Carson avvicinò a sé Avery che muoveva il bacino all'unisono con le sue dita, serrandole con gli spasmi violenti dei muscoli interni. Era stupenda, con la testa rovesciata all'indietro, le labbra dischiuse in un muto invito, languido e irresistibile.
Incalzante, la portò oltre il limite, continuando a massaggiarle il clitoride fino a percepire le ultime contrazioni dei muscoli. Avery smise per un istante di respirare affannosamente, poi si rilassò completamente e si accasciò tra le sue braccia. Carson la sorresse, rimettendola dritta, e staccò la mano, rammaricandosi di non poter finire come avrebbe desiderato.
Il suo pene fremeva dalla voglia di affondare nella sua carne calda e farla gridare di nuovo di piacere. Avery aveva avuto una reazione d'istintivo abbandono davanti alla scena erotica a cui aveva assistito, e Carson non aveva immaginato che avrebbe potuto lasciarsi andare voluttuosamente fino a quel punto. La sua timidezza esitante era svanita per lasciare il posto a una sensualità profondamente carnale che la rendeva ancora più affascinante, erotica ma con un'aura di purezza perché aveva trovato la sua libertà per la prima volta.
Le graffiò il collo con i denti, trattenendo a stento l'impulso di morderle e succhiarle la pelle, lasciandovi il marchio della passione. La prese in braccio e lei sgranò gli occhi, sbalordita da quella mossa inaspettata, cingendogli il collo con le braccia mentre lo fissava con gli occhi incupiti dalla passione fino ad assumere una sfumatura quasi blu.
Carson avanzò senza rispondere al suo muto interrogativo. Jacob lo raggiunse alla porta e l'aprì, guardandolo con un sorrisetto complice.
«Puoi uscire da solo quando sei pronto. Noi ci tratterremo ancora un po'» disse indicando il tavolo con un cenno del capo.
Carson annuì e andò via senza guardarsi più alle spalle né pensare a ciò che avrebbe fatto il terzetto. Avery rimase in silenzio lungo il breve tragitto fino alla sala riunioni più piccola. La scollatura del vestito si era spostata, scoprendo la curva di un seno e il contorno più scuro dell'areola.
Quella vista rappresentava una tentazione irresistibile come lo sguardo di Avery, da cerbiatta innocente, che conservava il suo candore nonostante si fosse appena dimostrata tutt'altro che pudica.
Avvertiva una sensazione appiccicaticcia per la gocciolina di fluido vischioso che gli aderiva all'addome, e aveva i testicoli indolenziti per avere trattenuto a forza l'orgasmo. Era irritato e frustrato, eppure Avery non aveva fatto niente di sbagliato; anzi, non avrebbe potuto comportarsi in maniera più perfetta di così.
«Carson?» Avery aggrottò leggermente le sopracciglia in un'espressione perplessa, come se i dubbi stessero facendo svanire tutta la beatitudine dal suo viso.
Lui entrò nella saletta ansimando, nonostante cercasse di calmare il respiro affannoso. La poggiò con i piedi a terra e la tenne stretta per assicurarsi che non cadesse. Sì, era sicuramente per quello che non si staccò da lei quando Avery cercò di scostarsi.
Ora le pupille di Avery si erano ristrette e gli occhi erano nuovamente pieni d'interrogativi. Però le gote erano ancora rosse e restavano visibili le tracce della donna sensuale che aveva partecipato ai giochi erotici nella sala riunioni.
Carson scosse la testa, cercando di dominare l'impulso avventato che lo spronava ad agire. Avery si passò la lingua sulle labbra e lui seguì con lo sguardo il movimento di quella punta rosea. Il sangue gli andò alla testa; si protese verso di lei, come se fosse stato ipnotizzato, e la baciò, incapace di trattenersi.
Le sue labbra erano morbide. Calde.
La breve inspirazione di Avery le fece dischiudere e lui approfittò istintivamente dell'apertura. Le mise una mano dietro la nuca e la baciò con maggior ardore. Mentre le esplorava la bocca con la lingua un gemito gutturale si fece largo nella sua gola. Riversò tutta la sua frustrazione in un duello frenetico di lingue, labbra e ansiti. Si tuffò in quello stordimento con un abbandono che si concedeva raramente.
Il sentore intenso dell'eccitazione della donna si mescolava con il suo profumo discreto, creando una sensuale fragranza muschiata. Gli sembrava di non riuscire a saziarsene, così come del sapore sublime delle sue labbra e del suo trasporto sensuale.
Avery gli si aggrappò al collo, attirandolo a sé come faceva lui con lei. La voleva più vicina possibile. L'erezione pulsava per il desiderio febbrile che stava quasi per sfogare. Però...
Strappò le labbra da quelle di Avery, e il suo respiro affannoso risuonò nel silenzio. Imprecando tra i denti, strizzò le palpebre, stringendola più forte quando fece per protestare. «No» la prevenne con un tono secco da cui traspariva la sua tensione.
Carson posò la guancia sulla sommità del capo di Avery e fece dei lunghi respiri profondi mentre lei rimaneva immobile, rallentando a poco a poco il ritmo insieme al suo, finché nell'ufficio non tornò il silenzio. Carson si staccò dopo qualche istante e lei lo guardò frastornata, battendo le palpebre e con le sopracciglia aggrottate.
Lui emise una risatina di scherno, del tutto fuori luogo. «Non sto ridendo di te» si affrettò a precisare quando vide, dall'espressione di Avery, che stava per ribattere. «Davvero.» Le accarezzò il contorno del viso con il pollice, ancora disorientato.
Non si faceva mai coinvolgere. Restava ai margini, si teneva lontano dai conflitti. E Avery rappresentava un enorme conflitto per lui.
«Come ti è sembrato?» le chiese, riportando l'attenzione su di lei. «L'incontro, intendo.»
Lei aggrottò ancora di più le sopracciglia, poi sollevò un angolo della bocca. «Credevo che fosse evidente.»
Carson avvertì un fremito al ventre ma cercò di reprimere l'eccitazione che non voleva farsi ignorare. Con un certo sforzo, le sorrise debolmente, sin troppo consapevole di quanto Avery ne avesse goduto, almeno fisicamente. «Dimmi che cosa ti è piaciuto» la incalzò in tono pacato ma incoraggiante. Voleva veramente sapere esattamente che cosa l'avesse eccitata, per poter replicare l'effetto.
Lei abbassò lo sguardo, ma lui le fece subito sollevare il mento per fissarla negli occhi. Non le avrebbe permesso di nascondersi, dopo essersi abbandonata tanto splendidamente.
«Quello che hai visto ti ha eccitata?» insistette. «Era una scena troppo blanda?»
Lei annuì, poi scosse la testa, sgranando leggermente gli occhi e inspirando di scatto, ma senza staccarsi da lui. Carson le accarezzò la schiena per calmarla. La morbidezza serica dell'abito che le scivolava sulla pelle era una provocazione, perché gli ricordava ciò che non poteva toccare.
Lei deglutì a vuoto. «È stato più eccitante di quanto mi aspettassi. Diverso.» Distolse lo sguardo, ma poi lo riportò su di lui con un lampo di determinazione negli occhi. «Mi è piaciuto tutto. Guardare, essere toccata da te, i suoni, gli odori, i tuoi ordini. È stata un'esperienza...» Lo scrutò con occhi incupiti dall'emozione. «Sbalorditiva.»
Gli attirò la testa a sé e lui non glielo impedì. Gli sfiorò le labbra con le sue, con una dolcezza esitante che le era propria, ma al tempo stesso diversa dalla sua natura intima. Ora Carson sapeva come fosse in realtà, ed era una rivelazione che gli si era impressa nella memoria. La baciò più intensamente, prendendo il controllo e strappandole un gemito che aumentò la sua frustrazione in maniera allarmante.
Si staccò a forza, borbottando un'imprecazione. Nuovamente ansante, le baciò una tempia. «Dobbiamo andare» annunciò con rammarico.
«Perché?» gli chiese lei, confusa, con un filo di voce.
Carson si scostò e stese la mano verso l'impermeabile di Avery. «Perché altrimenti ti sbatterò su quel tavolo.»
Lei sollevò di scatto le sopracciglia e la sua bocca formò una O muta. Con un sorrisetto tirato, Carson resse l'impermeabile aperto per aiutarla a indossarlo.
Lei infilò le braccia nelle maniche poi girò la testa a guardarlo da sopra la spalla. «Potresti» replicò, spostando lo sguardo verso il tavolo prima di ritornare a fissare lui.
L'immagine di Avery distesa sul piano di legno chiaro, con il vestito sollevato e il corpo nudo esposto al suo sguardo lo indusse quasi a cedere. Aveva ancora la sua fragranza muschiata sulle dita e l'avvertì quando inspirò con forza. Dio, quanto voleva sentire il suo sapore!
Le tolse le mani dalle spalle e prese la sua borsetta dal tavolo. «Il gioco è finito, Avery.» Si girò verso la porta e l'attese sulla soglia, stendendole la mano. «È ora di andare.»
Lei rimase a bocca aperta per un istante poi la richiuse di scatto, strizzò leggermente le palpebre e sollevò il mento. Carson s'irrigidì ma lei rimase in silenzio mentre gli passava accanto, avviandosi a passo svelto e deciso, con la schiena dritta.
Appena uscirono dal palazzo, l'aria che li investì fu un balsamo rinfrescante. Avery non si fermò, ansiosa di allontanarsi da lui. Quando arrivarono alla macchina, però, si girò tanto di scatto che Carson rischiò di finirle addosso, e si tese, pronto a essere assalito da lei.
«Non capisco» disse Avery seccamente, fremente di collera. No, era mortificazione dissimulata dalla rabbia. Scosse la testa e incrociò le braccia. «Come puoi chiudere così di colpo?» Fece un rapido gesto con la mano di taglio.
Carson trattenne a stento una smorfia. Le ombre della sera addolcivano i lineamenti di Avery nonostante si fossero induriti. Era di nuovo fuori di sé. Il fuoco che era divampato in lei nella sala riunioni, ora si era risvegliato per metterlo di fronte al suo atteggiamento scostante.
Le rivolse un sorriso sempre più ampio, poi sollevò lentamente la mano, dandole modo di spostarsi se avesse voluto, ma lei rimase immobile mentre le scostava la frangetta dagli occhi. «Ci sono delle regole» esordì. Tante regole, sia decise dagli altri sia da lui. «Meeting Room funziona bene perché vengono rispettate. Il nostro accordo era limitato a quella situazione» le spiegò. Lei strinse le labbra e fece un secco cenno di assenso. «Che ora è conclusa.» Lo stava ricordando a lei o a se stesso? «Mi è piaciuto tutto moltissimo, ogni istante» aggiunse però, rassicurante.
Lei si accigliò ancora di più, visibilmente dubbiosa. Non gli credeva.
Carson le prese la mano e le poggiò il palmo sulla sua erezione, premendolo. Avery trasalì e lui le tenne ferma la mano lì quando cercò di scostarla. Era tanto frustrato da essere quasi adirato, ma non gli era chiaro contro chi o per che cosa fosse arrabbiato.
«Questo è l'effetto che mi fai.» Le fece sentire tutto il turgore del suo pene prima di lasciare la presa sulla mano. Lei indugiò per un istante con il palmo sulla sua erezione prima di staccarlo dal suo corpo. «Non dubitare né delle mie intenzioni né delle mie parole.» Andò ad aprirle lo sportello della vettura, mentre l'ira metteva a dura prova il suo autocontrollo. Gli succedeva così raramente di essere arrabbiato da esserne colto alla sprovvista.
E questo lo irritava ancora di più.
Mentre l'accompagnava a casa rimasero entrambi in silenzio. L'oscurità della notte era interrotta solo dai fari delle altre auto e dalla luce dei lampioni. Avery era rigida al suo fianco, ma Carson resistette all'impulso di stendere la mano per toccarla.
Imboccò il vialetto del palazzo in cui abitava la donna e si fermò. Mise in folle poi spense i fari e si girò verso di lei che fissava un punto dritto davanti a sé, con le mani giunte in grembo. Non accennò a scendere dalla macchina, perciò Carson attese. Poteva almeno concederle la sua pazienza.
«Possiamo rifarlo?» gli chiese Avery con voce tanto bassa da essere a stento udibile.
Lui rimase sbalordito e strinse forte il volante mentre il cuore accelerava i battiti. La sua mente gli gridava sì!
«Vorresti davvero?» le domandò invece, in tono volutamente neutro.
Lei chiuse gli occhi. Il chiarore del lampione e della luce sopra il portone era sufficiente per fargli percepire la sua esitazione prima che lei mormorasse un sì.
Indeciso e combattuto tra desiderio e logica, precisò di nuovo: «La nostra non è una relazione».
Lei girò la testa di scatto e lo fulminò con lo sguardo. «L'ho capito, fidati.»
Lui sollevò un sopracciglio per reprimere una replica tagliente. Voleva quasi litigare con lei. Adorava il fuoco che lasciava trapelare a tratti, tanto quanto il suo pudore controllato. In lei c'erano tanti aspetti ancora da scoprire...
«E vuoi ugualmente fare un'altra esperienza simile?» le chiese. Avery annuì. «Con me?» puntualizzò. Un altro cenno di assenso, più lento e circospetto. Le ombre nascondevano quasi completamente la sua espressione, ma Carson percepì la sua sfida, la spavalderia che gli aveva dimostrato la prima volta in cui aveva voluto farlo.
Carson allargò le gambe per dare più spazio al pene che si era inturgidito nuovamente. Quella parte del suo corpo era pronta a fare qualsiasi cosa con lei, ma lui non si era mai fatto guidare dall'istinto della carne, neppure quando era un adolescente perennemente eccitato. Tuttavia assaporò quella sensazione, la voglia che aumentava e il desiderio ardente che si risvegliava nel suo ventre e s'irradiava in tutto il corpo.
«Vorresti provare qualcosa di diverso la prossima volta?» Aveva abbassato la voce in un bisbiglio intimo. L'abitacolo parve restringersi ancora di più mentre la tensione serpeggiava tra loro.
Avery inspirò e chiuse gli occhi per un istante, stringendo le mani in grembo. Poi rilassò i pugni e sollevò le palpebre. «Non so che cos'altro si possa fare» ammise infine. «Dovrò fidarmi delle tue scelte.»
Carson fu invaso da un moto di esultanza e potere che si mescolò al desiderio che stentava a controllare. Quella sera gli aveva concesso completamente la sua fiducia ed era un dono che lui considerava speciale, da tutelare. Incurvò un angolo della bocca. «Quindi ti fiderai di me anche dopo stasera?»
Lei scrollò appena le spalle. «Non hai perso la mia fiducia. Ancora.»
Quell'ultima precisazione insinuava che prima o poi sarebbe accaduto. Davvero? Forse, se avesse messo da parte le regole. «Sabato prossimo?» Avrebbe dovuto dirle di no, ma non ci riuscì.
Lei spostò lo sguardo e aggrottò le sopracciglia. «Sì, può andare.»
Una settimana. Avrebbe dovuto attendere una settimana intera prima di poterla toccare di nuovo, farla venire e abbandonarsi tra le sue braccia. Avrebbe potuto resistere e controllarsi? «Organizzerò la cosa» disse in tono pragmatico, e gli dispiacque vederla sussultare. Accidenti, non avrebbe voluto mortificarla.
Le racchiuse la guancia nel palmo per farle girare la testa verso di sé. Avery non oppose resistenza, e Carson era terribilmente tentato di seguirla in casa e darle una dimostrazione di tutto ciò che aveva voglia di fare con lei...
«Sei bellissima, Avery.» Da tanti punti di vista. «Però lavoriamo insieme e non devono esserci motivi d'imbarazzo.»
Il sospiro di Avery fu sommesso ma rassegnato. «Lo so. Non ci saranno.»
Avrebbe potuto fidarsi della sua parola? Doveva farlo per forza, a meno che fosse disposto a troncare di netto.
Cedette e la baciò, indugiando per qualche secondo con le labbra sulle sue. Il desiderio che si scontrava con la realtà riaccese la sua frustrazione, che sentiva ribollire nelle viscere e percuotergli il cervello. Stava giocando con il fuoco, ma una parte di lui sperava di scottarsi.
«Vengo a prenderti sabato alle nove» disse quando si staccò da lei, con un'ultima carezza alla guancia di Avery.
«Ok» sussurrò lei in tono quasi rassegnato. Lui la fissò intensamente ma Avery aprì la portiera dell'auto e scese prima che Carson potesse fermarla.
Scese dal suo lato e fece il giro della vettura. «Ehi» disse appena la raggiunse, mettendole una mano sulla schiena. «Ti accompagno alla porta.»
«Posso andare da sola, l'ho fatto molte volte» ribatté lei.
Lui sorrise. «Ne sono certo.» Rimase al suo fianco finché non furono arrivati al portone. «Ma mia madre mi prenderebbe a calci se non accompagnassi alla porta la donna con cui sono uscito.»
Lei si girò a guardarlo sconcertata. «Non credevo che questo fosse un appuntamento galante.»
Aveva colto nel segno. Il sorriso di Carson si allargò, e nelle sue orecchie risuonò di nuovo un campanello d'allarme. «Touché.»
Lei arricciò le labbra e nei suoi occhi si accese un lampo di confusione mentre scuoteva la testa. «Buonanotte, Carson. Ho trascorso una serata interessante» disse porgendogli la mano. Quel saluto formale sembrava falso, ma stranamente adeguato all'occasione. «Non vedo l'ora di rifarlo.»
Dio, è veramente... Carson non poteva finire di formulare quel pensiero, se voleva andarsene. Fece una risata roca e le strinse la mano, poi rispose con lo stesso tono formale: «Buonanotte, Avery». Si portò le sue dita alle labbra e le baciò. «Alla prossima.»
Avery fu scossa da una risata ma rimase in silenzio. Lui lasciò che staccasse la mano dalla sua e indietreggiò mentre lei digitava il codice di accesso sulla pulsantiera accanto alla porta. La serratura scattò, e Avery spinse il battente, poi gli rivolse un ultimo sorriso prima di entrare.
Quando la porta sbatté, il suono riecheggiò nella notte silenziosa. Passò un'auto, poi si udì il campanello di un tram in lontananza. Carson si riscosse e tornò alla macchina.
Avrebbe fatto sperimentare ad Avery tutte le esperienze sessuali che avesse voluto. Smaniava dal desiderio di farle superare i limiti per permetterle di conoscere e accettare ogni aspetto della sua sessualità. Ma non poteva avere niente di più.
Non doveva pretendere niente di più.
Ed era tutto ciò che avrebbe avuto, se si fosse attenuto alle sue regole.