26

Carson non ricevette altro avvertimento che un unico colpo alla porta prima che Gregory entrasse come una furia, sbattendola alle sue spalle.

«Che diavolo hai fatto?» urlò. La sua collera vibrò nella stanza e investì Carson. Gregory gli puntò contro un dito con aria di accusa. «Ti ho detto espressamente di non fare casino, di non combinare guai con la mia segretaria, e invece l'hai fatto.»

Carson raddrizzò la schiena di scatto. «Ma di che diavolo parli?» Avery. Non sapeva niente, però lei c'entrava qualcosa.

Gregory scosse la testa serrando le labbra in una linea dura, poi emise un ringhio cupo, si girò, si diresse verso la parete e tornò indietro.

Carson si alzò in piedi, con lo stomaco stretto dall'ansia.

«Perché le hai tenuto nascosta l'app?» esclamò Gregory agitando le mani, frustrato. «Perché?»

L'app?

Il nodo allo stomaco di Carson si strinse ancora di più per la paura. Deglutì, invaso dai sensi di colpa. C'era una sola app a cui Gregory potesse riferirsi. Oh, porca vacca.

«Che cosa è successo?» chiese, preoccupato per Avery. Stava bene? Dov'era? Fece il giro della scrivania. «Devo andare da lei.»

«Non è qui» sbottò Gregory, facendo un passo di lato per bloccargli il passaggio con un gesto discreto ma deciso, mettendo le mani sui fianchi. «Grazie a te.»

Carson si fermò, sentendo l'ira che cominciava a ribollirgli dentro. Strinse le mascelle e represse l'impulso istintivo a reagire, stimolato dall'orgoglio. «Spiegati meglio» ringhiò con voce roca. «Avanti, dimmi tutto.»

Un altro colpo alla porta riverberò nella tensione che permeava la stanza, poi la porta si spalancò e Carson spostò lo sguardo ostile verso Trevor che entrava e lo ricambiò con un'occhiata altrettanto torva.

«Che succede?» esclamò Trevor, frustrato, spostando lo sguardo da uno all'altro.

«Sei andato prima da lui?» Carson accusò Gregory. Era sempre più disgustato. E continuava a non conoscere ancora l'esatta portata del problema.

Avery. La preoccupazione che gli martellava le tempie scese a serrargli il torace fino a rendergli difficoltoso ogni respiro.

«Dovevo» sbottò Gregory. «Hai sbagliato e ora ho una moglie arrabbiata e una segretaria in meno.»

«Che cosa ho fatto?» ringhiò Carson.

«Non le hai detto dell'app» ribatté Gregory, puntandogli di nuovo l'indice contro.

«E allora?» esclamò Carson. I sensi di colpa, però, che gli pesavano sui polmoni come un macigno vanificavano ogni suo tentativo di respirare. Gli ronzavano nella mente mille pensieri sulle possibili ripercussioni, dalle peggiori in cui venivano esposti tutti gli iscritti del Meeting Room a quelle meno drammatiche in cui restava senza lavoro e senza Avery.

Quel pensiero gli trafisse il cuore provocandogli una fitta lancinante di dolore.

«Basta» disse Trevor, categorico, troncando il battibecco. Fulminò con lo sguardo Carson e Gregory con aria di rimprovero e un'espressione severa.

Carson fissò il pavimento serrando i denti, infastidito. L'umiliazione per la sgridata rendeva ancora più agitato il mare tempestoso di angoscia, sensi di colpa e preoccupazione.

«Spiegaglielo, Gregory» gli ordinò Trevor in tono secco.

Carson alzò lo sguardo per fissare il suo accusatore. Avrebbe sopportato qualsiasi cosa avesse detto Gregory e affrontato il problema, come sempre.

Gregory fece un respiro profondo poi esalò il fiato in un lungo sbuffo. «Avevo dimenticato a casa il fascicolo di McPherson.» Fece una smorfia quando Trevor lo fulminò con lo sguardo. «Lo so, lo so, non avrei dovuto, ma avevo passato una nottataccia con i bambini.» Si passò una mano fra i capelli, scompigliando ancora di più i ricci ribelli. «Ho chiesto ad Avery di fare un salto a casa mia e farsi dare la cartellina da Tam. Mentre era lì, Tam ha accennato all'app del Meeting Room

«Perché?» sbottò Carson. Perché diavolo ne avrebbero parlato?

«Non lo so» ribatté Gregory. «Ma la vera domanda è perché non hai detto niente ad Avery.»

Due paia di occhi trafissero Carson, in attesa della sua risposta, ma lui non sapeva che dire. La verità lo sbeffeggiava, per quanto si rifiutasse di affrontarla. Cercò di respirare ma fallì miseramente. Nella mente gli passarono mille risposte possibili, ma solo una era quella giusta: per paura e per avere il controllo.

E aveva rovinato l'unica cosa a cui tenesse. Quella consapevolezza gli fece venire la nausea, mentre un sudore freddo gli si diffondeva in tutto il corpo.

«Dov'è adesso Avery?» chiese Trevor.

«Non lo so» rispose Gregory a bassa voce, in tono rassegnato. «L'addetto alla sicurezza all'ingresso mi ha fatto recapitare il fascicolo con un suo biglietto, in cui diceva che non si sentiva bene e avrebbe preso il resto della giornata.»

Trevor guardò Carson. «Ti ha contattato?»

«No.» Non una parola dopo il messaggino con cui gli aveva augurato il buongiorno prima che lui arrivasse in ufficio.

Trevor socchiuse gli occhi e incrociò le braccia, scrutandolo con lo sguardo penetrante che Carson conosceva bene.

«C'è dell'altro» aggiunse Gregory, circospetto. Lanciò un'occhiata a Carson poi tornò a guardare Trevor. «Tam le ha detto che io e lei facciamo parte del Meeting Room. È per questo che ha parlato dell'app. Le ha detto che era a sua disposizione se Avery aveva delle domande o se voleva confrontarsi riguardo al gruppo.» Si passò una mano sulla nuca e fece una smorfia. «Ha anche detto che tu avresti potuto darle l'accesso all'app, oltre a Carson.»

Trevor assunse un'espressione neutra. Tecnicamente, Tam non aveva rivelato ad Avery niente che i membri del Meeting Room non sapessero. Ma... «Fammi indovinare» disse trapassando Carson con lo sguardo. «Avery non sapeva niente di Gregory o Tam né di me.»

I sensi di colpa rialzarono la testa e colpirono Carson allo stomaco prima di serrargli il torace in una morsa. «No.» Scosse la testa lentamente, in tono mortificato. «Non c'era bisogno che lo sapesse.» Perché lei reprimeva i suoi desideri per la vergogna quando si trattava di esporli a qualcuno che conosceva, ed era stata presa alla sprovvista da quella realtà.

Dannazione.

«Non c'è vero consenso se non si hanno tutti gli elementi» disse Trevor in tono secco e convinto.

«Lo so.» Carson lo guardò negli occhi e riuscì a restare impassibile. «Ho sbagliato.» Quell'ammissione non alleviò la vergogna che gli bruciava sempre di più.

Trevor si girò e si diresse verso la finestra per guardare fuori, con le mani sui fianchi e le spalle che si sollevavano e si abbassavano a ogni respiro profondo. «Gli iscritti hanno il diritto di sapere tutto per poter valutare se il Meeting Room fa per loro.»

«Hai ragione.» Carson non tentò neanche di contraddire il suo avvertimento. «Però per Avery è stato diverso fin dall'inizio, lo sai.»

Trevor si voltò a guardarlo. «Ma mi hai detto che era tutto sistemato.»

«Ed era così» sbottò Carson. «Anzi, andava tutto splendidamente finché Tam non ha aperto bocca.»

«Non incolpare Tam per i tuoi errori» ringhiò Gregory.

Carson abbassò gli occhi, mortificato. «Hai ragione, scusa.»

Si sforzò di rialzare lo sguardo verso Gregory che serrò leggermente le palpebre ma fece un cenno di assenso. «Devi risolvere la cosa.»

«Lo so.» L'irritazione gli serpeggiò sul collo facendolo formicolare, insieme a un senso crescente di disperazione e di perdita. La verità lo colpì in faccia come uno schiaffo anche se aveva cercato di evitarla. «Devo trovarla.» Si precipitò verso la porta d'impulso.

«Aspetta.»

Si bloccò sentendo l'ordine di Trevor, con il cuore che batteva forte e i nervi a fior di pelle. Ora che aveva un obiettivo fremeva per l'impazienza. Doveva parlare con Avery e spiegarle quello che aveva fatto prima che balzasse a conclusioni affrettate. Ma era senz'altro già successo, pensò poi, con una risata sarcastica che gli risuonò nella mente.

Trevor si diresse verso di lui con un cipiglio truce. «Capisco che per te è diventata una questione personale.»

Carson non poté fare a meno di emettere uno sbuffo sardonico. Personale era dire poco.

«Però la cosa ha dei risvolti legali» continuò Trevor. «Non può parlare del Meeting Room, altrimenti le faccio causa» dichiarò con voce glaciale come il suo sguardo.

Carson fu invaso da un moto di furia protettiva. Gonfiò il petto, pronto a ribattere, ma Trevor lo prevenne.

«E non può citarci per molestie sessuali, se dovesse venirle in mente» aggiunse, guardando anche Gregory. «Nessuno l'ha costretta a iscriversi al Meeting Room o l'ha minacciata, giusto?»

«Non ha subito alcuna pressione» sibilò Carson. Era stato attento ad assicurarsi che Avery decidesse di sua spontanea volontà. «E la tua opinione nei suoi confronti è offensiva.»

«Non sarebbe da lei» la difese Gregory. Il suo sguardo torvo faceva capire che cosa pensava delle insinuazioni di Trevor.

Trevor liquidò le loro obiezioni con una scrollata di spalle. «Non ho alcuna opinione. La mia responsabilità è verso l'azienda e la proteggerò facendo tutto il necessario.»

«Sei un bastardo» ringhiò Carson. «Nella vita non c'è solo questa dannata azienda.»

«È vero» annuì Trevor, alzando la voce. «Devo proteggere più di cento dipendenti e milioni di dollari d'investimenti dei clienti.» Fece un respiro profondo. «Avery è una goccia nel mare.»

Una goccia nel mare.

Quella definizione che la sminuiva non si adattava a quella donna, che era diventata tutto per lui.

«Chiamo Burns» dichiarò Trevor, tirando fuori il cellulare dalla tasca.

«Non serve l'avvocato» insistette Carson.

«Sperò di no, ma dev'essere informato.» Trevor si diresse verso la porta. «Per il momento non dirò nulla ai legali della società.»

La porta si chiuse alle sue spalle. Quel rumore secco ma sommesso inchiodò Carson come una condanna.

Gregory si schiarì la voce. «Scusa per questo» disse indicando la porta, intendendo Trevor.

Carson fece una risatina sarcastica. «Non è colpa tua.» Assolutamente no. Era solo colpa sua. «E scusa ancora per Tam. Non ha fatto niente di male.»

Gregory gli rivolse un sorrisetto tirato e si girò verso la porta. «Se ho sue notizie ti avverto.»

Carson annuì. «Grazie.»

Dopo che Gregory fu uscito, Carson fu avvolto dal silenzio ma nelle orecchie gli risuonavano tutte le condanne che mano a mano gli venivano in mente. Avery si era fidata di lui, e lui l'aveva delusa. Completamente.

L'avrebbe mai perdonato?

Avrebbe dovuto?

Maledicendo la propria stupidità, prese il cellulare. Non c'erano messaggi né chiamate perse. Chiamò Avery e attese, con il cuore in gola per la speranza. Al quinto squillo s'inserì la segreteria telefonica come si aspettava, ma non avrebbe potuto fare a meno di provarci. Le lasciò un breve messaggio chiedendole di richiamarlo, decise di scriverle anche. Stai bene? Mi dispiace. Possiamo parlare?

Inviò il messaggio e fissò il telefono. Dopo qualche secondo si diede dello stupido. Avery non avrebbe risposto.

Doveva trovarla.

Quando uscì dall'ufficio come una furia, Jean sussultò e alzò la testa di scatto.

«Sarò fuori tutto il giorno» l'avvertì senza guardarla né aspettare che rispondesse. Aveva una missione e non si sarebbe fermato finché non si fosse accertato che Avery stava bene.

Anche se il prezzo fosse stato quello di uscire per sempre dalla sua vita.