13

«Terra chiama Avery, rispondi!»

Karen agitò una mano davanti agli occhi di Avery che si riscosse e batté le palpebre, poi guardò l'amica con aria ostile. «Che c'è?»

Karen sbuffò. «Hai avuto la testa tra le nuvole tutta la mattinata.»

«Non è vero» replicò lei troppo in fretta e in tono difensivo per essere credibile. Sospirò e si appoggiò al fianco di Karen mentre camminavano. «Scusa. Hai ragione.»

Il sole che faceva scintillare l'acqua le faceva penetrare piacevolmente una buona dose di vitamina D nella pelle, ricordandole il motivo per cui le piaceva tanto quella zona. Uno dei motivi, almeno. Un altro era la distanza dalla famiglia; la rattristava la lontananza, ma la trovava comoda. Sentiva la mancanza dei suoi, ma non avrebbe più potuto vivere con loro.

La tiepida brezza primaverile della baia le scompigliò i capelli. Puntò le ciocche dietro le orecchie, ma le tornarono in faccia un attimo dopo. Si fece largo tra le persone che affollavano il viale e, trovato un punto più tranquillo sulla riva, posò il sacchetto della spesa riciclabile. Frugò nella borsetta e tirò fuori un elastico con cui legò i capelli. Almeno quelli erano sotto controllo, ma per le proprie emozioni non poteva fare nulla.

Karen posò la shopper vicino a quella di Avery, appoggiò un fianco alla ringhiera e guardò l'amica. Aveva gli occhi nascosti dagli occhiali da sole, ma Avery non aveva bisogno di vederli per sapere che la stava scrutando. Fantastico.

Il clangore di un tram che passava sulle vicine rotaie sovrastò i richiami di un gruppo di foche in lontananza. Dalle bancarelle di cibo da asporto del mercato agricolo proveniva l'aroma speziato di burrito, frittura e altri piatti etnici, che smorzava il forte odore salmastro di pesce e alghe che proveniva dalla baia.

Ignorando Karen di proposito, Avery si girò per guardare il Bay Bridge che si estendeva sull'acqua. Non era pronta a parlare, di nulla. E comunque non c'era nulla di cui parlare. Scosse la testa, indispettita dalla propria insistenza ostinata.

«Che ti succede?» le chiese Karen.

«Niente» rispose automaticamente Avery. Niente che potesse rivelarle, almeno.

«Bugiarda.»

Avery scrollò le spalle. Non poteva negare la verità. «Sto bene» cercò di rassicurare l'amica. «Solo cose in ufficio.» Più o meno. Carson era nel suo ufficio, d'altronde, e la stava facendo impazzire.

Karen emise un mugugno poco convinto, poi si girò appoggiandosi meglio alla ringhiera per guardare le persone che giravano nel mercato. La gente che lo affollava di sabato mattina aveva lasciato il posto ai turisti man mano che si avvicinava mezzogiorno. Avevano vagato tra le bancarelle, godendosi la bella giornata passeggiando invece di fare le solite compere dai loro commercianti preferiti.

«Sei strana da settimane» insistette Karen. La tenacia era una delle sue doti principali, ma spesso irritante. Come in quel momento.

Avery si accigliò, contenta di avere anche lei gli occhiali da sole. «Non me ne sono accorta.»

«Non raccontarmi balle, stronza.»

«Cretina» ribatté.

«Vacca.»

Avery si sentì morire. Karen non aveva idea di avere colpito un nervo scoperto nonostante s'insultassero scherzosamente abbastanza spesso. Era davvero tanto sbagliato quello che faceva con Carson?

Non aveva mentito quando gli aveva detto che le piaceva fare sesso con lui. Era vero; era stato bellissimo, ogni singolo istante. Però non poteva cancellare i sensi di colpa che derivavano dai principi che le erano stati inculcati.

Una famigliola passò davanti a loro sul marciapiede, tra risatine e grida. Le due bambine più piccole avevano vestitini uguali e le codine bionde ballonzolavano mentre correvano.

Avery avvertì una fitta al cuore per il desiderio, ma scosse la testa e mise da parte quella sensazione sciocca. Si rifiutava di essere una di quelle donne che basavano la propria felicità sulla maternità. Non si sarebbe realizzata avendo un marito e dei figli, per quanto sua madre fosse convinta del contrario.

Tuttavia continuò a seguire con lo sguardo la famiglia felice che scompariva tra la folla. Aveva trent'anni, non era certamente vecchia. Aveva ancora parecchi anni prima che le sue ovaie avvizzissero. Ma che mi prende?

«Non m'interessa quello che dici» dichiarò Karen, facendola riscuotere dalle sue riflessioni. «C'è sotto qualcosa e non è solo roba di lavoro.»

Avery sollevò il viso per assorbire tutto il calore dei raggi del sole. Poteva confidarsi con Karen? Come l'altra volta, c'era qualcosa che avrebbe potuto dirle, ma avrebbe dovuto tacere buona parte della situazione, in base all'accordo di riservatezza che aveva sottoscritto. Aveva esaminato scrupolosamente ogni riga dopo che Carson gliene aveva mandata una copia, e le condizioni non lasciavano scappatoie.

Karen si spostò di lato fino a toccare con il braccio quello di Avery per trasmetterle il suo appoggio. «Forse c'entrano qualcosa le domande sul sesso che mi hai fatto al bar il mese scorso?»

Il mese scorso? Sembrava passata un'eternità da allora.

Avery emise un mugugno vago e scrollò le spalle. Da quando ne aveva parlato con Karen, era uscita con Carson quattro volte, per quanto non si potesse definire esattamente uscire. Da allora era molto cambiata, da diversi punti di vista. O, almeno, si sentiva diversa. Per certi versi più navigata, per altri terribilmente ingenua.

«Hai mai avuto un trombamico?» chiese a Karen, tenendo la voce bassa. Non la guardò; non ci riusciva. Tenne gli occhi chiusi concentrandosi sul sole che le scaldava il volto. La sensazione di distacco le aveva sciolto la lingua.

«Qualcuno» le rivelò Karen. «E tu?»

«No.» Non poteva esattamente far rientrare Carson in quella categoria. Era molto di più, ma anche di meno.

«E lo vorresti?»

Lo voleva? Poteva essere una donna disinibita? «Non proprio.» Vedeva Carson tutte le settimane per fare sesso, ma non era suo amico, neanche in senso lato. In ufficio era uno stronzo altezzoso.

Non era vero. Scosse la testa, vergognandosi. Non poteva definirlo così.

Sul lavoro Carson era normale. Professionale e distaccato come sempre, sin da quando era stata assunta alla Faulkner. Aveva accettato quell'accordo consapevolmente e non poteva biasimarlo se si atteneva alle regole a cui lei aveva acconsentito.

«Posso farti una domanda?» le chiese Karen dopo qualche istante.

«Certo.»

«I tuoi genitori sono dei puritani?»

Avery arricciò il naso. «No.» Chinò il capo, imbarazzata. Non poteva dare a loro la colpa dei suoi problemi. «Non esattamente. Non in maniera esagerata.» Però i loro valori conservatori erano riusciti a insinuarsi nella sua anima. «Però sono molto... tradizionalisti. Mia madre non parla di sesso, mai. Sono dei gran lavoratori, hanno educato i figli al rispetto del prossimo e a dare valore a ciò che hanno. Non sono certamente spregiudicati, ma non sono ottusi.»

Karen annuì lentamente. «Insomma l'esatto opposto della mia famiglia.»

Avery sorrise e diede all'amica una gomitata affettuosa. «Ho conosciuto tua madre. Non è ottusa.» La madre di Karen era una stimata scienziata che faceva ricerche su una cura per il cancro.

«Hai ragione, però a casa mia il sesso non è mai stato un tabù. Sotto il camice bianco da laboratorio, mia madre è ancora una figlia dei fiori.»

Avery si chiese che cosa si provasse a non avere inibizioni né timori riguardo alla sfera sessuale. Non avrebbe dovuto considerare i suoi problemi come paure; in fondo era una donna moderna. Però doveva essere sincera con se stessa e ammettere di avere dei timori.

Il timore di essere etichettata, dagli altri e da se stessa. Il timore della vergogna. Il timore di ammettere quanto le piacesse la dimensione che stava esplorando con Carson.

«Vorrei pensarla come te nei confronti del sesso.» Avery rivolse alla coinquilina un accenno di sorriso, sperando che non fraintendesse il suo commento. «Vorrei essere...» Che cosa? Come voleva essere? «Cavoli.» Scosse la testa. «Non lo so.»

E questo era il primo problema.

«Su, andiamo.» Avery si staccò dalla ringhiera e prese la borsa prima che Karen potesse farle altre domande. «Devo tornare a casa.» Si avviò, ma si fermò a guardare indietro quando notò che l'amica non era al suo fianco.

L'altra non si era mossa. Con quel cipiglio e le braccia conserte sembrava una bambina capricciosa che rifiutava di fare un passo. Avrebbe potuto lasciarla lì e riprendere a camminare, fingendo di non rimuginare sul loro discorso lungo tutto il tragitto fino a casa.

L'avrebbe fatto comunque, con o senza Karen.

Sospirò e tornò indietro con passi pesanti. «Allora?» sbuffò.

Vide le sue sopracciglia alzarsi sotto gli occhiali da sole. Il vento muoveva le ciocche irte in testa dei capelli corti scompigliati ad arte. Sciolse le braccia e raddrizzò la schiena lentamente, preannunciando la replica che stava per arrivare.

Avery si preparò al rimprovero, adirata con se stessa ma incapace di cedere.

«Si può sapere che cos'hai?» La voce di Karen era pacata, preoccupata ma anche perplessa, e aumentò i sensi di colpa di Avery e la sua confusione.

Incurvò le spalle, ormai priva di difese. «Non lo so» ammise, sconfitta. «Non lo so davvero.» Né riguardo a Carson, né al sesso o a ciò che voleva da entrambi.

Karen si avvicinò e le passò un braccio intorno alle spalle, in un inizio di abbraccio confortante, che Avery accolse con gratitudine, soprattutto perché avrebbe dovuto essere lei a chiedere scusa a Karen. Si appoggiò all'amica, assorbendo la sua forza.

«C'è qualcosa che ti turba» disse lei. «E di solito in questi casi c'entra un uomo.»

Avery emise uno sbuffo secco. Chiuse gli occhi respingendo un pensiero sarcastico su quel commento. Non aveva nulla di cui vergognarsi. Nulla.

«E, in base alle domande che mi hai fatto di recente, ha a che fare con il sesso, giusto?» continuò Karen.

Bingo. «Non riesco proprio a essere discreta, insomma» disse Avery con sarcasmo.

«Oh, tesoro, non c'era niente di discreto nelle tue domande.»

Avery sospirò, accettando la verità. «Ho trent'anni e non riesco a parlare di sesso senza sbattere contro le mie inibizioni. Sono patetica.»

«E chi lo dice? La suora o la prostituta?»

Avery la guardò confusa. «In che senso?»

«Chi deve giudicare ciò che provi?» replicò Karen, seria. «Hai il diritto di provare tutto quello che ti pare, e sei solo tu a poter giudicare» sentenziò sollevando un dito per sottolineare il concetto. «Non devi essere severa con te stessa.»

Avery stava per sbuffare di nuovo con derisione, ma fu orgogliosa di essere riuscita a trattenersi. Le venne da ridere e si coprì la bocca con la mano per un istante. «È tua madre che parla attraverso te?»

Karen la fulminò con lo sguardo fingendosi offesa, ma poi scrollò le spalle e le sorrise. «Può darsi, però è vero» precisò. «Te l'ho già detto, se sei convinta di quello che vuoi e che provi, non devi sentirti in colpa.»

Era davvero tanto semplice?

Un sorriso malizioso spuntò sulle sue labbra mentre guardava Karen di sottecchi. «Ma quello che voglio è veramente scandaloso.» Agitò le sopracciglia con fare allusivo e scoppiò a ridere.

«Dimmi tutto.» Karen raccolse la borsa e prese sottobraccio Avery, avviandosi con lei. «Nei minimi particolari.»

Avery sorrise tra sé e sé, avvertendo il fremito ormai familiare che provava sempre quando pensava alle sue serate con Carson.

Chinò la testa e guardò Karen con la coda dell'occhio. «Vedo una persona.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Per fare sesso».

Karen girò la testa di scatto. «Eh? Aspetta.» Si bloccò e le afferrò il braccio. «In che senso?» Si guardò intorno poi si avvicinò. «Vuoi dire che paghi?»

«No!» esclamò lei con foga, indignata. «Come ti viene in mente?»

«Ehi, non ci sarebbe niente di male.» Karen alzò le mani in segno di scusa.

«Non pago» insistette Avery riprendendo a camminare, schivando le persone finché non furono fuori dalla zona del mercato. Affrettò il passo, spinta dall'irritazione.

«Avery!» Karen la prese per un braccio. «Dai, su.» Rallentò, costringendola a fare altrettanto. «Dicevo tanto per dire.» Avery la guardò accigliata. «Sul serio.» Karen scrollò le spalle, poi fece un sorrisetto. «Anzi, ti avrei chiesto il numero.»

«Oh, Signore!» Avery alzò gli occhi al cielo. Non riusciva a rimanere arrabbiata con lei. «Come se tu avessi bisogno di pagare per fare sesso!»

«Chi lo sa?» Karen fece spallucce di nuovo. «Ci sono tante cose che non ho ancora provato.» Riprese a camminare e Avery la seguì. «Allora, raccontami.»

Una parte di Avery avrebbe voluto smettere di parlarne, ma una parte ancora più grande voleva confidarsi con l'amica. Senza dirle proprio tutto, ma abbastanza per sfogarsi.

«Be'...» Si morse il labbro e guardò Karen con aria complice. «Mi sta aiutando a sperimentare certe fantasie.» Rise dell'espressione sbalordita di Karen, che si tramutò subito in curiosità.

«Davvero?» esclamò Karen, interessata. «E non mi dici altro?»

«No.» Avery si sentì avvampare, e non per il sole. «Però posso dirti che è stato fantastico.» Eccezionale, anzi. Inspirò, invasa dal desiderio. «Veramente sorprendente.»

«Adesso sì che voglio tutti i particolari» insistette Karen.

Avery scosse la testa. «Non posso. Davvero» aggiunse vedendo l'aria dubbiosa dell'amica. Dire la verità avrebbe suscitato ulteriori domande. «È solo sesso» disse, cercando di sembrare disinvolta. «Non siamo amici.» Non fuori dal Meeting Room, almeno.

«Chi è? È un uomo o una donna?»

«È un uomo.» Un uomo bellissimo, sexy, sicuro di sé, forte e gentile. Un uomo a cui si stava attaccando quando non avrebbe dovuto. Non era possibile.

«Allora che cosa c'è che non va?»

Aspettarono il segnale per attraversare la strada e passarono tra le persone che provenivano dal lato opposto. Che cosa c'era che non andava?, si chiese Avery, pur sapendo esattamente che cosa fosse.

«Mi piace troppo» ammise infine, quando furono sull'altro marciapiede.

«Il sesso?» Il tono incredulo di Karen le fece capire che la considerava una follia. «E perché sarebbe un problema?»

Avery chinò il capo, cogliendo l'occhiata sbalordita di una donna che avevano incrociato. «Shh» ammonì l'amica, dandole uno schiaffetto al braccio. «Parla piano. Non tutti sono disinibiti quanto te.»

Karen si guardò intorno e si strinse nelle spalle. «Mi dispiace.»

«Non è vero.»

«Hai ragione» ammise Karen con un sorriso impertinente.

Avery pensò che la sua sfrontatezza era uno dei motivi per cui l'adorava. Sistemò meglio la tracolla della borsa, puntò una ciocca di capelli dietro l'orecchio poi dichiarò, riprendendo il discorso: «Non posso affezionarmi. È un accordo senza impegno».

«Oh.» Karen arricciò le labbra, pensosa. «E a te non sta bene, giusto?»

Avery emise uno sbuffo d'aria sardonico dal naso. «Già.» Era un vantaggio ma anche uno svantaggio che Karen afferrasse al volo la situazione senza dovergliela spiegare. «Credevo di poterci stare, volevo. Davvero.»

«Avery.» Karen pronunciò il suo nome con pazienza comprensiva. «Hai adottato due gatti insieme un minuto dopo averli visti nelle gabbie degli animali al negozio.»

«Ma erano così carini!» si difese Avery.

«E quanto tempo hai lavorato al call center solo per non lasciare nei guai il tuo supervisore anche se detestavi quel posto?»

Anche troppo. «Che cosa c'entra?»

Erano arrivate alla fermata dell'autobus e Karen si girò verso di lei, sorridendole con affetto e indulgenza. «Significa che ti affezioni facilmente.» Avery la fulminò con lo sguardo. «Non c'è niente di male» si affrettò a precisare Karen. «Anzi, è una dote. Vuol dire che sei leale e sensibile, contrariamente ad altri...» Indicò se stessa. «Che sono più distaccati.»

«Tu non sei distaccata» protestò Avery, più che altro per distogliere l'attenzione da se stessa.

Karen agitò una mano per liquidare l'obiezione. «Quello che voglio dire è che ti piace stringere legami con le persone. Sei fatta così.»

«E allora?» Avery stese il collo per cercare di vedere l'autobus. Non le piaceva essere analizzata tanto minuziosamente.

«C'è un motivo, se non hai mai avuto un trombamico.»

Avery chinò la testa, invasa dalla mortificazione. Intorno a loro c'erano almeno dieci persone in attesa dell'autobus e lei sentiva le occhiate di tutte su di sé. Guardò Karen con aria ostile. «Grazie di averlo annunciato pubblicamente.»

Karen si osservò intorno. Qualcuno girò la testa per evitare il suo sguardo, altri le sorrisero apertamente. «Ops, scusa» disse facendo una smorfia.

Avery teneva lo sguardo puntato sulla strada e fu sollevata quando vide arrivare l'autobus. Ignorò di proposito Karen finché non si furono sedute, con le borse a terra tra i piedi. Era ancora più confusa di prima. Doveva ammettere che la coinquilina aveva ragione, ma una parte di lei si rifiutava di accettare la verità.

Poteva cambiare. In effetti si stava adattando sempre più a ogni nuova situazione erotica che Carson le presentava. Durante quei momenti si sentiva viva e libera come mai prima.

E non era pronta a rinunciarvi. Neanche un po'.

«A che ora esci stasera?» le chiese Karen.

Avery sospirò e rinunciò a tenerle il broncio. Comunque non era più irritata. «Alle sette.»

«Vai con qualcuno?»

«No.» Avrebbe potuto portare un cavaliere alla festa della Faulkner, ma l'unico che avrebbe voluto al suo fianco ci sarebbe stato comunque, magari con una donna. Avery avvertì un'improvvisa acidità di stomaco a quel pensiero. Chiuse gli occhi e cercò d'ingoiare la gelosia. Doveva essere pronta a quell'eventualità.

«Stasera ho un appuntamento, per cui potrei fare tardi» rivelò Karen, allusiva. «O tornare direttamente domattina.»

Avery fece una risata incredula. «Non ti aspetterò alzata.» Tirò fuori il cellulare e controllò i messaggi. Carson non le aveva scritto, non che si aspettasse il contrario. La sera prima era stato molto impegnato in ufficio e quella sera c'era la festa. La società la organizzava sempre per celebrare i buoni risultati del trimestre. Di solito era contenta di parteciparvi ma ora era tutt'altro che entusiasta, con la prospettiva di vedere Carson e fingere di non conoscere il ringhio cupo che faceva prima di venire o il tocco eccitante delle sue dita sul sesso.

All'inizio i loro incontri sessuali avevano rappresentato un divertente segretuccio peccaminoso condiviso. Quella sensazione era svanita in un momento imprecisato tra la prima volta in cui avevano avuto un vero rapporto sessuale e il suo desiderio sempre maggiore di farlo con lui al di fuori della dimensione del Meeting Room. Sentire la sua risata calda e cupa a cena e vedere il suo sorriso affascinante al mattino.

Non sarebbe mai successo.

Quella certezza la rese determinata a sopportare la serata ignorandolo. Poteva farcela. Si sarebbe divertita con i colleghi con cui aveva stretto amicizia alla Faulkner. Come sempre.

Non era cambiato niente. Niente tranne lei.

E non poteva permettere a Carson di accorgersene. Non fuori dal Meeting Room.