9

Il giorno seguente, Max andò a cavallo fino allo studio del suo avvocato, sperando che le questioni di affari gli evitassero di tornare con la mente a Juliet. Ma non nutriva troppe speranze. Fino a quel momento, nessuna distrazione era sembrata funzionare.

Dopo la sua visita a Markham, era tornato a casa solo per restare sveglio metà della notte. Non riusciva a smettere di pensare a lei e di ricontare tutte le cose che avrebbe potuto fare per toglierle l'angoscia dall'espressione. Addirittura ricordare a se stesso della loro ostilità non lo aveva aiutato. E tutto perché lei gli aveva rivelato sentimenti che glielo rendevano impossibile.

Si era aperta a lui, accogliendo persino il suo tocco sulla guancia. Non si era scostata né aveva finto indifferenza, ma aveva lasciato intravedere un raro scorcio del cuore che di solito nascondeva tanto bene.

Per anni Max si era convinto di avere evocato sentimenti che non avevano fondamento, di avere visto troppo in ogni sguardo, risata e conversazione spontanea, ritenendo che la pensassero entrambi allo stesso modo. Ma dopo quella sera, aveva ricominciato a crederci.

Ed era pura follia. Ne era la prova il fatto che aveva lasciato Harwick House prima dell'alba, era andato a piedi fino alla sua residenza e poi aveva vagato per quei corridoi dove i ricordi, dolorosi e struggenti, gli avevano tenuto compagnia.

Solo quando aveva dato una lunga occhiata all'uomo nello specchio da rasatura, un'ora prima, si era reso conto che lo fissava un idiota, e un idiota familiare. D'altra parte, ci era già passato e sapeva quale sarebbe stato l'inevitabile risultato.

Juliet sarebbe scappata, magari avrebbe sposato un uomo che conosceva appena, prima ancora di dare una possibilità a lui.

Balzò giù da cavallo sul marciapiede fuori dallo studio dell'avvocato e consigliò a se stesso di togliersela con fermezza dalla testa. Sottolineò la propria determinazione con la stessa decisione con cui annodò le redini al palo.

L'attimo successivo, però, tutti i suoi sforzi andarono in pezzi.

Quando sollevò la testa, scorse Juliet che usciva dalla banca qualche porta più in là. Coperta dal collo alla caviglia, indossava una semplice mantella bianca, che non era il tipo di indumento da provocare le fantasie di un uomo. Eppure lui fu eccitato comunque.

Forse era il barlume di seta rossa che foderava l'interno, a fargli accelerare il battito.

Perché, con lei, era sempre attirato dal minimo accenno di ciò che c'era sotto la superficie? Anche il cappellino bianco era bordato di seta rossa sotto. E lui riusciva solo a pensare a toglierle tutto per scoprire che altro avrebbe trovato.

Lì, sul marciapiede, dove decine di altre persone avrebbero visto, non era certo il momento di indulgere in sciocchi sogni. Ciononostante, si ritrovò a piegarsi in avanti, pronto ad avviarsi nella sua direzione.

Per fortuna, il valletto di Juliet si affrettò a girare intorno alla carrozza per aprire la portiera e abbassare il predellino. La fodera rossa balenò un'altra volta mentre lei raccoglieva le gonne, preparandosi a salire. Poi, poco prima che sparisse, il cappellino si inclinò e lei voltò lo sguardo nella sua direzione.

Un sorriso le sfiorò le labbra per la durata di sette battiti del cuore di Max. In quell'arco di tempo, lui immaginò di raggiungerla a grandi passi, attirarla tra le proprie braccia e abbassare la bocca sulla sua per vedere se aveva lo stesso esatto sapore che ricordava.

Poi lei sparì, nascosta nella carrozza, e lo sportello venne richiuso.

Con un lento sospiro, lui ricordò le numerose occasioni in cui l'aveva guardata andarsene. Era più che probabile che succedesse di nuovo. E quello che a Max serviva era qualcuno che restasse. Quello che gli serviva era una moglie. Perciò era ora di distogliere in maniera definitiva i pensieri da Juliet e dirigerli su candidate adatte.

Con quel proposito in mente, girò sui tacchi e andò a sbattere contro un passante. L'uomo allampanato teneva la testa china, in apparenza intento a studiare le carte che aveva in mano.

«Attenzione! Guardate dove...» Lord Pembroke gli rivolse un'occhiata truce, poi sgranò gli occhi, con il bianco che sembrava espandersi tre volte la sua misura mentre le iridi rimpicciolivano. Incespicando all'indietro, si portò la mano libera al cappello, stringendolo con le dita ossute. «Perdonatemi, Lord Thayne. È evidente che non prestavo attenzione a dove stavo andando. Ero intento a leggere questi documenti su quell'impresa...» deglutì, «di cui vi ho accennato... da Lord e Lady Simpkin.»

Max lo bloccò con un gesto, perché non voleva ascoltare l'intero riepilogo degli eventi passati. «Non è un crimine, Pembroke, perciò rilassatevi e andate per la vostra strada.»

Con sua sorpresa, Lord Pembroke ascoltò e sgattaiolò via senza un'altra parola. Max avrebbe trovato insolita l'improvvisa uscita di scena, o addirittura bizzarra, se non ne fosse stato così grato.

Il suono di una risatina sulla soglia dello studio Barnaby and Pluck attirò la sua attenzione su North Bromley, il Duca di Vale. «Vedo che il nostro amico ha tentato di vendere anche a te una miniera d'argento, Thayne.»

Si scambiarono un sorrisetto esasperato. «Che probabilità ci sono che il suo modo di fare subdolo sia cambiato?»

Quando gli veniva posta una domanda matematica, Vale prendeva sempre sul serio la questione. Anche in quel momento i suoi occhi scuri si fecero più attenti, come se riuscisse a immaginarsi una lavagna davanti e un gesso in mano. «Contando l'arco di tempo della sua vita e analizzando il periodo in cui eravamo tutti a scuola insieme, direi lo zero virgola nove per cento. Tuttavia, se lo stai chiedendo solo in via teorica, allora direi nessuna.»

Max concordò con un sorriso, una battuta pronta sulla lingua. Poi, però, i calcoli lo distrassero, ricordandogli la Formula matrimoniale dell'amico.

Il Natale precedente, Vale aveva sviluppato un'equazione allo scopo specifico di trovare un'unione ideale. L'aveva persino testata su se stesso e si era sposato pochi giorni dopo avere incontrato la sua sposa per la prima volta. A detta di tutti, Vale e Ivy erano davvero perfetti l'uno per l'altra, due metà di un unico essere.

E trovare la sua metà era proprio quello che serviva a Max per togliersi Juliet dalla mente. «Visto che siamo sull'argomento matematica, come vanno i tuoi piani per aprire un ufficio per quelli che vogliono usare la tua Formula matrimoniale

Vale scosse la testa e si strattonò le falde della giacca. «Abbandonati, temo. Con il mio primogenito in arrivo e la mia associazione alla Royal Society, impiantare quegli uffici non sembra più importante.»

La notizia era deludente. Tuttavia Max non era il tipo da rinunciare senza avanzare qualche tipo di argomentazione. «Sono sicuro che ci sono molte persone che ne beneficerebbero.»

Vale lo guardò con interesse, gli occhi scuri che si facevano penetranti. «Sei tu una di queste molte persone

«Ci ho pensato, sì» ammise lui, avendo sempre creduto nell'idea di Vale dal principio. In effetti, si domandò perché non avesse pensato prima di chiedere all'amico. «Come sai, intendo partire per il Lancashire alla fine dell'estate. Vorrei avere già sistemato la questione di una moglie prima di andare.» E se c'era qualcuno che non avrebbe esitato davanti all'idea di sposarsi in un arco di tempo così breve, era Vale, che si era sposato con una licenza speciale.

«Da quello che ricordo, la vedevi come una questione di dovere. Ma adesso percepisco più un senso di urgenza che di obbligo.»

«La Stagione è quasi finita e sto esaurendo il tempo a disposizione.»

Vale annuì, l'espressione pensierosa, come se stesse valutando la reazione di Max. «E ti offenderebbe sapere che ho già calcolato la tua formula?»

«No, per niente, perché sono molto impaziente di vedere i risultati.» Conoscendo Vale, Max non avrebbe dovuto esserne sorpreso, ma lo era. E si chiese per quale motivo l'amico non glielo avesse detto subito.

Questi spostò lo sguardo sui pedoni che li superavano e chinò il capo in un saluto distratto mentre gli sfuggiva una bassa risata. «Penso di no.»

«Non riesco proprio a immaginare un motivo per cui non vorrei conoscerli» affermò Max. «Non ho remore a sposarmi per mancanza di un patrimonio, legami familiari o anche bellezza. Perciò non c'è nome che tu possa pronunciare che disapproverei.»

Quando Vale inarcò un sopracciglio senza proferire parola, Max d'un tratto capì perché l'amico non gli avesse rivelato il nome. Ci poteva essere un'unica ragione, del resto.

Perché la formula lo aveva accoppiato con la persona che il ton sapeva essere la sua più acerrima nemica: Juliet.

Strinse i denti. «Se è vero, allora la tua equazione è errata.»

Vale sollevò le spalle, senza offendersi. «Che è un altro dei motivi per cui ho smesso di usare la formula. È stata Ivy che mi ha fatto capire che avevo trascurato il più importante di tutti i fattori: l'amore. Quella profonda emozione costante che offusca tutti gli altri criteri, rendendoli insignificanti.»

E Max sapeva meglio di chiunque altro che Juliet non poteva dargli amore. Una volta aveva immaginato di poterla conquistare, ma ora non più. Voleva più di semplici assaggi.

Un desiderio doloroso gli penetrò nel cuore. «Allora troverò una sposa appropriata da solo. C'è sempre un altro modo.»

In seguito, quella settimana, Juliet e Zinnia cenarono a Harwick House.

Juliet scoprì che non solo aveva voglia di andarci, ma era impaziente di farlo. Nei giorni precedenti non aveva più avuto esplosioni di rossore, ma si era piuttosto affezionata al suo nemico giurato. E aveva persino immaginato che stessero diventando amici come erano stati un tempo.

Sorseggiò il vino, soddisfatta. La cena era piacevole e familiare, accompagnata dal ticchettio della pioggia sulla tettoia in rame fuori dalla finestra della sala da pranzo e dallo scoppiettio del fuoco nel caminetto. Max era seduto a capotavola alla sua sinistra, Marjorie alla sua destra e Zinnia di fronte a lei, dandole un assaggio della vita che aveva desiderato fin dal suo ritorno a Londra.

«Maxwell ha deciso di fare sul serio nella ricerca di una sposa» dichiarò Marjorie mentre i valletti portavano vassoi carichi di cappone, patate arrosto, carote caramellate e anche un raffinato aspic di uova e maiale.

Tutti gli occhi caddero su Max, in attesa di una conferma. Juliet sentì un'ansiosa accelerazione nel battito, anche se senza motivo. Sapeva già che lui voleva sposarsi presto e per tale ragione lo aveva preso in giro in diverse occasioni. Al momento, tuttavia, non riusciva a pensare a una battuta adatta per metterlo in imbarazzo.

«Di recente ho scambiato una conversazione con Lord Ellery, che mi ha spiegato come dare un ricevimento porti spesso alla mente in particolare le persone che si desidera invitare.» La guardò diritto negli occhi, spingendola a domandarsi se sapesse che lo aveva consigliato lei a Ellery. «Certo, è un'idea alquanto rudimentale...» Max lasciò che le parole si spegnessero mentre un sorrisetto le rivelava la risposta.

«Eppure siete riuscito comunque a comprendere il concetto? Bravo, Max.» Alzò il bicchiere in segno di brindisi verso di lui. «Voi avete stilato l'elenco per il vostro ricevimento?»

«Lui vorrebbe invece dare un ballo» aggiunse Marjorie in tono sconvolto mentre scambiava un'occhiata con Zinnia. «Come ho detto, fa sul serio.»

Il senso di intimità e rilassatezza che Juliet aveva sperimentato solo qualche attimo prima si trasformò in uno spiacevole rimescolio che diede un sapore amaro al vino. Posò il bicchiere, pur sapendo che il vino non c'entrava nulla e che quella sensazione aveva a che fare con la decisione di Max. Quando si fosse sposato, sarebbe cambiato tutto per le loro cene.

E se avesse scelto in moglie una stupida o una bisbetica priva di senso dell'umorismo? O una sciocca concentrata su se stessa, la cui idea di conversazione intelligente cominciava e finiva con il suo acquisto più recente dalla modista? Se avesse fatto la scelta sbagliata, quelle cene sarebbero diventate all'improvviso un dovere che lei avrebbe dovuto sopportare, piuttosto che un momento piacevole.

«A dire il vero, ho cominciato a stilare la mia lista» rispose Max. «È sorprendente quanto diventi tutto chiaro una volta che si mette sulla carta. Diverse giovani si sono dimostrate piuttosto brillanti, hanno vari interessi e sono gradevoli nella conversazione.»

Juliet strinse i pugni in grembo ma mantenne un sorriso amabile, anche se un po' tirato, sulle labbra. «Avete dimenticato il vostro requisito fondamentale: una donna a cui piaccia una bella discussione. Di tutti i tratti, di certo sarà in cima alla vostra lista.»

«Riserverò le discussioni per il Parlamento e offrirò a mia moglie una vita domestica del tutto serena.»

Per qualche ragione, sentire quelle parole suscitò l'ira di Juliet. O forse fu l'aria compiaciuta di Max, come se stesse lanciando una sorta di sfida, affermando che sarebbe stato il migliore dei mariti e che il suo matrimonio sarebbe stato il più felice di tutta l'Inghilterra. Essenzialmente, lo stava promettendo a una donna che non aveva ancora nemmeno scelto e, maledizione, Juliet sarebbe stata un pizzico invidiosa di lei. Perché se c'era qualcuno di tanto ostinato da mantenere la promessa e rendere la moglie felice tutti i giorni della sua vita, quello era Max.

«Sapete che non ho mai dato un ballo?» chiese Marjorie, interrompendo l'improvvisa tensione. «Abbiamo tenuto ricevimenti e cene in abbondanza, e anche qualche danza nel salotto, ma mai un ballo.»

Zinnia prese il tovagliolo dal grembo e si tamponò con delicatezza gli angoli della bocca. «Un ballo è un vero impegno. E le nostre case sono simili, quindi per avere sufficiente spazio per danzare dovremmo usare la galleria dei ritratti del primo piano.»

«Hai ragione, Zinnia. La galleria sarebbe l'unica opzione, che lascerebbe abbastanza spazio per un quintetto nel corridoio adiacente.» Marjorie si rilassò, appoggiandosi allo schienale della sedia. «È un sollievo, perché temevo che sarei stata costretta a demolire una parete, come Max ha fatto nella sua residenza.»

A Juliet si chiuse la gola e fu grata di non avere preso un altro sorso di vino, altrimenti sarebbe soffocata. «Demolire una parete?»

«Sì.» Max tagliò il suo cappone, come se la questione non avesse alcuna importanza.

«Uno spettacolo a dir poco orrendo» commentò Marjorie agitando le dita in aria, prima di prendere il calice di vino. «Ci sono andata ieri e ho visto le macerie con i miei occhi. Diamine, in pratica è invivibile. Rabbrividisco a pensare a quanto tempo servirà prima che i lavori finiscano.»

«Madre, state cercando di stuzzicare di proposito l'interesse di Lady Granworth o di scatenare una tempesta? Le si stanno già addensando delle nubi scure sopra la testa e il suo sguardo è così gelido che sento freddo.»

Solo allora Juliet si rese conto che le era svanito il sorriso. Non solo, ma la pelle intorno agli occhi era tesa. Non si sentiva così esposta e in bella vista dal suo matrimonio. Certo, durante quegli anni non aveva mai perso la compostezza. Ma era proprio da Max sconvolgerla e poi essere così scortese da farlo notare.

Trasse un respiro e si stampò di nuovo in faccia una piacevole espressione imperturbata.

«Tra tutti, lei merita di sapere che cosa sta succedendo a una proprietà che potrebbe benissimo diventare sua tra poche settimane» ricordò Marjorie.

«Quell'esito è semplicemente impossibile, perché vincerò la scommessa» dichiarò Max con una certezza nello sguardo che Juliet dubitò della propria scelta. «E in ogni caso, la casa è mia di diritto e posso farci quello che voglio.»

«Non se me la renderete invivibile dopo che avrò vinto. Non è giusto.» Un moto di collera, o forse di panico, la travolse. Perché le stava facendo questo? Dopo la sera precedente al ballo di Lady Haguelin, lei aveva creduto che ci fosse una rinnovata connessione tra di loro. Ma quella sera, sembrava che Max stesse facendo tutto ciò che era in suo potere per scindere quel legame. E questo la faceva sentire confusa e ferita. E poi, sì, decisamente in collera.

«Mi sto ancora attenendo alle regole della nostra scommessa.» Lui si concentrò di nuovo sul cappone, come se tutto ciò che c'era tra di loro riguardasse solo la scommessa.

Non c'era anche per lui qualcosa di più? Ma Juliet ottenne la risposta dalla graduale scomparsa della solita natura provocatoria di Max. Fu rimpiazzata da un distacco che non solo le fece temere di perdere la casa, ma anche la famiglia, gli amici e persino il suo avversario preferito.

Fino a quel momento, non aveva ritenuto che la vittoria di Max fosse addirittura possibile.

Max sapeva che qualcosa doveva cambiare. Era ricaduto nello stesso comportamento che una volta lo aveva lasciato nell'atrio di Juliet, con un anello in tasca e una lettera accartocciata in mano.

Quegli ultimi mesi erano stati una croce per lui, anche se forse lo avevano aiutato a mettere fine al passato. A ogni ricevimento aveva avuto una straordinaria consapevolezza della presenza di Juliet, il suo sguardo aveva saputo dove fosse di preciso in ogni stanza. E anche quando lei non era vicina, i pensieri lo tradivano tornando in un ciclo continuo su Juliet.

Per la propria sanità mentale, doveva finire.

In effetti, sin dalla mattina successiva al ballo degli Haguelin, aveva quasi deciso di evitare del tutto la sua compagnia, ma poi la madre lo aveva sorpreso con quella cena. Ed ecco che Juliet era lì, a pervadergli i pensieri e i sensi e rendendogli impossibile dimenticarla.

Non aveva già preteso troppo dalla sua vita?

«Maxwell, se tagli ancora più forte quel povero volatile, inizierò a temere per il mio piatto» commentò la madre con una risata, venata da un briciolo di tensione.

Abbassando lo sguardo sul cappone a brandelli nel suo piatto, lui posò di colpo coltello e forchetta, quindi prese il vino. «Le mie scuse. Ero distratto.»

«Lo immagino» intervenne Juliet, con un sorriso teso. «Con una sposa da procurarvi, il matrimonio a cui partecipare e la vostra inevitabile partenza per il Lancashire all'orizzonte, è un miracolo che abbiate avuto persino il tempo per predisporre la ristrutturazione della vostra residenza di città.»

Lo stava punzecchiando, lo sapeva, ma ciò non fermò il brivido imprevisto che lo percorse. Dannazione, amava discutere con lei, amava vedere quella fiamma nei suoi occhi azzurri. E anche se si era detto che sarebbe rimasto distaccato, non riuscì a resistere a un ultimo battibecco con lei.

Bevve un sorso di vino, assaporando l'accesa discordia tra di loro. «I lavori non sono così estesi da restare trascurati a lungo. Se volete, potrei organizzare un giro per... diciamo... il primo di giugno.» Si soffermò per un istante, poi finse sorpresa. «Oh, ma aspettate. Non sarete in città, per allora. Che peccato.»

Con sguardo gelido e la mano ferma, lei sollevò il bicchiere alla sua salute. «Vedremo.»