La vociferata enormità della sala da ballo di Lord e Lady Simpkin era di gran lunga sopravvalutata. Juliet avrebbe fatto meglio a non farsi allettare dall'entusiasmo di Marjorie Harwick quando era passata per il tè. Non c'erano più di un centinaio di persone ammassate nella sala, e altre cento vagavano per il giardino illuminato da torce. E quei duecento ospiti erano quattro volte di più di quelli che avrebbero dovuto essere invitati.
Purtroppo, ormai non ci si poteva più fare nulla, dal momento che lei aveva declinato gli altri inviti per quella sera. Inoltre, c'era il Visconte Ellery, il centro primario del suo interesse.
In realtà, era presente la maggior parte dei membri insigni del ton a parte uno. Per quanto strano, Max non c'era. Era a un altro ricevimento, magari uno in cui poteva tenere d'occhio il suo candidato? Uhm... Lei si domandò, e non per la prima volta, chi avesse scelto. Ma senz'altro non era nessuno di tanto ammirato come Ellery.
Anche in quel momento, il candidato di Juliet era circondato da un gruppo di timide debuttanti, nei pressi della grande meridiana al centro del giardino recintato. Nel frattempo, una sparsa frotta di madri condiscendenti osservava con impazienza. Ellery non solo era uno degli scapoli più ambiti, ma era anche stimato da ogni gentiluomo che lei conosceva.
La percezione di una vittoria certa la travolse come una pioggia fresca dopo un temporale. Aveva già iniziato a immaginare di decorare ogni stanza della sua residenza di città con altra carta da parati, splendidi tappeti Axminster e mobili imbottiti di nuovo.
«Ah, ecco Marjorie» esclamò Zinnia accanto a lei, lisciandosi una piega sul davanti del sobrio abito verde pistacchio. «Anche se vorrei che avesse indicato a Lord Thayne di entrare dal cancello del giardino come abbiamo fatto noi, per evitare la stretta degli ospiti.»
Lo sguardo di Juliet saettò all'estremità opposta della sala da ballo e d'un tratto scorse una familiare testa bruna, con sua madre a braccetto. Marjorie aveva un aspetto scomposto ma elegante, con l'abito color bronzo e gli orecchini pendenti che ondeggiavano quando scuoteva il capo. Max si chinò per conversare con lei, voltando leggermente le ampie spalle vestite da una giacca grigio ardesia di taglio impeccabile. Il colore era piuttosto attraente su di lui, gli accentuava al contempo il bianco della cravatta e la carnagione scura e gli affascinanti lineamenti duri. Naturalmente, Juliet sarebbe stata l'ultima a dirgli quanto stesse bene.
«Senza dubbio Marjorie avrà cercato di avvisarlo, ma lui ha deciso di non ascoltare» affermò.
Percependo evidentemente il suo attento esame, Max spostò gli occhi verso di lei. Juliet non distolse lo sguardo, nemmeno quando i pensieri e i sensi furono travolti dal ricordo conturbante di un dolce pasticcino scaldato dal sole. Gli vide guizzare un angolo della bocca, come se lui fosse a conoscenza di ciò che provava. Quando chinò il capo in un cenno di saluto, lei fece altrettanto e, alzando le sopracciglia, gli augurò buona fortuna per attraversare la folla.
Tuttavia, se c'era un modo per superare quell'orda, anche al solo scopo di pungolarla con qualche tipo di dissenso, Max lo avrebbe trovato.
Nel frattempo, lei fece del proprio meglio per ignorare l'improvviso formicolio di calore che dalla punta delle dita le scorse lungo le braccia come un sussurro scandaloso. Del resto, l'ultima cosa che desiderava era diventare di un rosso acceso con quella calca.
Aprendo il ventaglio con uno scatto, prese delle misure precauzionali. Il gesto mise in moto il pomander dorato che aveva al polso, diffondendo una piacevole fragranza. Di solito lo riempiva solo di acqua di rose, ma di recente aveva iniziato ad aggiungere una goccia o due di essenza di sandalo. Proprio in quel momento, la aiutò a soffocare l'odore sgradevole che proveniva dal gentiluomo accanto a lei.
Zinnia schioccò la lingua in segno di biasimo. «I gentiluomini di una certa età di rado ascoltano i consigli delle madri, ma un paio di parole sagaci da parte di una moglie avrebbero fatto la differenza.»
«Max non ascolterebbe sua moglie più di quanto non ascolterebbe un gambo di sedano.» Juliet rise. «È troppo innamorato della propria opinione. Qualsiasi moglie dovrebbe possedere incredibili doti nell'arte della discordia.»
«Non ci sono molte debuttanti che potrebbero tenergli testa.»
«Già. Sono tutte troppo impazienti di compiacere i mariti.» A proprio discapito, come Juliet sapeva dall'esperienza vissuta in prima persona. «Mi spiacerebbe vedere una ragazza ingenua appioppata a un tale mulo ostinato.»
«Allora forse potresti aiutare Marjorie. Ha stilato un elenco e sta cercando di condurre Lord Thayne nella direzione delle donne più adatte alla sua natura.»
Juliet sentì qualcosa rimescolarsi dentro di lei. «È per questo che loro due sono qui questa sera?»
Quando Zinnia annuì, lei iniziò a gettare lo sguardo sulle debuttanti presenti, cercando quelle con una forte volontà. Scorgendo una temibile coppia di creatrici di scompiglio, sentì montare la collera. Durante quella Stagione, sia Miss Ashbury sia Miss Leeds avevano fatto ogni tentativo per calpestare le altre debuttanti sul loro cammino con attacchi malevoli e diffondendo odiosi pettegolezzi.
«Ah. Vedo la direzione del tuo sguardo» osservò Zinnia con controllato trasporto. «Anche se, dopo il modo in cui hanno trattato la nostra Lilah, non so quanto potrò essere gentile con loro, se Lord Thayne ne scegliesse una come sposa.»
Juliet era d'accordo. «Per quanto Max mi irriti, non gli augurerei mai un simile destino. Nel profondo, molto nel profondo, ha un cuore, che sono sicura concederebbe a sua moglie. Ma se si unisse a un'arpia, lei se lo mangerebbe e lo lascerebbe senza. Ci sono alcuni tipi di persone che non dovrebbero mai sposarsi.» Le giovani crudeli erano su quella lista, ovviamente. Ma c'era anche un posto riservato a una debuttante a cui era mancata la fiducia in se stessa e che aveva sposato un uomo che trattava tutti quelli che conosceva come oggetti.
Juliet si era chiesta spesso se non sarebbe stato meglio vivere con la vergogna della rovina. Tuttavia la sua non era stata l'unica reputazione che avrebbe affrontato la caduta in disgrazia. Al tempo, suo padre era stato a un passo dalla prigione per debiti e quindi lei aveva fatto quello che ci si aspettava da una figlia coscienziosa.
«Credo che ne parlerò con Marjorie. Ti va di unirti a me? La tua opinione sarebbe inestimabile.» Zinnia fece segno all'amica di prendere le scale della galleria all'estremità della sala. «Farà un caldo eccessivo di sopra, ma almeno ci sarà aria respirabile.»
Juliet stava ancora seguendo con lo sguardo Miss Leeds e Miss Ashbury che si dirigevano in giardino. Sembrava che il loro attuale obiettivo fosse il Visconte Ellery. Erano riuscite a far fuggire spaventate persino tutte le altre debuttanti. Ed Ellery, con il suo carattere tranquillo e cavalleresco, non aveva alcuna possibilità. Era evidente che necessitava di aiuto.
«Penso che sarebbe meglio se tenessi per me le mie opinioni riguardo alle prospettive di Max. Perciò resterò in giardino e mi dirigerò alla panchina di pietra in fondo.» Si dava il caso che così avrebbe dovuto girare intorno alla meridiana per arrivarci.
Mentre si avvicinava, Juliet capì che non c'era da stupirsi se Ellery aveva ottenuto tanto favore nell'alta società. Non solo il suo carattere era notevole, ma era anche piuttosto attraente, con una folta chioma di biondi capelli ondulati e occhi profondi. Anche se non aveva il fascino esotico di Max o la sua virilità, possedeva una discreta regalità. Purtroppo non avrebbe mai discusso per difendere la propria opinione, ma avrebbe tenuto a freno la lingua quando i suoi pensieri non fossero stati in linea con quelli di un altro. Che idea piacevole!
Miss Leeds e Miss Ashbury avevano già manovrato per contendersi la sua attenzione e ora avevano fiancheggiato Ellery su ciascun lato, lanciando occhiate fulminanti a chiunque osasse avvicinarsi.
Juliet formulò in fretta un piano d'azione, che non solo avrebbe fornito al gentiluomo una valida scusa per abbandonare le attuali compagne, ma avrebbe anche gettato la più favorevole delle luci sulla sua persona.
Di certo, l'edizione dell'indomani dello Standard avrebbe sancito la sua nomina per l'Originale. E, aspetto più importante, avrebbe garantito a lei la vittoria su Max.
Max lasciò la madre nella galleria e scese le scale accanto alle porte doppie che conducevano in giardino. Facendosi largo tra la folla, continuò a tenere d'occhio Juliet per tutto il tempo.
Come sempre, lei indossava un abito che le metteva in evidenza le forme in ogni maniera immaginabile. Si domandò se la sua sarta scegliesse solo tessuti che facessero prudere i polpastrelli di un uomo dal desiderio di toccarli e sentire la donna celata sotto. In quel caso, un velo di pizzo sottile copriva la seta color albicocca che le aderiva al corpo. Un modello criminale, pensò, ritenendo che lei dovesse indossare invece un voluminoso abito in tela da sacchi. D'altra parte, Juliet era forse l'unica donna che avrebbe potuto rendere attraente anche quello. Strinse la mano a pugno per tenere a bada il pizzicore alle dita.
Poi la vide sfilarsi il ventaglio dal polso e lasciarlo cadere furtiva nei cespugli. Con scaltrezza, Juliet chiamò Ellery, indicando i rami spinosi mentre si puliva con cura le mani sul davanti del vestito. Era tutto uno stratagemma, Max lo sapeva. Ma quale uomo poteva resistere senza accorrere in suo aiuto?
Stava civettando, ovviamente, ed era riuscita a distogliere l'attenzione di Ellery dalle altre due giovani. Era perché lo voleva tutto per sé?
L'umore di Max si incupì mentre l'ovvia risposta gli balenava nella mente. Si era già chiesto al ricevimento in giardino dei Minchon se lei avesse un amante. E se ancora non era così, sembrava che presto lo avrebbe avuto.
Ellery scattò in azione, allungandosi nel cespuglio per trovare il ventaglio di Juliet. Poco dopo, glielo porse con un profondo inchino. Come ringraziamento, lei gli posò la mano sul braccio e gli sorrise come se avesse salvato tutta l'umanità con quel piccolo gesto.
Un ringhio sgorgò dalla gola di Max per l'evidente esibizione civettuola di Juliet, che ostentava il proprio interesse per il gentiluomo davanti a una marea di persone. Se non fosse stata attenta, l'indomani mattina lo Standard l'avrebbe bollata come fidanzata di Ellery.
Non che a Max interessasse, nell'uno come nell'altro caso. Poteva sposare chi voleva o avere semplicemente stuoli di amanti. Lui stava solo pensando alla loro scommessa. Dopotutto, l'avrebbe odiata se avesse avuto un incentivo per restare a Londra.
Lei aveva scelto una volta di lasciarsi tutto alle spalle e, quando avesse vinto, Max si sarebbe assicurato che lo rifacesse.
Forse era ora che lui lo mettesse del tutto in chiaro.
Juliet non si tratteneva mai troppo a lungo in compagnia di un gentiluomo per evitare la possibilità di finire sui giornali scandalistici, con i pettegolezzi che ne conseguivano su un fidanzamento. Perciò, dopo avere ringraziato Ellery per la sua cortesia, andò verso la panchina di pietra, tenendosi alla larga dalla pergola di rose così che non le si impigliasse la gonna su una spina.
Aveva abbassato lo sguardo per un momento, un momento troppo lungo, a quanto pareva, quando una familiare voce nasale la fece fermare a metà strada.
«Ah, eccovi, Lady Granworth» esclamò Lord Pembroke, ogni sillaba compressa attraverso il suo ragguardevole naso.
Lei si chiese per un attimo se fosse scortese proseguire o se lui l'avrebbe comunque seguita. Poiché quell'uomo assomigliava a un levriero afgano sia nel volto sia nel corpo, era probabile che le avrebbe dato la caccia. E lei non aveva un bastone o un osso in mano per farlo allontanare. Nel suo caso, tuttavia, avrebbe funzionato anche il lancio di un portamonete. Era una sfortuna che lei non avesse nemmeno quello.
Perciò trattenne un sospiro e gli rivolse la parvenza di un sorriso. «Lord Pembroke. Vi state godendo questa bella serata?»
La pelle tirata sul suo viso lungo era cerea e luccicava per un velo di sudore. Con un gesto distratto, lui si scostò dalla fronte sottili ciocche opache di capelli castani. «Non credo che abbiamo finito la nostra discussione sulle attività minerarie nel Sud America.»
Oh, dannazione. Era stato almeno cinque giorni prima. Quasi sicuramente, lui avrebbe ripreso la conversazione dal punto preciso in cui era stata interrotta al ballo di Lord Tremaine. Eppure non sembrava avere notato che lei gli aveva posto una domanda. Anche se non era altro che una cortesia, il minimo che doveva fare era rispondere. Dopotutto, lei lo aveva ascoltato sproloquiare per quasi un'ora su quell'opportunità di investimento.
Non sentendosi altrettanto indulgente quella sera, Juliet guardò oltre le spalle dell'uomo, verso la casa. «Stavo proprio tornando dentro per cercare mia cugina.»
«Come stavo dicendo, prima che Lord Markham ci interrompesse...» ricominciò lui, come se non l'avesse sentita. Era come se le norme della conversazione gli avessero insegnato che bastava aspettare che l'altra persona pronunciasse una manciata di sillabe prima che fosse di nuovo il suo turno. E mentre parlava, Juliet si chiese se poteva dire qualcosa di completamente insensato senza che lui se ne accorgesse.
«Non si estrae mai argento a sufficienza, del resto» affermò lui, con una risatina nasale divertita.
Juliet annuì, d'accordo. «Un picchio me lo ha sussurrato proprio questa mattina dal davanzale della finestra.»
Lord Pembroke non batté ciglio di fronte a quella assurdità; continuò e basta. Ebbe persino l'audacia di avvicinarsi, con l'alito pungente come formaggio stagionato. Lei aprì il ventaglio e iniziò ad agitarlo in maniera tanto vigorosa da intimargli di ritirarsi dov'era un momento prima. Quando lo fece, lei posò lo sguardo sulla perfetta via di fuga. Se si fosse spostata lungo il perimetro esterno del giardino, verso il sentiero lastricato di mattoni accanto alla casa, avrebbe potuto entrare con agio dalla porta d'ingresso e dirigersi nella galleria.
«Perdonatemi, ma mia cugina mi sta aspettando» ripeté, e fece un passo verso la libertà.
«Molto interessante, davvero, ma come stavo dicendo...» Pembroke ebbe l'ardire di bloccarle la strada.
Quel gesto maleducato superava il limite. Stava per fargli una giusta osservazione, quando apparve Max, la fronte corrugata con quelle tre distinte rughe verticali sopra la radice del naso. Juliet non era mai stata così felice di vedere il suo sguardo torvo.
Con un'improvvisa ispirazione, chiuse di scatto il ventaglio. «Lord Thayne, mi sembra di ricordare il vostro acceso interesse per le miniere d'argento. Forse potreste dare qualche consiglio al vostro amico.»
In quel caso le parole che aveva pronunciato, soprattutto l'accenno all'argento, destarono il gentiluomo dal suo monologo. Max continuò ad apparire corrucciato e sembrava volerla strozzare. Ma prima che potesse farlo, Pembroke il segugio fiutò la traccia.
«Lord Thayne, non ero a conoscenza del vostro interesse. Se lo avessi saputo, sareste stato il primo...» E così cominciò.
Juliet salutò Max con la mano e sgattaiolò via.
Max si chiese quanta parte della sua vita aveva trascorso a guardare la figura di Juliet che spariva. Troppa, di sicuro. Eppure la vista non era del tutto spiacevole.
Accanto a lui, Pembroke cercò di ottenere la sua attenzione. «C'è un'immensa ricchezza a disposizione e solo per un piccolo investimento di qualche migliaio di sterline...»
Ma l'attenzione di Max era altrove. Juliet si stava dirigendo verso la casa con la sua solita grazia e agilità. Lui stava iniziando a chiedersi come avesse programmato di entrare nell'affollata sala da ballo, quando lei svoltò all'improvviso sul passaggio a fianco dell'edificio.
Ogni nervo del corpo di Max si mise in allarme. Poiché il sentiero era ben illuminato da torce, non era preoccupato per la sua sicurezza. Quello che lo innervosiva era che un attimo prima aveva visto Ellery sparire attraverso lo stesso passaggio. Subito si ricordò perché l'aveva cercata in primo luogo. Lei avrebbe dovuto sapere che era meglio non ostentare coinvolgimenti sentimentali sotto gli occhi attenti del ton.
Max si voltò per andarsene ma si fermò quando il monotono lamento del compagno gli ronzò nelle orecchie. Aveva quasi scordato che Pembroke era lì. Ma non aveva dimenticato come il gentiluomo fosse stato addosso a Juliet, e avesse avuto l'impudenza di bloccarle la ritirata. Per un attimo, aveva avuto la tentazione di sollevarlo da terra per il collo scheletrico e gettarlo oltre il muro del giardino. Ma poi lei lo aveva gestito con disinvoltura.
Posò una mano sulla spalla di Pembroke e lo inchiodò con uno sguardo cupo. «Se pensate che abbia dimenticato per un attimo che piagnucoloso verme manipolatore eravate a scuola, vi sbagliate. E se mi importunerete ancora con i vostri piani assurdi o vi azzarderete anche solo a respirare in presenza di Lady Granworth, vi chiuderò in una cassa e vi spedirò nel Sud America.»
Capendo di essere stato chiaro dal teso saliscendi del pomo di Adamo di Pembroke, si allontanò a grandi passi dal giardino.
Dopo lo spiacevole incontro con Pembroke e il modo in cui l'aveva bloccata, Juliet sentiva il bisogno di spazio. Quindi non tornò nella sala da ballo. Invece, si recò verso una stanza buia, lungo il corridoio principale, e si raccolse per un attimo in silenzio.
Con tanti invitati, non avrebbe dovuto sorprenderla che la sua intimità venisse invasa tanto in fretta, ma presto udì dei passi avvicinarsi. Si voltò con una scusa pronta per andarsene senza apparire scortese. «Perdonatemi, io... Oh. Siete voi.»
Avrebbe dovuto sapere che sarebbe stato Max a disturbare qualunque momento di pace.
Con la luce dietro di lui, la sua espressione appariva quasi indecifrabile, a parte un sopracciglio scuro inarcato. «Stavate aspettando qualcun altro, Lady Granworth? Un amante, magari?»
Il tono accusatorio la urtò, facendole irrigidire il collo e la schiena. Lanciò un'occhiata alla porta aperta oltre le spalle di Max, sapendo che erano tutt'altro che soli. «Ssh. Qualcuno potrebbe sentirvi.»
Lui avanzò, fermandosi quando fu abbastanza vicino da incombere su di lei, la bocca stretta in una linea severa. «Ho appena visto Ellery in corridoio.»
«È un gioco, Max? Ora devo dirvi chi ho visto io in corridoio?»
L'orco non cedette. «È il vostro amante?»
Juliet lo scansò e si spostò fuori dalla visuale della porta. L'ultima cosa che voleva era essere scoperta lì dentro, da sola, con Max. Vedova o no, le malelingue avrebbero parlato di sicuro. «Darete spettacolo. E non vedo perché debbano essere affari vostri.»
Max si voltò verso il suono delle voci di un gruppo di passaggio e la seguì all'estremità opposta, nascondendola con l'ampiezza delle sue spalle. L'improvvisa vicinanza la costrinse a fare un passo indietro. Dritta contro uno scaffale di libri.
«La biblioteca» esclamò Max sottovoce, scuotendo la testa. «Ovvio.»
D'un tratto i ricordi delle sue mani su di lei, della sua bocca, del suo corpo caldo e solido la travolsero. Ora avvertiva il suo calore, che la avvolgeva, eclissandola.
Fu grata che fosse buio, altrimenti lui avrebbe visto quanto si stava arrossando. E all'improvviso capì, senza alcun dubbio, che non era la collera a farla sentire così.
Accidenti! Aveva davvero sperato che fosse stata solo l'abilità di Max nel farla adirare ad avere causato la reazione senza precedenti del giorno prima.
Ma mentre negava l'evidenza, il sangue iniziò a ronzarle nelle vene. Il suo profumo le raggiunse le narici: un misto di fresco sapone da barba, della fragranza inamidata dello sparato della camicia, e di un tenue aroma seducente di sandalo e muschio che era decisamente mascolino. Avendo usato l'olio di sandalo nel suo pomander, sapeva che non aveva un profumo tanto inebriante. Qualcosa nel modo in cui Max lo portava, scaldato dal calore del suo corpo, esigeva che lei inspirasse a fondo. E così fece.
«Si dà il caso che mi piacciano le biblioteche» replicò con un alito di voce, cercando di sembrare composta. Le occorse un attimo per rendersi conto che, vista la loro particolare storia, la risposta potesse essere fraintesa come un tentativo di seduzione. Ma lei non era il tipo da borbottare scuse. Quindi, invece, alzò il mento e studiò il modo in cui Max avrebbe interpretato l'affermazione.
Vide un angolo della sua bocca guizzare, e il suo sguardo abbassarsi dagli occhi alle labbra. «Davvero?»
«Potrei anche avere in programma un giro di visite per studiare varie biblioteche; la struttura della stanza, i dorsi dei libri, la disposizione degli scaffali...» Le parole si spensero quando lui si avvicinò.
Per un attimo, l'unico suono nell'ambiente fu il fruscio delle gonne di seta che le si strofinavano sulle gambe, cedendo contro la forza di quelle di Max.
Il battito parve saltarle da un punto all'altro, come se fosse intrappolato nel corpo e cercasse una via di fuga, dai polsi alla gola, dalle dita che si aggrappavano alla libreria dietro di lei allo stomaco e quindi alle labbra. Juliet lottò contro l'impulso di serrarle, poiché non voleva rivelare la direzione presa dai suoi pensieri.
Poi lui sollevò una mano, posandole le dita sulla guancia. Le fece scorrere piano il pollice sulla bocca, suscitandole un tumulto di fremiti che supplicavano una maggior pressione, un morso dei denti... «Ed Ellery vi accompagnerebbe in questo vostro giro?»
Solo ora, mentre Max la inchiodava con il suo sguardo duro, lei si rese conto delle sue intenzioni. Voleva soltanto una risposta alla domanda assurda! Non aveva intenzione di baciarla. Non che saperlo l'avesse delusa. In effetti era piuttosto sollevata, perché, senza dubbio, non desiderava essere baciata da lui.
Inoltre, non avrebbe ammesso che l'interesse che provava per Ellery dipendeva dall'averlo scelto come candidato. Poiché Max era di solito più perspicace, non voleva dargli ragione di pensare che il gentiluomo in questione fosse qualcosa di diverso da un amante. Forse avrebbe ottenuto una vittoria con quel piccolo inganno per omissione.
«A meno che non vogliate che vi morda il pollice, vi suggerisco di abbassare la mano.»
«Se lo fate, ci saranno delle conseguenze.» Le accarezzò ancora una volta le labbra con il pollice e indugiò, stuzzicandola. Ma doveva averci ripensato, perché cambiò posizione. Appoggiò le mani agli scaffali dietro di lei, mettendole ai lati della sua testa.
Juliet fece balenare un sorriso che avrebbe potuto essere dolce, se non fosse stato per la collera che ribolliva dentro di lei. «A cosa vi state riferendo, all'avere Ellery come amante o al mordervi il pollice? Perché ora che mi avete messo l'idea in testa, le trovo entrambe allettanti.»
Se fosse stato qualunque altro uomo, non avrebbe mai parlato in maniera così audace. Inoltre, se fosse stato un altro, sarebbe stata impaziente di fuggire dalla prigione che aveva creato intorno a lei. Odiava essere bloccata. Ma, per qualche bizzarra ragione, anche se detestava Max fin nel profondo, provò l'impulso di cingergli le braccia intorno alla vita, stringerlo forte e premersi contro di lui. Voleva infilarsi sotto le falde della sua giacca e nascondere il viso nel punto tra il mento e la cravatta.
Non aveva alcun senso.
Ancora una volta, si sentì come se le stesse montando dentro un grido folle. Un giorno temeva che non sarebbe riuscita a fermarlo.
«Dovreste risparmiare il morso per qualcuno che abbia denti altrettanto affilati. E lasciare in pace quelli con la carne tenera» ribatté lui, il calore del suo respiro che le accarezzava l'orecchio.
Fu solo quando vide il sorriso di Max che si rese conto di ciò che aveva appena ammesso: al momento Ellery non era il suo amante. L'impulso di continuare a tormentarlo, fingendo interesse, si ammassò dentro di lei come una calca di avidi parenti alla lettura di un testamento, che tirano fuori gli artigli per avere la meglio. Tuttavia, doveva tenere i pensieri di Max lontani dal candidato prescelto. Perciò...
«Di certo fareste meglio a concentrarvi sul trovare una moglie, invece di pensare a chi mi porto a letto.»
L'espressione di Max si incupì, gli occhi in tempesta, come se lei avesse toccato un nervo scoperto. «Non cadete in errore. La mia unica preoccupazione è che non troviate un motivo per restare a Londra. Mi dispiacerebbe se vi innamoraste del vostro amante, per poi doverlo lasciare indietro alla fine del mese, quando vincerò la nostra scommessa.» Di colpo abbassò le braccia e si raddrizzò.
Lei lasciò andare la libreria. Quell'incontro era solo dovuto alla scommessa e al fatto che Max desiderasse la sua partenza più di ogni altra cosa?
Una parte di lei sapeva che era vero. Lui aveva messo bene in chiaro, da quando era tornata, che avrebbe fatto tutto ciò che serviva per liberare Londra dalla sua presenza. Averlo rifiutato tanti anni prima lo aveva portato a detestarla tanto da non potere nemmeno vivere nella stessa città?
Purtroppo, Juliet aveva numerose prove che confermavano la risposta.
Fu trafitta da un grande dolore, che le raffreddò il calore nelle vene. Anni prima, lui era stato suo amico e quella notte l'aveva consolata come avrebbe fatto qualunque amico. Non si era reso conto che lei non aveva potuto approfittarsene e costringerlo in un mondo popolato dai debiti del padre?
All'epoca, e ancora adesso, sapeva di avere preso la decisione migliore. Ma a quanto pareva, Max vedeva quel rifiuto come un atto di guerra.
E allora che così fosse.
Amici o no, Juliet non aveva intenzione di lasciarlo vincere. Era troppo importante per lei.