Un giorno Claudio Brachino mi chiamò tutto serio e mi disse: «Ho qualcosa da farti vedere!». Aveva un’espressione strana, uno sguardo enigmatico.

Mi parlò di un dvd arrivato sulla sua scrivania e disse: «Mi hanno proposto un’intervista inedita di Pantani, ma prima di comprarla vorrei il tuo parere. Prova a darle un’occhiata e fammi sapere cosa ne pensi».

«Comandi!» gli risposi io scherzando, come facevo tanti anni fa quando, da carabiniere, durante il servizio militare, quel “comandi” scandiva il ritmo delle mie giornate agli ordini dei superiori.

Ad assistere alla scena c’era Gianluca Mazzini, bravo giornalista e scrittore oltre che mio amico fraterno.

Gian e io ci conoscevamo dai tempi del liceo: eravamo compagni di banco. Poi gli strani flussi della vita ci avevano portato a inseguirci costantemente nel corso di tutti i trent’anni successivi.

Gianluca mi aiutava sempre all’epoca dei miei primi articoli all’inizio degli anni Ottanta. Quante notti passate insieme (avevamo vent’anni) al Tumbun de San Marc, davanti alla «Gazzetta dello Sport», in attesa che uscissero le prime copie calde, appena sfornate, del giornale. Per scoprire le pagelle dei giocatori e redigere le nostre classifiche della domenica: una specie di top 11 che ogni lunedì dovevo comporre per i lettori di un settimanale diretto da Maurizio Mosca.

Altri tempi, altro calcio, altre tv.

Le dirette di oggi ancora non esistevano e noi – già innamorati di questa splendida professione – ci arrangiavamo come potevamo.

Tempi romantici di due ragazzi che sognavano di diventare un giorno bravi giornalisti.

Dopo molti anni passati insieme a Telemontecarlo – io allo sport e lui al telegiornale – adesso ci ritrovavamo di nuovo fianco a fianco nella redazione sportiva di Mediaset.

Gianluca era diventato il mio capo. Era il vicedirettore.

Anche lui, quella mattina, mi guardava in modo strano. Aveva un sorrisetto che conoscevo molto bene: era come se mi stesse nascondendo qualcosa che da lì a poco avrei scoperto.

Evidentemente, in quel dvd doveva esserci qualcosa di molto interessante, se nell’aria c’era tutto quell’alone di mistero.

«Dai, vieni. Chiudiamoci qui nel mio ufficio e guardiamolo insieme, ho bisogno di un tuo parere.» Mi disse Gianluca. «Questa intervista inedita di Pantani ce l’ha portata un regista che sostiene di averla realizzata il 7 o l’8 febbraio 2004. In pratica una settimana prima della morte di Marco. Se la data coincide, è l’ultima intervista del Pirata prima di morire. Prima di mandarla in onda, però, c’è bisogno della tua conferma.»

«Ma dove è stata realizzata?» gli chiesi io.

«L’ha fatta il regista nel suo studio di Milano e ce la vuole vendere.»

In effetti, in quei primi giorni di febbraio del 2004 Marco era a Milano, soggiornava all’hotel Jolly, ma era senza telefono, usciva poco, e inoltre non avevo mai sentito parlare di quel regista tra le sue frequentazioni. Come poteva aver fatto quel video?

E soprattutto, come mai lo metteva in circolazione proprio adesso, a dieci anni dalla sua scomparsa?

Se veramente era interessato alla vendita di quel documento filmato, perché non aveva provato a proporlo subito, nel 2004? Di certo ne avrebbe ricavato un guadagno nettamente superiore.

Mi suonava tutto molto strano. Ma non bisogna mai escludere nulla prima di aver visto e studiato bene i fatti.

«Dai, cominciamo a guardarla» suggerii a Gianluca «e poi ci ragioniamo su.»

In quel filmato Marco era seduto su una poltrona, in un ampio soggiorno, con un pianoforte alle spalle e alcuni registratori a bobina tipici degli anni Settanta.

Aveva un maglione chiaro, il pizzetto curato e la barba fatta.

Era tranquillo, all’apparenza riposato, e disponibile a parlare di sé e dei suoi progetti futuri.

Un particolare però attirò subito la mia attenzione: le sue orecchie.

Forse non tutti sanno che nel 2003 Marco si era sottoposto a un intervento chirurgico per ridurre l’ampiezza delle inconfondibili propaggini a sventola, che erano sempre state un segno caratteristico del suo aspetto, tanto da meritargli l’affettuoso nomignolo di “Elefantino”.

La prima volta che lo vidi dopo quella “correzione” – eravamo a Palma di Maiorca – gli manifestai subito il mio stupore nel vedere che gli alettoni ai lati della sua testa si erano stranamente chiusi.

Scherzando, gli dissi che mi sembrava quasi il dottor Spock di Star Trek, con quelle orecchie appuntite e attaccate alla testa.

Stranamente, però, in quel filmato (teoricamente girato un anno dopo il ritocco) le orecchie di Marco erano a sventola come ai vecchi tempi.

Molto strano. Veramente molto strano…

Mentre cominciavo a nutrire i primi dubbi sulla datazione effettiva di quel colloquio, sullo schermo Marco cominciò a parlare: «Ciao a tutti. Sono stato un po’ lontano dalle corse in questi mesi che per me sono stati molto difficili. In qualche momento ho pensato anche di smettere, perché sono stato provato da tutte queste vicende che mi hanno colpito e che non mi hanno lasciato pensare allo sport come vorrei, in maniera libera e come dovrebbe essere per tutti».

Dopodiché, Pantani cominciò a raccontare i suoi ultimi mesi lontano dalle gare e la sua voglia di non arrendersi, di non terminare la sua vita sportiva in maniera anonima. Parlò dei suoi progetti, della possibilità di unire il suo gruppo sportivo a un altro team importante ed espresse la sua voglia di tornare a gareggiare sulle strade del Tour e del Giro d’Italia. Insomma, Marco mostrava chiaramente l’intenzione di mettersi alla prova, di confrontarsi con stimoli nuovi, di non darla vinta a tutti i detrattori che lo volevano lontano dal mondo delle corse.

Era un Pantani che cercava fiducia, obiettivi ed entusiasmo.

L’intervista si chiudeva così: «Saluto tutti i miei tifosi e sono sicuro che mi rivedranno molto presto e molto attivo. Ciao a tutti!».

Mi faceva piacere ascoltare Marco mentre parlava del suo futuro, anche se nei suoi occhi vedevo un velo di tristezza.

Si capiva quanto ancora soffrisse e quanto vive fossero le ferite per i tanti processi ancora aperti e per i troppi contraccolpi che, con ritmo costante e regolare, accompagnavano la sua esistenza.

Ma quelle sue parole erano reali. In esse c’era vita, c’erano progetti e idee per il futuro.

Se veramente era un’intervista realizzata una settimana prima di morire, be’… ci restituiva un Pantani pervaso dalla voglia di vivere e di proseguire nel suo mestiere di corridore.

Era un’immagine lontana anni luce da quella specie di uomo ombra che sembrava emergere dalle cronache dei suoi ultimi giorni. Marco in quel video era vitale, reattivo, lucido nei discorsi e curato nell’aspetto.

A quel punto rimaneva un’unica operazione da fare: verificare con certezza la data dell’intervista.

L’autore ci aveva assicurato che il periodo era quello: l’inizio di febbraio del 2004, probabilmente il giorno 7 o 8. Vale a dire 24-48 ore prima della sua partenza per l’ultimo viaggio verso Rimini.

Eppure, oltre alle orecchie a sventola, c’erano molti altri dettagli che mi portavano a dubitare di quella datazione.

In primo luogo il suo aspetto fisico. E anche i discorsi sulla teorica fusione con un’altra squadra mi portavano a pensare all’autunno del 2002, quando all’orizzonte, in effetti, si erano affacciate molte ipotesi del genere.

Poiché non conoscevo personalmente l’autore di quel video e il valore delle sue affermazioni, decisi che mi rimaneva un’ultima verifica da compiere.

Mostrare quelle immagini all’unica persona in grado di dirci se quello era Marco una settimana prima di morire.

Mamma Tonina.

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Il giorno dopo mi misi in viaggio verso la Romagna. Prima tappa in treno a Bologna, dove mi aspettava l’avvocato De Rensis, e poi via insieme verso Cesenatico.

Avevo un po’ di paura all’idea di mostrare quelle immagini a Tonina, mi sembrava di infliggerle un altro supplizio, ma sapevo anche che si sarebbe arrabbiata se avesse scoperto che le tenevo nascosto un documento importante sulla vita di suo figlio. Decisi così di essere trasparente e sincero, come sempre. E mi sentii decisamente più sollevato quando, al primo fotogramma, il suo sorriso si aprì e la sua voce di mamma esclamò: «Il mio Marco!».

Tonina sembrava contenta di vederlo lì, davanti ai suoi occhi, come se le stesse parlando non dallo schermo di un televisore, ma di persona, faccia a faccia.

Anche Paolo, il papà, era lì con noi, serio, con gli occhi lucidi, ad ascoltare le parole e i progetti di Marco.

Ad ascoltare la voce di suo figlio.

Del “suo Marco”.

Terminammo la visione del filmato con le lacrime agli occhi.

Tonina guardava suo figlio con affetto, come una mamma osserva un bambino da proteggere. Quanta malinconia in quello sguardo, mentre con un filo di voce mi sussurrava: «Davide, non ti so dire con certezza se fossero quei giorni di febbraio. Anzi credo proprio di no. In effetti le orecchie di Marco dopo l’intervento un pochino si erano riaperte, ma non mi sembra così tanto. A febbraio era anche tornato magro dopo un periodo in cui aveva messo su tanti chili, ma a pensarci bene, in questo momento, non ti posso dare nessuna conferma. Ti posso dire soltanto che mi sembra girato molto prima di quei giorni».

Anche Paolo era dello stesso avviso.

Scrutava con attenzione l’ultimo fotogramma rimasto come fermo immagine sullo schermo del computer.

Le parole appena pronunciate da suo figlio erano ancora sospese nell’aria, come le nostre incertezze sull’autenticità di quel documento.

Era o no l’ultima intervista di Pantani?

Era o no la settimana prima della sua scomparsa?

Erano i progetti di un uomo che guardava con fiducia al futuro?

O era solo il tentativo di rifilarci un documento falso, o quantomeno datato male?

I dubbi restavano.

Ed erano molti.

Decisi così di tornare a Milano e di fare un supplemento di indagine sul filmato.

C’era un’altra persona che in quel periodo del 2004 frequentava quotidianamente Pantani: la sua manager Manuela Ronchi.

La incontrai nel suo ufficio di Milano, e anche lei dopo pochi istanti mi manifestò dei dubbi sulla data di quella intervista.

«Non è il Marco del 2004!» sbottò subito Manuela. «Le sue orecchie in quel periodo erano più chiuse; aveva fatto l’intervento. Il colorito della pelle poi non è il suo, non era così abbronzato, non portava gli orecchini (e nel dirmi questo mi mostrò una foto di Marco scattata in quei giorni, effettivamente senza nulla alle orecchie), e lì invece ci sono.»

Manuela notò anche come l’abbigliamento (pantaloni di cotone leggero) non fosse certo adatto a quel periodo dell’anno; ma c’era un altro elemento fondamentale che la portava a escludere che quella fosse l’ultima intervista di Pantani.

Infatti con grande sicurezza mi disse: «Quando il Panta ha realizzato quel video, io ero con lui. Mi è sembrato chiaramente di sentire la mia voce, in sottofondo, in un passaggio del filmato. Non ricordo esattamente il giorno e l’episodio, ma era la prassi. Marco non girava colloqui filmati senza avermi al fianco. E ti posso assicurare che, in quei giorni del febbraio 2004, di interviste in mia presenza non ce ne sono state. Aggiungo poi che in quel momento non c’erano accordi con altre squadre ciclistiche all’orizzonte. Probabilmente quel video risale, come pensavi tu, al 2002, quando stavamo progettando la fusione con altri team molto importanti».

Quel filmato quindi sembrava una bufala e con tutta probabilità qualcuno cercava di trarre un guadagno personale col nome di Pantani.

Comunicai tutti i miei dubbi a Mazzini e al mio direttore Brachino e decidemmo insieme che mai avremmo mandato in onda quel video spacciandolo per l’ultima intervista di Pantani.