1

La cartellina doveva essere in sala riunioni. Non poteva averla lasciata in nessun altro posto.

Avery Fast si precipitò verso le scale e scese in fretta i gradini senza incontrare nessuno, concentrata per cercare di ricordare i suoi movimenti del pomeriggio. Aveva già controllato nella sala riunioni più piccola, nella saletta dove si prendeva il caffè e sul tavolo di Carmen. Ovviamente solo dopo avere buttato all'aria la propria scrivania e perlustrato quella del suo capo.

Essendo segretaria di direzione del responsabile finanziario presso la sede del Faulkner Investment Group a San Francisco, le passava per le mani un flusso continuo d'informazioni riservate. Il suo capo, Gregory Conwell, si fidava della sua capacità di proteggere i dati. Contava su di lei, e Avery non l'aveva deluso neanche una volta nell'anno e mezzo trascorso alle sue dipendenze.

E non l'avrebbe fatto neppure ora.

L'eco del rumore dei tacchi sui gradini rimbalzava sulle pareti di cemento della tromba delle scale. Era una sola rampa, purtroppo, non sufficiente per farle sfogare la frustrazione. Scostò la frangetta dagli occhi e passò il badge nel lettore, poi strattonò la pesante porta antincendio aprendola con un grugnito per lo sforzo.

Gli uffici della Faulkner occupavano due piani di un grattacielo nel centro di San Francisco. C'era una scalinata di rappresentanza che univa i due piani davanti all'ingresso, ma era più lontana di quella di servizio e in quel momento il tempo era un fattore essenziale per risolvere il problema.

Avery era accaldata e aveva un velo di sudore per il panico che si stava impadronendo di lei. Qualcuno aveva preso la cartellina dalla sua scrivania? Chi? Perché? Oppure era stata lei ad aver portato il fascicolo alla riunione quel pomeriggio?

Quel dubbio improvviso si aggiunse al panico che l'attanagliava, impedendole di respirare. Non ricordava di averlo fatto, ma... La cartellina conteneva i dati provvisori trimestrali, le stime su cui nessuno posava lo sguardo finché le cifre non erano verificate, aggregate e manipolate strategicamente. I dati grezzi non erano visibili a tutti, specialmente le distinte degli stipendi.

Ebbe un moto di nausea al pensiero di dover dare spiegazioni. E se qualcuno avesse trovato il fascicolo e mostrato i dati ad altri? Il suo posto di lavoro sarebbe andato a farsi benedire, insieme alla sua reputazione.

E perché li aveva stampati? Ah, sì, gliel'aveva chiesto Gregory. Per quale motivo non poteva tenere tutto online, nell'epoca in cui imperava il digitale?

Lungo il corridoio buio le porte degli uffici erano chiuse e le luci spente nelle stanze, ma dalla porta aperta della sala riunioni proveniva un tenue chiarore. Durante l'incontro Avery si era seduta in fondo alla stanza, vicino all'estremità del tavolo. Forse qualcuno aveva posato il fascicolo sul mobile da buffet. Oppure era ancora sul tavolo, sempre che l'avesse lasciato lì.

Non c'erano alternative. Doveva essere lì.

I piedi si arrestarono di colpo sulla soglia della sala e un secondo dopo anche il suo cervello andò in blocco, mentre la mandibola si spalancava.

Oh, porca vacca...

La sala riunioni non era deserta. Decisamente no. Neanche un po'.

Avery si sforzò di dare un senso alla scena che le si palesava davanti agli occhi, anche se era inequivocabile di cosa si trattasse: sesso.

Sesso sfrenato, libidinoso, trasgressivo. Una donna con due uomini.

Ma proprio lì? In ufficio? Sul tavolo della sala riunioni?

Una vampata di calore le risalì lungo la spina dorsale e le avviluppò il busto e il collo. Il sangue le faceva ronzare le orecchie, spinto come un fiume in piena dai battiti accelerati del cuore e dallo strano desiderio che l'aveva invasa.

Batté le palpebre, le batté di nuovo, ma l'immagine rimase la stessa. Il pudore le imponeva di distogliere lo sguardo, anzi, di battere in ritirata. Che faceva lì impalata? Togliti dai piedi. Subito!

Invece non si mosse.

La scena era... incredibile. Irreale. Indecente. E terribilmente sensuale.

La stanza era illuminata dalla luce soffusa di un'unica lampada accesa sul mobile, che attenuava i contorni delle sagome del terzetto e confondeva i loro gesti. Le loro ombre indistinte si riflettevano sulle ampie vetrate della parete esterna. Le luci della strada sottostante e dei palazzi intorno facevano da sfondo alla scena, e non offrivano molta protezione da occhi indiscreti.

Come i suoi.

Avrebbe dovuto filarsela prima che la notassero. Avrebbe dovuto.

Con la bocca secca, deglutì a vuoto e si umettò lentamente le labbra riarse.

Cos'avrebbe provato se fosse stata al posto della donna? Stare distesa sul tavolo, con indosso solo le scarpe nere dai tacchi a spillo e nient'altro? Aveva gli occhi chiusi e le labbra rosse dischiuse in un sospiro muto. O un silenzioso grido di piacere? I capelli neri erano sparsi in una massa scomposta sul piano di legno, le braccia stese sopra la testa con i polsi stretti dalle manette. Era snella ma con curve procaci. Bella. E completamente abbandonata al piacere che le procuravano i due uomini.

La donna protese i seni verso l'alto ed emise un gemito soffocato che riverberò con languido torpore nella stanza e raggiunse Avery per avvolgerla nella sue spire e trascinarla in quell'atmosfera erotica. Avery trattenne il fiato e sentì i capezzoli che s'inturgidivano per i fremiti che le percorrevano tutto il corpo fino al sesso.

Gli uomini stavano banchettando e la donna era il loro pasto. Non c'era altro modo per definire la scena. Tutti e due. Contemporaneamente. Un uomo in completo scuro aveva la schiena rivolta verso Avery e la testa affondata tra le cosce spalancate della donna. Un altro in camicia bianca e cravatta blu le succhiava un capezzolo e torceva l'altro tra due dita. Lei si dimenò ed emise un altro mugolio roco, poi gemette senza fiato: «Oh, ti prego!».

Sì, ti prego. Avery piegò le spalle all'indietro, imitando il gesto della donna come per offrire anche lei i seni doloranti, con i capezzoli che anelavano alle medesime attenzioni.

Era assurdo. Non l'aveva mai eccitata il porno. E di certo non aveva mai pensato di assistere a uno spettacolo erotico dal vivo. Eppure...

Deglutì. Inspirò e nelle narici le penetrò l'aroma intenso del sesso e dell'eccitazione che permeava la stanza, aggiungendo un ulteriore stimolo ai suoi sensi. Fece un lento respiro profondo, travolta da quella dimensione voluttuosa che la spogliava da ogni principio di discrezione e decenza.

Nella stanza riecheggiò il ringhio di uno degli uomini – sì, proprio un ringhio animalesco, cupo, esaltante. Nessuno aveva mai emesso un suono del genere con lei.

Le sfuggì involontariamente un mugolio sommesso prima che si rendesse conto di averlo sulle labbra. Oddio. Chiuse la bocca di scatto, invasa dalla paura. L'avevano sentita?

Fece un passo indietro, pronta a darsi alla fuga e sommersa dai sensi di colpa, che però non furono sufficienti a farla desistere. Se l'avessero sorpresa sarebbe stato mortificante, ma voleva vedere che cos'avrebbero fatto poi. Gli uomini si sarebbero scambiati di posto? L'avrebbero penetrata? Tutti e due? Contemporaneamente?

Uno spasmo le contrasse il sesso e il calore liquido dell'eccitazione la fece palpitare. Le girava la testa per tutti i desideri che la travolgevano, così tanti da non riuscire ad analizzarli. Spostò il peso da un piede all'altro e si morse il labbro per rimanere in silenzio.

Non era mai stata con un uomo che si dedicasse in quel modo al suo piacere. Mai. Tantomeno due.

La donna trasalì e allargò ancora di più le gambe. L'uomo tra le sue cosce mosse il braccio a stantuffo, provocando un suono ritmico, un risucchio liquido. Avery sgranò gli occhi e inspirò a fondo. Non vedeva quello che stava facendo, ma poteva intuirlo.

Il sesso si contrasse di nuovo e i capezzoli s'indurirono ancora di più, smaniosi di essere toccati. Sollevò lentamente la mano ma poi strinse il pugno e riabbassò il braccio lungo il fianco.

La donna distesa sul tavolo girò la testa e aprì lentamente gli occhi mentre un grido soffocato sgorgava dalle sue labbra. Abbassò le palpebre ma le sollevò di nuovo e puntò lo sguardo verso Avery.

Oh, cavoli.

Il panico emise un segnale lampeggiante di allarme nella sua testa, ma era ormai catturata da quella scena e non poteva muoversi. Le labbra scarlatte della donna s'incurvarono in un sorriso sensuale, gli occhi languidi trasmettevano tutto il piacere che le procuravano gli uomini. La passione travolse la logica e l'istinto di conservazione di Avery. Un'altra ondata di calore le lambì i seni e la fece palpitare tra le gambe.

Si aggrappò allo stipite perché le girava la testa per le sensazioni inebrianti da cui era travolta. Avere incrociato lo sguardo della donna aveva reso intima quell'esperienza, come se anche lei avesse un ruolo.

Invece non avrebbe dovuto trovarsi lì.

La donna si passò lentamente la lingua sulle labbra con fare seducente, come per stuzzicare direttamente Avery. E per qualche strano motivo, Avery avrebbe voluto ricambiare la provocazione. Spinse la lingua contro i denti, ma li tenne serrati.

Era una follia. Non aveva mai provato un'attrazione sessuale nei confronti delle donne. Non proprio, almeno. Non abbastanza da concretizzarla.

Ma...

Ma che mi è venuto in mente?

Spostò lo sguardo di scatto, decisa ad andarsene, ma si bloccò di nuovo.

C'era un altro uomo nell'ombra, a braccia conserte e con le gambe larghe in una posa autoritaria, nell'angolo più buio in fondo alla stanza. E aveva gli occhi puntati su di lei.

I muscoli di Avery parvero pietrificarsi di colpo come i suoi pensieri. Era sicura che l'avesse osservata per tutto il tempo. Anche lui era immobile. Non sollevò né un sopracciglio né un angolo della bocca. La fissava e basta. In attesa.

L'imbarazzo la fece avvampare ancora più violentemente, intensificando l'effetto dell'eccitazione ardente che la invadeva. Era tutta una fiamma da capo a piedi. Il rossore le tinse le guance e si diffuse fino al collo, ma ancora Avery continuò a non muoversi.

Aveva il viso in ombra, ma non le serviva la luce dei neon per sapere esattamente chi fosse: Carson Haggert, il direttore tecnico di tutta la Faulkner.

E forse uno degli uomini più sexy che avesse mai visto.

Aveva il nodo della cravatta allentato, era senza giacca e con le maniche della camicia arrotolate a scoprire gli avambracci, ma emanava ugualmente la stessa potente autorevolezza che le faceva venire la pelle d'oca per il turbamento ogni volta che le era vicino. E ora il suo sguardo metteva a nudo tutti i pensieri lascivi che le ronzavano in mente, attirando in superficie la realtà della sua eccitazione.

Vedersi scoperta le fece tremare le gambe; irrigidì le ginocchia per non darlo a vedere. Nella sala si diffuse un altro spudorato mugolio di piacere che sottolineò la natura della scena in cui era capitata, come se fosse stato necessario ricordarglielo. Il ritmo del risucchio aumentò insieme ai gemiti e al respiro affannoso della donna.

«Falla venire.»

Fu Carson a dare quell'ordine secco come una frustata che squarciò l'aria carica di tensione. Avery sussultò e dischiuse le labbra, confusa. Lui la stava ancora fissando dritto in faccia. L'ordine era diretto a lei? Voleva dire che Avery avrebbe dovuto farla venire? Oppure uno degli uomini avrebbe dovuto far godere Avery?

Udì tre gridi brevi, seguiti da un lungo suono agonizzante che dissipò all'istante i suoi dubbi su chi dovesse fare venire chi. E lei non era compresa. Affatto.

Era l'intrusa.

La spettatrice abusiva.

Quella che rischiava il posto rimanendo lì.

Fu quell'ultimo pensiero a farla muovere, finalmente. La mortificazione prese il sopravvento nell'attimo stesso in cui si girò di scatto e fuggì via di corsa lungo il corridoio. I battiti del cuore divennero forsennati per il panico, subito seguito dal terrore.

Passò davanti alle porte chiuse degli uffici come un fulmine, accelerando sempre di più man mano che la realtà s'insediava nella sua mente stordita. Aveva appena assistito a un gioco sessuale illecito nella sala riunioni. Ed era stata scoperta a guardare.

Sbatté contro il maniglione antipanico e aprì di schianto la porta antincendio, poi salì le scale con tutta la velocità permessa dai tacchi e dalla gonna stretta. Strinse forte il corrimano di metallo mentre girava sul pianerottolo. Sotto di lei la porta antincendio sbatté chiudendosi e Avery si tese. Azzardò una rapida occhiata alle sue spalle, temendo e sperando al tempo stesso che Carson l'avesse seguita.

E poi? L'avrebbe licenziata? Minacciata per farle tenere la bocca chiusa? Molestata?

Strattonò la maniglia quando arrivò al suo piano e vacillò per il contraccolpo piombando in avanti quando la porta non si aprì. Era chiusa a chiave, ovviamente. Si rialzò, con il braccio che le doleva, e annaspando prese il tesserino agganciato alla vita. Con mano tremante, riuscì finalmente a passare la striscia magnetica nella fessura per aprire.

Corse in ufficio, frastornata da mille pensieri. Carson si sarebbe presentato prima che riuscisse ad andarsene? L'avrebbe intercettata all'uscita? Le avrebbe impedito quella fuga dettata dall'imbarazzo?

L'avrebbe sbattuta contro il muro per baciarla con ardore imperioso?

Come no... Non sarebbe mai successo.

Impiegò qualche altro secondo prezioso per agguantare la borsetta, chiudere a chiave i cassetti, impacciata dalle dita che si rifiutavano di collaborare, e prendere l'impermeabile dall'appendiabiti prima di poter scappare dall'ufficio. Per tutto il tempo i battiti del suo cuore non accennarono mai a rallentare.

Non diminuirono quando sbirciò dietro l'angolo in corridoio o cercò di scendere la scalinata di legno senza fare rumore, in punta di piedi, diretta verso l'ingresso. Neppure quando attese per un tempo infinito l'ascensore, mordendosi il labbro, mentre fissava impaziente la freccia luminosa. Neanche quando il dlin che indicava che l'ascensore era arrivato al piano le diede il segnale della libertà.

E sicuramente il cuore non si calmò quando scorse Carson Haggert che la fissava dall'altra parte dell'atrio, con un sorriso complice che gli incurvava le labbra mentre le porte dell'ascensore si chiudevano.

Strinse forte la borsetta, mentre l'adrenalina le scorreva rapidamente nelle vene facendola sudare freddo. Le girava la testa perché nella mente le roteavano pensieri contrastanti senza che uno prendesse il sopravvento.

Non era ingenua né una puritana, ma certe cose non capitavano a lei né alle persone di sua conoscenza. Nei suoi trent'anni di vita non era mai successo nulla che potesse prepararla a quell'eventualità. Assolutamente nulla.

Il ticchettio rapido delle scarpe sul marmo lucido dell'ingresso aperto punteggiò l'eco della sua fuga. L'addetto alla sicurezza la scrutò sollevando un sopracciglio con aria interrogativa.

«Buonanotte» lo salutò con voce gracchiante, perché un arido deserto le graffiava la gola. L'aria gelida la investì appena varcò la porta a vetri girevole. Fece un respiro profondo e infilò l'impermeabile prima che l'umidità le penetrasse nelle ossa.

Sul marciapiede c'erano pochissime persone, e le parve che il freddo fosse più pungente e le ombre della sera più sinistre. Rise della sua inquietudine, ma non rallentò il passo. Girò la testa per guardare da sopra la spalla e vide alcuni passanti raggomitolati nei cappotti, con il mento infilato nel bavero per proteggersi dal gelo. Ma Carson non c'era, nonostante si aspettasse quasi di scorgerlo.

Si aspettava di vederlo o voleva vederlo?

Dio, ma allora era davvero ingenua! E anche stupida.

La luce al neon ronzava sotto la pensilina della fermata dell'autobus che non offriva alcuna protezione dalla nebbia che aleggiava nella strada. Avery aveva la camicia di seta incollata alla schiena e fu scossa tutta da un brivido. La pelle d'oca le increspò le gambe nude malgrado fosse ancora avvolta da un calore erotico. Si strinse addosso l'impermeabile che però non la riparò dal freddo.

Come aveva fatto a finire in quella situazione? Se si fosse allontanata dalla sala riunioni appena si era accorta di ciò in cui si era imbattuta, non sarebbe stata fregata. No, in realtà se non avesse perso la cartellina non sarebbe tornata nella stanza per cercarla e non avrebbe sorpreso i partecipanti di quell'illecito ménage à trois.

Le immagini della scena erotica e della presenza autoritaria di Carson la travolsero nell'istante in cui arrivò l'autobus. Fu scossa da un altro brivido che terminò con uno spasmo che le serrò il sesso per il desiderio insoddisfatto.

No. Assolutamente no. Non avrebbe mai potuto fare niente del genere. Scosse la testa per allontanare le immagini impresse nella memoria, ma invano. Sarebbero rimaste stampate nella sua mente per sempre, a tormentarla con idee e desideri che non avrebbe mai osato realizzare?

Non azzardò neppure un'occhiata in direzione degli altri passeggeri lungo il breve tragitto verso casa e preferì guardare fuori dal finestrino con occhi vacui. Cos'avrebbero pensato quelle persone se avessero saputo ciò che aveva visto... fatto? Sarebbe importato a qualcuno?

Stava finalmente accettando la realtà dell'episodio di quella sera mentre si dirigeva a passo incerto verso il suo palazzo. La finestra del suo appartamentino di due camere era illuminata da un chiarore accogliente. Vide la tenda che si spostava e poi le sagome dei suoi due gatti appollaiati sul davanzale dietro i vetri per salutarla.

Ecco. Era quella la sua vita.

E non c'era posto per scandali sessuali in ufficio né orge in sala riunioni. Avrebbe potuto definirla un'orgia? Forse no, perché non... Basta!

Salì a passo deciso le quattro rampe di scale, fermamente intenzionata a mettersi dietro le spalle quella serata. Non ci avrebbe pensato, né quella sera, né l'indomani.

Mai più.

Certo.

E che cosa sarebbe successo quando avesse rivisto Carson Haggert al lavoro?