Un aspetto della prima indagine non mi faceva dormire la notte e continuava a tornare a tormentarmi come una fastidiosa zanzara: la decisione degli investigatori di non rilevare le impronte digitali.

Ma porca miseria! Com’è possibile che trovandosi di fronte a quella scena, con oggetti sparsi dappertutto e una persona morta scoperta in una pozza di sangue, si sia deciso di non indagare più a fondo?

Perché si è escluso fin dal primo momento che in quella stanza fossero entrate altre persone?

Perché non hanno preso le impronte digitali?

Perché non hanno cercato il dna di altri soggetti?

Non so quante volte mi sono posto queste domande.

E non so quante volte la risposta che mi davo mi faceva terribilmente incazzare.

Non so se la scelta di non rilevare le impronte digitali derivi dalla convinzione che Marco fosse solo, né se le tracce in una stanza d’albergo siano generalmente così tante da portare di norma gli inquirenti a escludere di indagare più a fondo in quella direzione.

Dopotutto anche in una normale abitazione, che ospita amici, parenti, conoscenti, le impronte sono tante (e rimangono per molto tempo). Se questo è il criterio per decidere se approfondire o no un’indagine, be’, allora tanto vale non cercarle mai.

Nel caso di Pantani, invece, sarebbe stato molto importante farlo. Avrebbe chiarito molti aspetti. Anche perché, a volte, quel tipo di ricerca funziona al contrario.

Che significa?

Significa che dove non trovo impronte ho delle indicazioni significative.

Prendiamo per esempio il disordine della stanza.

Sarebbe bastato esaminare il televisore sul pavimento, lo specchio del bagno o gli elettrodomestici buttati in giro.

Se su di essi non fossero state trovate le impronte digitali di Pantani, sarebbe stato evidente a tutti che l’autore di quel macello non poteva essere stato lui.

Insomma, sarebbe bastato esaminare a fondo quella bottiglia sporca di polvere bianca e quel bicchiere per ottenere informazioni preziose.

Purtroppo quelle impronte nessuno le ha volute cercare. E nemmeno il dna di eventuali intrusi.

Mi chiedo ancora oggi il perché.

E mi incazzo!

Mi incazzo anche nel pensare come altri elementi siano passati quasi inosservati al vaglio degli investigatori.

Prendiamo per esempio la carta di un gelato confezionato – per la precisione un cornetto – trovata nel cestino del bagno.

L’elemento insolito risiede nel fatto che un gelato non si può conservare per giorni in una stanza d’albergo: se viene riposto in un normale frigobar come quello del residence, solitamente dopo un po’ si scioglie.

Oltretutto, la mattina del 14 febbraio Pantani non era sceso a fare colazione, eppure l’esame autoptico accertò la presenza nel suo stomaco di una modesta quantità di cibo, non del tutto digerita, presumibilmente assunta immediatamente prima della morte.

Poteva trattarsi proprio di quel cornetto?

Prendendo per buona l’ipotesi che nessuno sia mai entrato o uscito dalla stanza, resta da chiarire come sia arrivato il gelato nel suo appartamento. Nessuno, infatti, ha mai spiegato (e così per i giubbotti) come abbia fatto quel cornetto a trovarsi nella stanza di Pantani.

Un aiuto importante sarebbe potuto forse arrivare dalle impronte digitali sulla carta gettata nel cestino del bagno, ma anche in questo caso non sono state cercate.