Dopo essersi angustiata per tutta la notte, Juliet era giunta a una conclusione: doveva assicurarsi con ogni mezzo necessario la vittoria di Ellery.
All'inizio il suo piano era di lasciare semplicemente che il carattere del visconte parlasse da solo. Dopotutto, lei non aveva fatto nulla per assicurarsi che ricevesse il favore del ton prima della scommessa. E a parte perdere il ventaglio nel cespuglio, non aveva fatto nulla nemmeno dopo, ma si aspettava comunque che vincesse.
Ora, tuttavia, avrebbe dovuto prendere misure più dirette, persino drastiche. Benché non avesse ancora un piano del tutto formulato, sapeva che era la sua unica possibilità. Non avrebbe lasciato Londra. La sua casa era lì e avrebbe lottato per essa.
Ma prima, sarebbe andata a vedere che tipo di scempio aveva fatto Max della sua dimora.
Sollevando il cappuccio del mantello per nascondere la propria identità, si avviò in una passeggiata mattutina. Non era insolito per Juliet, del resto, anche se di norma non partiva all'alba. Ma poiché la ragione della passeggiata non era del tutto onesta, necessitava della sicurezza che tutti gli occupanti di quelle case fossero ancora profondamente addormentati.
Dopotutto, l'ultima cosa che voleva era che il suo nome finisse sullo Standard per essersi introdotta di soppiatto in una dimora che non le apparteneva. Per ora. E, a quanto si diceva, Max viveva ancora a Harwick House, perciò non doveva preoccuparsi nemmeno di incontrarlo.
Quando alla fine arrivò, era tesissima. Voleva mettersi di fronte alla casa e guardarla soltanto, valutando come gli anni avessero intaccato qualche mattone e smussato gli spigoli della breve scalinata che conduceva alla porta. Al centro della lucida pittura nera c'era il familiare battente a testa di leone. Ma per quanto volesse trattenersi, era troppo consapevole delle case intorno a lei. I domestici di solito erano gli unici svegli a quell'ora del giorno, però bastava un sussurro da parte di una cameriera e tutto il ton avrebbe saputo dell'impresa criminale di Juliet prima di colazione.
Perciò continuò a camminare finché non svoltò l'angolo. Poi sgattaiolò dietro la casa, attraverso il cancello che conduceva al giardino incolto. Ciò che un tempo era stato coltivato e potato dal giardiniere, o da lei stessa, ora era indistinguibile. Sembrava che il gentiluomo che aveva comprato la casa alla morte dei genitori di Juliet non avesse curato affatto il terreno.
Lei entrò dalla porta della servitù, dopo avere scoperto che era l'unica a non essere sprangata. All'interno, nell'atrio, era rimasto il disordine lasciato dai manovali: vari attrezzi, secchi e scope. La stanza era silenziosa, sonnecchiava coperta da bianche lenzuola polverose. Sotto l'odore pungente della trementina, la casa aveva ancora il suo profumo familiare, come se lei potesse vedere ardere la pipa del padre o trovare i sacchettini di lavanda della madre nei cassetti della credenza in soggiorno.
Mentre attraversava il piano terra, si sentì piuttosto sicura che i manovali non sarebbero arrivati ancora per diverse ore. Dopotutto, i martellamenti o qualunque altra cosa facessero avrebbero senz'altro causato scompiglio nel vicinato, se fossero cominciati prima delle undici.
Certo, a Max non sarebbe importato di infastidire i vicini. Lui faceva come voleva, come dimostravano le pareti intorno. Non gli era importato di turbarla quando aveva comprato la casa rubandogliela da sotto il naso. Lo aveva fatto per irritarla, per farla adirare abbastanza da essere disposta a lasciare Londra. Ma a ogni passo, Juliet era felice di trovare assi di legno screziato sotto i suoi piedi, che le rivelarono che lui stava davvero apportando le migliorie necessarie. C'erano anche parti di modanature che erano state sostituite ma non ancora dipinte, insieme all'intonaco fresco che riempiva le crepe nei muri.
Abbassandosi il cappuccio, sollevò lo sguardo verso il piano superiore, non sapendo che cosa avrebbe trovato. Sarebbe stato il disastro che Marjorie affermava che fosse, o era stata un'esagerazione?
Chiamando a raccolta la propria determinazione, si diresse al primo piano.
Andò con i pensieri alla cena della sera precedente e a come l'avesse infastidita pensare a lui che stringeva la rosa di candidate come spose. E se non lo avesse fatto solo per irritarla, ma fosse stato sincero quando aveva espresso la speranza di trovare una moglie che vivesse in quell'ambiente insieme a lui?
Quel pensiero la seccò ancora di più.
Quella era casa sua e, se ci doveva vivere qualcuno, doveva essere lei. Non Max e la sua novella sposa. Non Max e la sua famiglia. Non voleva pensare a lui che rideva lì, che amava lì, o che baciava qualcun'altra nella biblioteca. La sua biblioteca, dove tutta la sua vita era finita sottosopra proprio per colpa del bacio di Max!
Incespicò sull'ultimo gradino quando si rese conto che, accidenti!, era gelosa.
Le sfuggì dalla gola un borbottio frustrato. Salì di corsa un'altra rampa di scale fino al secondo piano, in collera con se stessa per l'emozione che provava e ancora di più in collera con Max per averla causata. Come osava menzionare di continuo il suo bisogno di una moglie? Non poteva essere felice senza, almeno finché lei non si fosse abituata all'idea?
La sua irritazione non si era dissipata per nulla quando vide il buco nell'intonaco alla fine del corridoio al secondo piano. Era grosso come una sedia e rivelava file di graticcio rotto dietro di esso. Con un'occhiata intorno, ne vide altri, insieme ad alcuni buchi ancora più grandi, che mostravano con chiarezza la stanza dietro.
Si sentì come se i colpi che lui aveva inflitto alla casa fossero stati un attacco personale. «Che cosa ha fatto quel maledetto alla mia casa?»
«È la mia casa» ribatté Max alle sue spalle, facendola sussultare per lo spavento.
«Oh!» Juliet trasalì, voltandosi, con la mano sul cuore e il battito che le pulsava in gola.
«E posso fare quello che voglio» dichiarò lui, appoggiando con indifferenza una spalla allo stipite della porta, le braccia e le caviglie incrociate, come se fosse rimasto a osservarla per diverso tempo.
Indossava un paio di pantaloni neri ed era senza giacca, con il colletto della camicia aperto, come se non avesse finito di vestirsi. Come se avesse dormito lì la notte precedente.
E vedendo che era sulla porta della camera che un tempo era stata sua, lei si infuriò. La collera tornò con tutta la sua potenza.
«È sempre stato il vostro problema, Max» sibilò lei, girando intorno alla ringhiera e precipitandosi verso di lui, puntandogli il dito contro. «Avete sempre ritenuto di poter fare come volevate, e al diavolo le conseguenze. Be', questa volta non lo permetterò.» Si fermò quando il dito incontrò i muscoli solidi sotto il fine tessuto e glielo piantò nel petto. «Mi aspetto che la facciate riparare completamente o potete scordarvi l'equo prezzo che ero disposta a pagare.»
Lui si raddrizzò. Distendendo le braccia, si sporse verso di lei, indifferente al suo assalto. «Forse non ricordate, ma sono sempre stato pronto ad affrontare le conseguenze delle mie azioni. Siete stata voi a scappare.»
Lei sbuffò e lo colpì di nuovo. «Avevo ragione! Per tutto questo tempo si è sempre trattato di quello che è accaduto tra di noi cinque anni fa. Oh, mi scuso per aver ferito il vostro povero ego quando me ne sono andata, anche se sembra che siate riuscito a riprendervi, visto che siete occupato a restringere la vostra lista di candidate spose.»
«Il mio ego?» La prese per le spalle, la presa salda ma non violenta, mentre il disprezzo gli ardeva negli occhi scuri. «Volevo sposarvi. Era coinvolto molto più del mio ego.»
«Mi avete dato quel bacio perché mi stavate consolando e lo sappiamo entrambi.»
«Davvero, Lady Granworth? O è una storia che vi siete raccontata per giustificare la vostra fuga per sposare un vecchio ricco?» Stringendo i denti, apparentemente in subbuglio quanto lo era lei, Max la fece voltare e la spinse con la schiena contro la parete all'interno della camera da letto. «E se pensate per un solo istante che resterò a guardare mentre portate qui il vostro prossimo marito, a meno di quattro porte di distanza dalla casa di mia madre, allora vi sbagliate di grosso.»
Poi, senza preavviso, fece piombare la bocca sulla sua.
Lo stupore la paralizzò, gli occhi ancora aperti, mentre quelli di Max si chiudevano e un gemito gli sgorgava dalla gola. Il suono la destò, sorprendendola con una nuova consapevolezza: la stava baciando, le sue labbra sode e familiari, la lingua audace ed esigente, che la sfidava a reagire.
E lei lo fece, inclinando la bocca sotto la sua e duellando con la sua lingua mentre gli stringeva la camicia nei pugni. Lui gemette di nuovo e le vibrazioni di quel suono ebbero uno stranissimo effetto sulle palpebre di Juliet, perché si chiusero di scatto. La testa si piegò all'indietro e le si aprirono le labbra, permettendogli di andare più a fondo. Non era sicura se fosse parte di una battaglia o una bizzarra sorta di tregua.
D'altra parte, le tregue non erano faccende civili a mente lucida tra fazioni in guerra? Non era certo il caso suo e di Max e di quella violenta schermaglia di bocche e mani.
Non sapeva che cosa le fosse preso, ma gli tirò fuori l'orlo della camicia dai pantaloni e gli premette i palmi sulla dura superficie del ventre, le dita che sfioravano una morbida spruzzata di peli. Esplorare il territorio nemico sembrava la cosa giusta da fare e si rifiutò di riflettere sulle proprie azioni.
Il fermaglio del mantello le si aprì sul collo e l'indumento cadde mentre le mani di Max le accarezzavano la schiena, la fila di bottoni che le scendeva verso il fondoschiena, per poi risalire oltre il pizzo smerlato, fino alla pelle nuda tra le scapole. Il suo tocco le provocò un brivido, facendola tendere come un arco contro di lui, pronta a scattare. D'un tratto sentì tutta la pelle tesa, i seni pesanti, che formicolavano. Avvertì un peso sullo stomaco, una dolce stretta che sembrò toglierle l'aria dai polmoni.
Interruppe il bacio e voltò la testa, con il respiro affannato. Max non cessò il suo assalto. Era sempre pronto all'attacco e molto più abile in quel tipo di guerra.
Ma Juliet non aveva intenzione di arrendersi. «Avete distrutto queste pareti perché temete che io vinca la nostra scommessa e porti qui un altro uomo? Diamine, Max, sembra l'affermazione di un uomo geloso.»
Lui si spostò sulla gola, dove i baci umidi, a labbra socchiuse, le riportarono l'attenzione sulla pulsazione che sentiva all'apice delle cosce. Voleva chiudere le gambe e stringerle forte, ma c'era Max, l'erezione che premeva contro di lei, spingendola addosso alla parete. Dimenò i fianchi contro di lui per rappresaglia, o forse perché voleva sentirlo ancora. D'un tratto non fu più certa che una battaglia potesse essere così bella. Ma con Max era difficile capire la differenza. Una parte di lei amava litigare con lui. Ogni discussione sembrava il preludio di qualcos'altro, qualcosa di vicino eppure fuori portata.
La frustrazione crebbe quando lui non rispose alla sua battuta, quindi gli lasciò andare la camicia, gli prese il volto tra le mani e lo baciò ancora. Sì, con ciò gli avrebbe mostrato che era lei al comando. Questa volta, gli insinuò la lingua in bocca e mosse piano i fianchi contro i suoi. E poiché non aveva finito di provocarlo, continuò anche quando lui la sollevò da terra, afferrandole i fianchi e poi abbassando le mani fino a stringerle le natiche.
Trovò un appoggio su una console a mezzaluna, con lui tra le cosce, in una posizione che le faceva salire le gonne. Ma la mussola era appallottolata tra di loro. Allargare le ginocchia non lo fece tornare dov'era un attimo prima, per alleviarle quella pulsazione insistente. Era tipico di Max darle un assaggio di qualcosa e poi lasciarla senza. Ma lei non gli avrebbe permesso di rifarlo. Proprio come in numerose altre battaglie, lo prese prigioniero, allacciandogli le gambe intorno.
Max le mise le mani sui polsi e se li allontanò piano dal volto, con sguardo feroce. «Non sarò io a mettere fine a questo, Juliet. Capite? Sarete voi, come sempre.» Scosse la testa, premendo la fronte contro la sua. «Ho raggiunto il limite e questo nostro gioco deve concludersi, in un modo o nell'altro.»
Il primo impulso di Juliet fu di sfidarlo, ma quando vide la sua espressione, non poté. L'aria canzonatoria che di solito vi scorgeva non c'era più. Lui scrutò il suo sguardo, con gli occhi scuri che sembravano vulnerabili, le sopracciglia corrugate non più per la collera ma per il dolore. Era aperto ed esposto, rivelava un desiderio puro così potente che quasi la spaventò. Soprattutto perché lo provava anche lei.
Si rese conto che non si trattava più della casa o di qualunque altra delle loro discussioni. In effetti, non era sicura che il problema fosse mai stato quello. No, si trattava di qualcos'altro, quella faccenda tangibile tra di loro, di cui lei non riusciva a liberarsi.
Juliet percepiva che se avesse scelto di andarsene le cose non sarebbero mai più state uguali tra di loro. E se fosse rimasta... le cose non sarebbero più state uguali tra di loro.
Tuttavia, ormai si era spinta fino a quel punto, e scappare non era più possibile. Aveva avuto cinque anni per pensare al bacio di Max. Cinque anni per chiedersi come sarebbe stato se avesse preso una decisione diversa.
«Non ho guardato la porta una sola volta, Max.» Poi alzò il mento e premette la bocca sulla sua.
Le linee di battaglia si infransero con il bacio successivo. Lui le lasciò i polsi e la cinse con le braccia, attirandola stretta a sé. La forza e la sicurezza del suo abbraccio la lasciarono senza fiato e rovente.
In sintonia con lei, come era sempre stato, Max le slacciò i bottoni sul retro dell'abito, facendole filtrare l'aria fresca del mattino attraverso la camiciola. Poi, con un rapido strattone, tirò giù le maniche, snudandole i seni. Si staccò da lei, con il respiro corto, la bocca socchiusa, lo sguardo sulle morbide rotondità coperte in parte dall'ombra del suo corpo, in parte dalla luce dorata che riempiva la stanza. E con una sola passata dei pollici sulle punte scure, sbocciarono per lui, provocandole una cascata di brividi.
Juliet trattenne il fiato quando lui abbassò la testa per reclamarla. L'umido calore della sua bocca la coprì e la lingua descrisse dei cerchi intorno ai capezzoli, poco prima che lei provasse quel primo fremito di godimento.
Le sfuggì dalla gola il nome di Max in un roco sussurro, mentre gli infilava le mani tra i capelli, tirandolo verso di sé. Non aveva mai saputo quanto avesse desiderato tutto ciò, quanto ne avesse avuto bisogno. Ma quando lui fece scivolare la mano sotto le sue gonne e trovò senza esitazione il cuore della sua intimità, capì che invece Max lo aveva sempre saputo.
Lo dimostrava il modo in cui la toccava, accarezzandole la fessura, facendo fuoriuscire quegli umori che, fino a quel momento, lei era stata l'unica a trovare.
Ma i gesti di Max non erano i tentativi frettolosi e frustrati delle sue stesse dita. Lui sapeva con precisione dove e come toccarla, intervallando piccoli cerchi languidi e sinuose carezze e, oh, scivolando in modo peccaminoso dentro per scoprire le carni turgide.
Lui sollevò la testa, cercandole la bocca con baci urgenti e avidi. Teneva ancora la mano tra di loro, dove la patta dei pantaloni le sfiorava l'interno coscia, con le nocche che si strofinavano contro il suo punto più sensibile.
Volendo di più, lei allargò le gambe, protendendo i fianchi verso di lui, e uno spudorato mugolio di desiderio le montò in gola. Avrebbe tanto voluto potergli mormorare: «Sì... lì...», con la sicurezza data dall'esperienza e conoscendo la risposta. Ma per lei era tutto nuovo.
Nonostante questo, lui rispose subito alla sua supplica, avvicinandosi, accarezzandole di nuovo il sesso bagnato, stuzzicando l'intima apertura. Lei capì all'istante che quello non era il suo dito. Quella carne era più calda, più grossa... molto più grossa, e la stava già allargando. Fu colta da un fugace attimo di panico, domandandosi se avrebbe dovuto dire qualcosa su...
Max si tuffò in lei, penetrandola, l'erezione implacabile.
Un'esclamazione strozzata le si bloccò in gola. Afferrandogli le spalle, d'istinto Juliet cercò di allontanarsi da quell'invasione sconvolgente. Da quel forte bruciore. Come poteva sapere che sarebbe stato così? Che lui l'avrebbe riempita del tutto, costringendola a dilatarsi per accoglierlo? Nessuna delle storie di Marguerite l'aveva preparata.
Max emise una bassa imprecazione, il volto nascosto contro il suo collo, le braccia strette intorno a lei, il corpo rigido, poi si insinuò più a fondo. A parte per il respiro affannato, restò immobile, tutto dentro di lei.
Juliet andò nel panico, perché non sapeva che cosa fare. Fino a quel momento era stata guidata dall'istinto, perché Max la toccava in modi che la facevano reagire. Ma ora non stava facendo nulla. Di certo non era quello il risultato desiderato. Doveva esserci dell'altro.
«È così terribile per voi?» chiese, sentendo le lacrime bruciarle gli occhi. Come poteva affrontarlo dopo un simile fallimento? Forse non avrebbe mai dovuto attraversare quella linea di battaglia, dopotutto.
«Siete perfetta» rispose roco lui. «Anche più di quanto immaginassi.»
Perfetta? Aveva sentito quella parola in passato, un'infinità di volte, riferita al suo aspetto esteriore. Ma mai per quello. E quello era qualcosa di completamente diverso. Con un piccolo sorriso che le incurvava le labbra, gliele premette contro la spalla, dove il colletto aperto della camicia si era spostato di lato, scoprendo i fasci tesi di muscoli. Rilassandosi un poco, il corpo di Juliet strinse quello pulsante di Max, cingendolo.
Sotto i palmi, lo sentì tremare, rivelando la sua tensione. Poi lui iniziò a muoversi con lente spinte. Le mormorò qualcosa contro il collo, l'orecchio, la tempia, parole indistinte che appartenevano a un intimo vocabolario erotico.
Lei aveva letto descrizioni dell'atto sessuale, aveva visto stampe oscene e quadri poetici, ma niente l'aveva preparata a quell'intimità soverchiante.
Com'erano diversi gli occhi di Max in quel momento! C'era una tenera ma sfrenata intensità che gli scuriva le pupille. Il modo in cui la stringeva, con fare possessivo, le fece desiderare di offrirsi ancora di più. Il suo profumo le riempì i polmoni, ogni respiro caldo e seducente per l'essenza muschiata dei loro corpi uniti. Quei sussurri intimi, su come fosse stare dentro di lei, furono come un'altra carezza, che le blandì la mente, permeando ogni pensiero.
Era molto più di un semplice rapporto sessuale. Era qualcosa di necessario, che cambiava la vita, il completamento del suo essere. In quell'istante le sembrò di essere nata solo per lui. Era quello il motivo per cui aveva delle labbra: così che Max potesse baciarle. Aveva i seni perché lui potesse assaporarli, stuzzicarli, succhiarli. E Max aveva le braccia così da poterla stringere. Natiche sode così da poter affondare dentro di lei, senza sosta. E la sua carne era tenera e cedevole solo perché l'erezione di Max vi si tuffasse dentro, colmandola.
«Lasciatevi andare, Juliet» la esortò lui, una roca supplica più che un ordine, con una frizione sempre più veloce a ogni affondo.
«Lo sto facendo» rispose, irrigidendosi ancora di più. Max non sapeva che aveva lasciato andare tutto nell'attimo in cui lui l'aveva baciata? Aveva abbandonato ogni parte di se stessa, ogni minuto del suo passato come del futuro, solo per quell'istante presente.
Ma più si aggrappava a lui, più Max penetrava in lei, più sentiva che stava perdendo il controllo. Qualcosa le stava crescendo dentro, addensandosi, irrigidendosi. Quel grido di frustrazione che aveva sempre percepito in sé minacciava di uscire.
Incapace di sfogarlo, si aggrappò a Max, affondandogli i denti nella spalla.
Lui imprecò ancora, con un grido che risuonò tutt'intorno mentre usciva da lei e un fiotto di fluido caldo le si riversava sulla coscia. Ansimava, con respiri che sembravano grida roche che gli uscivano dai polmoni.
E lei non poté fare a meno di sorridere. Amava sentire Max perdere il controllo.
«Ci ho provato, sapete» disse Juliet un attimo dopo, deponendogli un bacio sulla spalla, dove gli aveva lasciato l'impronta dei denti. Un brivido impaziente e vivace le pulsava ancora nel punto dove erano appena stati uniti e chiuse gli occhi per gustarselo.
Max le scostò i capelli dal volto mentre le baciava l'angolo della bocca. «No. Avete lottato per tutto il tempo. Riuscivo a sentire quanto eravate stretta, e mi ha fatto impazzire.»
Solo ora si rese conto che lui si stava riferendo a quello che i francesi chiamavano la petite mort, il godimento che andava al di là del controllo di una persona. Marguerite le aveva spiegato che gli uomini che si consideravano bravi amanti prestavano molta attenzione al piacere di una donna.
«Oh.» Lei distolse lo sguardo, sentendosi d'un tratto timida. Se avesse saputo come lasciarsi andare, lo avrebbe fatto. Per lui. Ma si domandò se non fosse così abituata a mantenere il controllo che non sarebbe mai riuscita a provare dell'altro.
Lui le fece voltare la testa e posò le labbra sulle sue, con una tenerezza tale che rese il gesto molto più di un semplice bacio. «Sono stato un bruto con voi. Potete perdonarmi?»
«Non scusatevi per avermi trattata come una donna fatta di carne e sangue.» Juliet ricacciò indietro l'improvvisa ondata di emozione. «Siete l'unico che lo abbia mai fatto... come probabilmente ormai saprete bene.»