Epilogo

Ero seduto su una sedia di vimini nel giardino di Lord Taggart, e mi godevo il sole del tardo pomeriggio, mentre un domestico versava due robuste dosi di whisky single malt. Posò i bicchieri sul tavolino mentre un altro servitore aiutava Lord Taggart ad accendere il sigaro. Sua signoria aspirò varie boccate, girandolo e assicurandosi che la brace fosse uniforme. Soddisfatto, annuì in modo quasi impercettibile e i servitori si ritirarono in silenzio nell’ombra.

«Faccio ancora fatica a crederci» disse, scuotendo la testa. «Digby. Non avrei mai pensato che avesse le palle per una cosa del genere.»

Bevvi un sorso di whisky. «Cosa succede ora?»

«Difficile a dirsi.»

«Coprirà tutta la faccenda?»

Taggart aspirò una boccata di fumo. La punta del sigaro brillò, rossa. «Cosa suggerisci? Dovremo andare ad arrestare il vicegovernatore?»

«L’ultima volta che ho controllato, omicidi, complotti e tentativi di manipolare il corso della giustizia erano reati gravi.»

Taggart scosse la testa.

«Quale credi che sia il nostro ruolo qui, Sam?»

Nessuno me lo aveva mai chiesto prima. Probabilmente perché ero un poliziotto e lo scopo del mio lavoro era universalmente noto: assicurarsi che i cattivi non restassero impuniti. Di certo doveva essere così anche in India.

«Amministrare la giustizia?»

Taggart rise. «A quello ci pensano i tribunali, Sam, ed è meglio così. Il nostro compito è mantenere la legge e l’ordine in nome di sua maestà nella provincia del Bengala. Siamo qui per conservare lo status quo. E non possiamo farlo, se arrestiamo l’uomo che è al comando di tutta la baracca.»

«Quindi è stato tutto inutile?»

«Al contrario, ragazzo mio. Non possiamo muovere accuse formali, ma il tuo lavoro ci ha dato qualcosa di grande valore: una leva. Dubito che in futuro il vicegovernatore sarà così pronto a ficcare il naso negli affari della polizia. E potrebbe essere più incline ad agire secondo le nostre indicazioni. Prendi Sen, per esempio. Seguendo il mio consiglio, ha deciso di commutargli la condanna a morte: sarà deportato e incarcerato nelle isole Andamane. Il vicegovernatore lo farà passare come un gesto di magnanimità britannica, il che dopo i fatti di Amritsar potrebbe anche attirarci di nuovo le simpatie di alcuni nativi. Tra qualche anno, quando si saranno calmate le acque, riporteremo Sen in India. Un uomo come lui potrebbe esserci molto utile.»

Fu il mio turno di ridere. «Non lavorerà mai per noi.»

«Non ce n’è bisogno. Se si è davvero convertito alla nonviolenza, la cosa migliore per noi è lasciarlo libero di convincere più persone possibile a seguire la via pacifica. Tu cosa preferiresti: una rivoluzione armata o un mucchio di obiettori di coscienza? Guarda, questa stupidaggine della nonviolenza è tra le cose migliori che potessero capitarci.»

«Quindi Sen sarà giudicato colpevole per la morte di MacAuley?»

Taggart annuì. «Credo sia un prezzo equo, in cambio della vita.»

«E Digby?»

«Una promozione postuma. Per il suo infaticabile impegno in questa indagine. È un vero peccato che sia stato tradito in quel modo dal suo informatore.»

A Digby sarebbe piaciuta quella soluzione. E in un certo senso meritava la promozione. Se non avesse ucciso MacAuley, il Darjeeling Mail sarebbe stato pieno di denaro, la notte in cui era stato attaccato dai terroristi, e ora ci saremmo ritrovati in mezzo a una vera e propria campagna del terrore. Il merito alla fine era più di Digby che mio e della Sezione H. Il che mi fece ricordare...

«Devo andare a parlare con Dawson a Fort William.»

Taggart sorrise. «Ho sentito che avete cominciato ad apprezzarvi a vicenda.»

«Non esageriamo. Dubito che mi manderà gli auguri di Natale.»

La situazione tra noi si era stabilizzata in uno stallo pieno di diffidenza. Io sapevo del suo coinvolgimento nel caso MacAuley e lui probabilmente era al corrente del mio problemino con l’oppio. Avevamo tutti e due del fango da gettare sull’altro, ma per il momento preferivamo non farlo. Inoltre io gli avevo dato una mano, chiamandolo quella mattina e parlandogli della mia intuizione. Il che poteva renderlo meno incline a farmi uccidere. Ma, come accade sempre con gli uomini dei servizi segreti, non potevo esserne certo.

Taggart aspirò una boccata dal sigaro e guardò in fondo al prato, dove una sentinella pattugliava il perimetro della proprietà.

«E tu, Sam? Hai deciso se vuoi restare con noi?»

Vuotai il bicchiere, ingollando il whisky come una medicina.

«Ho bisogno di un po’ di tempo per pensarci.»

Il domestico riapparve senza che l’avessi chiesto e mi riempì di nuovo il bicchiere.

Taggart sorrise. «Prenditi tutto il tempo che ti serve, ragazzo mio.»

Dawson mi aspettava al centro di Fort William, davanti alla chiesa. Immaginavo di essere ormai persona non grata nella stanza 207. Dovevano esserci segreti, lì, che preferiva non farmi vedere. O forse non voleva che tentassi di sedurre la signorina Braithwaite.

«Gli avete tirato fuori qualcosa?» chiesi.

Dawson soffiò fumo dalla pipa. «Non ancora. È solo questione di ore, ma per il momento la sua è un’ottima imitazione di un monaco trappista.»

«Immagino non abbia molto da dire in sua difesa.»

«No, visto che l’abbiamo arrestato fuori da un magazzino pieno di armi ed esplosivi, con centocinquantamila rupie nella valigia. Un bottino sufficiente a tenerlo nel Guinness dei primati per un po’.»

«Avete preso qualcun altro?» chiesi.

Scosse la testa. «Lo abbiamo seguito fino a quel magazzino a Howrah, dove si è incontrato con due nativi. Abbiamo provato a seguire anche loro, ma se ne sono accorti e hanno tentato la fuga. Abbiamo dovuto ammazzarli.»

«Peccato» dissi. «Vivi sarebbero stati più utili.» E avrebbero lasciato in mano alla Sezione H un altro pedone per sostituire Sen, ma questo lo tenni per me.

«Abbiamo il denaro e le armi» ribatté Dawson. «È la cosa più importante.»

«Quante armi?»

«Tre casse piene: pistole, fucili ed esplosivi. Abbastanza per scatenare una piccola guerra.»

Ci avviammo sul sentiero che portava al cimitero del forte.

«Posso vedere il prigioniero?» domandai.

«Temo che non rientri nelle sue prerogative, capitano.»

«I suoi uomini non hanno esagerato, durante l’interrogatorio, spero.»

Dawson sorrise. «Siamo in India, capitano. Abbiamo delle regole precise, qui. E fra queste quella di non usare la violenza nell’interrogare un bianco, persino se si tratta di un irlandese. Altrimenti manderemmo un messaggio inaccettabile ai nostri soldati nativi. Ammetto tuttavia che nel caso presente le regole complicano la situazione.»

Quindi non l’avevano pestato e in due giorni non erano riusciti a tirargli fuori nessuna informazione utile. Probabilmente perché le loro tecniche d’interrogatorio si basavano più sulla forza bruta che sulla sottigliezza delle domande. Senza la possibilità di usare un tirapugni, annaspavano nel vuoto.

«Con me potrebbe parlare.»

Dawson soffiò nuvolette di fumo mentre ci pensava su.

«Va bene. Suppongo di poter fare un’eccezione. Solo per questa volta.»

Il reparto carcerario odorava ancora di disinfettante. Seguii il sepoy fino a una cella in fondo a un lungo corridoio.

«Buongiorno, Byrne» dissi, mentre il sepoy apriva la porta.

«Capitano Wyndham!» esclamò lui, sorpreso. «Come sono felice di vederla! Forse lei può spiegare a questi signori che hanno preso l’uomo sbagliato e tirarmi fuori di qui.» Stringeva le sbarre così forte che aveva le nocche bianche.

Devo ammettere che recitava bene la parte dell’innocente commerciante di tessuti. Eppure doveva sapere che il gioco era finito.

«La trattano bene?»

«Niente affatto. Sono rinchiuso qui da quarantotto ore senza spiegazioni e senza poter contattare un avvocato.»

«È fortunato a non essere indiano» commentai.

«Può farmi uscire di qui?»

«Non sarà facile. Mi dicono che aveva addosso centocinquantamila rupie in contanti, al momento del suo arresto. Ha rapinato una banca?»

Fece un sorriso ansioso. «Ah, certo che no, capitano. Lei sa che stavo lavorando a un grosso contratto. Quel denaro era il pagamento che mi spettava.»

«Centocinquantamila rupie per dei tessuti? Cosa gli ha venduto, Byrne, la Sacra Sindone?»

Il suo tono si fece supplichevole. «È la verità, lo giuro.»

Ma non lo era.

«Sono stato io a metterli sulle sue tracce» dissi.

Fece una faccia confusa. «Lei? E perché diavolo lo avrebbe fatto?»

Era una buona domanda. Che mi ero posto io stesso diverse volte.

«Perché lei non è un commerciante di tessuti. E dubito che Byrne sia il suo vero nome.»

Ebbe una leggera contrazione della mandibola. Per me fu abbastanza.

«La sera in cui ci siamo incrociati sulle scale, ricorda? Abbiamo parlato di Sen. Lei ha detto che somigliava a Lev Trockij. Come poteva saperlo?»

«Non lo so...» balbettò. «Devo aver visto una sua foto sui giornali.»

«Non credo proprio. Alla polizia non abbiamo una foto di Sen, e nemmeno un disegno della sua faccia, ma lei sapeva che somiglia a Trockij. Suppongo che i suoi amici in Irlanda riforniscano di armi i loro colleghi rivoluzionari in India, e lei è il loro uomo sul territorio. Deve aver incontrato una schiera di rivoluzionari indiani, tra cui anche Sen. Magari l’anno scorso, quando lei era in Assam e Sen si nascondeva nel Bengala orientale.»

«È un mucchio di sciocchezze, capitano.»

Forse era così. Forse aveva davvero visto una foto di Sen su un giornale, anni prima. Ma questo non spiegava cosa ci facesse davanti a un magazzino pieno di armi, con centocinquantamila rupie in valigia.

«Lasci che le dia un consiglio, Byrne» lo esortai. «Confessi in fretta e lo faccia qui, prima che la rimandino in Gran Bretagna. Sarà molto meno doloroso.»

Mi voltai per uscire dalla cella.

«Wyndham» mi chiamò. «C’è una tempesta in arrivo, in India e in Irlanda. Quando scoppierà, ci sarà una resa dei conti. Gli uomini di buona coscienza dovranno scegliere da che parte stare. E questo riguarda anche lei.»

Si sarebbe potuto risparmiare il fiato. Dopo ciò che avevo passato, la mia coscienza era tutt’altro che buona. E riguardo a scegliere da che parte stare, Taggart mi aveva chiarito le idee: ero dalla parte dello status quo. E avrei potuto conviverci, almeno finché le possibili alternative comportavano un eccessivo spargimento di sangue.

Chiamai la guardia, mi feci aprire la cella e ripercorsi il corridoio, con il clangore di porte di ferro che si chiudevano alle mie spalle.

Il giorno dopo lasciai la pensione. Era arrivato il momento, anche perché l’atteggiamento della signora Tebbit nei miei confronti si era fatto più distante, da quando ero tornato pieno di sangue e lividi, la notte in cui Digby aveva dato aria al cervello. La causa del problema comunque non era stato il mio aspetto, ma la mia insistenza perché desse una stanza a Surrender-not. Aveva protestato vivacemente, appellandosi al mio buonsenso, dicendo che lei naturalmente non era contraria a ospitare un nero sotto il suo tetto, ma cosa ne avrebbero pensato gli altri ospiti? Semplicemente non era una cosa possibile. Aveva ceduto solo quando le avevo comunicato che il sergente si era laureato in legge a Cambridge, ma anche allora non aveva rinunciato ad avere l’ultima parola.

«È questo il problema con i nativi» aveva borbottato, allontanandosi. «Sono troppo intelligenti per il loro stesso bene.»

Il mio baule mi aspettava in posizione verticale nell’ingresso. Conteneva praticamente tutti i miei averi. Per trasportarlo al mio nuovo alloggio, poco lontano da lì, in Premchand Boral Street, avevo contattato Salman e alcuni suoi amici. La mia nuova casa non era nulla di lussuoso. I padroni degli alloggi di lusso tendevano ad avere obiezioni sul coinquilino che mi ero scelto.

Surrender-not all’inizio si era mostrato restio a condividere l’abitazione con un superiore e per di più un sahib, ma avevo insistito. Gli avevo detto che sarebbe stato un bene per la sua carriera, e alla fine aveva acconsentito. Avevo i miei motivi. Innanzitutto mi sentivo responsabile, almeno in parte, del fatto che i suoi lo avessero cacciato di casa. Infatti era colpa mia se non aveva rassegnato le dimissioni. Inoltre, mi aveva salvato la vita due volte in una settimana, e solo uno sciocco si sarebbe separato da un simile portafortuna.

Una settimana più tardi conversavo con Surrender-not davanti a una bottiglia di un liquore locale. Avevamo scoperto che le nostre stanze costavano poco perché si trovavano sopra un bordello e accanto a un altro. Per noi non era un problema, e secondo me a Surrender-not in realtà piaceva. Lo avevo visto spesso guardare una delle ragazze che lavorava nel bordello a fianco. Ma non faceva altro che fissarla. Anche solo parlarle era troppo, per lui. Lo stavo interrogando proprio su quell’argomento, con due tattiche in contemporanea: far pesare la mia autorità e farlo ubriacare.

«Dai, Surrender-not» dissi. «Un cuore debole non conquista mai una bella donna.»

«Non ho quel problema, signore» ribatté, scuotendo la testa in quel curioso modo indiano. «Riguardo al mio matrimonio, mia madre sarà tutto meno che di cuore debole. E si accerterà che la mia futura moglie sia di carnagione chiara. Per lei sarebbe un disonore avere una nuora con la pelle scura.»

«Quindi non vuoi nemmeno provare a parlare con quella ragazza?»

«Come le ho spiegato già varie volte, signore, per me è difficile conversare con il sesso opposto. Ma non è un ostacolo. In India non c’è bisogno di parlare con una donna finché non l’hai sposata. È uno dei vari punti in cui la mia cultura è superiore alla sua, signore.»

Forse non aveva tutti i torti. Il sistema indiano faceva risparmiare un sacco di tempo ed energia, per non parlare dei patemi d’animo.

«Ma devi pur essere stato innamorato, qualche volta» insistei, diventando indiscreto. Colpa dell’alcol. «O magari una bella ragazza si è innamorata di te?»

Il sergente arrossì e scosse la testa.

«Come mai?» chiesi. «Da un bel giovane come te mi aspettavo che facessi fatica a tener lontane le donne.»

«Nella nostra cultura non funziona così.»

«E quando eri a Oxford?»

«Cambridge.»

«Sì, va bene. Ci sarà stata una suffragetta dal cuore caldo che ti ha accolto nel suo letto, no? Ho sentito dire che tra le ragazze impegnate in politica avere un amante indiano è alla moda. Mette in risalto le loro credenziali socialiste.»

«Purtroppo» disse in tono dispiaciuto «non ho mai avuto il piacere di mettere in risalto le credenziali di nessuna donna, socialista o meno.»

Sentimmo bussare alla porta.

Lo guardai. «Aspetti qualcuno?»

«No.»

Dal corridoio udimmo Sandesh che andava ad aprire. L’ex domestico di MacAuley adesso era al mio servizio. A lui serviva un lavoro, a me serviva qualcuno che mi stirasse l’uniforme, e per il momento l’accordo funzionava.

Udii una voce di donna, e poco dopo Annie entrò nella stanza. Non la vedevo da quando mi aveva curato in casa sua dopo che ero stato aggredito. Era bellissima, come la sera che avevamo cenato al Great Eastern.

Surrender-not si alzò in piedi barcollando e sogghignando come uno scimpanzé.

«Vado a fare una passeggiata» disse. «Ho bisogno di una boccata d’aria.»

Uscì così in fretta che sembrava se gli andassero a fuoco le scarpe. Presi la bottiglia e chiesi ad Annie di bere un bicchierino con me.

«Cos’è?» domandò.

«Non ne ho idea. Qualche mistura locale che ha comprato Surrender-not. È colpa mia, in realtà. Avrei dovuto andarci di persona. Quel ragazzo non sa praticamente nulla sull’alcol.»

«E tu gli stai insegnando?»

«Qualcosa del genere.»

Le versai un bicchiere. Lei lo bevve d’un fiato e lo posò sul tavolo, lasciandomi a bocca aperta perché quella roba sembrava benzina. Quando l’avevo assaggiata mi erano venute le lacrime agli occhi, e Surrender-not per poco non era caduto dalla sedia. Le riempii di nuovo il bicchiere.

«È una settimana che non ho tue notizie» disse.

Infatti la stavo evitando dalla notte in cui era stato ucciso Digby.

«Ho avuto molto da fare.»

«Lo vedo, Sam. Ti sei preso un bel posticino.»

«Sì. E ho deciso che un solo domestico è abbastanza. Forse ti ricordi di lui. A proposito, come hai avuto l’indirizzo?»

«Il tuo amico Banerjee» rispose. «Sono andata a Lal Bazar a cercarti e mi hanno detto che eri in licenza ma che il sergente poteva recapitarti un messaggio. Gli ho chiesto dove abitavi ed è stato molto gentile, anche se non ha precisato che abitava qui anche lui.»

«Mi piace tenermi vicino gli amici.»

Annie prese due sigarette da un portasigarette d’argento che aveva in borsetta e me ne offrì una. La accettai e le accesi entrambe. Lei aspirò una boccata, poi esalò il fumo.

«Vuoi dirmi cosa ho fatto di male, Sam?»

La guardai negli occhi. Mi risultava difficile sottrarmi al suo incanto.

Presi il bicchiere e andai verso il balcone. Era più facile parlarle, voltato di spalle.

«Avresti dovuto dirmelo» esordii.

«Dirti cosa?»

«Di Buchan.»

Mi aspettavo che mentisse, ma non era così meschina. Si alzò e mi venne accanto.

«Come l’hai scoperto?»

«Sapeva troppo sull’indagine. Sapeva della mia convinzione che Sen fosse innocente. Qualcuno gli passava le informazioni. All’inizio pensavo fosse Digby, invece eri tu.»

Non commentò nulla.

«La sera in cui sono stato aggredito eri uscita con lui, vero?»

«MacAuley era un suo amico» rispose lei. «Mi aveva chiesto di tenerlo aggiornato sui tuoi progressi. Non rimpiango di averlo fatto.»

«E cosa ti ha promesso in cambio? Di certo non ti aspettavi che ti sposasse, vero? O ti bastava essere la sua amante?»

Annie mi schiaffeggiò.

«Mi ha offerto denaro» ribatté, secca. «Sicurezza economica. Forse non l’hai notato, Sam, ma Calcutta non è un letto di rose per i mezzosangue.»

Mi bruciava la guancia.

«Quanti soldi?»

«Abbastanza da lasciare questo posto e ricominciare altrove.»

«Abbastanza da tradire me?»

Scosse la testa. «Non ti ho tradito.»

«Ci sei andata a letto?»

«Non sono affari tuoi.»

Su quello aveva ragione.

«Dove andrai?»

Sembrava tesa, agitata. «Non ho ancora deciso. Bombay, forse. O magari Londra.»

«Non Londra» replicai. «Non ti piacerebbe, credimi. A Bombay non sono mai stato, ma dubito regga il confronto con Calcutta. La vita è qui.»

Sorrise suo malgrado. «Calcutta resta sempre un’opzione.»

«Un’opzione da valutare bene, signorina Grant» dissi. «Dovresti restare qui stanotte e rifletterci su. Magari potrei darti una mano.»

Lei mi fissò, come se ci stesse pensando, poi mi accarezzò la guancia rossa.

«No, Sam» rispose. «Non mi sembra il caso.»