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Naturalmente li conosce, gli adolescenti del festino nel bosco. È una cittadina talmente piccola che non mi sorprenderei se sapesse a memoria ciascuno dei loro numeri di previdenza sociale.
Ascolto e guardo mentre ordina ad alcuni di spegnere il fuoco e ad altri di raccogliere le bottiglie di birra e la spazzatura. Poi li chiama uno per uno e li informa di ciò che li aspetta.
Finito, lasciamo a passo di marcia il bosco.
È una fortuna che i ragazzi si siano portati dietro lanterne e torce. Senza alcuna fatica li seguiamo attraverso gli alberi fino all’area in cui sono parcheggiate le auto. Per lo più, il gruppetto è mogio ma, nonostante le circostanze, anche un po’ ridanciano.
Ad attenderci nella radura ci sono altre auto di servizio.
Proseguo verso quella di Jared e, appoggiata al cofano, guardo mentre i ragazzi vengono multati e poi divisi tra i vari agenti.
C’è anche Troy, che si avvicina per salutarmi. Vedo le sue gambe muoversi nella luce dei fari di un’altra macchina.
«Ehi, Troy.»
«Come sta andando?»
«Abbastanza eccitante, ma ancora nessun indizio.» Mi stringo nelle spalle. «È stato...» lancio uno sguardo all’indirizzo di Jared, che sta coordinando il trasporto dei ragazzi «...interessante.»
Quest’ultimo ci raggiunge prima che finisca di raccontare a Troy della mia clamorosa figuraccia. «Ti ho assegnato i ragazzi che vivono in collina» gli dice. «Io porto via questi» aggiunge, indicando il gruppetto alle sue spalle. «Anderson ha preso in consegna gli altri.»
«D’accordo, capo. Ci vediamo, Ruby.» Troy mi lancia un largo sorriso e va a caricare i ragazzi in macchina.
Saliamo nella nostra e partiamo, un viaggio silenzioso. Casa per casa, Jared scende con il ragazzo di turno e prima di tornare in macchina parla con i genitori.
Infine riaccompagna me.
«Mi dispiace questa serata sia stata più o meno un fiasco» dico, avvertendo il bisogno di salvare la faccia prima di salutarci. «Temevo che sarebbe accaduto, ecco perché ero riluttante a... offrire i miei servizi.»
Nella luce del cruscotto osservo il suo profilo. Mi lancia una sola occhiata, breve, ma i suoi occhi sono scuri e indecifrabili come sempre.
«Dispiace anche a me» risponde, sorprendendomi. «Non avrei dovuto darti tanto filo da torcere a proposito dei dolcetti. È che... in realtà penso che la storia della chiaroveggenza sia una stronzata.»
«Davvero? Non l’avrei detto.»
Fa una smorfia e si stringe nelle spalle. «Non mi va che la gente a cui tengo soffra.»
Si ferma davanti a casa.
«Non soffrirà nessuno.» E prima che possa aggiungere altro, scendo con un saluto affrettato.
Lui aspetta di vedermi entrare e si allontana.
In soggiorno, Paige e Tabby sono sfinite sul divano. Il tavolo è coperto di popcorn e biscotti e la TV è accesa. Si sono smaltate le unghie e Tabby ha uno sbaffo di cioccolato sulla guancia.
Spengo la TV e gli sistemo addosso le coperte. Poi, prima di salire nella mia camera da letto, mi fermo a guardarle dormire pacifiche.
Non soffrirà nessuno.
Ho detto la verità?
~*~
«Ti serve una matita?»
«No grazie.»
«Della carta?»
«No, Charlotte, sono a posto.»
«Posso salutarti con un bacio davanti ai tuoi nuovi amici?»
«Charlotte!»
Due mattine dopo, Paige è al primo giorno di scuola.
L’accompagno per l’iscrizione. L’anziana donna dell’ufficio è una volontaria mezza cieca e qualunque preoccupazione circa l’assenza di un qualsiasi documento legale che attesti la tutela di Paige a me svanisce quando quella pensa comunque che io sia la madre e non mi chiede neanche un documento di riconoscimento né il certificato di nascita di Paige.
Appena ricevuto l’orario delle lezioni, mia sorella mi molla senza un secondo sguardo.
«Scegli bene. Non imbrogliare i compagni di classe, ma non farti neanche fregare» le grido dietro mentre scappa praticamente via da me.
Adolescenti.
Ieri l’ho persino portata nell’unico negozio di abiti per gente al di sotto dei sessant’anni e le ho comprato due completi nuovi. E questo è il ringraziamento.
Torno a casa da sola, mi faccio un caffè e mi siedo in veranda. Il signor Bingel è fuori a potare le rose, perciò mi diverto un po’ a sentirlo brontolare.
Inizia ricordando la meravigliosa vita di un tempo, prima del nostro arrivo nella casa di fianco, per poi passare a me che non ho mai il tempo di curare le mie rose e a quanto più bella apparirebbe la sua casa se “quella ragazza” tenesse in ordine il proprio giardino.
«La prego, mi mostri lei come prendermi cura delle mie rose» dico io, a voce abbastanza alta perché possa sentirmi.
Ma il signor Bingel mi ignora e continua e sforbiciare e borbottare.
Jared ci passa davanti correndo.
Saranno le otto e mezza. Si direbbe passi ogni mattina di qui più o meno alla stessa ora.
Lo saluto con la mano, ma lui non dà neanche una sbirciatina nella mia direzione.
Sospiro.
Anche Graffio, la creatura demoniaca, è fuori. Ha trovato un posticino assolato ai miei piedi, perfetto per la pulizia delle proprie estremità.
Quando si ferma e resta immobile, provo ad accarezzarlo ma lui soffia.
Mi amano tutti in questo posto.
Finisco il caffè pressappoco nello stesso istante in cui il signor Bingel finisce di potare i suoi cespugli. Non ho idea di come riesca a curare quel giardino in maniera tanto certosina, e la sua persona non è mai trasandata. Scarpe e guanti sono sempre pulitissimi, nonostante si inginocchi sul terreno. Si direbbe che persino lo sporco abbia timore di offenderlo. Anche se, quando si rialza, sembra preferire il fianco destro. Che le sue ossa stiano peggiorando sotto la forza del suo malcontento?
So che è solo. Non viene mai nessuno a fargli visita, e dedica tempo al giardino più che a ogni altra cosa. Sotto sotto, penso che gli faccia piacere averci come vicine. Perché mai uscirebbe a potare le rose già perfettamente curate, altrimenti?
«Tutto bene, signor Bingel?»
Continuando a ignorarmi, raccoglie gli attrezzi e se ne torna in casa. Sto per rientrare anch’io, visto che il mio compito per la mattinata (stuzzicare il signor Bingel al fine di farci amicizia) è miseramente fallito, quando al momento di alzarmi, un’auto della polizia si ferma davanti casa.
Troy scende dalla macchina e procede a lunghi passi verso di me con quella che ormai riconosco come la sua solita andatura spavalda. In mano una cartellina di manilla.
«Ciao Ruby.» Siede accanto a me sull’altalena della veranda.
«Che racconti?»
«Non lo sai già?»
Sospiro. «Mi hai portato il fascicolo dell’aggressione?»
«E tu come fai a saperlo?» La sua voce è carica di esagerata incredulità. «Aspetta, non me lo dire. Sono stati gli spiriti.»
«Non sono una medium, Troy» ribatto io con un sorriso. «Il fascicolo è qui davanti a me e su c’è il nome di Cassie.»
Il suo sorriso si trasforma in un’espressione di stupore. «Sei davvero sensitiva.»
«Un vero dono.»
Ridiamo e mi dà un amichevole colpetto di spalla.
«Insomma, Jared dice che l’altra sera non è andata benissimo.»
«Già. Pensavo di avere un indizio, ma non aveva niente a che vedere con l’aggressione.»
«Tranquilla.» Mi dà una pacca sul ginocchio. «Strano, però, che tu sapessi di Jared e dei pasticcini che compera ogni giorno per la signora Hale. Non la racconta mai a nessuno, quella roba lì. E comunque...» mi mette il fascicolo in grembo «... ho pensato che forse questo potrebbe aiutarti con sensazioni e simili.»
«Grazie.»
Avrei dovuto pensare io stessa a chiederglielo. Davvero non so niente a parte il fatto che Cassie è stata aggredita fuori dal ristorante e qualcuno le ha messo una sacca sulla testa.
Apro la cartelletta e scorro in fretta il contenuto. Contiene una dichiarazione con la sua firma e l’elenco degli oggetti nella borsa, una foto della sacca e altre del luogo in cui è avvenuta l’aggressione.
«C’è qualche logo?» Prendo la foto e studio la sacca. È grande e di tela, con delle scritte.
«Reclamizza un vecchio ristorante greco di qualche anno fa» dice Troy, avvicinandosi e scrutando oltre la mia spalla. «L’ha già controllato Jared quando ci siamo accorti che il tessuto della sacca era troppo poroso per ritenere delle impronte valide. A quanto pare, dopo la chiusura del ristorante, le sacche furono vendute tutte allo stesso acquirente. Di cui non si conosce il nome perché a gestire la cosa fu un’agenzia di rivendita.»
«Quale agenzia?»
«Dei dettagli si sta occupando Jared. È lui il braccio efficiente.»
«E tu?»
«Io sono la bella faccia» risponde, strappandomi una risata.
«Andiamo, Ruby. È innegabile.» Annuisce ripetutamente e arriccia le labbra.
«Hai ragione, non posso negarlo.»
«Comunque, Tabby mi ha chiesto di invitare te e Paige a cena, domani sera a casa sua. Lo facciamo tutte le settimane. Ci sarà qualche amico intimo e ha pensato che forse vi farebbe piacere incontrare un po’ di gente. Ci saremo anch’io, Jared e Ben e avrete modo di incontrare la signora Olsen. Ci divertiremo un po’.» Fa un gesto solenne con la testa ma... chissà perché non gli credo.
«Non so» dico, in tono esitante. «C’è così tanto da fare al momento. Paige ha iniziato oggi la scuola e tra una settimana abbiamo l’inaugurazione.»
E devo ancora salire di sopra a dare un’occhiata ai video in cerca di informazioni. Spero di scoprire qualcosa di meglio di quei dannati pasticcini.
«Sai già che se adesso mi dici di no, Tabby ti si appiccicherà addosso come il rosso sul camion dei pompieri, vero? Verrà a prelevarti a costo di trascinarti per i capelli. È allergica alla parola no. E non riferirle che te l’ho detto, anche se probabilmente te ne sarai già accorta da sola. Non ha molti amici, almeno non della sua età.»
La mia determinazione vacilla. Non dubito che anche Paige vorrà andarci. E io non sono mai stata brava a dirle di no.
Annuisco. «D’accordo.»
«Splendido.» Mi dà un'altra pacca sul ginocchio e si alza, lasciandomi la cartelletta con il fascicolo. «La cena inizia alle sei.» Si gira e mi punta un dito contro. «Passo a prendervi io.» Senza darmi tempo di replicare, fa un cenno di saluto e si dirige in tutta fretta verso l’auto di servizio.