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CAPITOLO QUATTRO

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Ci abbuffiamo di hamburger e patatine e finiamo in coma postprandiale in soggiorno, a guardare impigiamate repliche di Lucy ed io per ore.

A Paige, della studentessa o della falsa lettura e dei duecento dollari che ho nascosto, non dico niente. Tanto non si era accorta di quanto disperata fosse la nostra situazione, inutile aggiungere carne al fuoco. Raccontarglielo la indurrebbe a pensare che vada bene imbrogliare la gente mentre siamo qui, ma non è affatto così e non accadrà mai più.

E poi, la vera vita è questa. Momenti di relax con Paige, senza temere le lamentele o le future azioni dei nostri genitori.

Le risate registrate che giungono dalla TV mi cullano e sto quasi per addormentarmi quando un pugno si abbatte brusco sulla porta.

Mi raddrizzo di scatto.

Uno scambio veloce di occhiate con Paige.

Niente parole. Annuisce, si alza e va a nascondersi in cucina.

E se Ruby avesse mandato qualcuno a controllare la situazione?

Mezza barcollante vado alla porta. Fuori è buio. Chi può essere a quest’ora? Sta piovendo e io non me ne ero neanche accorta. Guardo attraverso lo spioncino e intanto dal cielo cadono goccioloni d’acqua che bagnano la strada e picchiettano senza sosta sul tetto. Sembra qui non ci sia altro che pioggia e nuvole. Speriamo sia solo un fatto stagionale.

La vista della persona sulla soglia mi sorprende: è il tipo che mi ha urlato contro sulla passeggiata.

Il jogger. Mister bel sedere.

Ancor più sorprendente è la tenuta.

Una divisa della polizia.

Con il volto in fiamme per l’imbarazzo ricordo lo scontro dell’altra mattina. Cos’è che gli ho detto esattamente? Ah sì – È forse poliziotto, lei? Non mi ha risposto, ma sembrerebbe proprio così, lo è.

Come ho fatto a non accorgermene prima? Il taglio militaresco dei capelli, gli occhi troppo attenti, quel modo sicuro di muoversi che mi fa venir voglia di strapparmi i vestiti di dosso e... ah, ecco... per forza non me ne sono accorta.

Ci mancava solo questa. Cosa vorrà mai? Si tratta forse di quella cavolata sulla violazione di proprietà privata? No, non credo. Avrebbe detto qualcosa già allora, non sarebbe andato via di corsa senza una parola. E se avesse scoperto che ho fatto delle previsioni fasulle a Cassie e fosse qui ad arrestarmi per esercizio abusivo della professione ed essermi spacciata per una... sensitiva? Dubito un fatto del genere meriti un intervento in tarda serata, ma chi può dirlo.

Potrei ipotizzare anche altro, naturalmente, visto che il mio passato è una gigantesca cloaca di attività illegali, ma i miei genitori non chiamerebbero mai la polizia. Non è così che operano. Verrebbero a cercarci loro stessi, se lo volessero.

Imponendomi un’espressione calma, inspiro a fondo e apro la porta. Ce la posso fare.

Mi ha riconosciuta, tuttavia il luccichio nei suoi occhi non altera la maschera di professionalità che indossa.

Faccio per dire qualcosa, una cretinata qualunque, tipo Desidera? Come va? Sa che ora è? Che diamine ci fai qui, brutto idiota? ma non esce alcun suono.

Invece, lo fisso, a bocca aperta.

«Sono l’agente Reeves.» Si toglie il cappello, scuotendo via l’acqua dalla visiera. «Le dispiace se entro?»

Il mio cervello inciampa per un attimo sulla parola “agente” e finalmente si collega alla lingua.

«Certo che no.» Muovo un passo indietro e lo lascio entrare, quindi chiudo la porta senza mollare il pomo per sorreggermi mentre lo guardo.

Resta nell’ingresso del negozio, a pochi passi dall’uscio. Non ho acceso le luci, l’unica fonte di illuminazione arriva da una lampada sulla parete nella stanza alle sue spalle e dalla luce della veranda che filtra attraverso la finestra dietro di me. Dalla mia posizione privilegiata, i suoi occhi appaiono scuri e pericolosi, e le ombre gli affilano i lineamenti.

«È qui per via dell’altra mattina?» chiedo di fronte al suo silenzio, orgogliosa di riuscire finalmente a parlare.

«No.»

Un’altra pausa. Sento che mi sta studiando e dubito che ciò che vede gli piaccia.

Indosso una vecchia maglia di cotone, slabbrata dal tempo, e dei pantaloni sformati che mi fanno un sedere a ravanello avvizzito.

Per contro, la sua divisa è impeccabile, stirata e inamidata, ineccepibile... a parte la spruzzatina di pioggia sulle spalle.

Esistono due tipi di poliziotti al mondo, quelli che ti puoi comprare e quelli che no. I primi sono attratti dal potere che il lavoro gli offre. Si servono della propria autorità per sminuire la gente e fare carriera, di riffa o di raffa.

Quello nell’ingresso di casa mia non rientra in questa categoria. È troppo serio, troppo preciso. Appartiene all’altro tipo, che per la gente come me è quasi più pericoloso.

«Sono qui per parlarle di una persona che ha incontrato oggi. Cassie Graham.»

Oh no! È venuto ad arrestarmi?

Stai calma. Che cosa direbbe al tuo posto una persona che non ha violato la legge?

«Sta bene?» chiedo.

«Sì. Un po’ scossa, ma tutto bene.»

«Cosa è successo?»

I suoi occhi diventano fessure. «Non lo sa già da sé?»

Un attimo di subbuglio nel mio cervello. Sono sospettata di averle fatto qualcosa?

Lo fisso, senza dire niente, ma questa volta di proposito. Se aprissi la bocca potrei scavarmi una fossa ancor più profonda. Quanto e cosa sa?

Infine si decide a parlare. «Dice che lei le ha predetto quello che sarebbe accaduto e di sicuro sa chi è stato?»

Le sue parole mi lasciano senza fiato e il cuore che già batteva forte accelera il ritmo.

Le ho predetto...

Non è venuto ad arrestarmi.

Pensa che sia Ruby. Ma certo. L’unica cosa affidabile che ho detto a Cassie è stata quella di tenersi alla larga dalla passeggiata. Forse ci è andata comunque e le è accaduto qualcos’altro... che a quanto pare non è intossicazione alimentare. Ma ha raccontato agli agenti che – di qualunque cosa si tratti – io glielo avevo predetto.

D’un tratto mi ritrovo impelagata in un problema serio. Non posso dirgli che ho mentito e mi sono fatta pagare per delle previsioni false. Non solo mi sono spacciata per qualcun altro, ho anche agito al suo posto. E senza licenza. Il che si traduce quasi sicuramente in una decina di sfumature di reato. Questo qui non sembra il tipo da rispondere con una risatina e fartela passare liscia. E se mi arrestasse? Che ne sarebbe di Paige?

Il mio cervello valuta in fretta le varie opzioni e si ferma all’unica che abbia un minimo di senso.

Devo fingere di essere Ruby.

Per la prima volta, credo che sia un bene essere esperti truffatori e...beh, praticamente sapersi trarre d’impaccio raccontando balle su balle.    

Scuoto la testa in risposta alla sua domanda. «Non pensavo che la previsione si sarebbe avverata così presto» dico, segnando il mio destino.

La bugia è come una vecchia scarpa. Comoda ma un po’ puzzolente.

«Cosa ha visto esattamente?»

Diarrea violenta.

Do un colpetto di tosse e mi giro a guardarlo, spingendo da parte i pensieri prima di aprire bocca. «Niente di particolarmente specifico. Più che altro si è trattato di una sensazione che se fosse andata al Castle Cove sarebbe accaduto qualcosa di brutto. Cos’è successo?»

«Temo di non poterlo rivelare, ma è stato commesso un reato.»

Un reato? Allora avevo ragione. Non un’intossicazione alimentare ma qualcos’altro. Fino a che punto è probabile che la esortassi a tenersi lontana da un posto in cui sarebbe stata vittima di un reato?

«Di dov’è?» chiede lui all’improvviso.

Lo guardo sorpresa per il repentino passaggio e faccio una veloce rassegna di quel che so sulla vera Ruby. Non molto. «New York.»

«Quale area di New York?»

«Settentrionale.»

«Cosa l’ha indotta a trasferirsi a Castle Cove?»

«Cercavo una casa vicina all’oceano e ho trovato quest’indirizzo. Devo forse preoccuparmi?»

«No.»

Segue un’altra pausa in cui ci scambiamo sguardi roventi. I suoi occhi sono scuri e penetranti. Non gli piaccio. E non dovrebbe importarmi. Soffoco sentimenti da una vita ormai. Come diceva sempre mia madre, le emozioni ti indeboliscono. Ma non sono mai stata brava e quel vago senso di diffidenza da parte dell’agente Reeves mi infastidisce moltissimo. Non intendo far male a nessuno. Né ho fatto qualcosa per meritare il suo disprezzo.

A parte mentirgli spudoratamente, più volte.

Maledizione.

«Se non ha altre domande, agente» lo supero e apro la porta «ho altro da fare.»

Lui resta lì, per un lungo momento carico di tensione, quindi si dirige verso l’uscita sfiorandomi. «Le auguro una buona serata» dice, ma dubito della sua sincerità.

Lo guardo rimettersi il cappello e procedere verso l’auto di servizio, sforzandomi di non fissargli il sedere.

Un vero peccato un simile stronzo sia dotato di un fondoschiena come quello.

«Cos’hai combinato?» chiede Paige dietro di me appena chiudo la porta.

Ebbene sì. Ora di confessare.

Le mie spalle si afflosciano in segno di sconfitta. «La ragazza è arrivata mentre aspettavi il cibo. Voleva che le leggessi la mano e mi ha offerto duecento dollari. Pensava che il negozio fosse già aperto e io fossi...» Non c’è bisogno di finire la frase, Paige può farlo da sé. «Non ho saputo dire di no.»

Lei spalanca gli occhi. «Duecento dollari? Sono stata via meno di un’ora e tu hai recuperato duecento dollari?»

«Mi dispiace tanto...»

«Sei mitica!» esclama esultante

Non la reazione che mi aspettavo. «No, affatto, è terribile. Non avrei dovuto.»

«Come facevi a sapere che le sarebbe successo qualcosa?»

«Non lo sapevo. Ha detto che sarebbe andata al Castle Cove e l’altro giorno mi ero trovata per caso a sentire qualcuno che parlava di una consegna di pesce vecchio.»

I suoi occhi brillano. «Che fortuna!»

«O sfortuna.»

«Ma non capisci, Charlotte? È la risposta.»

«La risposta a cosa?»

«A tutti i nostri problemi. Puoi spacciarti per Ruby.» Quel luccichio negli occhi non mi piace.

«Uhm, no, non posso spacciarmi per Ruby.»

«Perché no?»

«Perché lei sta per tornare.»

«Già, tra quattro mesi. Pensa a quanto potremmo guadagnare nel frattempo. Abbastanza da riparare la macchina o procurarci un altro posto in cui vivere, dobbiamo solo sgombrare prima che torni la vera Ruby.»

«Non è così che dovrebbe andare» dico io.

«Ma sai che ho ragione. C’è persino un agente che ti crede la proprietaria. Questa cittadina è troppo piccola. Non puoi tornare a essere Charlotte. E noi non possiamo ancora andarcene. Non abbiamo soldi, né una macchina e neanche un posto in cui stare. Nel giro di pochi giorni saremmo costrette a strisciare di nuovo da loro. È questo che vuoi?»

Scuoto la testa con un gemito. «Sai che sarebbe l’ultima cosa al mondo.»

Paige sorride. «E allora ti spaccerai per Ruby. Posso essere Trixie, la tua assistente giovane ma stilosa?»

«No. Se proprio dobbiamo, sarò l’unica a finire nei guai. Tu resterai Paige, la sorella irritante e fin troppo sveglia per la sua età.» Mi stropiccio gli occhi. «Non ci posso credere» dico tra i denti.

Paige fa un largo sorriso. «Sarà divertentissimo.»