Le parole di quei due medici, pronunciate durante le interviste, risultano ancora più stonate alla luce di una clamorosa testimonianza che nasce spontaneamente qualche mese più tardi. Siamo nei primi giorni di novembre 2014 e una volta ancora a comunicarmi la notizia è l’avvocato De Rensis. Mi telefona di sera, il timbro della sua voce è profondo più del solito, la velatura che avverto mi comunica tutta la stanchezza che gli è piombata addosso, ma al tempo stesso l’energia che sento mi fa capire subito che qualcosa di nuovo e inaspettato deve essere appena accaduto.

«Che succede Antonio?»

«Ascoltami bene perché ciò che sto per dirti è importantissimo.»

«Spara!»

«Ho depositato oggi in procura la testimonianza dell’infermiere del 118 che per primo è intervenuto sul corpo di Pantani la sera del 14 febbraio; in pratica il primo uomo entrato sulla scena del crimine, verso le 20.45, dopo l’allarme lanciato dal portiere del residence e poco prima dell’arrivo della polizia. Sai cosa mi ha detto quel signore ?»

«Sono tutto orecchi.»

«Mi ha confessato che di fianco alla testa di Marco non vi era alcuna pallina bianca!»

«Cosaaaa???…»

«Quell’infermiere è stato tre quarti d’ora accanto al corpo di Pantani, aveva la nuca di Marco e il pavimento a pochi centimetri dagli occhi e in quel lasso di tempo (che non è poco) è sicuro di non avere visto palline di mollica o di coca, o di nessun altra sostanza vicino al cadavere. Anche perché, se qualcosa di quel tipo ci fosse stato, si sarebbe subito preoccupato di capire di che cosa si trattasse: fa parte del suo mestiere. E invece quell’uomo mi ha assicurato che lì, in quel momento, non c’era nulla di tutto ciò. Solo il corpo di Pantani. E di palline bianche nemmeno l’ombra!

Oltretutto quella più grossa era lunga almeno tre centimetri: quasi come una noce.

Ma ti rendi conto di che vuol dire?»

«Purtroppo sì, caro Antonio.»

«Quell’uomo è sicuro di quel che ha visto, le sue parole erano perentorie e riferite senza esitazione. Se vicino al corpo di Marco biglie bianche e mollicce non ce n’erano vuol dire una sola cosa. Qualcuno, quelle due palline, ce le ha messe dopo.»

Rimasi letteralmente pietrificato ad ascoltare quell’ultima, incredibile, rivelazione che Antonio mi aveva appena raccontato.

A quel punto mi venne subito in mente un articolo, letto qualche mese prima su internet, firmato da un esperto del caso Pantani, uno dei più fervidi sostenitori delle tesi della prima indagine. Un passaggio di quell’articolo recitava: «C’era invece vicino al cadavere di Pantani un bolo di cibo, e soprattutto pane, misto a cocaina. Gli investigatori esclusero che fosse stato piazzato lì: era succhiato e presentava segni di masticazione».

Quel passaggio che già mi era parso molto strano alla prima lettura diventava ancor più dissonante alla luce di quel che ricordavo. Non mi sembrava di aver visto – nel filmato e nelle foto – segni di masticazione su quel presunto bolo e mi appariva assai inconsueto che si sostenesse, con quella sicurezza, un’ipotesi simile.

Pensavo che fosse altamente improbabile che una pallina, teoricamente masticata e rigurgitata sul pavimento, in mezzo al sangue, potesse preservare una superficie completamente bianca.

E c’era poi un altro elemento sospetto: i segni di trascinamento del corpo, in evidenza tra le macchie ematiche sul pavimento, rendevano incompatibile la posizione della pallina con quella del cadavere di Marco.

Una volta ancora il parere di De Rensis si rivelò fondamentale per chiarire tutti gli aspetti di questa vicenda controversa e inquietante.

«Quel che afferma l’infermiere del 118 nella sua testimonianza» mi spiegò infatti «è molto importante perché viene riscontrato dalla perizia di Avato. Il professore, fin dal primo istante, aveva detto che quella pallina non poteva essere uscita dalla bocca di Pantani, come invece sosteneva la tesi ufficiale.

Lì sopra, non ci sono tracce organiche e stranamente nemmeno una goccia rossa. Nemmeno una! Tieni poi presente che la mollica di pane agisce come la carta assorbente e da quel che si vede, chiaramente, non ha assorbito nulla.

E non è finita.

Come sai ho fatto passare al microscopio quella sequenza filmata, con alcuni strumenti molto sofisticati, e la relazione che mi è stata consegnata, sulla base di quello studio, va esattamente nella direzione tracciata dal professor Avato. Su quella palla non ci sono segni di denti. Non ci sono tracce di saliva. Non ci sono macchie ematiche. È perfettamente bianca.

Bianca come il latte!»

Le prove citate da De Rensis si sovrapponevano in maniera perfetta alle dichiarazioni dell’infermiere dell’ospedale di Rimini in servizio al 118 che – come altri soggetti di questa vicenda – non è mai stato interrogato dagli investigatori.

Ribadisco: il primo uomo che ha esaminato da vicino, quella notte del 14 febbraio 2004, il corpo di Pantani, non è mai stato interrogato.

A distanza di dieci anni emergeva così in tutta la sua gravità una testimonianza clamorosa.

L’avvocato De Rensis, chiuse così la sua telefonata di quella sera: «Qualche giorno fa sono andato da quell’uomo – l’infermiere – e, come ho fatto con tutte le altre persone che si sono sottoposte spontaneamente alle mie indagini difensive, l’ho registrato in presenza di altri avvocati e gli ho fatto firmare le sue dichiarazioni. E non è ancora tutto, caro Davide, perché anche un altro suo collega del 118 presente sulla scena, ha confermato, con la stessa sicurezza, questa versione dei fatti.».

Adesso quelle parole sono agli atti, con tutto il pesante carico di sospetti che inevitabilmente si portano dietro.

Se le parole dell’infermiere sono vere, chi ha messo quella pallina di mollica e cocaina vicino al volto di Pantani?