––––––––
Fare un accordo con un’adolescente è come nuotare con gli squali. Senza gabbia.
«So che è una rottura, Paige, ma devi restare nascosta. Promettimelo.» Tendo la mano sulla console mezza rotta tra di noi, con il mignolo curvo nel simbolo universale di tutte le sorelle. «Giurin giurello.»
Il mio sguardo la coglie proprio mentre alza gli occhi al cielo, un gesto sempre più frequente man mano che miglio dopo miglio allunghiamo la distanza tra noi e i nostri genitori.
«Non rovinerò tutto quanto, Charlotte. Non sono stupida.» Aggancia comunque il mignolo al mio per una breve scrollata e poi torna alla stessa posizione fissa delle ultime otto ore: sguardo inchiodato al di là del finestrino polveroso e ginocchia contro il petto.
«Lo so. Ma so anche che non sai stare ferma per più di cinque minuti e forse ci metterò un bel po’.»
«Non capisco perché fai tante storie. Non sono una bambina.»
Già. Ha compiuto tredici anni sei mesi fa. Niente più ciccia, solo arti lunghi e sciolti in contrasto con la figura leggermente ricurva. La mia sorellina non è più piccola, con mio sommo dispiacere. Era decisamente più facile fino ad appena qualche anno fa, quando la sua preoccupazione maggiore era il numero di dolci che sarebbe riuscita a sottrarre alla scorta per Hallowen. Adesso porta il reggiseno e mi ruba i trucchi.
«Lo so.» Distolgo lo sguardo dalla strada quel tanto che basta a notare la sua espressione allibita. «Ma non possiamo permetterci di perdere questa opportunità.»
L’annuncio era chiarissimo, e lo era stata anche Ruby durante la nostra breve conversazione telefonica. Niente bambini. Niente animali. Alloggio gratuito in cambio di cura dell’immobile e preparativi in attesa del rientro della proprietaria a fine vacanza.
Un affare imperdibile. Una dimora sicura, un tetto sulle nostre teste per quattro mesi. Anche se il posto si fosse rivelato una bettola, qualsiasi sistemazione sarebbe stata migliore dello squallido motel nel quale avevamo trascorso le ultime due settimane. Dopo l’acquisto della macchina, una berlina mezza scassata senza radio né aria condizionata, non ci restava molto. Quasi niente.
Paige sbuffa facendo svolazzare per un istante la lunga ciocca di capelli scuri perennemente ciondolante sul viso.
«Bene» dice. «Ma mi devi un favore.»
Non le rispondo. Entrambe in silenzio svoltiamo l’angolo e ci dirigiamo verso la strada principale della cittadina che per i prossimi quattro mesi chiameremo casa. Alla nostra destra la passeggiata, punteggiata di colori vivaci tra persone e graziosi negozietti. Oltre quella l’oceano.
Castle Cove è una di quelle cittadine che si vedono nelle riviste sui posti migliori in cui vivere, con foto luccicanti di gente felice e strade pittoresche.
È qui che le nostre vite avranno il vero inizio. Un posto sicuro. Un’esistenza normale.
«Siamo quasi arrivate.»
«Mm» sbuffa Paige, ma passa sul sedile posteriore e si distende sul fondo dell’auto, coprendosi con una coperta senza che debba chiederglielo io.
Superati appena un paio di isolati dalla passeggiata, parcheggio davanti a una casetta di mattoni. È uno stretto edificio a due piani con una veranda cadente e un praticello ingiallito, ma è tangibile ed è nostro. Sicuramente non una dimora in cui i nostri genitori avrebbero scelto di vivere. Non vi è nulla che urli ricchezza e lusso. Semmai potesse parlare, emetterebbe un indistinto borbottio di umiltà e modestia.
Inspiro a fondo.
È la nostra nuova vita. E sarà fantastica.
~*~
Ruby Simpson non è come me l’aspettavo. La immaginavo più vecchia, la proprietaria di un negozio new age, con la chioma arruffata e un reggimento di gatti. Ma Ruby è giovane e minuta, con capelli biondi come i miei, tranne che i suoi sono una cascata d’oro naturale che le ricade sulle spalle in onde di miele. I miei, invece, sono il risultato di un flacone e con tutta probabilità hanno l’aria di non essere lavati da tre giorni.
E infatti.
Avrà appena uno o due anni più di me che ne ho ventuno.
Se solo potessi viaggiare, visitare il mondo senza pensieri. I giovani della mia età vanno a feste universitarie e prendono decisioni sbagliate. Io sto tirando su un’adolescente.
«Sono felicissima tu abbia detto di sì nonostante il breve preavviso, Charlotte. Vorrei poter restare e inaugurare il negozio adesso che inizia la stagione turistica, ma non potevo rinunciare al Dalai Lama.»
Indossa abiti fluttuanti e una moltitudine di braccialetti colorati che tintinnano ogni volta che muove i polsi, distraendomi del tutto da quel che dice.
Faccio un cenno di sì ed evito di guardarla negli occhi.
Ruby è una spiritualista. Sta per avviare il suo negozio new age e l’insegna – Le previsioni di Ruby e il Cosmo – dovrebbe arrivare presto, mi dice, ma lei non può aspettare. È stata invitata presso un ashram in India per meditare con il Dalai Lama. Ecco perché il bisogno di un inquilino, e in fretta.
E dire che è arrivata qui solo ieri e già deve ripartire... presto, si spera. Provo pena per Paige costretta a restare in macchina sotto una coperta. Per fortuna questo periodo dell’anno è abbastanza fresco e non devo preoccuparmi che muoia per un colpo di calore.
Ruby mi ha fatto firmare il contratto di affitto e i moduli di impiego, ha fotocopiato il mio documento di identità e la carta di previdenza sociale – falsi, naturalmente – e adesso le resta meno di un’ora per mostrarmi la proprietà e darmi istruzioni sul da farsi mentre è via.
«Questo è il negozio» dice, indicando la polverosa stanza sul davanti con un ampio gesto della mano che le fa tintinnare i braccialetti. «La merce inventariata verrà spedita entro la settimana prossima, ma prima di sistemarla bisognerà pulire lo spazio. Qui» continua, diretta verso una stanza di fianco con me al seguito «farò i miei consulti. Al posto della porta voglio una tenda a fili di perline...» E così prosegue, a mostrarmi la casa e istruirmi su ciò che dovrò fare – con l’aiuto di Paige – fino al suo ritorno.
Sotto la polvere e le ragnatele, la casa è carina, e arredata. Il piano inferiore è destinato all’attività professionale, che davvero non richiede più di due stanze – quella sul davanti per il negozio e l’altra dietro per i consulti, un piccolo spazio nel quale non le occorreranno più di un tavolo e qualche sedia. Oltre questa, c’è un’accogliente cucina, un soggiorno con caminetto e ampi scaffali incassati e un giardino sul retro. La zona giorno è dotata di qualche mobile, un divano consunto ma dall’aspetto morbido e un vecchio televisore.
Mi sta mostrando l’ufficio al piano di sopra, quando dalla camera da letto attigua giunge un tonfo.
«Cos’è stato?» chiede.
«Io non ho sentito niente.»
Maledizione, Paige. Avrei dovuto essere più precisa. Invece di dirle resta nascosta, avrei dovuto specificare: resta nascosta in macchina. Era abituata a muoversi di soppiatto per origliare le conversazioni dei nostri genitori sui piani futuri. Pur costringendoci a lavorare con loro, infatti, ci tenevano spesso all’oscuro delle truffe che organizzavano.
Per fortuna, non ci sono altri rumori strani mentre Ruby mi mostra il programma di gestione dell’attività su un computer nell’ufficio. Mi spiega anche come scansionare fatture e ricevute e mi informa che il computer è collegato al satellite... e ha già pagato tutto. La migliore connessione le è costata un bel po’ ma l’unica alternativa in questa zona era quella remota.
L’ambiente è carino. Lo noto alla prima occhiata. E l’attrezzatura informatica tra le migliori, il che è una sorpresa considerando tutto il resto.
Di lì passiamo alla camera da letto principale.
«Sono davvero contenta che tu mi abbia cercata. Trovare affittuari senza bambini o animali domestici in tempi brevi è difficilissimo. Non che non mi piacciano» si affretta a chiarire, «ma al mio ritorno ho bisogno di uno spazio sgombro da inutili aure che inciderebbero sul feng shui.»
Con un sonoro colpo di tosse cerco di coprire la risatina soffocata che arriva dall’armadio.
«Come ti capisco» dico ad alta voce. «I bambini sono imprevedibili e... così irritanti.»
Un suono risentito sfugge ai confini di quello spazio a muro. «Il pavimento è davvero solido» aggiungo quasi urlando e battendo un piede con forza.
Grazie al cielo, si direbbe che Ruby non sia poi tanto sensitiva come sostiene, infatti non sembra accorgersi di niente.
Mi sposto piano verso la porta. «Hai detto che avevi un elenco dabbasso.»
Aspetta che se ne vada e ti strozzo, Paige.
Al piano di sotto, Ruby mi mostra una lista di articoli in arrivo, mi spiega dove sistemarli, quali numeri chiamare in caso di mancata ricezione e cos’altro fare mentre lei è via.
C’è anche un numero dove lasciare un messaggio in caso di emergenze, ma siccome all’ashram non ci sono telefoni, il numero è quello di un negozio a più di un miglio da lì. Se proprio devo contattarla, probabilmente non riuscirà a richiamarmi prima di almeno una settimana. Mi lascia anche il biglietto da visita del commercialista di famiglia, non si sa mai. Caratteri semplici ma belli stampati su cartoncino spesso color crema. Gente decisamente ricca, penso tastandolo.
Faccio per inserire i vari numeri nel cellulare ma mi accorgo che non c’è campo.
«Già.» Ruby annuisce e solleva le sopracciglia in segno di scusa. «Non ci sono ripetitori nelle vicinanze. In compenso, però, c’è un telefono fisso in cucina e un altro nello studio. Usa pure quelli se devi chiamare qualcuno» dice.
Non posso davvero lamentarmi. Vivere fuori dal radar è una buona scelta. Ottima quando vuoi nasconderti. Uno dei vantaggi principali di Castle Cove – oltre all’alloggio gratuito – è che si trova praticamente in capo al mondo.
Una volta discussi gli aspetti fondamentali, le do una mano a portare i bagagli fuori, dove un’utilitaria nera aspetta per accompagnarla in aeroporto a un’ora e mezzo da qui. Ha quattro valigie enormi. Una per ogni mese?
Quando Paige e io siamo partite verso il resto delle nostre vite non ci siamo portate dietro che un borsoncino a testa.
«Charlotte» mi dice, stringendomi la mano con un sorriso, come se fossimo amiche del cuore «grazie. Sento che è stato il destino a portarti qui. Hai un’energia meravigliosa.»
Mi chiedo come faccia a dirlo, da quando ci siamo incontrate le ho parlato appena e scommetto che nella mia energia non c’è niente di positivo ma... contenta lei.
Scruta il mio viso e poi la casa alle mie spalle. «Non preoccuparti di nulla. Andrà tutto benissimo» dice, stringendomi con un tintinnio di braccialetti che affondano nel fianco.
Impacciata, rispondo con una pacca sulla spalla.
«Ci vediamo tra quattro mesi!» mi saluta con voce carica di esuberanza, quindi se ne va. Occupa con grazia il sedile posteriore dell’utilitaria e scompare nella notte.