C’era un ronzio sottile e continuo nella mia testa.
Un dubbio strisciante e fastidioso che non mi abbandonava mai.
Un particolare secondario, forse.
Di sicuro ignorato per molti anni.
Eppure poteva fornire un indizio importante.
L’orologio di Marco.
Avevo visto una foto che fissava l’immagine di quel Rolex al polso di Pantani senza vita. Le sue lancette erano ferme alle 4.55. Del pomeriggio, evidentemente. Ma che significato poteva avere quell’orario?
Secondo l’autopsia eseguita dal professor Fortuni, Marco era morto tra le 11.30 e le 12.30. Secondo la perizia del professor Avato, invece, tra le 10.45 e le 11.45.
Perché allora quell’orologio si era bloccato alle 4.55?
Di solito, nei racconti gialli, l’ora impressa sul quadrante dell’orologio indica il momento della morte, ma questo purtroppo non era un racconto di fantasia, e l’ora della morte – lo dicono le perizie ufficiali – non era quella.
Cosa dunque aveva fermato le lancette del Daytona di Marco alle 4.55 del pomeriggio, quasi cinque ore dopo il suo decesso?
Stranamente nessuno aveva mai indagato a fondo su quel particolare silenzioso, passato apparentemente inosservato per circa un decennio.
Avevo già sentito strane teorie che raccontavano di alcune telefonate di Pantani alla reception per domandare l’ora. Secondo tale ipotesi, l’orologio di Marco si era già rotto. Però mi sembrava strano che un uomo rimanesse per giorni con un orologio non funzionante al polso.
Di telefonate poco chiare, in questa vicenda, ce n’erano fin troppe. Inoltre, con tutte le incongruenze che già avevo trovato nel corso della mia ricerca, e su dettagli ben più chiari, cercavo di non farmi guidare troppo da quel che già era emerso durante la prima indagine.
Il ticchettio insistente di quell’orologio continuava a risuonarmi nel cervello.
TIC TAC TIC TAC
L’immagine di quelle due lancette mi tornava di continuo alla mente, fastidiosa come un flash intermittente.
Più ragionavo e più quel ticchettio si faceva assordante.
A Marco piaceva moltissimo quel tipo di orologio. Era sportivo ed elegante, probabilmente uno dei più azzeccati e desiderati nella storia della Rolex.
Una volta, tanto tempo prima, il Panta mi aveva fatto vedere un modello simile a quello. Era un Daytona in oro bianco e con un vistoso quadrante rosa: «L’ho preso per festeggiare la vittoria al Giro d’Italia!» mi aveva detto. Mi sembra di ricordare anche che dalla tasca ne tirò fuori un altro, con il quadrante giallo, preso evidentemente per festeggiare in modo adeguato anche il successo al Tour de France.
Anch’io possedevo quell’orologio da tanti anni, era in acciaio, movimento Zenith, lo stesso modello che aveva lui al residence, e quando per caso lo lasciavo in cassaforte per indossarne un altro, mi capitava spesso di ritrovarlo il giorno dopo ancora regolarmente funzionante, in moto e in perfetto orario.
Se il Pirata era morto verso la fine della mattinata, come poteva il suo orologio essersi fermato dopo sole cinque ore?
I casi erano due: o si era fermato prima, alle 4.55 del mattino, oppure qualcosa, di nuovo, non tornava.
Tendevo a escludere la prima ipotesi, perché a quell’ora, prima dell’alba, presumibilmente Pantani era a letto, e se per caso avesse messo in atto il suo delirio psicotico proprio in quel momento, sicuramente tutto il residence si sarebbe svegliato di soprassalto. Oltretutto il Daytona è un modello piuttosto robusto, per romperlo ci vuole un bel colpo.
Decisi così di rivolgermi alla persona che da sempre si prende cura delle mie “macchine del tempo”: Gabriele Vittozzi, un grande esperto in materia, un vero e proprio “dottore” degli orologi. Il “sciur” Gabriele, come lo chiamavo sempre, alla milanese.
All’ingresso del suo negozio di Milano, in zona Navigli, c’è una sorta di sala operatoria dedicata agli orologi, un dolce pronto soccorso dove appassionati e collezionisti di tutta Italia fanno la fila per sottoporre alle sue preziose cure cronografi di ogni marca ed età.
Il vintage è la sua specialità.
Gabriele saprebbe riconoscere un orologio falso lontano un miglio e, cosa più importante, i Rolex non hanno segreti per lui. Una volta riconobbe il mio Daytona a occhi chiusi, di spalle, semplicemente sentendo il suono del suo ticchettio.
Riepilogai con calma la situazione al “sciur” Gabriele, che dopo averci pensato su qualche istante e avermi ringraziato per la fiducia che riponevo in lui mi spiegò con la sua consueta chiarezza: «Vede, Davide, se io ho al polso un Daytona come quello di Pantani, anche se lo tolgo e lo appoggio da qualche parte continuerà a funzionare come minimo per altre ventiquattro ore, esattamente come fa il suo quando lo mette via per indossarne un altro. Ora, escludendo che quell’orologio indicasse le 4.55 del mattino, poiché lei mi dice che a quell’ora Pantani era ancora vivo, supponiamo che per qualche motivo il Pirata di notte lo abbia tolto e lasciato a riposare sul comodino prima di andare a dormire. Anche in questo caso sarebbe bastata un’oretta al polso, durante la mattina, per far ricaricare la molla; magari non completamente, ma in maniera sufficiente a garantire almeno altre undici o dodici ore di marcia. Pertanto la spiegazione più logica, quella che verrebbe in mente a me in una situazione normale, è che quel Daytona abbia subito un colpo, una botta che lo ha danneggiato e che ne ha causato lo stop. Se il vetro è rotto, la causa del blocco è dovuta alle schegge che si infilano tra le lancette. Se invece il vetro è intatto, la causa più logica può essere un danno al bilanciere. Probabilmente quell’orologio deve aver subito una bella botta alle 4.55 del pomeriggio, e in seguito a quell’urto essersi bloccato immediatamente!».
“Caspita!” pensai io. Se Gabriele ha ragione, un passaggio importante della perizia del professor Avato assume ancor più significato: il cadavere di Pantani è stato spostato.
Questa infatti era l’ipotesi inquietante contenuta tra le righe della relazione di quel luminare.
E mentre Gabriele mi parlava, quel particolare angoscioso e sinistro continuava a balenarmi davanti agli occhi.
E se la causa della rottura del Daytona stesse proprio lì?
Uno spostamento del corpo, un sollevamento, una botta al polso e… crack!
Orologio rotto e lancette bloccate alle 4.55.
Ma porca miseria!
Marco era morto attorno a mezzogiorno, e i cadaveri di solito non si muovono per sbattere l’orologio sul pavimento.
Tanto più che, come si è visto in precedenza, la posizione del corpo di Marco faceva a pugni con il fatto incontrovertibile che i liquidi corporei si erano raccolti in maggior quantità nel polmone “sbagliato”, quello più in alto.
Anche Antonio mi aveva manifestato più volte il sospetto che Pantani fosse stato ucciso e successivamente posizionato in quel modo sul pavimento.
E se il colpo all’orologio fosse stato causato proprio da quello spostamento?
Se qualcuno, nel buttare Marco a terra senza vita, con la faccia e i polsi rivolti verso terra, avesse inavvertitamente rotto il Rolex?
«Gli orologi parlano» mi disse Gabriele mentre mi apprestavo a uscire dal negozio. «Se nessuno ci ha messo mano, me lo porti qui. Le dirò in pochi minuti cos’è successo a quel Daytona.»
«Ci provo, signor Gabriele. Promesso!»
«Ah, Davide, mi scusi…»
«Dica.»
«Ma la versione ufficiale cosa dice? Come è morto Pantani?»
«È morto per overdose, cadendo in avanti, a faccia in giù e rimanendo lì, tra il letto e il muro senza vita.»
«Il pavimento era di moquette o era duro?»
«Duro!»
«Mmm… Le braccia dov’erano?» domandò sospettoso Gabriele.
«Rannicchiate sotto il corpo, con i polsi rivolti in giù.»
«Mi scusi se glielo dico, ma cadendo in quel modo, a piombo, con tutto il peso del corpo che frana di colpo sull’orologio e quest’ultimo che sbatte con violenza sul pavimento duro, le probabilità che un Daytona si danneggi irreparabilmente sono molto alte. A che ora è morto?»
«Verso mezzogiorno.»
«E l’orologio era fermo alle 4.55? Dopo la caduta in avanti che mi ha appena descritto?»
«Sì.»
«Ma siete proprio sicuri che sia morto in quella posizione?»
No, caro signor Gabriele!
Proprio no.
Ormai in questa storia non eravamo più sicuri di nulla.
Era arrivato il momento di comunicare all’avvocato De Rensis quella mia intuizione sull’orologio di Pantani e raccontargli l’opinione di Gabriele Vittozzi. Ero proprio curioso di vedere la sua reazione.
La risposta di Antonio non si fece attendere: «Quello che mi stai dicendo è molto importante! Come quello che ora ti dico io. Prova a cercare tra i documenti del processo il fax che il medico legale Fortuni spedì al pm dopo l’autopsia. E poi ne riparliamo».
Le parole dell’avvocato De Rensis mi suonavano molto strane. Sapevamo benissimo entrambi che il professor Fortuni aveva collocato la morte di Pantani tra le 11.30 e le 12.30 del 14 febbraio. Per quale motivo dovevo mettermi alla ricerca di quel primo fax?
Non riuscivo a capire, ma seguii il suo consiglio e mi misi subito all’opera.
Quello che trovai mi lasciò senza fiato.
Prof. Giuseppe Fortuni
Medico chirurgo
Professore per affidamento in deontologia ed etica medica
Presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia
Ricercatore confermato
Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni
Università degli Studi di Bologna
Bologna, 16/02/2004
Procura della Repubblica
Presso Tribunale di Rimini
All’Ill.mo Sig. S.P. Dott. Paolo Gengarelli
Al termine dell’esame autoptico sulla salma di MARCO PANTANI La informo che il decesso può datarsi approssimativamente intorno alle ore 17.00 del 14.02.04
Ma come? In quel fax il professor Fortuni fissa l’ora della morte di Pantani attorno alle 17, incidentalmente lo stesso orario disegnato dalle lancette sul quadrante del Daytona.
Una coincidenza piuttosto strana, dal momento che nella relazione finale di quello stesso medico, presentata circa un mese dopo, il momento della morte viene stimato attorno a mezzogiorno. Cinque ore prima.
In pratica Fortuni porta indietro le lancette della morte di Marco e della sua valutazione di quasi cinque ore. Mica poco.
Lo stesso medico, due orari diversi. In due documenti ufficiali, un professore di grande fama ed esperienza firma due stime differenti, smentendo clamorosamente se stesso e ratificando un errore di valutazione di circa cinque ore.
Anche questo elemento si trasformava dunque in un giallo, all’interno di una vicenda che di zone d’ombra ne presentava già fin troppe.