![]() | ![]() |
––––––––
Il festival di moto, pesci e biscotti inizia il giovedì e si protrae per l’intero fine settimana. Si tiene nell’area destinata al parco divertimenti appena a nord della passeggiata... uno spazio molto ampio con bancarelle ovunque e una ruota panoramica.
«E il ferramenta che c’entra con questo festival?» chiedo il venerdì mattina, arrivando presto per montare la bancarella, con una gran quantità di volantini in borsa e un vassoio di biscotti nella mano.
Tabby mi aveva pregata di sfornarne un po’ procurandomi persino gli ingredienti... grazie al cielo, aggiungerei, visto che la mia credenza è tristemente vuota.
«In negozio abbiamo dell’attrezzatura da pesca e qualche pezzo di ricambio per motociclette. Mancavano giusto i biscotti. Moto, pesci e biscotti» dice, elencando ciascuna voce sulla punta delle dita.
Non faccio in tempo a posare il vassoio su un tavolo, che subito infila la mano sotto la pellicola adesiva.
Ne afferra uno, lo addenta e con una smorfia chiede: «È farina d’avena?»
«Ce ne sono anche con pezzetti di cioccolato.»
Ripone il biscotto mangiucchiato sul vassoio e scruta gli altri, quindi ne prende uno al cioccolato.
«Qui, di preciso, cosa dovrei fare?» chiedo.
La bancarella è già allestita. Ai diversi articoli esposti su scaffali e casse aggiungo i biscotti che Tabby sta mangiando.
«Mi aiuterai ad attirare clienti. E distribuirai i volantini. Posso metterne alcuni anche qui, accanto alla cassa.»
«E come dovrei attirarli, i clienti?»
«Vieni.» Si spinge in bocca il resto del biscotto e salta giù dal tavolo, pulendosi le mani sui pantaloni. «Ho qualcosa per te» dice, continuando a masticare.
La seguo sul retro della bancarella, c’è un’apertura nella tenda e una piccola area riservata. Mi indica alcuni articoli di scorta, un frigo con acqua e tramezzini e dei vestiti su un appendiabiti portatile.
«Ecco.» Prende un capo avvolto in plastica e me lo tende.
«Che cos’è?»
«La tua divisa.» Fa un largo sorriso. «Indossala e, quando sei pronta, esci. In te mi toglierei pantaloni e camicia. Fa caldo qui dentro.»
Tabby se ne torna alla bancarella, lasciandosi ricadere il lembo di tenda alle spalle. Sono sola.
Siedo sulla sedia pieghevole di metallo e libero dalla plastica l’indumento tra le mani.
«Tabby.» La mia testa fa capolino dall’apertura nella tenda. «Così conciata io non ci resto» dico dopo aver indossato la divisa che mi ha dato.
«E invece sì.»
«No e poi no.»
«Hai promesso di aiutarmi.»
«Esatto, aiutarti non indossare questo... coso qui.»
Tabby ride.
«Cosa vorrebbe essere?»
«Il nostro costume per il festival di moto, pesci e biscotti.»
«Sembro una sirena strafatta.»
«Oh, andiamo, fammi vedere. Non è così male.»
Lancio un’occhiata veloce tutt’intorno – è ancora presto e in giro ci sono solo poche persone – quindi esco da dietro la tenda così che possa vedermi da capo a piedi. L’obbrobrio che indosso si allaccia sulla parte posteriore, ma non essendo riuscita ad afferrare le stringhe tengo insieme i due lembi dietro la schiena.
Un biscotto di spugna mi circonda la testa, con un enorme buco al centro in cui ho infilato la faccia. Al posto del corpino una moto nera con una ruota sul seno e una sul sedere e, per finire, la coda di pesce che non prova neanche a coprirmi le gambe. La pinna, naturalmente, devo reggerla con la mano. Insomma, il tutto sembra cucito da qualche cieco con due sinistre. In altre parole, è una creazione di Tabby.
«Peeerò.» Nei suoi occhi c’è un bagliore che non mi piace. «Sì!»
«Peeerò un corno» ribatto io.
«Sei da capogiro.»
«E tu sei completamente fuori!»
«Quasi sempre.»
«Posso togliermi quest’affare, adesso?»
«Neanche per sogno, è una sorta di rito di passaggio. Vuoi che ti aiuti ad allacciarlo?»
«Non voglio proprio niente da te» borbotto. Preferirei togliermelo di dosso, ma le promesse sono sacre. In definitiva, mi ha costruito lo scaffale e ha tenuto compagnia a Paige a titolo gratuito, è stata carinissima con me. E il perché qualcuno aiuti un altro senza aspettarsi nulla in cambio continua a sfuggirmi. Anche se, con indosso quest’infernale costume, inizio a vederci più chiaro.
Mi giro e mio malgrado lascio che mi aiuti.
«Insomma, perché mai devo restare vestita così?»
Per tutta risposta, Tabby tira ulteriormente le stringhe, assottigliandomi ancor più la vita. «Sei l’esca.»
«Perché non la fai tu, l’esca?»
«L’ho già fatta ieri. C’è bisogno di carne fresca per gli squali.»
«Squali?»
«I clienti, no?» Finisce di allacciare il didietro dell’abito e mi giro.
«Adesso che faccio?
«Ho scritto una canzoncina...»
Sono esterrefatta. «Stai scherzando, vero?»
«Sì» risponde lei, ridendo. «Avresti dovuto vedere la tua faccia. Non c’è nessuna canzoncina, ma...» i suoi occhi si illuminano «forse possiamo comporne una.»
Sì, sta scherzando, penso. «Perché mai ti servirebbe una canzone?»
«Le vendite non vanno per niente bene.» Raddrizza alcuni articoli sullo scaffale. «Il signor Collins, lì di fronte, continua a portarci via clienti con i suoi costosi formaggi.»
Lancio un’occhiata in quella direzione e vedo il signor Collins, un uomo anziano su una sedia a rotelle, con un cappello floscio e gli occhiali da sole, che se la ride. La sua bancarella espone articoli simili ai nostri.
«Questo si chiama barare, signor Collins» gli urla Tabby. «Non siamo al festival dei formaggi.»
Sempre ghignando, l’uomo risponde agitando la mano in segno di saluto.
«Sapessi dove mi sta» borbotta Tabby.
«Possiamo batterlo con le sue stesse armi.»
«Dici?» Le sopracciglia si inarcano.
«Certo.»
È facile. Non appena la gente inizia a dirigersi verso di noi, faccio ricorso a un ben collaudato trucchetto da fiera. Nascondo la maggior parte dei biscotti su uno degli scaffali, ben lontano dalla vista, e prendo a urlare ai passanti. «Ultimi due biscotti qui! Abbiamo appena aperto e già vanno a ruba! Venite a prendere i vostri prima che finiscano!»
Ecco fatto. E probabilmente la mia tenuta non guasta. Impossibile non notarla. La gente si affretta verso la nostra bancarella per timore di perdere un’occasione. E, naturalmente, una piccola folla ne attira una più grande. La curiosità di sapere cosa sta succedendo ha sempre la meglio.
Da quel momento in poi, siamo impegnate per l’intera mattinata. Si tratta in gran parte di gente che non riconosco, con tutta probabilità residenti in zone e contee limitrofe riversatisi a Castle Cove per il festival.
Mi sento ancora ridicola con quel costume addosso, ma la sensazione di calore che si diffonde nel petto alla vista di Tabby così felice per quel vantaggio sul signor Collins annulla quasi l’imbarazzo. Quasi.
Infatti, a intensificare il disagio ci pensa l’arrivo di Troy e Jared, entrambi in uniforme, con l’aria posata e ufficiale.
Sembro una sciroccata.
Troy sogghigna al mio indirizzo. «Vedo che il sarcofago ti dona.»
«Sarcofago?» ripeto io con lo sguardo fisso su di lui. Non ho davvero il coraggio di leggere l’espressione di Jared di fronte a quest’assurda tenuta.
«Mi è toccato indossarlo un anno con la primavera più calda del solito... pensavo che sarei morto.» Lo scruta con una smorfia. «Sudavo come un porco. Dubito Tabby l’abbia mai lavato.»
Uh! Che schifo! Penso, arricciando il naso.
«Da allora me la svigno ogni anno con la scusa degli straordinari.»
Jared ride.
E adesso mi tocca guardarlo. L’avevo mai sentito ridere prima d’ora? È un suono che mi sorprende e al contempo affascina. Getta la testa indietro, mettendo in risalto i denti bianchi e la gola muscolosa. Deglutisco e provo a concentrarmi sulla conversazione. «Buono a sapersi» dico. «Lo terrò a mente per l’anno prossimo.»
Mi sorride, e nella sua espressione non vi è traccia di disgusto. Un punto a mio favore, immagino.
«Da quanto tempo avete questo... costume?» chiedo a Troy.
«Dal primissimo festival di moto, pesci e biscotti, anni fa.» Sorride e i suoi occhi si addolciscono un po’. «Lo cucì mia madre.»
Di fronte a tali parole mi sento meno ridicola. È chiaramente una tradizione di famiglia e benché strana, farne parte è piacevole. Mi chiedo se un giorno Paige e io avremo altre tradizioni di famiglia oltre il truffare la gente.
«Vengono mai a trovarvi i vostri genitori?»
«Dovrebbero tornare quest’anno per Natale. Penso si divertano troppo in giro con il loro camper come fossero zingari.» Fa una risatina e si gira verso Tabby. «Siamo passati a chiedere se possiamo portare via Ruby. Il festival è un’occasione ghiotta per i ladri. Stavamo pattugliando i dintorni, dando un’occhiata in giro, e ho pensato che forse le farebbe piacere darci una mano.»
«Sì, grazie» rispondo io, prima ancora che Tabby lo faccia per me. «Devo assolutamente cambiarmi» dico, dileguandomi sul retro della tenda. Perfetto! Avrò modo di dare un’occhiata ai piedi della gente.
Ieri, con Paige abbiamo riguardato i video. Le immagini non sono delle migliori, ma la scarsa qualità delle scarpe era fin troppo evidente. Chiunque esso sia, il ladro sta chiaramente rubando per soldi, nel senso che proprio non ne ha. Seguendo quel filo di pensieri, probabilmente non riuscirà a procurarsi subito scarpe nuove o anche solo delle stringhe. In altre parole, è possibile che stia andando in giro senza stringhe o con quella sfilacciata. Non sarà facile notarla, ma avrò qualcosa da cercare. Oltre alle sacche di tela.
L’unico problema è la compagnia di Jared, proprio non mi va. Non perché sia un idiota, ma perché non lo è più.
Una volta nascosta dietro il lembo della tenda, faccio un profondo respiro e inizio a sfilarmi il costume, il che risulta non poco problematico. Ho dimenticato che è legato sul didietro. Mi dimeno un po’, ma non c’è maniera di venirne fuori senza slacciare le stringhe.
Mi affaccio con la sola testa per chiedere aiuto a Tabby, ma sta parlando con un cliente con un grosso cappello da cowboy, impegnata a spiegargli i vantaggi di una particolare esca per catturare una qualche specie di spigola.
Troy è al cellulare a un tre metri dalla bancarella e di spalle.
Lo chiamo comunque.
Lui si gira, mi vede e indica il cellulare, alza gli occhi al cielo e punta un dito verso Jared.
«Mi serve aiuto» dico io, ignorando il tacito ordine.
Davvero non voglio chiederlo a Jared, ma Troy fa un cenno con la mano e torna a voltarmi le spalle.
A questo punto non posso ignorare l’altro. È accanto a Troy, con le mani sui fianchi e le sopracciglia inarcate. Mi guarda e ha assistito all’intero scambio. Posso continuare a dimenarmi nella speranza di sgusciare fuori, oppure darmi una regolata e chiedere aiuto a lui.
«Mi aiuteresti a slacciare questo affare?» chiedo, indicando la parte posteriore. Inizio a sentirmi un tantino claustrofobica, soprattutto dopo aver saputo che Troy ci ha sudato dentro.
Purtroppo, Jared annuisce e mi raggiunge sul retro della tenda.
D’un tratto lo spazio all’interno sembra rimpicciolirsi.
Mi giro di spalle. «Me lo ha allacciato Tabby» dico, pur dubitando dell’attinenza di quell’informazione o del perché debba interessargli. Lui non deve far altro che slacciarlo. Stringo forte le labbra per impedirmi di sparare altre stupidaggini.
Jared prende ad armeggiare con le stringhe e il tessuto si stringe per un attimo contro la pelle.
Il costume dovrebbe finalmente iniziare ad allentarsi, ma sembra metterci un’eternità.
E poi... le sue dita sfiorano la mia pelle nuda, provocandomi un leggero formicolio e brividi lungo la schiena. Inspiro di scatto, a corto di fiato.
«Scusa» mormora lui. «Tabby ha fatto davvero un bel lavoro.»
È tutto un tirare, armeggiare e dita calde a sfiorare la pelle ancora per qualche secondo, poi il costume finalmente si allenta e io lo tengo su con le mani.
«Grazie» dico, senza voltarmi.
Non una parola di risposta, spinge da parte il lembo della tenda ed esce.
Mi concedo un minuto per riprendere fiato e cambiarmi, adesso ancor più accalorata che dentro il costume.
Con indosso i jeans e la maglietta, mi presento a Troy e Jared che aspettano davanti alla bancarella.
«Dovremmo dividerci» dice quest’ultimo.
«Giusto. Troy e io potremmo controllare il perimetro e poi convergere verso il centro.» Risulto un po’ autoritaria, ma davvero non voglio trascorrere altro tempo con Jared né mi va di indagare le ragioni di tanta riluttanza.
Troy mi lancia uno sguardo inquisitore e Jared corruga lievemente la fronte, ma poi annuisce concorde. «Io procedo dal centro verso l’esterno, ci ritroviamo a mezza strada.»
Una volta divisi posso tornare a respirare.
«Andiamo, Ruby cara.» Troy mi prende per il braccio e vaghiamo tra la folla verso le bancarelle ai limiti. «Dimmi se vedi fantasmi, alieni o altro. E poi raccontami perché stai evitando Jared come se avesse qualche parassita carnivoro.»
«Io non sto evitando nessuno.»
«Non me la dai a bere. Ti piace, è così? Adesso vedi se non glielo dico.»
«Troy!»
«Ti pentirai di aver preferito la mia compagnia.»
«Troppo tardi.»
Lui ride e per fortuna lascia cadere l’argomento.
Trascorriamo un paio d’ore in giro a controllare che non ci siano problemi, ma tutti sembrano divertirsi. Io tengo gli occhi aperti in cerca di sacche di tela e scarpe da poco, ma senza troppo successo.
Il festival è più vario di quanto mi aspettassi. Ci sono bancarelle di abiti, cibo e opere d’arte, tutti articoli che non avrei mai pensato di trovare a un festival di moto, pesci e biscotti. Ma l’uno o l’altro di questi tre sono raffigurati su ciascun oggetto. Fatta eccezione per gli stand con giochi da luna park e le frittelle che Troy mi compera dopo che gli ho raccontato di non averle mai assaggiate in vita mia.
«Non hai mai assaggiato una frittella?» ripete incredulo.
«Mai. È buonissima.» Metto in bocca un grosso boccone e mastico. Devo comperarne anche per Paige. Dopo la scuola dovrebbe raggiungermi qui. Controllo l’ora. È uscita più di venti minuti fa, perciò starà arrivando.
«Non sei mai stata a una fiera statale da bambina?»
«I miei genitori non avevano mai tempo per portarci» dico. Il che è vero. Non ci fermavamo mai abbastanza nello stesso posto affinché potessi andarci, e poi le fiere non facevano per loro; non avevano nulla da guadagnarci. Trascorrevamo la maggior parte del tempo in eleganti circoli ricreativi e a cene di beneficenza a fingere di possedere più denaro di quanto ne avessimo nella realtà. Erano quelli, i terreni di caccia dei miei genitori. Posti dove le tasche erano profonde e la moralità superficiale.
«Cosa facevano?» chiede Troy.
«Uhm...» do un altro morso al dolce ricoperto di zucchero in polvere per guadagnare del tempo intanto che cerco una risposta. «Si occupavano di una varietà di cose» dico, stringendomi nelle spalle. «Ci spostavamo molto.» Tutto verissimo.
Ci fermiamo ad alcune bancarelle e Troy scambia due chiacchiere con i venditori per assicurarsi che non abbiano subito furti né abbiano notato comportamenti strani. Tutto nella norma per tutti. Presso un altro stand, di quelli in cui usi una pistola ad acqua per centrare la bocca di un pesce e vincere premi, incrociamo Gary e Greg, i due ragazzini da cui abbiamo comprato Graffio.
E finalmente arriva Paige in compagnia della sua nuova amica, Naomi.
«Posso restare da lei stanotte? Ti prego!» mi supplica dopo che le porgo la restante metà della frittella.
Naomi è una ragazza dall’aspetto dolce, con capelli scuri e occhi grandi altrettanto supplichevoli mentre mi guarda.
«Purché i suoi genitori siano d’accordo.»
«Vivo con mia nonna. Mio padre è un militare distaccato all’estero» risponde Naomi.
«Va bene, purché tua nonna sia d’accordo. Penso dovrei incontrarla.» Faccio una smorfia. Funziona così? Non ci siamo mai trovate in una situazione tanto formale quanto la notte a casa di amici.
A dire il vero, non credo di aver mai trascorso una notte lontana da Paige, se non si tiene conto di quella della sbronza a casa di Tabby, e a quanto pare neanche allora sono riuscita a stare senza di lei.
Troy, naturalmente, la conosce. «La signora Andrews» dice. «È una donna in gamba. Paige starà bene.» E mi offre un sorriso disarmante.
«Prima di andare passa da casa» le dico. L’accompagnerò e mi presenterò alla nonna di Naomi.
Poi le consento di andare a zonzo con la sua amica a... fare qualunque cosa sia quel che le adolescenti fanno.
Le guardo allontanarsi. «Stai facendo un ottimo lavoro» dice Troy, dandomi dei colpetti affettuosi sul braccio. «È una brava ragazza.»
Gli sorrido, sollevata. «Grazie.»
Facciamo un altro giro e poi ci ritroviamo con Jared alla bancarella di Tabby quando la maggior parte dei venditori inizia a chiudere tutto.
«Bel fiasco» dice Troy dopo che l’altro conferma di aver trascorso un pomeriggio altrettanto... privo di eventi.
«Nessuna sensazione?» chiede Jared.
Scuoto la testa.
«Ragazzi, mi date una mano a metter via tutto?» interviene Tabby.
«Io ho un sacco di lavoro da sbrigare» dice Troy, tirandosi fuori. «Questa cittadina conta su di me affinché vendichi i suoi abitanti, li protegga dalle forze del male e lotti per la giustizia e lo stile di vita americano.»
«Sei ridicolo» gli urla dietro Tabby, ma lui si è girato e si sta già allontanando di corsa.
«Io, invece, devo lavorare sul serio» dice Jared. «Devo ancora finire il verbale sulla stazione di servizio.»
Tabby scuote la testa. «Siete due mentitori spudorati che mentono senza pudore.»
«Ti aiuto io» le dico intanto che Jared saluta e va a raggiungere di corsa Troy.
«Sei la mia sola speranza» risponde lei. Mi cinge le spalle con un braccio e sospira.
Rido di gusto. «Non ho altro da fare fino a stasera. Paige passerà la notte a casa di Naomi» dico con una smorfia.
«Ah, ah! Quel cipiglio è un brutto segno. È la prima volta? Dobbiamo organizzare qualcosa che ti distragga.»
Non ho alcuna intenzione di finire di nuovo al bar. Ma una distrazione è un’ottima idea. Non voglio pensare a Paige lontana da me, a Jared o al fatto che il tempo passa e, probabilmente, tra tre mesi e rotti non vedrò più nessuna di queste persone.
«Ti va di venire da me a guardare film o altro?» suggerisco.
Gli occhi di Tabby si illuminano. «Certo! Una serata tutta nostra! Porto da bere e smalto?»
«Smalto?»
«Ebbene sì, non mi godo una serata tra ragazze da un qualcosa tipo sedici anni, ma non penso sia tanto diverso adesso.»
Non avendo mai trascorso una sola serata a casa di amiche, immagino di dover seguire lei.
Purché non ci siano di mezzo Jared o il dovermi fingere sensitiva, ci sto.