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«Come è andata a scuola? Primo giorno da sogno?»
Paige solleva gli occhi al cielo. «Come vuoi che vada a scuola? Insegnanti, ragazzi e lezioni. Tutto qui.» Mi supera a grandi passi e va verso le scale. Sono rimasta ad aspettarla nella stanza sul davanti, disimballando nel frattempo uno dei carichi di Ruby: cristalli ed erbe più un assortimento di capi, da sciarpe ondulate a camicie con tintura a riserva.
Prima di lasciare la stanza, però, si gira e mi sorride. «Ho fatto amicizia.»
E scappa via.
«Spero non sia un ragazzo!» Le urlo dietro.
Aspetto che sparisca al piano di sopra e senza essere vista faccio un balletto di gioia. La scuola le piace! Beh, quantomeno non la detesta. Diversamente me lo avrebbe detto subito. E un’amicizia, poi! È vero che tra qualche mese andremo via, prima che Ruby ritorni, ma se non altro avrà qualche ricordo normale da portare con sé e magari anche la capacità di stringere altre amicizie in futuro. Il pensiero di dover ripartire e iniziare daccapo altrove sottrae gioia alla danza. Desideravo coerenza e normalità per Paige, non la fuga e il trasloco. Di nuovo.
Devo dirle della cena da Tabby e di quanto ho scoperto dai video mentre era a scuola, ma aspetterò.
La conosco abbastanza da sapere che ha bisogno di qualche minuto per rilassarsi. È sempre stata piuttosto socievole, ma si stanca facilmente quando trascorre troppo tempo con troppa gente. Soprattutto se nuova.
In attesa che riemerga dalla camera da letto, metto in forno delle lasagne surgelate e inizio a preparare l’insalata. Ho ricevuto un modesto assegno dal dipartimento di polizia, appena sufficiente a comperare qualche provvista per l’inaugurazione e sfamarci per la settimana. Mi sono potuta permettere per lo più alimenti precotti, surgelati o da microonde. Ma il cibo è cibo.
Finalmente, Paige scende in cucina, con indosso non più gli abiti nuovi bensì i pantaloni del pigiama in flanella ormai sformata e i capelli raccolti in una morbida coda di cavallo.
«Raccontami di questa amicizia.»
«Si chiama Naomi. Vive a un paio di isolati da qui. Posso dormire da lei?»
La notte a casa di un’amica! Come gente normale. Mi sforzo di mantenere un’espressione neutra. «Solo se il giorno dopo non c’è scuola e posso incontrare i suoi genitori.»
Fa un largo sorriso e appoggia un fianco contro il piano di lavoro, mentre taglio a pezzetti i pomodori.
«Mi fa piacere tu abbia trascorso una buona giornata.»
«E tu?» chiede lei.
«Domani sera siamo invitate a cena da Tabby. Oh, e sul video ho trovato qualcosa di interessante che potremmo usare.»
I suoi occhi si illuminano. «Davvero?»
«Te lo mostro dopo cena. E quando avrai finito i compiti.»
«Bah! Che sorella crudele.»
«Già.»
Mangia a tempo di record, chiacchierando dei ragazzi a scuola (non sono in molti), degli insegnanti (tutti simpatici) e di Naomi (un anno più grande di lei e... oh, fighissima).
Per casa ha solo qualche pagina di esercizi di matematica, che svolge velocemente e senza bisogno di aiuto. Dio ti ringrazio, di matematica non ci capisco molto. Ho cambiato scuola un’infinità di volte e non ho mai frequentato regolarmente. Superare gli esami per il certificato di istruzione generale a sedici anni è stato quasi un miracolo.
Aspetto che finisca e andiamo di sopra, nell’ufficio.
«Ecco.» Le passo il fascicolo che mi ha portato Troy. «Da’ un’occhiata alla foto della sacca usata durante l’aggressione.»
Paige la studia attentamente mentre io avvio il computer.
«Adesso guarda qui.» Giro lo schermo verso di lei e le mostro il video che ho trovato al ristorante. Un’altra anziana, ma questa volta non si tratta di pasticcini che svaniscono, la donna ammassa avanzi di cibo in una sacca di tela.
«È lo stesso tipo di sacca.»
«Troy dice che appartenevano a un vecchio ristorante greco che ha chiuso i battenti. E che furono vendute tutte alla stessa persona prima che i proprietari si trasferissero altrove.»
«Un’altra vecchietta.» Paige mi lancia un’occhiata espressiva. «Sarà meglio assicurarci che queste informazioni siano affidabili. E se la signora le avesse comperate da qualcuno o che so io?»
«Ragion per cui dobbiamo scoprire altro... e io so come.»
«Come?»
«Vedi qui?» Indico il fotogramma sullo schermo. La donna indossa una casacca abbottonata con enormi gatti verdi.
Paige annuisce.
«Tabby mi ha raccontato di qualcuno nei dintorni che indossa solo abiti con gatti. La signora Olsen.»
«La stessa che chiama nonna?»
«Proprio lei. E indovina chi altri ci sarà alla cena di Tabby questo fine settimana?»
«La signora Olsen.»
«Esatto.»
«E come faremo a scoprire se l’aggressore è lei?»
«Noi non scopriremo niente.» Le lancio un’occhiataccia. «Io seguirò la pista di queste sacche. Devo escogitare la maniera di trovarmi da sola con lei» dico con un sorrisino.
~*~
Il giorno dopo, Troy passa a prenderci e arriviamo da Tabby alle sei quasi in punto. La prima cosa che noto è Jared in un angolo che parla con una bionda. È di spalle e non credo di averla mai vista prima.
Nulla di strano nel fatto che conversi con una donna, ma sta sorridendo.
Non in maniera eccessiva. Molti non se ne accorgerebbero neanche, ma le labbra sono decisamente incurvate e gli occhi partecipano. Fossero soltanto le prime, glielo passerei come un sorriso falso, ma gli occhi non mentono mai.
Per qualche ragione, non mi va giù.
Non l’ho mai visto sorridere a quel modo.
Forse perché quando si tratta di me, per lo più si acciglia.
La seconda cosa che noto è Tabby che chiacchiera con Ben, il proprietario del bar; anche lei sorride, ma lo sguardo non è rilassato.
Di nuova in guerra, immagino.
In quel soggiorno ci sono in tutto una mezza dozzina di persone che bevono un drink prima di cena. Jared, la donna misteriosa, Tabby, Ben, un’anziana che a giudicare dal gigantesco gatto arancione sul davanti della maglia dev’essere la signora Olsen e un’altra vecchietta in carrozzella con la testa abbandonata all’indietro, la bocca spalancata e gli occhi chiusi. Mi chiedo se respiri.
Sono vestiti tutti in maniera informale, il che mi rallegra dal momento che non possiedo molto oltre il paio di jeans consunti e la maglietta sbiadita che ho addosso.
Vedendoci, Tabby ci viene incontro e ci abbraccia entrambe prima di presentarci agli altri che non conosciamo.
La bionda misteriosa è Eleanor Rogers. La bibliotecaria del posto. Si direbbe che nome e aspetto vadano a braccetto: lineamenti regali, viso magro e naso ancor più sottile. L’incarnato è pallido e gli occhi seri dietro la montatura di metallo.
La donna con il gatto sulla maglia è di fatto la signora Olsen e, decisamente, la stessa del video. Paige corre a sederle accanto e inizia a fare domande sulla maglia.
Quella addormentata è la signorina Viola. Sembra svenuta e Tabby non può presentarcela. «Troppi Moscow Mule» dice.
«Presentazioni fatte, andiamo a bere qualcosa» interviene Troy, facendomi strada verso la cucina.
Tabby ci segue. «Ben è un tale cazzone» dice non appena la porta del soggiorno si chiude.
«E perché l’hai invitato, allora?» le chiedo.
Prende dal frigo una bottiglia di birra, la stappa e me la passa. «Perché è il migliore amico di Troy.» Fa un gesto in direzione del fratello. «Ceniamo insieme ogni settimana sin da quando eravamo piccoli.»
«E io che c’entro?» ribatte Troy, con le mani in alto. «Avresti tranquillamente potuto tagliarci fuori entrambi e non mi sarei lamentato.»
«Non dire stronzate. Sai che la cena settimanale è una tradizione.»
«Non sei obbligata a invitare Ben» insiste Troy. «Per me è uguale.»
«E invece sì.»
«Perché? Vi mandate fuori di testa a vicenda.»
«Lo so. Dovrei semplicemente scoparmelo e farla finita.»
Troy quasi si strozza con il drink e tossisce un paio di volte. «Ehi» dice con una smorfia «non mi va di stare a sentire.»
«Sentire cosa?» Gli lancia un’occhiata battagliera e beve una sorsata della sua birra. «Andiamo, Ruby.»
Mi prende con forza un braccio e si avvicina a sussurrarmi nell’orecchio mentre ci avviamo verso il soggiorno. «È stata la signora Olsen a invitare Eleanor. Sta provando da un anno ad accoppiarla con Jared. Pensavo si fosse arresa, ma oggi mi ha chiamata per dirmi che ci sarebbe stata anche lei. Più tardi voglio sapere cosa ne pensi, tipo se senti il suono di campane nuziali quando la tocchi.» Ride e ammicca con gli occhi.
Bevo un lungo sorso di birra.
Dopo qualche minuto di chiacchiere in soggiorno, il timer del piano cottura suona e Tabby ci chiama in sala da pranzo per la cena.
La signora Olsen spinge al tavolo la carrozzella della signorina Viola, quindi ciascuno di noi prende posto. Io finisco stretta tra la prima delle due e Jared.
Il menu prevede gli spaghetti che questa ha cucinato – lo so perché lei stessa me lo ha detto tre volte intanto che tutti sedevamo e i piatti venivano passati intorno al tavolo – l’insalata speciale preparata da Tabby e il pane con burro all’aglio che ha portato Jared.
Intorno a me tutti conversano amabilmente mentre mi servo dal piatto di portata.
«Tabby mi raccontava che sei una sensitiva» dice la signora Olsen rivolta a me.
«Ruby sta aiutando Jared e Troy a catturare il bandito di Castle Cove» interviene Tabby.
«In che maniera?» si informa la signora Olsen.
«Beh, è un po’ complicato.»
«Sei in grado di predire il futuro?»
«Faccio dei consulti. Non sempre riesco a fornire i dettagli, ma se qualcuno ha domande a cui cerca risposta, oppure necessita di una qualche guida, potrei essere di aiuto.»
«Io ne ho. Ad esempio, perché tutta questa gente è ancora single?» Fa un gesto circolare con la mano e poi guarda me con un bagliore negli occhi. «Mi dicono che anche tu lo sei.»
«Uhm.» Lancio un’occhiataccia a Tabby. «Sì» confermo in tono cauto «ma al momento non cerco nulla.»
La signora Olsen si schiarisce rumorosamente la gola. «Beh! È un vero peccato. Abbiamo esaurito il materiale femminile dell’età giusta e questo bestione qui...» dice indicando Troy con la forchetta «... ha bisogno di una donna.»
Troy si blocca, con il cibo a mezz’aria. «Ma che diamine, nonna!»
«Sono passati secoli dall’ultimo matrimonio a Castle Cove» prosegue la donna. «Ormai i giovani vanno via oppure restano ma non si accoppiano. È terribile.» I suoi occhi si dirigono come un laser verso Jared. «Tipo questo qui» dice puntandogli contro la forchetta. «Non ci sono che poche donne nubili, carine e con un lavoro decente come Eleanor là in fondo.» Lo sguardo si sposta in quella direzione.
Provo un attimo di pena per la poverina, che si muove imbarazzata sotto l’attenzione generale, ma la signora Olsen non sembra accorgersene o non vuole. O l’uno e l’altro.
Bevo un lungo sorso di birra e spero che l’attenzione non si sposti su di me.
«Ma loro che fanno? Un bel niente.» Ancora una volta si schiarisce sonoramente la gola. «Per non parlare poi di Tabby.» Soffoco una risata.
«Nonna» interviene quella in tono calmo «giuro che ti infilzo.» E tiene alta la forchetta a sottolineare l’intenzione.
«C’è un bel giovane che lavora nel suo negozio. Com’è che si chiama? Peter?» snocciola la signora Olsen.
«Jack» risponde Tabby a denti stretti. «E non pensarci neanche.»
Non posso fare a meno di lanciare uno sguardo a Ben. Non manifesta alcuna reazione a parte la mano che stringe un po’ più forte la forchetta.
«Voi giovani ormai non uscite più neanche in coppia. È terribile. La vostra generazione non fa altro che sprecarsi su Chatbook, Twatter e Snapface.»
«Ne avessi azzeccato almeno uno» dice Tabby.
La signora Olsen continua come se l’altra non avesse parlato affatto. «Fate tutto via computer. Senza la minima interazione umana. Per forza nessuno si sposa più né fa figli.»
«Figli?» mimo la parola con le labbra in direzione di Tabby, ma lei solleva gli occhi al cielo.
Dopo quell’affermazione nella stanza cala il silenzio, tutti impegnati a mangiare ed evitare accuratamente sguardi diretti. Nessuno vuole che la signora Olsen riprenda a parlare.
Poi Troy, da coraggioso qual è, si schiarisce la voce. «E allora, andate tutti al festival questo fine settimana?»
E la conversazione si rianima tra la gratitudine generale per il nuovo argomento di discussione.
A cena ultimata, la signora Olsen dice qualcosa a proposito di portare i resti del cibo alla casa di riposo.
Poiché Paige e io siamo state le uniche a presentarsi a mani vuote, insistiamo nell’aiutarla a preparare i pacchi. E grazie al cielo non ci sono troppe proteste né offerte di aiuto da parte di altri.
Siamo tutt’e tre in cucina, quando do il via al nostro piano e dirotto la conversazione nella direzione che ci interessa.
«Per caso Tabby ha una sacca di tela?» chiedo alla signora Olsen. «Sa, quelle grandi e spesse. Sarebbe perfetta per trasportare il cibo.»
Ma lei non abbocca. Fa spallucce e si dirige verso il soggiorno. «Vado a chiederglielo.»
«Aspetti» interviene Paige. «Credo di averne vista qualcuna nell’ingresso. Blu e bianca con su strane lettere.»
«Va bene, vado a controllare» risponde la donna, ancora una volta girandosi per uscire.
«Un attimo.» Adesso è il mio turno. La signora Olsen non aiuta. «L’altro giorno credo di avervi vista nel negozio e avevate una sacca uguale. L’avete ancora? Sarebbe perfetta. Sembrava davvero grande e spaziosa.»
«Oh sì, l’ho presa dal vecchio ristorante greco quando hanno chiuso. C’era una bella svendita, l’ottanta per cento di sconto. Ne presi dieci.»
Scambio un’occhiata con Paige.
«Un vero peccato che me le abbiano rubate» aggiunge la donna.
«Rubate? Tutte?»
«Già. Beh, tutte tranne una. È stato più o meno tre settimane fa. Accompagnai la signorina Viola alla passeggiata e se le mise in grembo perché non c’erano più carrelli. Spingere la carrozzella è un po’ come avere un altro carrello. Mi girai un attimo e... puff, un soffio. Sparite.»
Il mio sguardo incrocia quello di Paige. Lei si stringe nelle spalle, so che pensiamo la stessa cosa. Non avevamo ancora installato le videocamere che avrebbero potuto inquadrare il ladro, a questo punto chiunque. Ormai le sacche sono andate, a meno che le videocamere non le riprendano in possesso di qualcun altro che non sia la signora Olsen.
Cosa racconterò a Jared la prossima volta che me lo chiede?