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Carson ignorò i colpetti discreti alla porta del suo ufficio perché era completamente concentrato sulla stringa di codice che stava scrivendo. Se solo fosse riuscito a trovare il modo di...

«Scusa, Carson.»

Lui sussultò sentendo quella voce sommessa e girò la testa di scatto per guardare la porta aperta. Ebbe un tuffo al cuore per la speranza e il desiderio che gli aveva accelerato immediatamente le pulsazioni. Sulla soglia c'era Avery Fast. Indossava un abito color ruggine dall'allacciatura a vestaglia che le fasciava le curve prima di allargarsi sui fianchi. Aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo con le ciocche che si arricciavano in fondo a sfiorare il foulard a fiori avvolto intorno al collo.

Sul suo volto si distese lentamente un sorriso che non cercò di trattenere. Notò che era tesa e aveva le labbra serrate, ma senza distogliere lo sguardo dal suo volto. No, lo fissava dritto negli occhi, quasi con aria di sfida. Perché?

«Sì, Avery?» Si sforzò di mantenere un tono neutro.

Lei si guardò rapidamente alle spalle poi fece un passo avanti. «Hai un attimo?»

Carson fu invaso da un moto di trionfo. Uscì dal programma e girò la poltrona per dedicarle tutta la sua attenzione. «Cosa posso fare per te?»

Lei si avvicinò, con le mani strette davanti a sé. Non sottomessa, ma rispettosa. O agitata. Spostò lo sguardo verso le poltroncine davanti alla scrivania. Sullo schienale di una era appoggiata la giacca di Carson ma l'altra era libera. Tornò a guardare lui, stringendo ancora di più le labbra.

L'aveva evitato nelle tre settimane trascorse dal loro incontro e lui aveva rispettato la sua necessità di avere spazio. Aveva cercato delle scuse per andare nell'ufficio di Gregory? Possibile. Però aveva sempre mantenuto un atteggiamento professionale per non farla sentire assillata.

«La tua proposta è ancora valida?» gli chiese rapidamente, sottovoce.

Lui la scrutò inclinando la testa di lato mentre analizzava la domanda. Il desiderio s'innescò un istante dopo. Avery non si sedette e non distolse lo sguardo, ma il rossore che le tinse le gote gli diede la risposta che cercava. Ebbene sì, si riferiva al loro discorso privato. Ci aveva quasi rinunciato.

«Certo» disse senza muovere un muscolo del viso. «Hai cambiato idea?»

Anche l'espressione di Avery era impenetrabile. Ferma in piedi davanti a lui, salda e sicura, gli dimostrava una forza che la rendeva ancora più desiderabile ai suoi occhi. «Sì.» Quel monosillabo le uscì secco dalle labbra.

Carson si alzò lentamente, infilò le mani in tasca ma non si mosse da lì. Il rischio che potesse entrare qualcuno gli faceva scorrere più rapidamente l'adrenalina nelle vene, ma sapeva come gestire la situazione. Sarebbe bastato scegliere accuratamente termini allusivi e non diretti per ottenere il suo scopo. E voleva dimostrarlo ad Avery. «Sono necessarie ulteriori trattative?»

«Su alcuni punti.»

Lui spostò lo sguardo oltre la spalla di Avery. Jean non era ancora tornata alla sua scrivania. «Per esempio?»

Lei trasse un respiro profondo che le fece sollevare e riabbassare il seno, ma non si agitò. «Non deve sapere nessuno chi sono.»

«Accordato.» I nomi venivano svelati solo dietro consenso dei partecipanti. «Che altro c'è?»

«Niente di eccessivo.» Avery sollevò il mento. «Non...» Arricciò le labbra in una smorfietta. «Non credo di voler... partecipare attivamente, all'inizio.»

All'inizio? I sottintesi di quella semplice precisazione gli provocarono immediatamente un fremito di desiderio. «Quindi vuoi qualcosa di simile all'accordo originale?»

«Sì» ribadì lei con fermezza e anche una nota di sollievo nella voce. «Sarebbe possibile?»

«Sì.» Avrebbe fatto in modo di rispettare quella sua richiesta.

«Grazie.» Avery fece un altro respiro profondo e strinse più forte i pugni. Cercava di contenere il nervosismo, ma era inequivocabile che fosse agitata. Eppure era lì. Si umettò rapidamente le labbra, facendo sporgere la punta della lingua rosea. «Quindi... qual è la fase successiva?»

Nella sala fuori dall'ufficio era tutto tranquillo ma Carson tenne ugualmente la voce bassa. «Dovresti fare le analisi e portarmi i risultati per escludere infezioni a trasmissione sessuale. È obbligatorio per tutti.» Era un'informazione di servizio troppo importante per evitare di parlarne.

Lei abbozzò un sorriso. «Io...» Scrollò le spalle. «Le ho fatte la scorsa settimana. Ti manderò il referto per e-mail.»

Carson la guardò sorpreso, ma subito dopo le sorrise con aria di approvazione. Era previdente e questo non faceva che acuire la sua desiderabilità. Era anche la conferma che voleva veramente farlo.

«Sei libera domani sera?» L'istinto lo spingeva ad agire senza perdere tempo.

«Oh.» Lei spostò infine lo sguardo verso il panorama alle spalle di Carson, ma senza vederlo. Chiuse gli occhi per un istante, poi tornò a fissarlo, invasa nuovamente dalla determinazione. «Sì.»

Carson fece il giro della scrivania, per accertarsi ancora che fosse garantita la loro riservatezza, poi le porse una penna e un taccuino. «Ho bisogno del tuo numero per contattarti.»

Lei li prese, gli lanciò un'occhiata interrogativa ma non disse niente. Lo scrutò a lungo. Quel giorno i suoi occhi erano più verdi che azzurri, addolciti dalla tinta del vestito. Il sollievo allentò l'ansia che gli stringeva il cuore quando lei scrisse infine il numero. Carson fu sorpreso dalla propria reazione. Non era mai stato tanto preso da una nuova partecipante.

Inoltre non era mai stato lui a reclutarne una. Aveva sempre lasciato tale compito agli altri.

E di certo non si era mai presentato con una donna.

Prese taccuino e penna con un palpito di trionfo. C'era sempre il rischio che andasse male... no, avrebbe fatto funzionare la cosa. Era il suo ruolo. Capiva quello che volevano le persone e glielo dava.

E Avery voleva un'esibizione. Una lunga scena sensuale più stuzzicante che esplicita.

Staccò il foglietto con il numero, lo piegò e lo mise in tasca. «Ti chiamerò.» Tenne la mano in tasca per impedirsi di toccarla. Il rossore delle gote faceva risaltare gli zigomi e attirava il suo sguardo sulle labbra carnose, ma non ostentate perché erano sempre tinte di rosa chiaro. Era il suo colore di rossetto preferito? Lo cambiava mai?

«Tutto qui?» Avery sollevò le sopracciglia sotto la frangetta. «Devo solo aspettare altre istruzioni?»

«Sostanzialmente sì.» Carson fece una pausa per accertarsi che quella richiesta non la facesse fuggire. Non c'era eccezione, anche se lei non fosse stata d'accordo. «Devi fidarti di me, altrimenti è inutile proseguire.» E questo era sempre stato il problema di Avery, sin dall'inizio.

La pausa si allungò con i normali rumori dell'ufficio in sottofondo, quasi a ricordare loro che l'argomento non era affatto di lavoro.

«Va bene.» Avery annuì con uno scatto della testa. «Mi fido.» Storse le labbra in un sorriso sardonico, poi si accigliò. «Ma non ciecamente. Deludimi una volta, e non mi fiderò più.»

Lui scoppiò a ridere, apprezzandola. «Non lo farò.» Fece un cenno a Jean che era tornata alla scrivania. «Hai la mia parola» aggiunse sommessamente prima di alzare la voce. «Grazie delle informazioni. Chiamerò Gregory se avrò domande al riguardo.»

Lei raddrizzò la schiena, sgranò gli occhi ma si riprese in fretta. «Grazie, dottor Haggert. Riferirò.» Si fermò a salutare Jean poi si allontanò.

Quando inspirò, Carson avvertì il suo profumo seducente, carico di promesse e possibilità. Sesso e innocenza, a cui si mescolava una passione che non vedeva l'ora di portare allo scoperto.

Guardò l'orologio e controllò rapidamente l'agenda, poi mandò un messaggio a Trevor tramite l'app del Meeting Room che aveva sviluppato lui stesso. Caffè?

Trevor rispose ancora prima che si sedesse. Quando?

Adesso, da Marco.

Arrivo fra dieci minuti.

Carson prese la giacca dallo schienale della poltroncina, infilò in tasca il cellulare personale e uscì dall'ufficio. «Torno fra mezz'ora» disse a Jean senza aspettare una risposta. Aveva delle cose da organizzare.

Gli altri membri del club lo contattavano quando volevano la sua guida durante una seduta erotica del Meeting Room, ma non aveva mai organizzato personalmente un incontro per sé.

E non era così neanche in quel caso. Lo faceva per Avery.

Quando uscì sul marciapiede fu investito dal tepore primaverile della giornata. Fu irritato dal frastuono del traffico mescolato ai rumori di un vicino cantiere. Affrettò il passo, schivando i pedoni più lenti, soprattutto turisti carichi di borse che si guardavano intorno spaesati.

Marco era un piccolo caffè che non si notava, a qualche isolato di distanza dal distretto finanziario. Appena varcata la soglia, Carson fu investito dall'aroma di caffeina e inspirò lentamente, pregustando già il sapore. Vide subito che non c'era molta fila alla cassa e che diversi tavoli erano liberi.

Era seduto in fondo al locale con due caffè quando entrò Trevor. Il suo ingresso attirò un'occhiata di apprezzamento da parte di una donna vicino alla vetrina e un cenno di saluto della barista.

«Haggert» disse Trevor sbottonando la giacca mentre si sedeva. «Devi darmi i dettagli?»

Carson impiegò qualche istante per afferrare la domanda. «Non negativi.»

Trevor bevve un sorso di caffè e sorrise contento. «Teisha sa cosa mi piace.»

Carson diede un'occhiata alla barista dai riccioli rasta neri raccolti in una crocchia scomposta. Era impegnata alla macchina da caffè con gesti rapidi ed efficienti, e gli strizzò l'occhio incrociando il suo sguardo. Carson fece una risatina e annuì. «Sì.» Lui non aveva idea di come volesse il caffè Trevor, ma Teisha lo sapeva.

Il nuovo arrivato si sporse verso di lui, poggiando gli avambracci sul tavolo. «Allora, dimmi tutto.»

«La situazione che stavo controllando è cambiata» disse Carson senza preamboli. «Ci sta. Almeno vuole provare.»

Trevor fece un lento cenno di assenso. «Gestirai tu la cosa, sì?»

«Sì.» Non vedeva l'ora. «Organizzerò qualcosa per domani sera.» Avrebbe postato le informazioni e la richiesta sull'app appena finito con Trevor. Di solito non passava molto tempo prima che arrivassero le adesioni e l'offerta di una location. Era rimasto colpito quando aveva scoperto quanto fosse vasta la rete del club, che abbracciava tutta la zona della baia di San Francisco.

Trevor aveva spesso un'espressione enigmatica che nascondeva ciò che pensava, ma Carson era in grado di decifrare il suo stato d'animo e non notò la disapprovazione che aveva temuto. Trevor si limitò a lanciargli un'occhiata penetrante, poi arricciò le labbra. «Sto pensando di non partecipare.»

Carson fece una smorfia. «Certo che no! A meno che porti la maschera e stai zitto.»

«Non fa per me.»

«Hai capito chi è?»

«Ho visto l'accordo di riservatezza.»

Ovviamente. Carson aveva caricato sull'app la scannerizzazione dell'accordo firmato prima di consegnarlo a Ryan, l'avvocato del Meeting Room. Ma, essendo il fondatore del club, Trevor ne teneva sotto stretto controllo tutti gli aspetti, compresa la gestione dell'app, che era responsabilità di Carson. «Commenti?» gli chiese.

«Stai attento. E non fottere il mio ufficio.»

«Sono sempre attento» lo rassicurò Carson con un sorriso accattivante. Tornando subito serio, aggiunse: «Non ho intenzione di fottere niente».

«Tranne lei.» Trevor alzò un sopracciglio. «Ho ragione?»

La mente di Carson fu travolta dalle immagini di Avery china sulla scrivania, con il vestito sollevato fino ai fianchi e lui che affondava nella sua carne calda con lunghi slanci. Dio... Cambiò posizione sulla sedia e allargò le gambe, cancellando quelle fantasie prima di mettersi in imbarazzo.

Trevor rise e Carson gli mostrò il dito medio. Cretino.

C'erano ancora molte questioni di cui parlare con Avery, tra cui i contatti tra loro e con gli altri; doveva anche capire esattamente fino a che punto volesse spingersi. Avrebbe accettato di essere toccata da lui, l'avrebbe implorato? Avrebbe sentito i suoi gemiti mentre l'accarezzava, avrebbe gridato mentre lui giocava con il suo clitoride?

«Tienimi informato» disse Trevor alzandosi. «Grazie del caffè.» Salutò la barista con un cenno mentre usciva con il suo portamento autorevole.

Carson si appoggiò allo schienale della sedia rilassando le spalle rigide. Guardò l'ora poi aprì l'app del Meeting Room. Creò un profilo di base per Avery, soffermandosi prima di scegliere un nome utente. Pochissimi interagivano sull'app con i nomi veri, ma dopo tanti anni trascorsi in quel gruppo conosceva personalmente la maggior parte dei partecipanti.

Pensò al proprio nome utente, che era Driver da anni, e digitò Shotgun per Avery. Il riferimento era abbastanza vago, ma gli iscritti avrebbero afferrato ben presto il collegamento implicito tra due nomi che significavano Pilota e Copilota, se lei fosse rimasta nel gruppo.

E questo dipendeva dall'incontro che avrebbe organizzato per lei la sera successiva.