![]() | ![]() |
––––––––
È in divisa, e regge una sorta di contenitore da asporto.
«Ciao» dico.
Oh cavolo. I miei incubi peggiori stanno per diventare realtà. Che ne sarà di Paige se salta fuori che sono un’imbrogliona?
«Tabby ha detto che eri ammalata», risponde. Il suo sguardo è fisso su un punto oltre la mia spalla.
«Oh... io... uhm... sì. Lo sono stata.»
Non so cos’altro dire. Probabilmente non ho neanche una brutta cera. Poi mi accorgo che Jared non sta semplicemente fissando un punto oltre la mia spalla, bensì Jackson. Mi schiarisco la gola per mandar via il nodo che si è formato. «Jared, ti presento Jackson Murphy, è...» Devo scegliere con molta cura le parole con cui formulare la prossima frase. «È un commercialista. Signor Murphy, questo è Jared Reeves, agente della polizia locale.»
Mi sforzo di sorridere. Andrà tutto bene, giusto? Mio Dio, ti prego, fa che Jackson non dica niente che lasci intendere che non sono Ruby. Tipo chiamarmi con il mio nome, fare riferimento a lei o qualunque altra cosa.
«Mi accerto solo che i conti di Ruby siano in ordine» dice Jackson a Jared in tono affabile.
Ho il sorriso congelato sul viso e il cervello in tilt per qualche secondo, prima di analizzare le parole e considerarle innocue. Bene. Nessun problema. Perché fare riferimento a una usando la terza persona è normale, anche se quella ti sta proprio accanto, no?
«Ci stavamo giusto salutando» mi affretto a dire io, spostandomi di lato per lasciarlo passare. «Grazie di tutto.»
«Sono io che ringrazio» dice Jackson. «Piacere di averla incontrata.» Le parole sono dirette a me, ma a rispondere è Jared, che probabilmente suppone io abbia incontrato il commercialista altre volte. «Piacere mio» dice.
Per mia fortuna, Jackson sorride e si allontana, forse, anzi spero, senza accorgersi che Jared non si era a sua volta accorto che le sue parole erano rivolte a me e non a lui.
Finché non vedo il commercialista salire in macchina e avviarsi in retromarcia lungo il vialetto di accesso non riesco a muovermi né a parlare.
Poi lascio uscire il fiato sospeso e finalmente dedico la mia attenzione a Jared.
«Ti ho portato della zuppa.» Solleva il contenitore e me lo porge.
«Carino da parte tua» dico io, prendendolo. È ancora caldo.
Lui mi fissa. È preoccupazione o sospetto quel luccichio negli occhi?
La prudenza non è mai troppa.
Tossisco e mi giro di spalle, posando il contenitore sullo scaffale più vicino a me in modo che l’accesso di tosse risulti più credibile. Mentre mi copro la bocca con le mani, strofino sotto gli occhi per renderli arrossati e lacrimosi, quindi torno a girarmi verso di lui.
«Sicura di sentirti meglio? Non hai un bell’aspetto.»
«Forse ho solo bisogno di dormire ancora un po’.» Faccio una smorfia e ondeggio lievemente per rendere il tutto più convincente.
«Vuoi che ti aiuti?» Jared è al mio fianco, la mano sul braccio.
«No, grazie. Vado a dormire. Grazie per la zuppa, ci vediamo.»
La sua mano è ancora sul mio braccio, calda e ferma, rassicurante.
«Non mi va di lasciarti così. Permettimi almeno di mettere la zuppa in frigo e accompagnarti in camera da letto, d’accordo?»
«D’accordo, sì.» Meglio lasciargli credere che mi stia aiutando, così, giusto per persuaderlo della mia onestà e debolezza.
Appoggiata a lui, saliamo di sopra.
Lo ringrazio e mentre mi aiuta a mettermi a letto, tiro su col naso e sbadiglio.
Poi lo sento scendere le scale. Si aggira per un po’ in cucina e finalmente va verso la porta d’ingresso. Per sicurezza, aspetto ancora qualche minuto, quindi scendo dabbasso.
La zuppa è nel frigo e sul piano di lavoro c’è un biglietto.
Riposati. Passerò io a prendere Paige e mi assicurerò che ceni.
È firmato J.
Si prenderà cura di Paige per me.
Confusa, mi abbandono contro il piano di lavoro. Io lo inganno e lui porta mia sorella fuori a cena. Il senso di colpa mi graffia l’anima come gli artigli piccoli e affilati di una nidiata di gattini famelici.
E se fosse solo uno stratagemma, ma di fatto sapesse che sono bugiardissima e portasse via Paige solo per torchiarla?
Scuoto la testa. No. Al mio inganno ci ha creduto davvero.
Eppure. Mi sento un po’ ansiosa e non vedo l’ora che tornino. Trascorro il resto del tempo a sbirciare dalla finestra finché non vedo finalmente la sua auto fermarsi davanti al marciapiede.
Torno di corsa in cucina, gonfiandomi i capelli e scompigliandoli con le dita per far credere a chiunque mi guardi che mi sono appena alzata.
Metto il contenitore con la zuppa nel microonde e lo lascio andare per qualche secondo, poi sento la porta che si apre.
«Mi mostrerai come usare la pistola?» La voce di Paige accompagna i passi saltellanti sul pavimento di legno mentre entrano in casa passando per il negozio.
«Non lo so, dovremo chiedere a tua sorella» segue la voce virile di Jared.
«Ehi, ti sei alzata» dice Paige nel vedermi in cucina. «Ti senti meglio?» Mi abbraccia e coglie l’occasione per sussurrarmi all’orecchio: «Ci è cascato in pieno.»
Le sorrido sollevata e lei si stacca. «Sto molto meglio. Dove siete andati?»
Paige regge un piccolo cartone per pizze.
«Jared mi ha portata a cena da JJ. È più o meno a mezz’ora da qui, ma fanno una pizza buonissima. Dovremmo andarci qualche volta.»
«Mi sembra una buona idea.»
Mette la scatola in frigo, quindi guarda prima me e poi Jared. «Ho dei compiti da fare.» E scompare lungo il corridoio con un sorrisino. Un secondo dopo, la sentiamo salire su per le scale.
«Grazie per esserti preso cura di Paige.» Mi giro di spalle a prendere un cucchiaio dal cassetto.
Quando torno a voltarmi, lo vedo appoggiato al vano della porta, le braccia incrociate sul petto. «È una brava ragazza.»
«Lo penso anch’io.» Imbarazzata dalla sua presenza, abbasso lo sguardo sul pavimento, non sono sicura di sapere perché sia qui e cosa voglia da me. «Uhm. Vado in soggiorno a mangiarmi questa e guardare qualche programma da donne, quindi...» sei libero di andare, non so se mi spiego. La parte maggiore di me spera che se ne vada, ciò nondimeno una parte più piccola ma più forte vuole che resti.
«Cos’hai intenzione di guardare?» chiede.
Cosa gli rispondo perché se ne vada?
«Lucy ed io.» Gli passo davanti diretta in soggiorno. Con mia sorpresa e sgomento, mi segue.
«Adoro quel programma.»
«Ti piace?»
«Sì. Il mio preferito è l’episodio in cui compera i pulcini e quelli scappano dappertutto.»
«Già. Bello quello» dico in mancanza di qualcosa di meglio o per evitare di sciogliermi ai suoi piedi.
Accendo la TV e siedo sul divano con la zuppa. Lui si accomoda dall’altro capo.
Guardiamo lo spettacolo in silenzio finché non finisco di mangiare.
«Grazie, era buonissima» dico. Mi piego in avanti per posare sul tavolo la ciotola ora vuota, quindi mi metto comoda, il che mi avvicina di qualche centimetro a Jared.
«Figurati.»
«E ancora grazie per aver riparato l’auto. E per esserti preso cura di Paige. E aver sfamato lei e me... Scusa se sono stata un po’ scorbutica prima. È solo che non sono abituata a ricevere aiuto. In un certo senso, accorgersi di averne bisogno brucia.»
«Tutti abbiamo bisogno di una mano di tanto in tanto. Non intendevo insinuare che sei incapace. Anzi, è chiaro che hai fatto un ottimo lavoro con Paige. Diciamo che all’inizio non ti ho reso la vita particolarmente facile, e mi dispiace molto. Insomma, quello che sto cercando di dire è che sono disposto ad aiutarti se mai ne avessi bisogno.»
Parlando, si sporge leggermente nella mia direzione.
Non so bene cosa pensare. Ancora non capisco perché voglia aiutarmi. Dov’è il suo tornaconto?
Considero le nostre posizioni sul divano, chini l’uno verso l’altra. Non mi ero neanche accorta che ci eravamo avvicinati.
I miei pensieri prendono un’altra piega. E se volesse qualcosa in cambio del suo aiuto? Ha più senso che credere a nobili azioni dettate semplicemente dalla bontà d’animo. Tabby vuole che sia sua amica perché non ha nessun altro a Castle Cove, perciò mi aiuta. È comprensibile. Io le offro compagnia, le mi dà vetrinette. Io le do una mano al festival, lei mi aggiusta il tetto. Ma Jared?
«Non dormirò con te perché mi hai riparato la macchina» sbotto.
Lui inarca le sopracciglia e si lascia andare contro il bracciolo.
«Infatti non ci avevo neanche pensato.» Piega la testa di lato, gli occhi aguzzi mi scrutano. «Non hai mai ricevuto aiuto da qualcuno che non si aspettasse niente in cambio?»
Non so cosa rispondergli. Le buone azioni disinteressate non esistono, non che io sappia almeno.
Lui non sembra aspettarsi una risposta perché continua a parlare.
«Non ti sto aiutando perché voglio qualcosa da te. Ho visto come ti prendi cura di tua sorella, e quei bambini con il signor Bingel. E la signora Hale mi detto del consulto. L’hai fatta sentire meglio a proposito di suo marito. Sei riuscita laddove io provavo e fallivo da anni. Lo ammetto, mi sfugge quello di cui ti occupi, ma qui stai facendo una differenza. E io ne ho rispetto.»
Non ho idea di come reagire a questa serie di complimenti.
Fa sul serio?
«Cioè, quello che sto cercando di dire, pessimamente, è che mi piaci.»
Gli piaccio?
Non so cosa pensare. Sta dicendo che gli piaccio piaccio?
Mi tende la mano. «Amici?»
Ah, ecco.
Amici.
Faccio un cauto segno di sì e gli stringo la mano.
Le sue dita afferrano le mie, calde e forti.
«Amici.»