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Mi sveglio con un gran mal di testa e qualcuno che mi russa nell’orecchio. Oh cacchio! Mi sono portata un uomo a letto?!
Sbattendo le palpebre contro la luce intensa che filtra copiosa attraverso tende rosa che non riconosco, scorgo una testa scura sul cuscino accanto al mio.
Non è un uomo.
È Tabby.
Ma quanto ho bevuto ieri sera?
Sollevo le coperte. Ho ancora i vestiti addosso, perciò forse non ero abbastanza ubriaca da aver avuto la prima esperienza lesbica. Chiudo gli occhi contro il bagliore del sole e lascio ricadere la testa sul cuscino. L’ultimo ricordo è la conversazione con Jared, il senso di vergogna e rimpianto e i troppi drink prima di accettarne uno fortissimo di un color blu che non può effettivamente esistere in natura. Il resto della serata è un mistero con qualche vago ricordo di me che bevo a ripetizione e poi chiedo all’agente Reeves di mostrarmi come sfilargli la stecca dal sedere, mentre Tabby ride così forte che quasi cade trascinandomi con sé.
Dopo dobbiamo essere tornate qui. Perché non a casa mia, e...?
«Paige!» urlo, lanciandomi fuori dal letto e rimanendo impigliata nel lenzuolo.
Le urla e l’agitazione interrompono il lieve russare di Tabby.
«Scialla, gioia.» Si siede intontita e guarda i miei tentativi isterici di districarmi dalle coperte. Ha i capelli aggrovigliati intorno alla testa e la voce roca di sonno.
«Paige probabilmente dorme ancora, visto che l’abbiamo svegliata alle due di notte. È nella stanza degli ospiti.»
Smetto subito di affannarmi. «Davvero?»
Tabby sbadiglia e torna a distendersi, sprimacciando il cuscino. «Sì, non volevi restare qui senza di lei, così ci siamo stipati nell’auto di servizio di Jared e siamo andati a prenderla...»
«È così?»
«Non te lo ricordi? Ci hai raccontato che stavate dividendo il letto e Paige continuava a “saccagnarti”, così vi ho proposto di dormire qui dato che per due il mio letto è decisamente più comodo. Paige è nella camera degli ospiti.» Fa una pausa. «Ancora non credo di aver capito cosa significhi “saccagnare”, ma fa lo stesso.»
Torno a rilassarmi contro la trapunta.
Persino nell’intontimento da ubriachezza sono riuscita a prendermi cura di Paige.
«Grazie» dico a Tabby, in colpa per averla svegliata.
«Sì sì, adesso taci» risponde lei, chiudendo gli occhi.
Mi distendo piano, attenta a non disturbarla oltre. Ma non riesco a dormire. Voglio ancora accertarmi che Paige stia bene.
Quando era neonata, la guardavo dormire tutto il tempo. Era meravigliosa, così piccola e perfetta. Non capivo perché i nostri genitori non fossero tanto ossessionati quanto me. Sempre preoccupata che potesse accaderle qualcosa, ma ero la sola. I nostri genitori la lasciavano piangere tutta la notte. Chiudendo la porta per non sentirla. Ho imparato prestissimo a preparare biberon e cambiare pannolini. E non mi è mai dispiaciuto. Anzi, era bello avere qualcuno con cui trascorrere del tempo, di cui prendersi cura, qualcuno da amare. L’amore era un concetto estraneo ai miei. O meglio, l’amore per il prossimo. Con l’amor proprio non avevano nessun problema.
Paige era tutto quanto avessi mai avuto.
Facendo più attenzione stavolta, mi libero dalle coperte ed esco dal letto di Tabby. In fondo al corridoio trovo la stanza degli ospiti, dove Paige dorme pacifica e sdraiata a stella di mare occupa tutto lo spazio disponibile, come sempre.
Sollevata, procedo verso il bagno. Mi lavo il viso e sciacquo la bocca con del collutorio per eliminare il sapore di ieri sera.
Mi sto asciugando con un asciugamano rosa bordato di merletto – che non mi sembra rispecchi il gusto di Tabby – quando dai pressi del soggiorno arriva un tonfo.
Resto in ascolto per un po’, quindi ripongo l’asciugamano e mi sporgo verso la porta. Si è svegliato qualcuno?
«Tabby, tu e le dannate scarpe in questo cavolo di corridoio!» È la voce di un uomo. Troy?
Faccio capolino dalla porta. Sì, con una mano si regge contro la parete del corridoio e con l’altra si massaggia il piede.
«Tutto bene?» sussurro, uscendo dal bagno e dirigendomi verso di lui.
«Sì. Tabby lascia le sue cose dappertutto.» Indica il pavimento dove si contano almeno sei paia di scarpe sparse a casaccio. «È così da quando aveva quattro anni. Sempre a lanciare le sue schifezze in giro e lasciarle nei posti migliori per ammazzare qualcuno.» Scuote la testa. «Sono contento tu sia qui. Volevo parlarti.»
Oh no. E adesso che c’è? Possibile che ieri sera abbia fatto qualcos’altro di estremamente imbarazzante cancellandolo poi dalla mente?
Lui risponde alla mia espressione spaventata con un largo sorriso. «Andiamo, ti faccio un caffè.»
A quelle parole mi rilasso un po’. Se mi prepara il caffè non dev’essere troppo preoccupante.
In cucina, prende delle tazze e armeggia con la macchinetta sul piano di lavoro fino a produrre due bevande fumanti.
Me ne posa una davanti, seguita da zuccheriera e bricchetto.
«Grazie» dico io, aggiungendo il latte.
«Stamattina ho parlato con il capo.» Beve un sorso dalla sua tazza.
Sollevo la mia bevanda fortificante e aspetto che continui.
«Vuole davvero che riconsideri la possibilità di aiutarci con il caso. Non abbiamo ancora nessun indizio.»
«Non so, Troy...»
«Acconsente a pagarti una tariffa contrattuale. E possiamo assecondare i tuoi impegni. Avresti ancora tempo per avviare la tua attività e di tanto in tanto, o anche di sera, lavorare con noi al caso. Tanto c’è sempre qualcuno reperibile, il che sarebbe magnifico visto che, come dicevi tu, il dono non si manifesta a comando. Anche se non avessi alcuna sensazione, o come preferisci chiamarle, verresti pagata comunque a ore. Ma se ci aiuti a trovare il ladro, riceverai una gratifica.»
Non è giusto parlarmi così di mattina quando sono in preda alla stanchezza e ai postumi di una sbronza, nonché ancor più squattrinata di ventiquattrore fa. Non ho ancora finito la prima tazza di caffè.
Ma davvero non posso aiutare le forze dell’ordine per tre ragioni. Uno, sono un’imbrogliona, tanto sensitiva quanto lo sarebbe Graffio... e se poi se ne accorgessero?
Due, non sono Ruby. Di sicuro mi farebbero compilare qualche modulo delle imposte con informazioni personali. Oddio, quelle le avrei anche, le ho trovate l’altro giorno nel suo ufficio... Ma non ci posso neanche pensare. Senza riflettere sulla maniera in cui la cosa potrebbe funzionare, mi concentro solo sul perché sarebbe una pessima decisione.
Tre, eventuali voci che collaboro con la polizia alla soluzione del caso potrebbero destare interesse da parte dei media, e i miei genitori ne approfitterebbero senza dubbio ... Non si stanno attivando troppo per trovarci, ma come minimo avranno teso le antenne per sondare il terreno, alla ricerca di notizie. Se qualcuno cercasse di fregarli non risponderebbero in maniera felice. È possibile che non vogliano bene né a me né a Paige, ma di sicuro non rinuncerebbero a riprendersi ciò che considerano di loro proprietà.
E poi, davvero non ho voglia di trascorrere più tempo del necessario con Jared. È ovvio che mi consideri sospetta – perché è sveglio – e io non mi diverto a essere oggetto della ripugnanza che riversa a fiotti e si concentra verso di me ogni qualvolta ci troviamo.
Okay, forse sono più di tre ragioni.
Al tempo stesso, però, affinché questa truffa funzioni non posso non pensare al denaro che dovrò recuperare per rimediare ai danni causati da Graffio. E poi c’è anche il tetto che in qualche modo andrà riparato se vogliamo vivere lì altri quattro mesi. Per non parlare della macchina. E di vestiti e occorrente scolastico per Paige. L’elenco di quel che ci serve è infinito. Senza tralasciare che sarebbe anche bello mettere da parte qualcosina perché quando la vera Ruby tornerà, saremo costrette a scappare via nella speranza che non ricorra alla sua ricca, potente famiglia per rintracciarci.
Forse potrei spuntarla.
«Dovresti accettare.» Una voce alle mie spalle fa eco ai miei pensieri.
È Paige, in piedi nel vano della porta della cucina.
«Dovrei?»
Lei annuisce. «Se è di aiuto a qualcuno...» risponde, stringendosi nelle spalle.
So bene cosa intende. Qualcuno, cioè noi due. Lavorare a gomito con la polizia è un sogno per un truffatore. Quale maniera migliore di sapere se ci sospettano?
Inspiro a fondo ed espiro. Non ho quasi più scuse per rifiutare, il che potrebbe renderci ancor più sospette.
«D’accordo. Ci sto.»
«Sì!» esulta Troy, dandomi una pacca sulla spalla.
«Non voglio nessun coinvolgimento da parte dei media» aggiungo. Se non altro mi sforzo di risolvere almeno uno dei miei problemi.
«Ma potrebbe essere di aiuto alla tua attività se...»
«No. Non mi importa. Non lo voglio, quel genere di attenzione.»
Troy annuisce. «Okay. Non penso sarà un problema. Lo dirò al capo. Altro?»
«Sì.» Gli tendo la tazza. «Caffè.»
La prende con un ghigno. «Forse ti servirebbe ben altro.»
«Perché?»
«Beh, se stasera sei libera Jared è in servizio, potresti iniziare a lavorare con lui.»