Venerdì, 11 aprile 1919
Uscii dalla pensione e corsi verso la fermata dei risciò all’angolo. Salman era steso su una stuoia sotto il suo veicolo. Al rumore dei miei passi aprì gli occhi e si alzò in piedi. Diede un colpo di tosse e sputò nella canalina di scolo a un lato della strada.
«Ufficio, sahib?»
Annuii e salii a bordo. Con un dito della mano destra, Salman suonò una campanella di latta che portava legata al polso con una cordicella. Il tintinnio fu come quello di un giocattolo da bambini. Poi partimmo.
Le strade erano trafficate malgrado fosse così presto. Il mattino era umido e la luce rosa e arancione dell’alba stava cambiando in quell’azzurro caliginoso che annunciava un’altra giornata bollente.
Sulla scrivania trovai un biglietto di Daniels che mi implorava di chiamarlo appena possibile, per prendermi un appuntamento con Lord Taggart. Per me era perfetto, ora che finalmente avevo qualcosa di nuovo da dire al capo.
Telefonai all’ufficio di Daniels ma non rispose nessuno. Erano appena le sei, probabilmente era ancora a letto. Provai un piacere perverso nello scrivergli un biglietto irritato, dicendogli che avevo tentato varie volte di contattarlo senza successo, e che avevo urgente bisogno di informare il capo della polizia di alcuni nuovi sviluppi. Mi affacciai alla porta, chiamai un peon e lo mandai da Daniels con il biglietto.
Controllai che si avviasse nella direzione giusta, poi tornai dentro, telefonai alla fossa e chiesi all’uomo di turno di prendere un messaggio per Surrender-not. Il sergente era già in ufficio, quindi gli chiesi di raggiungermi, portando tutti i fascicoli in nostro possesso su Benoy Sen e il gruppo terrorista Jugantor.
Dieci minuti più tardi, Banerjee bussò ed entrò con una pila di fascicoli marroni tra le braccia. Li lasciò cadere sulla mia scrivania con un sospiro. «Ecco, signore» disse. «Quelli più grossi sono sul Jugantor, e arrivano fino a dieci anni fa. Quello sottile è su Sen.»
«Ottimo lavoro, sergente» dissi. «Ci sono notizie sul manifesto di carico scomparso del treno postale?»
«Temo di no, signore. Continuerò a fare pressioni.»
Lo congedai e mi misi a leggere i fascicoli sul Jugantor. Era il classico racconto di un gruppuscolo che, dopo inizi innocui, era cresciuto fino a diventare una minaccia seria. I primi fascicoli riguardavano soprattutto furti e criminalità di basso livello. Quelli più recenti parlavano di aggressioni armate e criminalità più sofisticata. Avevano cominciato rapinando i taxi fino ad arrivare alle rapine in banca. Il bottino veniva usato per acquistare armi e componenti di bombe. Uccidevano soprattutto poliziotti, quasi sempre nativi, ma anche qualche funzionario britannico di basso livello. La cosa interessante, tuttavia, era il numero di attentati falliti. In molte occasioni i terroristi non erano giunti nemmeno vicini allo scopo, a causa di poca professionalità nell’esecuzione del piano, di armi non funzionanti e anche perché tra loro si erano infiltrati informatori dei servizi segreti.
Oltre ai rapporti della polizia sulle scene dei loro crimini, c’erano alcuni rapporti dei servizi segreti, contenenti ipotesi sulla gerarchia e sulla struttura operativa dell’organizzazione. Inoltre parlavano di ciò che si sapeva sulle cellule regionali del gruppo in tutto il Bengala e sui loro contatti con altre fazioni terroriste in altre parti dell’India. Il leader del Jugantor all’epoca era un bengalese di nome Jatindranath Mukherjee, che i nativi chiamavano “Bhaga Jatin”, ossia “la Tigre”.
Le attività del gruppo erano aumentate in modo significativo durante la guerra, infatti per gli anni tra il 1914 e il 1917 c’erano diversi fascicoli. La Tigre sembrava considerare la guerra come un’occasione d’oro per provare a scacciare gli inglesi dall’India, e c’erano vari rapporti su un raid che lui e i suoi uomini avevano effettuato presso i magazzini di una compagnia di nome Rodda & Co., che possedeva uno dei più grandi depositi di armi di Calcutta. Erano riusciti a fuggire con dieci casse di armi e munizioni, tra cui cinquanta pistole Mauser e quarantaseimila proiettili.
Molti fascicoli riguardavano un cosiddetto “complotto tedesco”. In pratica era un piano per acquistare armi dal Kaiser, impadronirsi di Calcutta e fomentare l’insurrezione dei reggimenti nativi in tutta l’India. I rapporti descrivevano i legami del gruppo con organizzazioni sediziose indiane a Berlino e a San Francisco, spiegando come i fondi venivano inviati a tali organizzazioni per l’acquisto di armi da spedire via nave. Alla fine, il gruppo era stato smantellato grazie a una rete di spie della Sezione H. Le insurrezioni in Bengala e in Punjab erano state stroncate sul nascere. Mukherjee e cinque dei suoi luogotenenti erano stati costretti a fuggire e a nascondersi vicino a Balasore, dove però erano stati traditi dalla gente del posto. La Sezione H aveva sferrato un attacco, in cui Mukherjee e due luogotenenti erano rimasti uccisi. Altri due erano stati catturati, e solo uno era riuscito a fuggire: Benoy Sen.
Aprii il fascicolo su di lui. Conteneva pochi fatti concreti e nessuna fotografia. Non c’era neppure un disegno del suo viso. Si trattava soprattutto di congetture sul suo coinvolgimento in alcune azioni, nella fase iniziale del movimento. In seguito, sembrava avesse avuto un ruolo nella pianificazione strategica, ma non c’era nulla di concreto al riguardo. La Sezione H, con le sue risorse e la sua rete di spie, probabilmente aveva su di lui un profilo più completo. Avrei provato a farmi dare i loro fascicoli. Così avrei scoperto se l’impegno a fornire “piena assistenza” arrivava fino a quel punto. Chissà perché, ma ne dubitavo.
Il telefono si mise a squillare. Alzai la cornetta. Era Daniels, con il fiato grosso. Mi disse che il capo mi avrebbe ricevuto tra dieci minuti.
Seduto davanti alla sedia vuota di Lord Taggart, ascoltavo il lento ticchettio dell’orologio nel suo ufficio. Era in ritardo, e Daniels non mi aveva detto perché. Così me ne stavo lì, sotto lo sguardo sublime del re imperatore Giorgio V, che mi fissava dal ritratto sul muro. A un tratto le porte si aprirono ed entrò Lord Taggart, con i bottoni d’argento della sua divisa ben stirata scintillanti al sole.
«Le mie scuse, Sam» disse, facendomi cenno di sedermi e accomodandosi sulla sua sedia in pelle. «Quali sono le novità?»
Gli dissi dell’incontro con l’informatore di Digby, spiegandogli che ora avevamo un indiziato per l’omicidio di MacAuley: Benoy Sen.
A quel nome drizzò le orecchie.
«E così la vecchia volpe è tornata a casa» disse, più a se stesso che a me. «Ottimo lavoro, Sam» proseguì. «Hai il mio permesso di usare tutte le risorse di cui hai bisogno per catturarlo. Non voglio che ci sfugga di nuovo. Nel frattempo informerò il vicegovernatore dei tuoi progressi.»
«Forse sarebbe meglio aspettare di averlo preso» suggerii.
Taggart scosse la testa. «No. Può sembrare sensato, ma sarebbe un grave inciampo per la carriera di tutti noi, se il vicegovernatore dovesse scoprire che gli abbiamo nascosto informazioni. Inoltre, le altre fonti a sua disposizione possono aiutarci a trovare Sen.»
«C’è dell’altro» dissi. «Credo che Sen sia collegato anche all’assalto al Darjeeling Mail.»
«Va’ avanti» disse Taggart, come se avessi detto la cosa più normale del mondo.
«Sospetto che l’assalto sia opera di terroristi, non di semplici dacoit. È l’unica spiegazione che ha un senso. Quegli uomini cercavano qualcosa di specifico. Si aspettavano di trovarlo nelle casseforti a bordo del treno, che per fortuna invece erano vuote. Dei veri dacoit non se ne sarebbero andati a mani vuote. Avrebbero almeno rapinato i passeggeri. Ai terroristi, invece, un’azione del genere non interessa. Da quanto ho capito, offenderebbe la loro sensibilità.»
«E cosa cercavano esattamente, Sam?» disse Taggart. Sembrava come se mi volesse pilotare verso una risposta che conosceva già.
«Secondo me cercavano denaro. Una grande quantità di denaro che si aspettavano di trovare in quelle casseforti.»
«Allora perché non prendere i sacchi della posta?»
«Questione di tempo» risposi. «Per ricavare denaro dal contenuto di quei sacchi ci sarebbe voluto un certo tempo.»
«Questo sembra implicare che avessero un bisogno urgente di soldi» disse il capo. «Cosa ti fa pensare?»
La risposta era ovvia. «Stanno tentando di portare a termine una compravendita di armi. Se questo Sen all’improvviso è tornato a Calcutta, e se c’è davvero lui dietro l’assalto al treno, significa che l’omicidio di MacAuley è solo il primo di una campagna più vasta e sanguinosa.»
«Devi assolutamente parlare con la Sezione H» disse Taggart. «Se hai ragione, il pericolo è molto maggiore di quanto credessi. Sen e i suoi compari devono essere fermati prima di poter dare inizio a una vera campagna del terrore. Muoviamoci, capitano.»
Mi alzai, dirigendomi verso la porta, ma mi voltai a metà strada.
«Lei lo sapeva, vero?»
Il capo alzò gli occhi dalla scrivania. «Sapevo cosa, Sam?»
«Che l’assalto al treno non era opera di semplici dacoit.»
«Lo sospettavo, ma non lo sapevo. E in realtà non possiamo ancora dire di saperlo.»
«Perché non mi ha parlato dei suoi sospetti?»
«Ho preferito fidarmi del tuo giudizio. Inoltre, sarebbe bastato un solo accenno al fatto che fosse opera di terroristi, e il caso sarebbe passato alla Sezione H. Tu non ne avresti sentito nemmeno l’odore, e lo stesso vale per me.»
Lo ringraziai della sincerità e tornai in ufficio. La situazione era grave, ma c’era una cosa a nostro favore: visto che Sen aveva trovato vuote le casseforti del treno, era probabile che non avesse ancora in mano i fondi per le armi. Questo ci lasciava un po’ di tempo, benché limitato. Dovevamo trovarlo prima che lui trovasse i soldi.