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«Forse abbiamo un problema» esordì Carson appena chiusa la porta dell'ufficio di Trevor. «Spero di no, ma...» Scrollò le spalle.

I raggi del sole filtravano nella stanza dalle vetrate a tutta parete che occupavano due lati dell'ufficio d'angolo. Da lì si godeva uno splendido panorama che spaziava dal Bay Bridge, il ponte che attraversava la baia di San Francisco, fino a Oakland in lontananza. Era uno dei vantaggi di essere il figlio del fondatore della Faulkner e l'attuale presidente della sede della società sulla West Coast.

Trevor James alzò la testa e socchiuse leggermente le palpebre. «Un problema di che genere?»

Un inconveniente molto sexy, dalla bellezza non ostentata ma non per questo meno devastante. Apparentemente innocente. Decisamente curiosa.

Carson aprì il bottone della giacca del completo e si sedette su una delle due poltroncine per gli ospiti davanti all'imponente scrivania dirigenziale. «Privato.»

Trevor si appoggiò meglio con la schiena alla poltrona e sollevò le sopracciglia. «Mattina o sera?»

«Sera.»

«Ok.» Bastò un cenno per comunicargli che aveva capito. «E lo sistemerai, giusto?»

Nella mente di Carson comparvero all'istante una decina d'immagini dei vari modi in cui avrebbe voluto sistemare quel potenziale problema. Contro il muro o sul tavolo della sala riunioni non sarebbe stato male. O alle sue spalle, accarezzandola mentre sussurrava ordini peccaminosi alla coppia impegnata sul tavolo. Ma Avery Fast era una dipendente della società. Le possibili conseguenze legali gli vietavano tutte quelle soluzioni. Decisamente sarebbe stato un utilizzo improprio delle risorse umane...

«Vuoi i dettagli?» chiese. Quelli generici, certamente non quelli più erotici che lo stavano tormentando e gli suscitavano un'eccitazione degna di un adolescente in piena tempesta ormonale.

Carson appoggiò la caviglia sul ginocchio dell'altra gamba e scrutò il suo superiore nonché amico. Avevano stretto amicizia all'università e successivamente si erano tenuti in contatto. Il fatto di essere poi stato assunto alla Faulkner era dovuto concretamente alla loro conoscenza, ma erano stati il suo dottorato e anni di esperienza nel settore tecnologico a fargli ottenere il suo attuale posto, non i suoi agganci.

«C'è bisogno che li sappia?» replicò Trevor. Di qualche anno più vecchio di Carson e molto più navigato, Trevor era maestro nell'arte della gestione aziendale ad altissimi livelli. Governava con polso fermo e confidava nel fatto che gli altri facessero ciò che era di loro competenza, controllando i particolari con discrezione nonostante li chiedesse raramente.

Carson scrollò di nuovo le spalle. «È possibile.» Nel caso Avery avesse deciso di rivolgersi all'ufficio del personale. Era stato indeciso se informare Trevor o no. Ma le eventuali ripercussioni lo avrebbero comunque coinvolto, anche se la sera prima non aveva partecipato all'incontro.

Trevor fece uno sbuffo appena accennato dal naso, poi un sorriso sardonico. «Allora tieni i particolari per te finché non serviranno con certezza.» Stirò il collo da un lato e si massaggiò il lato teso, in una delle sue rare dimostrazioni di stress. In quel momento Carson aveva davanti a sé il suo amico, quello con cui aveva condiviso innumerevoli bevute fino a stordirsi. «Però fammi un riassunto.»

Un riassunto. Di come Avery si era morsa il labbro inferiore per trattenere un gemito? O del desiderio e dell'eccitazione che le avevano acceso lo sguardo quando si era accorta della sua presenza?

«Una dipendente è entrata in sala riunioni ieri sera.» Carson fece una pausa per dargli modo di digerire l'informazione. «Senza essere stata invitata.»

«Cavoli.» Trevor piegò la testa da una spalla all'altra poi abbassò la mano e si protese in avanti. «Non hai controllato l'ufficio prima?»

«Certo che sì» sbuffò Carson. «Era deserto. C'era solo l'addetto alle pulizie nelle stanze al piano di sotto e gli ho detto di non salire finché non fossi andato via.»

Trevor sollevò nuovamente le sopracciglia. Aveva sempre avuto quell'espressione diffidente e inquisitiva, sin da molto prima che Carson lo conoscesse. L'effetto non era affatto attenuato dai segni del tempo e delle responsabilità che gli avevano solcato il viso e ingrigito i capelli scuri.

«Che c'è?» Carson replicò al suo rimprovero muto. «È un rischio calcolato, e lo sai.» La possibilità di essere sorpresi aumentava il gusto del proibito. Indicò Trevor. «Me l'hai insegnato tu.»

«In effetti...» ammise l'amico, con un tono sommesso e malizioso che rivelava il lato più trasgressivo che teneva ben nascosto. Il suo sorrisetto complice alludeva ai tanti incontri a cui avevano partecipato insieme dopo che aveva introdotto Carson al Meeting Room, ormai più di tre anni addietro.

Il gruppo clandestino correva dei rischi calcolati organizzando incontri trasgressivi al limite del lecito. Per Carson, fare parte di quel club era un modo di sfogare e allo stesso tempo spingere all'estremo la tensione che accompagnava il suo incarico. E poi era terribilmente eccitante. Proibito in un mondo costruito sulla netta distinzione tra bene e male, avere spesso il controllo di certe situazioni gli dava un potere più appagante di qualsiasi relazione o avventura fugace avesse mai avuto.

Trevor tornò serio e si alzò, indossando di nuovo i panni dell'impeccabile uomo di affari. «Sono certo che troverai una soluzione ottimale per tutti.» Fece il giro della scrivania abbottonandosi la giacca mentre camminava.

Carson fece un cenno di assenso e si alzò in piedi a sua volta. «Vedrò cosa posso fare.» Magari Avery avrebbe tenuto la bocca chiusa. E forse lui sarebbe riuscito a dimenticare la vampata improvvisa di eccitazione che le aveva tinto le gote di rosso e fatto sporgere deliziosamente i capezzoli duri sotto la camicetta di seta.

Sicuramente.

«Tienimi informato.» Trevor si fermò. Avevano quasi la stessa altezza, ma Trevor aveva un portamento carismatico che attirava gli sguardi e Carson era lieto di lasciare lui al centro dell'attenzione.

«Non mancherò» annuì Carson.

Sperando di non avere nulla da riferirgli.

Il lungo percorso per tornare al proprio ufficio lo portò a passare davanti all'ufficio di Gregory. Avery era alla sua scrivania, a testa bassa, con lo sguardo fisso sullo schermo del computer. L'aveva sempre considerata oggettivamente bella, ma la sua attrazione era confinata a un'ammirazione distaccata, adatta all'ambiente di lavoro e alla sua posizione. Ora quella distanza neutra era stata annientata e Carson non riusciva a tornare all'atteggiamento di prima.

Avery aveva i capelli biondi tirati all'indietro e raccolti in uno chignon basso, con qualche ciocca sciolta in un accenno di frangetta che ingentiliva il suo aspetto sobrio. La camicetta blu le accarezzava la curva dei seni e la scollatura a V non era profonda ma attirò comunque lo sguardo di Carson. La seta avrebbe rivelato il contorno dei capezzoli? Si sarebbero inturgiditi per lui come la sera prima?

Avery non alzò lo sguardo e lui non si avvicinò. Mentre digitava rapidamente sulla tastiera aveva l'aria concentrata, con le spalle curve, le sopracciglia aggrottate e le labbra serrate, ma ora lui sapeva che quelle stesse labbra potevano dischiudersi morbidamente per il desiderio.

Cristo. Era solo un vago ricordo, incredibilmente innocente rispetto a tutto quello che aveva visto e orchestrato da quando era entrato a fare parte del Meeting Room, eppure fu potente come un pugno nello stomaco.

Avery stirò la schiena e raddrizzò le spalle con un movimento che spinse i seni in avanti, piegando la nuca all'indietro a scoprire la gola allettante. Frustrato e incantato, Carson emise un'imprecazione tra i denti. Avery sapeva che la stava guardando anche ora?

La vide incurvare le dita per sgranchirle, poi abbassare il mento e alzarsi. Sollevò lo sguardo e lui girò l'angolo in fretta, tornando in ufficio prima che potesse notarlo. Gli pulsava la vena del collo per i battiti accelerati, mentre il sangue affluiva più rapidamente al sesso.

Ma anche questo accresceva l'attrazione, no? Il fatto di non potersi eccitare durante l'orario di lavoro, e che lei fosse tecnicamente un terreno proibito, sconveniente e trasgressivo, proprio come il Meeting Room.

«Mi porti un caffè, per favore, Jean?» chiese alla sua segretaria passando davanti alla sua scrivania, con la giacca abbottonata per cercare di dissimulare la prova evidente dell'eccitazione che non era riuscito a controllare. «E prendimi appuntamento con Gregory. No, lascia perdere, ci penso io.» Poteva già immaginare il panico di Avery quando avesse visto la richiesta di parlare con il suo capo, anche se non aveva nulla a che fare con la sera prima.

«Va bene» rispose lei con un sorriso che le formò delle sottili rughette agli angoli degli occhi. Sui cinquantacinque, sveglia ed efficiente, in grado di seguire il gergo tecnico richiesto nel loro settore, Jean era una perla rara che lui teneva da conto come meritava. Dopo avere avuto a che fare con un'unica pessima segretaria aveva imparato ad apprezzare gli elementi validi e a non darli per scontato.

Jean aveva i capelli ricci e corti tinti di castano scuro con sapienti mèches ramate. Si alzò tirando giù l'orlo della giacca viola. Forse per abitudine lavorativa o solo per gusto personale, in ufficio portava sempre il tailleur nonostante l'ambiente non fosse eccessivamente formale. D'altronde anche lui portava sempre il completo.

«Oggi hai appuntamenti alle dieci, alle undici e alle due.»

Non era necessario ricordarglielo, ma Carson apprezzò il riepilogo dei suoi impegni. «Grazie.» Era grato a Jean perché aveva l'accortezza di avvertirlo dieci minuti prima di ogni riunione. Programmare era come una droga per lui e spesso perdeva la nozione del tempo anche se il ruolo di rilievo che ricopriva limitava il tempo che poteva dedicarvi.

Chiuse la porta e si sedette al computer per esaminare le informazioni della scheda personale di Avery a lui accessibili. Trent'anni, originaria del Midwest, laureata, dipendente della Faulkner da un anno e mezzo. Quest'ultimo dettaglio lo conosceva già, perché ricordava chiaramente quando Gregory l'aveva assunta. Una ragazza di belle speranze e zelante, una qualità intrinseca a ogni assistente competente, che lo ammettessero o no.

E ora si era fatta notare da lui, nonostante avesse cercato d'ignorare le sue attrattive.

Prese il cellulare personale dopo che Jean gli ebbe portato il caffè. Non doveva fare una chiamata di lavoro. «Gregory» disse quando l'altro rispose. Girò la poltrona per contemplare il panorama della baia dalle vetrate a tutta parete. «Dove sei?»

«In ufficio, perché?» replicò l'altro in tono irritato.

«Ti ha parlato la tua segretaria oggi?»

«Parliamo tutti i giorni.»

Davanti al suo sarcasmo, Carson si strofinò la fronte, ma riuscì a trattenere un sospiro. «E ti ha detto niente riguardo le attività... serali?»

Gli giunse subito all'orecchio il grugnito di Gregory. «No. Devo supporre che lo farà nell'immediato futuro?»

Carson fece una smorfia. «In tal caso avvertimi.»

In passato c'erano stati degli episodi che avevano minacciato la segretezza del Meeting Room, ma erano stati risolti con discrezione prima che trapelassero nomi o circostanze specifiche. Quella telefonata alludeva chiaramente alla questione senza affrontarla apertamente, era quello l'intento di Carson.

«Devo preoccuparmi?» chiese infine Gregory, fattosi serio. Si era iscritto al Meeting Room prima di Carson, come sua moglie Tam. Erano ancora membri del club ma non partecipavano più con la stessa frequenza di prima, dopo la nascita dei gemelli, anche perché sarebbero stati maggiormente esposti a rischi se l'esistenza del gruppo fosse divenuta pubblica.

«Non ancora.» E spero mai. «La sistemo io.» Carson rise tra sé e sé, pensando che sembrava la battuta di un mafioso. Come se avesse intenzione di far sparire Avery. Avrebbe fatto buona impressione su un curriculum criminale.

«È per colpa tua che stamattina era tutta agitata?»

Era agitata? Stavolta Carson rise ad alta voce. «Non ho fatto niente.» Tranne guardarla. Era capitata nella stanza e vi era rimasta di sua spontanea volontà. Però era diventata un problema che avrebbe dovuto risolvere lui, perché Avery lavorava alla Faulkner e la sala riunioni in cui si era tenuto l'incontro era quella della società. Gli altri partecipanti, per fortuna, le erano sconosciuti.

Gregory sbuffò. «Va bene.»

Carson non si curò di difendersi e prese a parlare di lavoro. Avrebbe dato spazio ad Avery per vedere come si sarebbe comportata. Forse non avrebbe fatto niente, ma lui non poteva lasciar perdere.

Avrebbe dovuto essere pronto a prendere provvedimenti per dare certe garanzie che non poteva lasciare al caso.