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L'aroma di cipolle e peperoni stuzzicò le narici di Carson mentre spargeva le verdure tagliate a cubetti sulle uova sbattute. Coprì la padella, mise due fette di pane nel tostapane e bevve un sorso di caffè prima di controllare l'omelette.

Inclinò la padella per far scivolare le uova ancora liquide da un lato, poi vi mise sopra degli spinaci freschi. Era tantissimo tempo che non si concedeva il tempo necessario per cucinare una vera colazione con tutti i crismi, e sentiva brontolare lo stomaco pregustando il cibo.

«Wow» disse Avery entrando nella stanza. «Tu sì che sai cucinare.» Si stropicciò gli occhi e sbadigliò, poi gli rivolse un sorriso languido mentre scostava i capelli dal volto, ancora roseo di sonno. Aveva di nuovo addosso la maglietta grigia di Carson, che stavolta lui le aveva lasciato sul letto. Il pene di Carson ebbe un fremito al pensiero che sotto era nuda.

Dopo la serata trascorsa al sex club aveva intenzione di mettere una certa distanza tra loro, ma la mattina dopo si era svegliato pensando a lei. Dopo averla sognata.

E l'aveva desiderata ancora di più.

Perciò quella sera avevano preso il caffè dopo il lavoro, poi erano usciti insieme la sera successiva, e in mezzo si erano scambiati diversi messaggi.

«Non ti prometto niente» le disse tornando a concentrarsi sull'omelette per evitare di bruciarla. Ormai quella maglietta era di Avery, in effetti. Non avrebbe più potuto indossarla senza pensare a lei. Il microonde emise un bip, e lui lo aprì per tirare fuori le fette di pancetta.

Avery annusò l'aria. «Che odorino!»

«Almeno pane tostato e pancetta sono assicurati.» Carson aggiunse le fette a quelle già cotte, poi si girò verso il fornello per aggiungere una spolverata di formaggio all'omelette. «Quasi pronto.» Indicò la fila di capsule vicino alla macchina del caffè. «Ho comprato qualche nuovo tipo.» Piegò l'omelette a metà, con un moto di esultanza quando non si ruppe.

Avery gli cinse la vita con le braccia e Carson si bloccò, invaso da un senso di serenità. Gli posò la testa tra le scapole e lui assorbì la sensazione del suo corpo che gli premeva addosso.

Era un contatto semplice, piacevole e molto più intimo di tanti giochi erotici a cui aveva partecipato.

«Grazie.» Il respiro caldo di Avery penetrò il tessuto setoso della maglietta atletica. Un brivido gli increspò la pelle dissipando il calore e Carson avvertì uno strano palpito di emozione. «Non dovevi.»

«Lo so.» Carson spense il fornello, tagliò l'omelette con la spatola e fece scivolare le due metà sul piatto. «Però volevo.» Avery si mosse insieme a lui seguendo i suoi gesti, ondeggiando con il suo corpo mentre Carson finiva di servire la colazione.

«Come mai?» Avery gli baciò la schiena, poi si staccò da lui per andare a leggere le etichette delle capsule di caffè.

Carson si accigliò, distratto. «In che senso?»

«Come mai volevi cucinare?» Avery infilò una capsula nella macchina del caffè e abbassò la leva, poi lo guardò con un sorriso che esprimeva solo curiosità.

Lui attese che la macchinetta del caffè finisse di borbottare e ronzare, poi rispose: «Perché è tanto che non lo faccio». Per un'altra persona.

«No?» Avery lo guardò stupita. «Be', sappi che puoi cucinare per me tutte le volte che vuoi.»

Prese la tazza e si sedette sullo sgabello dall'altro lato della penisola della cucina. Dopo il primo sorso di caffè il suo sorriso si allargò. Non era proprio da orgasmo, ma decisamente soddisfacente.

Carson si schiarì la voce e si girò per spalmare il burro sul pane tostato. Sarebbe stato troppo facile lasciar perdere la colazione e riportarla a letto. «Che programmi hai per oggi?» le chiese, per evitare di pensare ad Avery nuda e ansante a letto, che lo implorava di farla venire.

«Di solito il sabato mattina vado al mercato agricolo.» Carson le posò davanti il piatto e lei annusò con un mugolio di piacere. «Ha un'aria appetitosa. Che c'è dentro?»

Lui scrollò le spalle con finta noncuranza per il suo complimento. «Solo verdura e formaggio.» Avery diede un morso a una fetta di pancetta mentre lui faceva il giro per sedersi accanto a lei. «In quale mercato vai?» In città ce n'erano diversi.

«Andiamo sempre a quello grande di Ferry Plaza.»

«Andiamo?» ripeté lui.

«Io e Karen.» Avery si strinse nelle spalle. «Però le ho detto che forse oggi avevo un impegno.» Lo guardò con la coda dell'occhio con un sorriso birichino.

Carson avvertì di nuovo un fremito al cuore che gli fece diffondere un senso di contentezza in tutto il corpo. Che sciocco! Però non poté fare a meno di sogghignare né di provocarla. «Ah, sì? E con chi?»

Avery gli rivolse un'occhiataccia minacciosa come il ringhio di un cucciolo. Gli diede un colpetto a un braccio mugugnando: «Cretino».

«Chi, io?» Carson la guardò con l'aria innocente che aveva padroneggiato prima dell'adolescenza. Con tre maschi in casa, ce n'era sempre uno che si metteva nei guai, e lui aveva imparato a fare di tutto pur di schivare la collera di suo padre... e soprattutto di sua madre. Il suo sguardo deluso lo colpiva più delle urla belluine di suo padre.

«Non m'incanti con quello sguardo da tenerone» lo avvisò lei. «So troppe cose di te per cadere in trappola.»

Era vero, era innegabile. E quello era l'ennesimo passo avanti verso l'ignoto, ma lui non aveva alcuna voglia di allontanarsi dall'abisso.

Si concentrò sul piatto e cominciò a mangiare. Non aveva nulla da replicare, neanche con una battuta. La situazione con Avery stava procedendo troppo rapidamente perché potesse averne il controllo. Lo stomaco fece un tuffo come sulle montagne russe, ma era una sensazione a cui ormai si era abituato nell'ultima settimana. La ignorò, identificandola correttamente come un moto di paura nervosa.

«Come hai fatto ad avere dei biglietti per quei bei posti allo spettacolo di ieri sera?» gli chiese Avery prima di mangiare un boccone di omelette ed emettere un altro mugolio sommesso di apprezzamento.

Carson la fissò, ripensando alla notte prima, quando l'aveva spogliata lentamente prima di dare fondo a tutte le sue arti amatorie per udire esattamente lo stesso suono di godimento. Si schiarì la voce e spostò le gambe mentre beveva il caffè. «Trevor» rispose quando riuscì a pensare con qualcosa che non fosse il suo pene.

«Ringrazialo da parte mia.» Avery sorrise e gli sfiorò il braccio. «Come facevi a sapere che mi piacciono i musical?»

Carson scrollò le spalle. «A chi non piacciono?» Gregory gli aveva riferito il consiglio di sua moglie, ma Carson non gliel'avrebbe mai rivelato. Era una delle tante cose che non le aveva detto. I sensi di colpa lo pungolarono, ma lui li ignorò ostinatamente, o almeno ci provò. Cavoli.

Posò la forchetta e si girò sullo sgabello per guardarla. Lei sollevò un sopracciglio e incurvò gli angoli della bocca. «Che c'è?» sbottò in tono ironicamente sospettoso, come lo scintillio degli occhi che avevano assunto una tinta più chiara invece dell'azzurro cupo e passionale della notte.

«Ti sta bene questo?» le chiese, volutamente vago. Come avrebbe interpretato la domanda? E come avrebbe risposto?

Avery divenne seria e aggrottò le sopracciglia, raddrizzando la schiena. «Questo cosa?»

Lui abbozzò un sorriso. Avrebbe dovuto immaginare che Avery non avrebbe abboccato all'amo. «Il punto in cui siamo.» Un'altra frase vaga.

Lei si girò verso di lui, infilando le gambe tra quelle aperte di Carson. Rifletté per qualche istante, ma lui attese pazientemente. «Mi andava bene» disse infine. «Finché non hai detto qualcosa al riguardo.» Unì le mani in grembo e inclinò la testa di lato. «Che cosa c'è che non va?»

«Niente.» Carson le coprì le mani con le sue e ne accarezzò il dorso con i pollici nel tentativo di rabbonirla. «Sinceramente» la rassicurò. «Volevo solo essere sicuro. Abbiamo cominciato in un punto molto diverso da quello in cui siamo adesso.» Solo sesso. Sesso sfrenato, passionale, erotico.

E ora?

«Vero» annuì lei lentamente, pensosa. «Per te è un problema?» Cercò di liberare le mani dalla sua stretta, ma lui non glielo permise, perché si stava allontanando rapidamente da lui.

«No.» Scosse la testa, cercando di farle leggere la verità nel suo sguardo. «Non ho alcun problema per come sono cambiate le cose.» Però continuava a rifiutarsi di definire esattamente come fossero cambiate. Non era ancora pronto ad ammetterlo, neppure con se stesso.

Lei abbassò lo sguardo verso le loro mani unite e Carson cercò le parole che potessero lenire la preoccupazione che aveva instillato in lei.

«Posso chiederti una cosa?»

Avery alzò lo sguardo e annuì.

«Come ti è sembrato il club dell'altra sera?» Non ne avevano parlato dopo. Avrebbe dovuto chiederglielo quando erano andati via, ma era ancora turbato dall'idea di avere un figlio da Avery, e in collera con se stesso per essere stato tanto imprudente da trascurare le più elementari precauzioni.

L'espressione di Avery passò dalla confusione alla sincerità. Serrò leggermente le labbra prima di parlare. «È stato diverso. Eccitante per certi versi, ma...» Si accigliò e quell'adorabile rossore le tinse le gote.

«Ma cosa?» la incalzò lui, visto che rimaneva zitta.

Avery sospirò e fece una smorfia. «Ma non è stato altrettanto intimo.»

Carson trattenne un sorriso e annuì, comprendendo che cosa volesse dire. «Come nel Meeting Room

«Sì.» Avery sgranò gli occhi con aria innocente, ma nel suo sguardo c'era anche la consapevolezza di quello che piaceva a entrambi degli incontri del Meeting Room.

«È un'esperienza più profonda, no?»

Avery annuì lentamente.

«C'è una condivisione che comporta un implicito legame di fiducia tra i partecipanti, per gli atti sessuali che si compiono e a cui si assiste in un ambiente aperto ma esclusivamente privato.»

Lei si umettò le labbra. «Sì, esatto» bisbigliò. Deglutì e negli occhi si accese un lampo di calore che li incupì, permettendogli di leggere tutti i pensieri proibiti che le passavano per la testa. Desiderio. Libidine. Eccitazione. Il gusto del proibito.

Carson le lasciò le mani e fece scorrere le dita lungo il contorno del viso. Avery chiuse gli occhi e sollevò il mento per assecondare il suo tocco, in una dimostrazione di fiducia, con una nota ingenua che lo attirava e rendeva la passione di Avery ancora più affascinante. «Vuoi continuare a partecipare agli incontri?» Trattenne il fiato, mentre il suo desiderio oscillava tra sì e no.

Avery aprì gli occhi e gli mostrò nelle iridi l'indecisione che la rendeva combattuta, come lui. «Non lo so.» Corrugò la fronte. «Io...» Deglutì. «Mi piace come abbiamo fatto finora.»

In pratica le regole erano sempre le stesse. Perfetto. «Possiamo fare qualcosa di più.» Molto di più.

«È quello che vuoi?»

Farla impazzire mentre gli altri lo guardavano invidiosi? Toccarla? Stuzzicarla sapendo che era l'unico a poterle dare piacere? Farla venire, sentirsi serrare dagli spasmi del suo sesso?

Sì, gli sarebbe piaciuto un mondo.

«Solo se lo vuoi anche tu» precisò.

Avery si protese verso di lui poggiandogli le mani sulle cosce. Carson ebbe un fremito nel vedere la promessa che le faceva risplendere gli occhi.

Le racchiuse una guancia nel palmo, piacevolmente sorpreso perché Avery era disposta a parlarne e addirittura a prendere in considerazione quella possibilità. Poteva davvero averla e anche soddisfare i suoi gusti erotici?

«Sì» bisbigliò.

Carson ebbe un tuffo al cuore per l'emozione del dono che gli aveva fatto. «Ti ho mai detto quanto sei straordinaria?» disse, meravigliato e incantato.

«No.» Avery sorrise maliziosa. «Ma puoi farlo quando vuoi.»

Carson rise poi l'attirò a sé. «Non mancherò.» Le catturò la bocca con la sua, soddisfatto ma anche invaso da un'emozione che stentava ancora a definire.

Non c'era bisogno di analizzarla, però. Non quando aveva davanti a sé tutto ciò che voleva.

Lei socchiuse le labbra e la lingua di Carson sfiorò la sua, assaporando il gusto del caffè e dell'omelette. Avery emise un gemito carico di desiderio.

Come poteva allontanarsi da quella passione? Non riusciva proprio a negarle niente. Non che volesse farlo...

Non più.