Qualche giorno più tardi, Antonio venne a trovarmi a Milano.

Era tranquillo e rilassato. Gli faceva piacere tornare a casa mia, un posto in cui evidentemente si trovava a proprio agio.

Anch’io ero contento di vederlo sereno e tranquillo almeno per qualche ora, lontano dai tormenti della nostra indagine.

Pranzammo sul terrazzo con Elena e Silvia in un bel pomeriggio di sole. Bevemmo del buon vino bianco con le bollicine, un Bellavista Gran Cuvée fresco, come piace a me.

Poi, senza volerlo, una volta ancora i discorsi ci portarono inevitabilmente a Pantani, e così Antonio decise di mostrarmi un documento filmato che non avevo mai visto, realizzato qualche tempo prima da Dario Nicolini, un bravo giornalista di Sky che da tempo seguiva gli sviluppi dell’indagine su Marco.

Andammo al computer e in pochi minuti ci sintonizzammo sullo speciale che Nicolini aveva dedicato al caso Pantani e su alcune interviste effettuate a maggio. Il periodo è importante poiché gli intervistati, in quel momento, non sapevano che di lì a due mesi la procura di Rimini avrebbe riaperto il caso.

Il primo ad apparire sullo schermo fu il dottor Francesco Toni, il medico legale che aveva effettuato il primo esame sul cadavere di Marco al residence Le Rose.

Toni era il protagonista della scena che pochi mesi prima avevo visto con sgomento nel filmato della polizia. Era l’uomo che aveva esaminato con attenzione il corpo di Marco, che aveva cercato di rigirarlo in mezzo a tutto quel sangue rappreso per terra, che aveva visto il suo volto insanguinato e che lo aveva spogliato tagliandogli i pantaloni.

Inizia l’intervista. Raccontando la sua esperienza di quella notte del 14 febbraio 2004, il dottor Toni dice: «Ho ispezionato il corpo e devo dire che non ho rilevato lesioni traumatiche o ferite importanti da segnalare. Io ricordo che ferite importanti, con perdita di sangue, non ce n’erano. E non ricordo neanche macchie di sangue rilevanti sul pavimento».

“Ma cosa cazzo sta dicendo questo qui?” pensai immediatamente

Tornai indietro con il filmato. Lo riascoltai.

«Io ricordo che ferite importanti, con perdita di sangue, non ce n’erano. E non ricordo neanche macchie di sangue rilevanti sul pavimento.»

Guardai Antonio con le mascelle così serrate che ancora un po’ mi rompevo i denti.

Ma porca puttana! Ma se attorno alla testa di Marco c’era una chiazza di sangue larga almeno mezzo metro!

Come cavolo faceva il medico legale che l’aveva esaminato quella sera, e che aveva quella macchia a un palmo dal suo naso, a dire che non c’era nulla? Che non c’era sangue per terra?

Come faceva a non ricordarsi di un particolare così macroscopico?

Io che avevo visto quell’immagine solo pochi minuti, e in un video, ce l’avevo stampata per sempre nella memoria, e lui che era lì, che aveva esaminato con attenzione quel corpo per almeno mezz’ora standogli a pochi centimetri di distanza, adesso ci racconta che il sangue non c’era!

Come poteva dire una cosa del genere?

Come poteva non ricordare quella chiazza di sangue attorno alla testa di Marco?

Ascoltando quelle parole lanciai per aria il mouse del computer. Ero disgustato e incazzato nero per quelle affermazioni lontane anni luce dalla verità.

Ed ero ancora più sconfortato nel pensare che quelle parole raccontavano in maniera chiara il clima e l’atmosfera in cui si erano svolte quelle prime indagini.

Mi ritornavano alla mente gli avvertimenti dell’avvocato De Rensis, quando tempo prima mi aveva esortato a osservare con attenzione il video girato dalla polizia la notte del 14 febbraio 2004.

«Quel video parla chiaro» mi aveva detto Antonio.

E aveva ragione!

Erano tutti gli altri che sembravano non farlo.

La mia incazzatura raggiunse poi vette inaspettate quando arrivò la seconda intervista realizzata da Nicolini nel suo speciale.

A parlare, stavolta, era la dottoressa del 118 entrata nella stanza di Pantani dopo la sua morte.

Per quanto incredibile possa sembrare, quel medico si ricordava benissimo la pallina di cocaina di fianco alla bocca di Marco e il flacone semivuoto sul comodino con le «goccine di ansiolitici» (testuali parole), ma alla domanda sulle macchie di sangue, la sua risposta fu un perentorio «No».

Il giornalista tornò alla carica, ribadendo il medesimo quesito, ma il risultato fu lo stesso: «No! Non c’erano macchie di sangue».

A quelle parole, anche il secondo mouse appoggiato sul tavolo cominciò a vorticare per aria prima di finire in mille pezzi.

Il magma informe di notizie sbagliate, cazzate siderali, strane amnesie e inspiegabili imprecisioni continuava a fluire. Lento ma inesorabile.