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Il resto del pomeriggio scorre in fretta. Arriva un tizio a montare la casa gonfiabile, i bambini mi aiutano con gli ultimi tocchi, tipo spazzare e cose simili, e ho a malapena il tempo di correre in casa a lavar via la polvere e lo sporco prima che i clienti inizino ad arrivare.
Trovo una lunga gonna dall’aspetto abbastanza bohémien, che Ruby dev’essersi lasciata dietro, e le abbino una semplice maglia di cotone bianco. Mi sollevo i capelli e faccio una smorfia all’immagine nello specchio. La ricrescita è visibile, ma tant’è. Non posso certo correre dal parrucchiere e rimediare.
Mi costringo a fare un profondo respiro e cerco di ricordare la ragione per cui faccio quel che sto facendo. Ho sfogliato tutti i libri in negozio e credo di aver memorizzato una quantità sufficiente di frasi standard da sopravvivere a un certo numero di consulti veloci. Ma sì, non si tratta che di un’altra truffa, con l’aggiunta di un velo di misticismo per ridacchiarci su.
Scendo che non sono ancora le tre, ma la gente è già in coda e Paige è dietro la cassa a ricevere il denaro e compilare un elenco con tutti i nomi.
«Sarete chiamati in ordine di arrivo» urla al di sopra della coda. «E si chiude entro le nove.»
«Paige» la chiamo, attirando la sua attenzione dal vano della porta. Mi raggiunge a grandi passi.
«Ho già cinquecento dollari. Alcuni mi hanno dato più dei dieci dollari anche se gli ho detto che non avevo il resto» dice, sorridendo compiaciuta del proprio ingegno.
«Paige, vediamo di non approfittare.»
Lei solleva un sopracciglio con fare scettico.
«Non più di quanto stiamo già facendo» preciso in un sussurro.
Provo già abbastanza rimorso. Certo, abbiamo bisogno di soldi per lasciare il posto tra qualche mese, e questo numero da sensitiva è innocente rispetto a quelli che organizzavamo con mamma e papà. Ma truffare la gente che conosciamo e ci sta simpatica è... sgradevole. Magari, in questi “consulti” potrei dispensare consigli seri. O che so io.
«Sì, vabbè.» Leva gli occhi al cielo. «Dimmi quando sei pronta e inizio a mandarti gente di là. Tabby ci ha prestato il suo contaminuti da cucina» dice, porgendomi un timer tondo e bianco, di quelli con la manopola a vite.
Lo prendo e lancio un’occhiata in giro per il negozio. Ci sono più persone di quante me ne aspettassi. Sfogliano i libri e osservano gli altri articoli che Ruby ha in vendita. Tra loro scorgo Tabby. Si è cambiata e indossa una mini con una maglia scollata. China in avanti, con Ben di fronte, gli mostra qualcosa mentre lo scollo continua ad abbassarsi; vedere il poverino turbato fino allo spasimo mi fa sorridere.
Tra la marea di teste dai riflessi celesti, riconosco la signora Olsen e la signorina Viola, che dorme nella sua carrozzella.
Ma non ho tempo per le chiacchiere. Dico a Paige che possiamo iniziare, vado nella stanza dei consulti, accendo le candele e aspetto.
Le prime dieci clienti sono donne anziane, compresa la signora Olsen, la cui principale preoccupazione è fare in modo che “tutti questi stupidi giovani” si accoppino. Azzardo qualche allusione a Tabby e Ben, ma per qualche ragione non abbocca.
Coinvolgere una persona nel proprio consulto è la parte facile. Prima di tutto, le chiedo cosa vuole sapere. E quell’informazione da sola è già eloquente. Se questa è preoccupata per la propria carriera, le dirò che è in arrivo una promozione o un cambio di rotta. Per lo più, la gente che ho incontrato in vita mia era interessata all’amore o al denaro. A volte entrambi. Ma a Castle Cove la situazione è diversa. La maggior parte delle persone con cui parlo ha già incontrato il grande amore, ed è ormai in pensione, pertanto la carriera è fuori discussione.
Con mia sorpresa, scopro che queste sono più interessate a ricevere informazioni e rassicurazioni sulle proprie famiglie che su se stesse, anche se l’occasionale domanda in merito a questioni personali non manca mai.
«Voglio sapere se mio figlio sta per divorziare.»
«Andrà all’università mia nipote?»
«Riuscirò mai a liberarmi di questo sfogo sulla pelle?»
Le mie previsioni o intuizioni restano vaghe, nel senso che uso termini che potrebbero andare bene a chiunque, tipo: “Suo figlio ha un’enorme quantità di capacità non sfruttate che potrebbe usare a proprio vantaggio.»
E faccio anche ricorso alle interpretazioni positive. “Alla fine ci riuscirà. Ma dovrà liberarsi delle insicurezze.” Il fatto che questo sia quanto la gente vuole sentirsi dire naturalmente aiuta, è più facile che ciò che dico venga accettato come verità.
Non vedo sacche di tela né stringhe logore, ma parlo con la signora Hale, la ladruncola di dolcetti. Nel video l’avevo vista solo di spalle, ma indossa sempre cappelli eccentrici, come stesse partecipando a un matrimonio regale o chissà cosa. E oggi non fa eccezione; il cappello che porta è abbinato al tailleur. Azzurro, con una cascata di fiori di seta che scende dalla tesa.
«Mio marito, George, era un uomo meraviglioso» dice. Non mi ha chiesto alcuna informazione, è contenta di parlarmi e basta.
«Siete stati sposati a lungo» dico a mia volta, formulando deliberatamente la frase in tono affermativo piuttosto che di domanda per dare l’impressione di sapere quel che faccio, anziché trasmettere l’insicurezza tipica di chi cerca informazioni invece di darle.
«Quasi sessant’anni. Sfornavo sempre dolci per lui, sa? Era molto goloso.» Ride.
In risposta sorrido, annuisco e intanto provo un leggero senso di vergogna per averla accusata di furto.
«Il giorno in cui è morto voleva che gli preparassi dei biscotti al cioccolato. Erano i suoi preferiti. Ma io avevo troppo da fare.» Si acciglia un po’ e abbassa lo sguardo sulle mani. Ha guanti abbinati al cappello. «Non era arrabbiato. Sempre così accomodante, non c’era mai nulla che potesse dargli noia, e quando succedeva, sapevo che era qualcosa di serio. Adesso rimpiango di non avergli preparato quei biscotti.» Fa un sospiro. «Morì quella notte nel sonno. Non sappiamo mai cosa accadrà nella vita» dice, sollevando lo sguardo su di me. «Non lo dimentichi.» Mi dà dei colpetti affettuosi sulla mano. «Se qualcuno che ama vuole dei biscotti, dovrebbe prepararglieli anche se non le va.»
Per un istante mi chiedo se i biscotti non siano un eufemismo per qualcos’altro, ma spingo quel pensiero da parte. È ovvio che la signora Hale si senta in colpa per non averli preparati il giorno della morte di George. Per forza gli porta dolcetti ogni giorno.
«Sono certa che George sapeva del suo amore.» Le copro la mano con la mia. «È fin troppo evidente» dico, strappandole un sorriso.