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CAPITOLO TRE

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È passato qualche giorno e io sono ancora senza lavoro.

E il cibo sta finendo.

E Paige ha bisogno di abiti nuovi perché sembra che nel giro di una settimana sia cresciuta di quasi tre centimetri e i suoi jeans stanno diventando dei pinocchietti.

In compenso abbiamo finalmente incontrato il nostro vicino di casa.

Si chiama James Bingel. Il postino ci ha consegnato per sbaglio la sua posta e quando sono andata a portargliela si è deciso ad aprire la porta per prenderla.

Poi me l’ha sbattuta in faccia senza una sola parola.

Un chiaro miglioramento.

In un certo senso mi aspettavo che Castle Cove fosse come nei film. Con vicini che vengono subito a presentarsi con biscotti e inviti per il tè. Bambini precoci che si offrono di falciare il prato e fare qualche lavoretto. E un estraneo bello e un po’ meditabondo che ti aggiusta la macchina o si trasferisce nella casa accanto o... inserisci parentesi romantica.

Invece, in meno di una settimana mi ritrovo con un vicino solitario, un’adolescente imbronciata e una macchina fuori uso. Per non parlare dell’estraneo meditabondo che mi urla contro piuttosto che invitarmi fuori a cena. Non proprio come dovrebbe andare.

Ma non mi sorprende. La mia vita non è mai stata materiale da commedie romantiche. Più che altro tragedie.

Non pensavo che trovare lavoro sarebbe stato tanto difficile. Il fatto che non abbia nessuna referenza o esperienza professionale legittima, poi, di sicuro non aiuta, ma la gente deve pur cominciare in qualche modo, no?

A parte impiegare il mio tempo a ricevere rifiuti da tutti i posti in cui ho fatto domanda, abbiamo trascorso anche gran parte degli ultimi giorni a pulire casa e sistemare la merce di Ruby: finora solo qualche spedizione.

Per prima cosa abbiamo affisso l’insegna del negozio – Le previsioni di Ruby e il Cosmo – un’esplosione di vivaci tonalità di rosso e giallo su legno anticato, con caratteri stravaganti e dalle linee morbide.

Tra le consegne alcuni scatoloni di libri, cristalli e dei pacchetti di erbe per purificare l’ambiente da spiriti o non so cosa, che abbiamo disimballato ed esposto nelle bacheche nella stanza sul davanti. «Ho fame» dice Paige, seduta sulla sedia dall’altro capo del tavolo dei consulti mentre io sfoglio uno dei libri appena ricevuti sulla lettura della mano. Quella stanza è diventata il nostro posto preferito. Abbiamo messo su le tende e montato le applique, come pure i fili di perline al posto della porta. È quasi accogliente.

«Sicura di non avere il verme solitario?» la stuzzico, ma la verità è che anch’io sono affamata. Ormai viviamo di ramen giapponesi e burro d’arachidi.

Per tutta risposta mi fa la linguaccia e tamburella con le dita sul tavolo.

«Tieni» le dico, tirando fuori dalla tasca l’ultima banconota da venti dollari. Dopo questa non saranno che spiccioli finché non avrò trovato la maniera di supportarci. O mi sarò convinta a catturare qualche gabbiano per cena. «Va’ a prenderci qualcosa da Stella

Da Stella è un ristorantino sul lato opposto del viale. L’altro giorno passandogli davanti e annusando nell’aria gli hamburger siamo quasi annegate per l’ipersalivazione. Ma consapevoli di non avere soldi da sprecare, per un tacito accordo nessuna delle due ha detto niente su quel delizioso profumino. L’essere così vicina a toccare il fondo per qualche ragione mi rende sconsiderata.

«Davvero?» Il viso di Paige si illumina. Quasi quasi vale la pena di rischiare giorni di fame certa per vederla sorridere di nuovo.

«Davvero. Vai. E sta’ attenta. Non parlare con gli estranei.»

Paige alza gli occhi al cielo ma si fionda fuori dalla porta.

Qualche minuto dopo, sono ancora seduta al tavolino a studiare il libro di Ruby sulla lettura della mano – ma davvero la gente crede a ‘ste stronzate? – quando il suono del campanello mi fa quasi cadere dalla sedia.

Attraverso le perline della tenda che separa la stanza dei consulti dal negozio intravedo due ragazze in età universitaria che scrutano la vetrina.

Non sono vicini con tegami di stufato, ma vado comunque.

Apro la porta e prima ancora di poter fare altrettanto con la bocca, una delle ragazze mi precede. «Fate letture?» È bassa e bionda, con un taglio alla moda e jeans costosi. Anche l’altra è bionda ma più scura, con capelli più lunghi e un’espressione indecifrabile. Sembrerebbero mie coetanee. Devono aver staccato per la vacanza primaverile.

«Non...»

«È un’idea stupida, Cassie» m’interrompe la seconda delle due.

«E tu sei una guastafeste. È divertente.»

«È una cavolata.»

L’amica ha ragione, ma non sarò io a difenderla.

Cassie si gira verso di me. «Per favore! Ho sempre voluto farmi leggere la mano. Le pago il doppio della tariffa normale.»

Sto per aprire bocca e rivelarle che non sono Ruby, non faccio letture e sono tanto capace di predire il futuro quanto il sasso là fuori sarebbe capace di sollevarsi e iniziare a sculettare su e giù per il giardino, ma qualcosa mi blocca.

Potrei spuntarla.

No, no. Ho appena fatto la morale a mia sorella sul nuovo inizio. Niente imbrogli. Niente bugie. Un po’ di soldi, però, ci farebbero comodo. Anzi, se non trovo subito una qualche forma di guadagno, ci ridurremo a elemosinare cibo e dubito il signor Bingel vorrà sfamarci.

Una volta sola non farà male a nessuno. Ho almeno mezz’ora prima che torni Paige. Da Stella è a una decina di minuti a piedi e ci vorrà come minimo un quarto d’ora per l’ordine. Posso accettare il denaro di questa ragazza, magari darle anche un aiutino e chi s’è visto s’è visto. Non lo saprà nessuno. Posso fingermi veggente per una mezz’ora. Ho fatto di peggio. E poi, il libro di Ruby non è altro che un mucchio di frasi vaghe e previsioni tutt’altro che dimostrabili.

La mia bocca si apre da sola. «Il negozio è chiuso, siamo in fase di allestimento.» E poi continua a muoversi. «Ma se proprio ci tiene, farò un’eccezione. La tariffa doppia è duecento dollari» dico, invece di quello che dovrei dire e che è vero. Una parte di me spera che la cifra sia troppo alta, la ragazza se ne vada e io possa dimenticare che il tutto sia mai accaduto.

Ma lei non batte neanche ciglio.

«Bene!»

E adesso non si torna indietro. Mi faccio da parte e la lascio entrare.

«Ma tu guarda un po’» dice l’amica, ancora fuori sulla veranda, scuotendo la testa. «Ci vediamo al passeggio quando finisci.»

Se ne va e io sorrido a Cassie facendole strada nella stanza dei consulti.

Accendo delle candele sul tavolo e provo a calarmi nella parte con dei respiri lenti. Cosa direbbe una sensitiva? Devo indurre Cassie a rilassarsi e darmi anche qualche indizio su di sé in modo da persuaderla che so quel che faccio.

«C’è qualcosa in particolare che vuole chiedermi o sapere?» le domando, nella speranza che senza neanche accorgersene mi dia qualche spunto per partire.

Seduta di fronte a me, con la fronte corrugata, Cassie si concentra sulla domanda. «Non saprei.»

Come non detto.

«Mi dia le mani.»

Me le tende con i palmi rivolti verso l’alto e io le prendo i polsi, concedendomi un momento per studiarle mentre mi chiedo che accidenti dirle.

Procedo con le affermazioni ovvie.

«Sono in arrivo grandi cambiamenti.»

È così per tutti.

Lei sgrana gli occhi e annuisce.

«Laurea?» Una facile ipotesi. Ha l’età giusta e siamo in vacanza primaverile. Una tattica che mia madre mi ha insegnato da piccola: nella maggior parte dei casi, per affermazioni generali e supposizioni basta lasciarsi guidare dagli abiti che uno indossa e dall’età. Se gli fai credere anche solo minimamente di sapere qualcosa su di loro, le persone ci si aggrapperanno come se sapessi tutto. Il più delle volte arriveranno persino a darti altri indizi senza neanche accorgersene.

«Sì.» Annuisce con vigore, sporgendosi in avanti.

«Per qualche ragione, questa la preoccupa.» Con la fronte aggrottata fisso le linee della mano, come se mi parlassero. Ancor più rivelatrice è la lieve traccia sull’anulare.

«Ha interrotto da poco una relazione» dico. «Una storia importante.»

«Sì. Come fa a saperlo?» chiede incredula.

Le sorrido. «È il mio lavoro.» Guardarti le mani e far finta di sapere di cosa parlo.

«Oh, certo» ride lei.

«Siete stati insieme per molto tempo» azzardo.

«Dalle superiori.»

Sembra triste. Un senso di colpa mi trafigge il petto. Sarò anche un’imbrogliona, ma forse posso aiutarla.

«Non si preoccupi per questo tipo. Lo so, pensa che non incontrerà nessun altro migliore di lui e invece sì.»

Si fa ancora più vicina, scrutandosi le mani ancora aperte tra di noi. «Lo legge qui?»

«Vede questa?» Indico una linea che le attraversa il palmo. «È la linea del cuore e, stando a lei, la sua vita sentimentale non è ancora finita.»

Non so se ci ho preso, ma dal libro che leggevo prima dovrebbe essere proprio la linea del cuore. E poi la ragazza è carina e sembra dolce. Di sicuro c’è amore nel suo futuro.

Lei si morde il labbro. «A dire il vero, stasera esco con un ragazzo nuovo» confessa.

Annuisco, come se lo avessi sempre saputo.

«Ceneremo al Castle Cove Restaurant sul molo. Abbiamo dovuto prenotare con quasi un mese di anticipo. Pensa che andrà bene? Cosa dice la mano?» Si sta ancora guardando i palmi come se potesse leggerci le risposte da sola.

Oh cavolo.

«No» dico io, in tono forse un po’ troppo energico.

«Cosa?» Si lascia andare indietro e sposta veloce gli occhi nei miei, ha un’espressione leggermente perplessa. «Non andrà bene?»

«Uhmmm.» Oh cavolo al quadrato. Scuoto piano la testa. «Le mie sensazioni per il ristorante stasera non sono buone. Penso che dovreste starne lontani.»

E non dico bugie; un primo appuntamento con diarrea esplosiva sarebbe un’esperienza orribile. Non so se chiunque ha accettato la consegna abbia deciso di vendere del pesce marcio, ma meglio prevenire che curare.

«Oh.» La povera Cassie sembra un po’ demoralizzata.

«Credo che il problema sia il posto. E se lo convincesse a portarla da Stella? Non è distante ed è carino» dico, anche se gli avventori sembrano più in età geriatrica che universitaria. Ma andare in un posticino di poche pretese ridurrebbe comunque lo stress del primo appuntamento.

«Giusto.» Fa cenno di sì, tuttavia gli occhi restano perplessi.

Ciancio ancora un po’ di cambiamenti positivi per lei e altre stupidaggini dal significato ermetico finché non inizia a rilassarsi.

Altre chiacchiere rivelano che studia discipline aziendali e si laurea l’anno prossimo, ma le piace anche suonare il violino. E a giudicare dai calli sulle dita, si direbbe abbastanza ovvio che sia una musicista.

A lettura finita lei sembra felice, anche se di fatto non le ho detto niente, e io ho intascato duecento dollari.

Paige rientra proprio mentre sto infilando i soldi nel barattolo dei biscotti in cucina, non senza una buona dose di vergogna per aver agito come i miei genitori così presto da quando ho giurato di tenermi alla larga dai loro insegnamenti.

Non lo farò mai più.

Ma ho anche aiutato Cassie, no? E nessuno ci ha perso niente; a lei con tutta probabilità quei soldi non servivano. Tra qualche giorno se ne tornerà nella casa dello studente, avrà dimenticato del tutto e Paige e io potremo mangiare per altre due settimane.

Un pensiero che non allevia comunque il senso di nausea.