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Il tintinnio di piatti e posate faceva da discreto sottofondo al brusio che regnava nella piccola sala da cerimonie dell'albergo. Carson era fermo da un lato con uno dei suoi responsabili e cercava di concentrarsi su quello che si stavano dicendo. Il suo interlocutore gesticolava animatamente e il cipiglio cupo era un segnale del fastidio che gli suscitava il codice a cui lavorava in quel momento con il suo team.

«Sono certo che ne verrai a capo» disse Carson, sperando che quella risposta generica nascondesse il suo assoluto disinteresse. «Intanto bevi qualcos'altro e goditi la serata.» Indicò il bar con un cenno, auspicandosi che l'altro cogliesse il sottinteso.

«Sì, scusa...» L'uomo fece una risatina amara. «Vado a cercare mia moglie.» Si allontanò passandosi un dito all'interno del colletto della camicia, con il fisico dinoccolato che lo faceva svettare sui presenti.

Carson emise un sospiro di sollievo e ignorò la lieve fitta di rimorso. Non era sua abitudine liquidare in quel modo secco i dipendenti. Anzi, normalmente sarebbe stato lieto di approfondire il discorso e addentrarsi nei meandri tecnici del codice, specialmente a una festa. Avrebbe colto al volo quel pretesto pur di risparmiarsi l'ingrato compito di socializzare.

Ma quella sera no. Non quando doveva ancora vedere Avery.

Scolò il bicchiere di scotch e lo porse a un cameriere di passaggio. Le feste alla Faulkner erano solitamente serate tranquille e piacevoli, organizzate da Trevor e dagli amministratori per festeggiare un trimestre particolarmente proficuo. O almeno quello era il pretesto.

In realtà Carson era convinto che a Trevor piacesse averli tutti intorno, radunare i suoi dirigenti con un'attenzione all'elemento umano che spesso mancava nell'imprenditoria moderna, ma che riduceva al minimo gli abbandoni ai vertici. La sede di San Francisco aveva costantemente ricavi tra i più alti del Gruppo a livello mondiale, e lo stesso valeva per la piacevolezza dell'ambiente di lavoro.

Cogliendo con la coda dell'occhio una macchia rossa all'ingresso raddrizzò la schiena e stirò il collo. Trattenendo il fiato, con il cuore che accelerava i battiti, fu invaso repentinamente dall'emozione e dal desiderio.

Sulla soglia era apparsa Avery, tenendo stretta in mano una borsettina da sera davanti a sé. Era stupenda. Aveva i capelli raccolti in un'acconciatura che lasciava ricadere un grappolo di riccioli alla nuca. La tinta rosea delle sue gote gli ricordava il rossore che le aveva acceso il volto quando era venuta tra le sue braccia.

Carson deglutì a vuoto e si rammaricò di non avere tenuto il bicchiere per placare la bocca riarsa con un'ultima goccia.

Avery si girò verso un gruppo di donne e sorrise affabile. L'orlo del vestito si allargava a corolla con la gonna ampia che le accarezzava i polpacci mentre il corpetto le fasciava il busto e le maniche strette le arrivavano ai gomiti. Ma era la profonda scollatura a V a rendere sexy l'abito piuttosto castigato.

Terribilmente sexy.

La porzione di pelle scoperta valorizzava il suo fisico flessuoso. Aveva i seni di dimensioni normali ma scostati tra loro perciò la scollatura non rivelava il solco tra i globi di carne e le permetteva di portare una scollatura tanto ardita con classe.

Carson avvertì un fremito al pene per la voglia di affondare di nuovo nel suo sesso caldo. La sera prima aveva quasi annullato una riunione solo per vederla. ma era riuscito a trattenersi.

Lei rovesciò la testa all'indietro ridendo. Dal punto in cui era, Carson non poteva sentire la sua risata argentina, ma quel suono melodioso gli aleggiava in mente, facendolo sorridere. Si stava già dirigendo verso di lei ancora prima di rendersi conto di essersi mosso.

Ma che diavolo...?

Si bloccò di scatto e si girò nella direzione opposta, facendosi largo tra le persone e fermandosi di tanto in tanto a salutare con un sorriso e a scambiare due parole con i vari gruppetti. Normale. Era tutto normale.

Tranne per il fatto che tutto il corpo era pervaso da un formicolio per la consapevolezza della presenza di Avery. Per quanto potesse sembrare sciocco, avvertiva la sua posizione nella sala. Sapeva quando aveva preso da bere e quando si era fermata a parlare con le altre segretarie.

E quando si era dilungata un po' troppo a chiacchierare con un tizio del reparto informatico.

Carson serrò le mascelle e prese un altro scotch al bar, in barba alla sua regola ferrea di limitarsi a un unico drink durante le feste in ufficio. Bevve una lunga sorsata e il liquore gli lasciò una scia di fuoco in gola. Non aveva modo di allontanarsi da lei a meno che fosse andato via, e non l'avrebbe fatto. Finché fosse rimasta alla festa ci sarebbe stato anche lui.

Avery prese un paio di stuzzichini dal vassoio di un cameriere senza mai smettere di parlare con quello che ben presto sarebbe stato un ex dipendente di Carson. Cristo. Non poteva licenziarlo solo perché parlava con lei!

Si strofinò la mandibola e si obbligò a voltarle le spalle ma la sua determinazione durò un minuto, forse anche meno, prima che il suo sguardo si posasse di nuovo su di lei. Stava mangiando un piccolo bignè al formaggio e, quando leccò una goccia di ripieno che le era rimasta sul labbro, il pene di Carson reagì all'istante.

Stava girando per la sala con un principio di erezione a un evento aziendale. Veramente professionale. Per fortuna la giacca lo copriva abbastanza.

Vide Trevor che si dirigeva verso di lui e ne approfittò. Trevor salutava con un cenno e un sorriso cordiale tutti quelli che incrociava. Aveva un fascino naturale che ricordava a Carson suo fratello Jack. Tra i figli era quello di mezzo e si era ricavato un posto in famiglia come il più estroverso. Tutti adoravano Jack, e Carson era stato più che lieto di lasciare lui sotto i riflettori.

«Vedo che hai trovato il tuo solito posto» disse Trevor fermandosi vicino a lui contro il muro. Carson scrollò le spalle ma non rispose alla battuta allusiva. Trevor indicò Avery con un vago cenno del mento. «Le sta bene quel vestito» commentò portando il bicchiere alle labbra.

Carson trattene un ringhio. Non era geloso. Assolutamente no. Però Trevor gli rivolse un sorrisetto sagace prima di bere. Bastardo. «Ci sono tante donne belle qui» commentò Carson. Quel diversivo sembrava poco efficace anche alle sue orecchie.

Il lento cenno di assenso di Trevor non lo ingannò mentre si guardava intorno. Dalla sua espressione Carson vedeva chiaramente i calcoli e la valutazione che stava facendo. Le presenze erano sempre numerose a quegli eventi, e quella sera non faceva eccezione. «Perché le resisti così tanto?» osservò Trevor in tono disinvolto, senza guardarlo.

Carson sospirò e scosse la testa. «Non c'è nulla a cui resistere.»

Trevor fece una smorfia quasi di disgusto, poi sollevò un sopracciglio con un'aria delusa che lo colpì. «Balle.»

L'irritazione crescente gli irrigidì le spalle e gli fece contrarre lo stomaco. Si rifiutava di ammettere che quell'arrogante di Trevor avesse ragione. Il suo ego smisurato non aveva bisogno di ulteriori conferme.

Spostò lo sguardo torvo in giro per la sala, deciso a non individuare Avery. Fallì quasi subito. Era al bordo della pista da ballo, con un bicchiere di vino mezzo pieno. Il liquido rosso ondeggiava a ogni suo movimento. Avery incrociò il suo sguardo, si fermò per un istante e accennò a un sorriso, poi si girò. Essere liquidato in modo così sbrigativo lo ferì senza motivo. Fece una smorfietta, ma strinse i denti e riuscì a dominare così la mortificazione.

Era assurdo. Era stato lui a insistere per mantenere le distanze al lavoro, e invece eccolo lì, frustrato perché lei lo stava assecondando.

«Credo che sia ora di darmi i dettagli» mormorò Trevor accanto a lui.

«No» disse Carson seccamente. Smise di guardarlo in cagnesco quando Trevor sollevò di nuovo un sopracciglio. Bevve un lungo sorso di scotch e si concentrò sulla sensazione di bruciore in gola. Nessuno doveva conoscere per forza i dettagli della situazione con Avery, tranne i membri del Meeting Room che sapevano già troppo di lei.

Per esempio, come mugolava quando era eccitata o che le sue grida di piacere erano roche e soffocate.

Serrò le mascelle finché non gli fecero male i denti e strinse il bicchiere tanto forte da rischiare di romperlo. Avery era bellissima in quei momenti. Gli piaceva sapere che era tutta sua in quelle circostanze, che nessun altro poteva toccarla, anche se il desiderio negli occhi degli uomini era palese.

E ora? Qualsiasi uomo in quella stanza avrebbe potuto averla se lei avesse detto di sì.

Maledizione. Bevve ancora. Avery avrebbe potuto portare qualcuno con sé alla festa.

Quella consapevolezza alimentò la sua collera ma cercò d'ignorarla. Da settimane si rifiutava di pensarci. Avery sfiorò il braccio dell'informatico, con la bocca aperta per un'altra risata che lui non poteva udire.

E non poteva fare altro che fremere in silenzio per la rabbia.

Era solo colpa sua.

«Le regole dei rapporti con il personale non t'impediscono di frequentarla» osservò Trevor con un sorrisetto irritante. «Ma in tal caso dovresti ammettere che la vuoi.»

«Certo che la voglio» borbottò Carson senza riflettere. Chiuse gli occhi e maledisse la sua debolezza prima di tentare di minimizzare. «Quale uomo non la vorrebbe?» Eppure Avery era ancora single. Ma fino a quando?

«Davvero?» Negli occhi di Trevor si acese un lampo malizioso. «Quindi andrebbe bene se la contattassi sull'app? Magari se le proponessi di giocare insieme? Vedere se è interessata?»

«Interessata... chi?» intervenne Gregory, avvicinandosi e spostando lo sguardo da uno all'altro.

La frustrazione di Carson si mescolò alla gelosia che Trevor stava alimentando di proposito. Perché? A che gioco giocava? Carson fece un lungo respiro profondo e ritrovò la calma che aveva affinato nei lunghi anni in cui aveva sopportato le prediche e le provocazioni con cui suo padre cercava di motivarlo. Ma non avrebbe abboccato all'amo gettato da Trevor.

Trevor indicò Avery con un'occhiata eloquente e Gregory seguì la direzione del suo sguardo. Ma che diavolo...?

«Non è il posto adatto per parlarne» ringhiò Carson. Erano vicino al muro, e abbastanza lontani dagli altri invitati da avere un minimo di privacy, ma non per questo era giusto discuterne lì.

Considerato tutto quello che c'era in gioco.

Gregory si girò verso di loro e un sorriso complice e incuriosito illuminò i suoi lineamenti forti. «Mi chiedevo giusto com'era andata con lei.» Si avvicinò, abbassando la voce. «Ha un profilo striminzito sull'app. È intenzionale, o è perché è solo una socia temporanea?»

«Non è socia del club» sbottò Carson, invaso da un moto di possessività protettiva che minacciava di distruggere il filo sottile su cui era in equilibrio. «Non è disponibile tranne se ci sono anch'io.» Ogni parola pronunciata con un ringhio sottolineava il suo intento anche se non l'aveva ancora ammesso, neppure con se stesso.

«Ah, davvero?» lo provocò Trevor, guardando intensamente Avery che stava ballando con quel cretino del reparto informatico. «Chissà se lei lo sa...» insinuò.

Il gruppetto d'invitati che ballava era composto quasi completamente da donne, con qualcuno degli uomini più giovani. Avery muoveva i fianchi seguendo il ritmo incalzante di un brano hip hop; il maledetto esperto di computer ballava con lei imitando i suoi movimenti in una chiara espressione del suo desiderio, e Avery non lo scoraggiava.

«Credo di no» commentò Gregory. La sua risata penetrò nelle crepe dell'armatura di Carson, minacciando di far emergere le sue paure. Le stesse che Avery aveva innescato entrando, per una svista innocente, in una stanza in cui non avrebbe dovuto mettere piede.

E se non l'avesse fatto avrebbero entrambi perso tanto. E lui che cos'avrebbe perso se avesse continuato a insistere sul fatto di limitarsi al sesso? Sesso nel Meeting Room.

Era un cretino testardo.

«Andate al diavolo tutti e due» sibilò Carson seccamente. Sì, magari era una reazione infantile...

Difatti Trevor rovesciò la testa all'indietro e fece una risata fragorosa che fece girare qualche sguardo nella loro direzione. Per Carson non era strano sentir ridere Trevor, ma gli occhi sgranati e la bocca aperta di molti dei presenti gli fece capire che per loro era insolito.

Gregory fece un sospiro, finì la birra e posò il bicchiere. «Ho voglia di portare Tam di sopra in una camera e dormire finché non è ora di tornare a casa.»

«Come?»» La sua affermazione fece riscuotere Carson che lo fissò allibito. «Dormire?» Non era passato molto tempo da quando Gregory e Tam partecipavano attivamente agli incontri del Meeting Room, e ora voleva prendere una stanza d'albergo per dormire?

«Cristo, amico.» Gregory si passò una mano sul viso. «Due gemelli sono una fatica!»

«È per questo che non avrò mai figli» dichiarò Trevor in tono vagamente disgustato.

«Oh, però sono meravigliosi» obiettò Gregory. Il suo amore paterno traspariva da ogni parola.

«Ne sono certo.» Trevor vuotò il bicchiere, con le sopracciglia aggrottate. «Per te. Ma non tutti vogliono fare quell'esperienza.» Guardò Carson in cerca di solidarietà.

Carson sollevò il bicchiere per manifestargli il suo accordo. Non aveva mai voluto figli; ne avevano parlato quando avevano vent'anni e avevano continuato a sostenerlo anche a trenta. Però spostò lo sguardo verso Avery anche mentre brindava alla dichiarazione di Trevor. I bambini di Avery sarebbero stati bellissimi, con i riccioli biondi e gli occhi azzurri, o forse verdi. Con il suo visetto pulito e il suo coraggio anche quando lei era insicura di se stessa.

Sexy. Audace. Innocente. Temeraria. Sensibile.

E sarebbe stata anche un'ottima madre.

Carson chinò il capo e ammise infine la sconfitta. Era ebbro di lei, tanto stordito da essere quasi patetico. Quindi aveva solo due scelte: astenersi o ubriacarsi fino a perdere i sensi.