Le impronte digitali non rilevate.
Il caos e la devastazione della stanza senza che vi fosse nulla di rotto (a parte una scopa).
Le mani di Pantani intatte e senza un graffio a dispetto di quel raptus rabbioso e distruttivo.
Le testimonianze non raccolte o acquisite solo marginalmente dagli investigatori.
L’inchiesta incanalata subito in un’unica direzione nonostante gli indizi aprissero la via a molte ipotesi differenti.
La presenza di tre giubbotti che non potevano essere stati portati da Pantani al suo arrivo al residence.
I rumori riferiti dai vicini di stanza nell’ora in cui probabilmente Pantani moriva.
La pubblica accusa al processo affidata a un viceprocuratore onorario (un civile) anziché a un pubblico ministero di esperienza.
Il mancato utilizzo dei dispositivi di protezione durante l’ispezione e, di conseguenza, l’inevitabile contaminazione del luogo.
L’intervista in cui il medico legale che per primo ha visto il cadavere di Marco dice di non ricordarsi della pozza di sangue attorno alla sua testa.
Una dottoressa del 118 che ricorda nel dettaglio le pillole di Pantani, ma non il sangue attorno a lui. Versione clamorosamente smentita dalle foto e dal filmato ufficiale della Polizia.
La testimonianza di due infermieri del 118 che affermano che non c’era nessuna pallina bianca (di mollica di pane e cocaina) di fianco a Pantani.
Le prime persone intervenute per esaminare il corpo di Marco sulla scena del crimine che non vengono interrogate dagli investigatori.
L’ispettore Laghi che durante il processo parla di telecamere (inesistenti) a controllo degli ingressi del residence.
Lo stesso ispettore che al processo riferisce di uno specchio rotto nel bagno: specchio che invece è assolutamente intatto.
Il misterioso lavandino in mezzo all’appartamento descritto da un testimone.
I segni sulla faccia, sulla testa e sul corpo di Pantani giudicati il risultato della caduta a terra, escludendo di fatto l’ipotesi della colluttazione.
La tesi, impostata dagli investigatori e smentita dai fatti, che nella stanza di Marco nessuno sia entrato o uscito per giorni.
La strana telefonata ricevuta dal portiere dell’hotel (da solo in servizio alla reception) partita dal centralino e indirizzata al proprio cellulare.
Le tante incongruenze sulla posizione del cadavere.
Le telefonate alla reception con richiesta di aiuto di Pantani rimaste inascoltate e i soccorsi che arrivano soltanto dieci ore dopo.
La porta d’ingresso della stanza considerata “ostruita” (da un fornetto a microonde? Da un televisore?).
La bottiglia d’acqua con evidenti tracce di polvere bianca che nessuno analizza.
Il bicchiere probabilmente usato per fargli bere la droga che nessuno analizza.
I resti della carta di un gelato che nessuno analizza.
Lo specchio divelto dal muro eppure intatto che nessuno analizza.
Le posate in un cassetto che vengono rovesciate a terra durante l’ispezione.
Il personale sulla scena del crimine che tocca e sposta oggetti a mani nude.
L’orario della morte stimato alle 17 dal dottor Fortuni e poi dallo stesso spostato attorno a mezzogiorno.
L’orologio di Marco bloccato alle 16.55.
La strana telefonata, partita dal centralino del residence dopo il ritrovamento del cadavere del Pirata, intorno alle 21 a una persona alla quale viene chiesto (secondo le dichiarazioni ufficiali) se lui fosse Marco Pantani. Questa telefonata surreale dura un minuto e diciannove secondi: un po’ troppo forse per chiedere solo un nome. Per giunta sbagliato!
Un po’ troppo anche dover credere alla verità di questa telefonata che è il paradosso dell’assurdo, poiché chiunque in quell’hotel sapeva che Marco ormai era morto e non avrebbe potuto più rispondere a nessuno.
Quante anomalie, quanti elementi che non trovano posto, rimbalzando da una parte all’altra come in un sinistro gioco di specchi…
A rileggerle tutte una per una, queste incongruenze suscitano rabbia e sconcerto.