’agente della scientifica al suo fianco.
MEDICO: «C’è un termometro?».
AGENTE (a voce più alta, rivolto agli altri nella stanza): «Qualcuno ha un termometro per la febbre? Logicamente poi non glielo restituiamo».
Dopo una breve ricerca, il termometro viene trovato e consegnato al medico, che evidentemente si era presentato in quella stanza senza lo strumento specifico per rilevare la temperatura corporea dei cadaveri: il termometro tanatologico. Uno strumento ben diverso dai comuni termometri che usiamo normalmente, con una scala di rilevazione più ampia ai gradi inferiori, poiché un corpo senza vita tende a disperdere gradualmente il calore e a portarsi verso valori nettamente più bassi di quelli che possono essere misurati dai termometri di uso domestico.
E infatti, al momento della consegna di quello strumento, reperito nel residence, il medico legale afferma: «Questo va fino a 34 [gradi]!».
E, prima di rilevare la temperatura corporea, comincia a scuoterlo per portarlo verso il valore più basso a disposizione sulla scala graduata.
AGENTE: «Se non te la dà…». [La temperatura effettiva del corpo di Marco.]
MEDICO: «Se non me la dà, dovrebbe essere la temperatura ambiente».
AGENTE: «Dopo tante ore…».
MEDICO: «Quanto è la temperatura ambiente?».
AGENTE: «Nel termostato 26 gradi».
Nell’ascoltare quel dialogo rimasi senza parole. Cosa potevamo dedurre da quello scambio di battute? Che in quel momento la temperatura del corpo di Marco non poteva essere rilevata con esattezza?
Girai quelle domande all’ufficiale che con un tono di voce molto severo mi spiegò: «Davide, secondo me siamo di fronte a un fatto molto grave. Per il calcolo dell’epoca della morte, il primo elemento su cui focalizzare l’attenzione è la temperatura corporea, in quanto il ritmo di raffreddamento, seppur influenzato da vari fattori (peso del cadavere, temperatura ambientale, indumenti indossati ecc.), è tendenzialmente prevedibile. Nelle prime fasi delle nostre indagini prendiamo in considerazione questa regola: di norma un corpo perde 0,5 °C all’ora nelle prime 3-4 ore; nelle successive 6-8 ore perde 1 °C. Questo è un calcolo grossolano che non tiene in considerazione le numerose variabili ambientali e fisiche, che invece un medico legale deve valutare attentamente. A noi serve solo per avere un dato approssimativo per indirizzare le indagini su un omicidio. Ma il punto di partenza, intendo dire per me e per un medico legale, è lo stesso: il calcolo della temperatura corporea. Ora, se io misuro la temperatura rettale con un normale termometro da febbre (con scala 34-42 °C), posso misurare una dispersione termica di appena tre gradi (da 37 °C – assunto come temperatura corporea di partenza – a 34 °C). Allora mi domando: come fa il medico legale intervenuto sul posto a indicare l’orario della morte di Marco Pantani intorno alle ore 12 del 14 febbraio 2004? Di certo non lo può fare fondando le sue valutazioni sulla temperatura rettale, perché, se ha utilizzato quel termometro, il risultato non è attendibile».
Nell’ascoltare l’ufficiale dei carabinieri mi assalirono altri dubbi su quella prima indagine. Come poteva il medico legale aver stabilito l’ora della morte, se un dato così importante come la temperatura corporea di Pantani era stato ottenuto senza gli strumenti adatti?
Gli chiesi allora: «Ci sono altre vie, ugualmente efficaci e sicure, per formulare quel tipo di valutazione?».
La sua risposta fu chiarissima: «Sì, esistono altri fattori che possono essere utilizzati per indirizzare il medico legale verso l’epoca della morte: mi riferisco alla rigidità cadaverica e alle macchie ipostatiche. Ma questi due fattori sono valutati soggettivamente dal medico legale e non danno corso a misurazioni come nel caso della temperatura corporea. Davide, io non conosco con esattezza il caso Pantani e non ho avuto la possibilità di leggere la relazione medico-legale a seguito dell’autopsia. Tuttavia, sulla base dei dati in mio possesso ti posso dire che, se dall’autopsia non sono emersi ulteriori elementi (valutazione delle ipostasi, svuotamento gastrico ecc.), a mio avviso siamo di fronte a un fatto che potrebbe aver compromesso in maniera irreparabile la misurazione oggettiva dell’epoca della morte di Marco Pantani. Non so se qualcuno se ne fosse accorto prima, ma questo errore emerge in maniera evidente dal video che mi hai mostrato».