Nel suo lavoro di ricostruzione, l’avvocato De Rensis svolse anche delle indagini difensive, tese a chiarire fino in fondo tutti gli aspetti ancora oscuri di quella vicenda.

Questo tipo di indagine prevede l’interrogatorio di un testimone in presenza di altre persone, di solito avvocati; il testimone, che com’è ovvio decide liberamente se sottoporvisi, può naturalmente essere accompagnato dal suo legale di fiducia.

De Rensis mi parlò a lungo di queste sue personali investigazioni e mi raccontò che una di queste produsse una testimonianza davvero rilevante.

Antonio si riferiva all’audizione di un teste chiave che gli fece un racconto piuttosto strano, alla luce di ciò che sapevamo e soprattutto di ciò che avevamo visto nel video girato dalla polizia nella stanza D5 di Pantani.

L’avvocato mi riassunse così quell’incontro: «Tra le varie indagini difensive da me svolte ho sentito anche uno dei protagonisti di questa vicenda, il quale mi ha riferito una frase che fin dal primo istante mi ha molto sorpreso. Quell’uomo, parlandomi della sera in cui è stato trovato il cadavere di Pantani, mi descrisse la scena in questo modo: “Quando sono entrato nell’appartamento di Pantani, attorno alle 21, sono rimasto colpito dal fatto che vi fosse il lavandino [del bagno] posizionato nel soggiorno”».

L’enigma si faceva ancora più complesso e la testimonianza raccolta aggiungeva un nuovo elemento dissonante.

Un lavandino in mezzo al soggiorno?

Cercai subito di riportare alla memoria le immagini del filmato ufficiale girato dalla polizia quella sera. Soprattutto le prime sequenze. Ma non ricordavo alcun lavandino fuori dal bagno. L’unico lavandino che riuscivo a riportare alla mente era proprio quello della stanza da bagno, ma era al suo posto, in mezzo al gran casino.

L’avvocato mi osservava, capiva che stavo frugando negli angoli della memoria. Ma, per quanto mi sforzassi, non avrei certo potuto trovare qualcosa che non c’era.

Antonio mi posò una mano sulla spalla e continuò a guardarmi dritto negli occhi: «Vedi, Davide, l’affermazione del lavandino credo sia un elemento fondamentale in questa indagine. Dal momento che, nel video girato dalla polizia quella notte, il lavandino è al suo posto (ovviamente potrebbe anche solo essere stato appoggiato lì), è chiaro che, se quell’uomo nella sua deposizione ha detto la verità, qualcuno quel lavandino lo ha chiaramente spostato. E questo sarebbe un fatto gravissimo. La domanda che mi pongo è questa: perché quell’uomo non dovrebbe dire la verità? Quella sua affermazione, da qualunque parte la si giri, gli crea dei seri problemi. Sia che la ritratti, sia che la confermi».

Vedendolo così deciso, gli chiesi subito: «Cosa può succedere a quel teste se la ritratta?».

«Gli succede che rischia serie conseguenze!» esclamò Antonio senza nemmeno lasciarmi il tempo di ultimare la frase. «Lo abbiamo registrato davanti a quattro avvocati, tra cui il suo. Le sue parole sono state incise su un nastro e poi trascritte su un foglio che lui ha letto e controfirmato insieme a noi. E bada bene che non ha detto: “Ho visto un lavandino”. Ha detto: “Sono rimasto colpito!”. Colpito nel vedere un lavandino in mezzo al soggiorno. Se uno ti dice così, è perché quell’immagine gli si è stampata bene nella memoria. Uno che dice così è sicuro di quel che ha visto.»

Resta solo da capire chi poi quel lavandino l’ha rimesso al suo posto.

Resta da capire come mai in dieci anni questa testimonianza importantissima non è mai emersa.

La risposta, una volta ancora, è chiara e disarmante: «Nessuno me l’ha mai chiesto» ha riferito il teste. Una frase che getta l’ennesima ombra sul modo in cui all’epoca si svolsero gli interrogatori.

Tra tanti dubbi, l’unica certezza è che in quella scena del crimine nulla è ciò che sembra.