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«Buongiorno, Gregory.» Avery sorrise al suo capo quando si fermò davanti alla sua scrivania. «Vuoi che ti porti qualcosa prima delle riunioni?» Quella mattina ne aveva due, e la prima era di lì a mezz'ora.

«No, grazie.» Gregory le rivolse un sorriso stanco. Aveva gli occhi cerchiati, la giacca sbottonata e una macchiolina arancione che s'intravide sulla camicia bianca quando sollevò il braccio per grattarsi il mento.

«Sicuro?» Avery si alzò con un sorriso comprensivo. «Vado a prenderti un caffè?»

Lo sguardo di Gregory s'illuminò e il sorriso si allargò. «Grazie, volentieri.» Non era tipo da chiederle di servirlo né la trattava come se la considerasse inferiore, ed era per questo che Avery era lieta di fargli un piacere. Prendergli un caffè era semplice.

«Dovresti anche pulire quella.» Indicò la macchia, un altro tentativo di rendersi utile. Gregory abbassò lo sguardo e sospirò. «Giornataccia?»

Lui tirò la stoffa impiastricciata e la guardò storto. «Puoi dirlo forte.» Riabbassò il braccio e sbuffò. «Ieri Madison si è ammalata e Adam ha deciso di farsi contagiare proprio quando sua sorella stava meglio. Tam aveva una riunione presto oggi e...» S'interruppe serrando le labbra. «Scusa. Non dovresti preoccuparti per queste cose.» Si sforzò di sorridere. «Com'è andato il fine settimana? Ti sei divertita alla festa? Tam era delusa perché sei andata via prima che potesse salutarti.»

Avery fece una risatina stupita, notando che aveva cambiato discorso rapidamente. Gregory parlava a vanvera solo quando era stanco ed era tanto tempo che non brontolava così. Era rimasta sconcertata la prima volta in cui era successo dopo la nascita dei gemelli. Ora, però, quel vezzo lo faceva solo sembrare più umano.

«Spero che Adam si rimetta presto» disse, sincera. I gemelli erano adorabili. «E sì, mi sono divertita alla festa.» Si sforzò di non arrossire, ma non poté fare a meno di lasciar spuntare un sorrisetto. Le era piaciuta la festa, ma molto di più quello che c'era stato la notte e il giorno dopo. Gregory sollevò un sopracciglio con aria interrogativa, e Avery si affrettò ad aggiungere: «Anche a me è dispiaciuto non avere salutato Tam». Nel corso degli anni erano diventate quasi amiche. Fortunatamente era una moglie sempre pronta a collaborare con lei riguardo agli impegni di lavoro di Gregory e al suo programma. «Posso fare qualcosa per darti una mano? Farti recapitare qualcosa per i gemelli o una bottiglia di vino per te e Tam?»

Notò che la risata di Gregory era più rilassata, e lo interpretò come un buon segno.

«Solo il caffè, grazie.» Si girò verso l'ufficio, poi disse: «E le stime dei costi informatici. Per favore». Aggiunse le ultime due parole con un altro sorriso stanco.

Avery era sicura che sua moglie l'avesse ammonito di non ordinare ma di chiedere. Tam era una donna dal fisico minuto e dal sorriso dolce, che però era pronta a bastonare chiunque commettesse l'errore di mancare di rispetto a lei o a un'altra donna. «Te le ho già mandate. Sono nella casella della posta in entrata» lo rassicurò.

«Sei un dono del cielo.»

«Ricordati di scriverlo sulla mia scheda personale.» Avery gli strizzò l'occhio, scherzosa, poi rise. «Vai, su.» Mosse la mano in direzione del suo ufficio. «Ti porto il caffè.»

Si diresse verso la saletta mensa a passo leggero e con un sorriso allegro. Aveva trascorso quasi tutto il giorno precedente con Carson, ma si rifiutava di soffermarsi a riflettere sul significato della cosa. Dopo la loro parentesi trasgressiva sul tetto, avevano trascorso buona parte della mattinata a letto. Alla fine, però, avevano ordinato qualcosa con la consegna a domicilio e avevano mangiato guardando un film. Era quasi l'ora di cena quando l'aveva accompagnata a casa.

Era stata veramente una giornata perfetta, e non aveva intenzione di rovinarla con dubbi e interrogativi.

Tuttavia, non aveva idea di come comportarsi con Carson se l'avesse visto quel giorno. Aveva supposto che i loro rapporti dovessero essere formali come sempre ed era pronta ad agire di conseguenza. Erano in ufficio, lui era comunque un suo superiore.

Lì non era altro per lei.

Quando tornò alla sua scrivania sentì diverse voci nell'ufficio di Gregory. Ebbe una stretta allo stomaco appena riconobbe il timbro inconfondibile della voce di Carson. Strinse il bicchiere di carta e rallentò.

Premette il palmo sull'addome e inspirò a fondo poi espirò. Posso farcela.

Aveva un sorriso stampato sul volto quando bussò alla porta aperta. Quattro paia di occhi si girarono immediatamente verso di lei mentre entrava. «Il tuo caffè» disse guardando fisso Gregory mentre posava il bicchiere sulla scrivania.

«Grazie, Avery.» Il sorriso di Gregory sembrava sincero e ne ebbe la conferma quando bevve subito un sorso di caffè e chiuse gli occhi, sospirando. «Sei fantastica.»

«Prego.» Avery guardò Trevor, che era in piedi vicino alla finestra, poi si girò verso i due uomini seduti davanti alla scrivania del suo capo. «Posso portarvi qualcosa?»

Spostò lo sguardo da Carson all'altro uomo, con il batticuore nonostante si sforzasse di mantenere un'espressione neutra. Invece si raggelò. Tutto si bloccò – i suoi pensieri, il respiro, anche il cuore che perse un battito – quando identificò l'uomo seduto accanto a Carson.

Faceva parte del Meeting Room.

Lui le sorrise con l'espressione incolore. L'aveva riconosciuta? Lei di sicuro lo ricordava.

Si girò verso Carson che, torvo, fissava alternativamente lei e l'altro uomo.

«Io sono a posto» disse Trevor, sollevando il thermos di metallo. «Grazie.»

Avery portò di scatto l'attenzione su di lui con un sorriso tirato. Le batteva forte il cuore e sentiva il sangue ronzare nelle orecchie. Il maledetto rossore che temeva le salì dal busto al collo in un'ondata rivelatrice. Perché aveva la carnagione tanto chiara da lasciar trasparire ogni minimo imbarazzo?

Non può essere. Non qui. Non ora.

Tornò a concentrarsi su Carson che era rimasto muto, cercando di mantenersi calma. Vide che si era accigliato ancora di più e il suo sguardo si era incupito. Quel poco che rimaneva del suo sorriso si spense all'istante prima di riuscire a controllarsi. Era così per causa sua?

L'irritazione prese il sopravvento e si rimproverò per la direzione presa dai suoi pensieri. Non importava. Non in quell'ambiente. Non aveva fatto niente di male.

Trevor si schiarì la gola e l'altro uomo pungolò Carson con una lieve ginocchiata. Carson spostò subito lo sguardo verso Trevor, sempre più torvo. «Che cosa c'è?»

Gregory si lasciò sfuggire una risata che mascherò con un colpo di tosse. «Scusa» mugugnò quando Carson lo fulminò con lo sguardo.

«Credo che significhi no» disse Trevor con un sorriso di scuse. «È lunedì. È per questo che è così scorbutico.»

«Non c'è problema» rispose Avery in tono neutro. Non attese che dicessero altro. Se la diede a gambe conservando la propria dignità anche se la felicità che l'aveva accompagnata fino a quel momento era svanita come una bolla di sapone. Chiusa la porta dopo essere uscita, emise un sospiro carico di sollievo e frustrazione, ma anche di paura.

Si aspettava veramente qualcosa di diverso da parte di Carson? No. Si accasciò sulla sua sedia, ammettendo con disappunto che era una bugia. In realtà, aveva sperato in qualcosa anche quando aveva insistito sul contrario, pur sapendo che era una sciocchezza. E soprattutto quando Carson aveva espresso apertamente il suo possesso, lei aveva osato credergli.

E l'altro uomo? Avrebbe detto qualcosa? Carson l'aveva portato lì di proposito? Per metterla alla prova o forse soltanto per provocarla?

O per ricordarle che tra loro c'era solo sesso?

Emise un lungo respiro e chiuse gli occhi per qualche istante, riflettendo. Lo sconosciuto sembrava un uomo d'affari. Era nell'ufficio di Gregory, e c'era anche Trevor. Era più che probabile che fosse lì per una riunione con loro. Inoltre era vincolato dall'accordo di riservatezza sottoscritto. Non avrebbe potuto dire niente agli altri. Ma forse poteva avvicinarla in privato.

Un'altra ondata di rossore si diffuse sul suo torace contratto per la vergogna che ormai si era impadronita di lei. No! Scosse la testa, sempre più determinata. Non aveva nulla di cui preoccuparsi. Imbarazzata forse sì, certamente. Ma non si sarebbe vergognata perché aveva partecipato a un incontro di sesso in cui c'era anche lui.

E probabilmente stava ingigantendo la cosa senza motivo.

Non aveva il tempo di concentrarsi su Carson o su quello che c'era tra loro, qualunque cosa fosse. Sempre che ci fosse qualcosa. E non poteva soffermarsi a riflettere sui dettagli intimi che forse l'uomo conosceva su di lei. Non lì in ufficio.

Ma perché non aveva mai preso in considerazione quell'aspetto prima di allora, ovvero il rischio di potersi imbattere in un partecipante? Per ingenuità forzata? Per ottusità volontaria?

O forse perché in balia del semplice desiderio di esplorare la dimensione delle sue smanie sessuali con un uomo incredibilmente bello, affascinante, forte, sensibile, spiritoso e premuroso?

Incurvò le spalle e si appoggiò meglio allo schienale. La verità aveva il potere di sgomberare le bugie dalla sua collera. Sì, voleva qualcosa di più da Carson, ma ciò non significava che fosse reale o che potesse succedere. E aveva accettato quell'accordo sapendolo.

Ogni riflessione che la riportava a quel patto, purtroppo, non riuscì ad allentare la pressione sul cuore né a liberarla dalla delusione che stava sgretolando la fragile barriera eretta intorno ai suoi ogni. Che potesse esserci il lieto fine tra lei e Carson era poco probabile.

Nonostante lei desiderasse il contrario.

Ma ora basta piangersi addosso.

Spinse la poltroncina in avanti e digitò la password del computer premendo troppo forte i tasti, con rabbia. Doveva concentrarsi sul lavoro. Era in ufficio. Carson era solo un uomo, e lei doveva mantenere in piedi il suo orgoglio senza lasciarsi abbattere. Il suo rendimento professionale non era mai peggiorato per colpa di un uomo, e non avrebbe cominciato ora.

Digitò poi con altrettanta foga il codice di accesso per entrare nel programma finanziario e guardò intensamente i numeri. Almeno quelli erano logici, erano organizzati perfettamente e il risultato era sempre comprensibile e credibile. Raramente mentivano. Poteva fidarsi di loro, e in quel momento oltretutto servivano per distrarla.

Quando era in ufficio, non c'era posto per Carson nei suoi pensieri. E neanche nei suoi sogni, nonostante vi si fosse già insinuato.