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The Season Standard – Resoconti quotidiani di eventi rilevanti

Il concerto da Lady F. di questa sera lascerà di certo il segno. Voci dicono che la nostra Dea indiscussa abbia ordinato un taglio di seta rossa al negozio di tessuti. C'è da chiedersi che creazione strabiliante sfoggerà questa sera Lady G.

Le altre notizie riportano che il nostro favorito, il Visconte E., è stato scorto al parco questa mattina...

Ogni volta che Juliet leggeva la copia del giorno dello Standard, emetteva un sospiro di sollievo. C'era solo quel breve riferimento a lei, ma nient'altro. Nemmeno il minimo accenno alla scandalosa visita alla residenza di Max della mattina precedente.

Naturalmente, Max era stato piuttosto astuto nel suo piano per assicurarsi che nessuno la vedesse. Così astuto, in realtà, che Juliet si era domandata a voce alta quanto spesso prendesse vetture a nolo e chiedesse al conducente di passare dal cancello del giardino.

Trovando la domanda divertente, Max aveva sorriso, blaterando sciocchezze sul suo essere gelosa, proprio prima di baciarla. Con passione.

Anche un giorno e mezzo dopo, Juliet riusciva ancora a sentire i caldi fremiti che l'avevano scossa.

«Pensate che Lord Thayne parteciperà al concerto di Lady Falksworth di questa sera, madame?» domandò Marguerite con un'occhiata ammiccante mentre apportava gli ultimi ritocchi all'acconciatura di Juliet.

Anche se lei non aveva confessato nulla riguardo agli eventi della mattina precedente, la cameriera lo aveva capito all'istante. Certo, era impossibile nascondere le tracce che lui aveva lasciato sulle carni di Juliet, indolenzite e arrossate per le sue ardenti attenzioni. Persino il modo in cui lei camminava era cambiato lievemente, e accennava a una nuova consapevolezza di muscoli che non aveva mai saputo di avere. Ma soprattutto, Marguerite aveva affermato che Juliet era radiosa, che la sua pelle e i suoi occhi emettevano un bagliore etereo.

Guardandosi nello specchio della toeletta, lei si chiese se si vedesse ancora. D'altra parte, l'attuale iridescenza poteva essere dovuta alla luce delle candele che si rifletteva sulla seta blu profondo. «Come ti ho detto prima, non conosco i programmi di Max da un giorno all'altro.»

Tuttavia ciò non le impediva di sperare di vederlo quella sera.

«Ma adesso siete la sua amante, no?»

Juliet non sapeva nemmeno quello. Da come si erano lasciati, non era certa di come stessero le cose tra di loro. Si era quasi aspettata che lui le chiedesse di sposarlo. Quando non lo aveva fatto, si era detta di esserne grata. L'uomo impulsivo di cinque anni prima, che le aveva sconvolto l'esistenza, era sparito. Poiché lei aveva appena iniziato a mettere ordine nella propria vita, non aveva bisogno di cambiamenti così improvvisi, che includevano una trasformazione della bizzarra amicizia tesa che condivideva con Max.

Quando lui non si era presentato per farle visita per tutto il giorno, tuttavia, Juliet aveva iniziato a temere che si fosse pentito di ciò che era accaduto. Indipendentemente dal loro passato, lei contava che fosse presente nella sua vita. E pregò che quel suo gesto impulsivo non avesse rovinato tutto ciò a cui teneva di più.

Rivalità o no, non voleva perderlo.

«Ciò che so è che arriverò in ritardo al concerto se non mi sbrigo» affermò Juliet, scegliendo un pettinino d'avorio dalla collezione su un vassoio. Anche se, data la destinazione di quella sera, avrebbe quasi preferito saltare del tutto il concerto. Detestava davvero Lady Falksworth.

Marguerite emise un suono di disgusto. «Quella donna non merita la vostra presenza, per il modo in cui ha parlato di continuo del vostro scandalo quando siete tornata, senza permettere a nessuno di dimenticare la ragione per cui avete sposato Lord Granworth.»

«Ah, ma facendolo mi ha resa una vera celebrità, non è vero? Direi che da allora il mio nome non è mancato un giorno sullo Standard» replicò Juliet, scherzosa, fingendo di apprezzare di essere sotto la lente d'ingrandimento del ton. Tuttavia non era quello il vero motivo per cui disprezzava Lady Falksworth. L'odio che provava era cominciato anni prima, quando la gentildonna era stata ospite di Lord Granworth a Bath.

Erano lontani cugini, ma molto simili nel carattere. Persino nei gusti esigenti riguardo a ciò che consideravano bellezza. All'inizio, Lady Falksworth aveva suggerito che a Juliet non fosse permesso bere più di una tazza di tè al giorno per evitare che le si macchiassero i denti. Poi erano stati aggiunti alla lista anche i frutti di bosco e, nel giro di pochi giorni, Lord Granworth e la cugina avevano stabilito tutta la sua dieta giornaliera.

Da lì, la vita di Juliet era stata gestita in piccole quantità di cibo ogni quarto d'ora, soggetta a cambiamento solo secondo il capriccio del marito e i suggerimenti di Lady Falksworth.

Durante quel periodo, Lord Granworth si premurò di ricordarle che lei non era niente senza la sua bellezza, niente senza i suoi soldi o le sue conoscenze, e che se fosse stata priva di tutto ciò nemmeno i suoi genitori l'avrebbero amata. E Juliet odiava avergli creduto tanto a lungo.

Era stato solo quando Zinnia e Lilah le avevano scritto più di un anno prima, esprimendo le loro condoglianze e chiedendole come stesse, che lei aveva ricominciato a sentirsi forte. Di tutti gli accesi sostenitori di Lord Granworth, che si professavano suoi cari amici, nessuno aveva mai dimostrato sul serio di esserlo. Solo Zinnia e Lilah avevano domandato di lei.

Juliet ricordava ancora il profondo scombussolamento che aveva provato. Quel gesto iniziale di gentilezza l'aveva riempita di una gioia tale da tirarla fuori dal suo blocco. Aveva trascorso fin troppi anni vivendo come un guscio vuoto. Ma quel periodo era finito per sempre.

La donna che Max aveva visto dentro di lei, la stessa che lui aveva baciato in biblioteca anni prima, meritava di meglio.

Dal suo ritorno, e anche nei mesi precedenti, lei aveva ritrovato la forza interiore e l'autostima, che l'avevano aiutata a imparare tutto ciò che poteva sul commercio di opere d'arte. Aveva così accumulato una piccola fortuna, molto più consistente di quello che Lord Granworth si sarebbe aspettato che lei possedesse grazie alla sua collezione di begli oggetti. Ma, soprattutto, Juliet amava essere una donna indipendente.

Non era quella la ragione per cui aveva accettato in primo luogo la scommessa con Max? Tuttavia, la situazione si era appena complicata. Non era sicura di come procedere con lui, ma sapeva che doveva portare avanti il proprio piano.

«Sono ancora dell'idea che Lady Falksworth non meriti la vostra presenza» protestò Marguerite mentre sistemava il pettinino.

«Forse è vero» concordò Juliet, indossando un paio di lunghi guanti bianchi di capretto con dei bottoncini di perle sui polsi. «Tuttavia, ho una scommessa da vincere e ora non è il momento di riposare sugli allori.»

«Lord Thayne vi darebbe di certo la casa, se gliela chiedeste.»

Senza dubbio. Juliet conosceva abbastanza il carattere di Max da ritenerlo capace di un tale gesto di tenerezza improvvisa. «Che è proprio il motivo per cui devo vincerla da sola. Non posso permettere che pensi che io sia stata in intimità con lui solo per ottenere la casa.»

«E glielo avete detto, non

«Certo.»

Marguerite si spolverò le mani. «Allora la questione è sistemata.»

Juliet scosse la testa, risoluta. «Una persona dà prova del suo carattere con le proprie azioni. Se le nostre situazioni fossero rovesciate, mi riterrei offesa se Max smettesse di cercare di vincere, e in me si insinuerebbe una certa dose di rimorso o dubbio. Lui ha tutto il diritto di essere rassicurato che ciò che è accaduto tra di noi non ha niente a che fare con la scommessa.»

«Solo con la passione» commentò Marguerite con un'altra occhiata allusiva, prima di prendere la collana di zaffiro dallo stretto portagioie foderato in velluto.

Juliet decise di ignorare la cameriera. «Con un po' di fortuna, incontrerò Ellery questa sera e continuerò con il mio piano per metterlo nella migliore luce possibile.» Poiché il salvataggio del suo ventaglio era stato un trionfo, aveva concluso che salvare lei sarebbe stato ancora meglio. Perciò intendeva fingere una storta alla caviglia, che sarebbe servita a due scopi: il primo, l'ovvio favore che lui avrebbe ottenuto, e il secondo, un prematuro congedo di entrambi dal concerto di quella sera.

Marguerite schioccò la lingua mentre agganciava il fermaglio della collana, la pietra blu che brillava sotto la luce argentea della candela. «Non mi piace più questo vostro piano.»

«Perché no?» Non che la cosa potesse fermare Juliet, ma era curiosa di saperlo.

«Che cosa penserebbe Lord Thayne se vi vedesse lasciare il concerto a braccetto di un altro uomo? Di certo sarebbe geloso.»

Dopo la mattina precedente, Juliet riteneva che lui non avrebbe pensato male di quella situazione. Era evidente che lei non era il tipo da prendersi un amante per mero capriccio. E al ricordo di come fosse stare tra le braccia di Max, il riflesso nello specchio le sorrise. «Pensavo avessi detto una volta che un uomo geloso è un eccellente amante.»

«C'est vrai.» Marguerite fece un cenno sovrappensiero, imbronciando le labbra. «Ma la passione nata dalla gelosia è un veleno, madame. Un poco può provocare caldi fremiti sulla pelle, ma troppa ucciderà la vostra relazione amorosa.»

L'avvertimento suscitò un brivido di presentimento in Juliet, e il sorriso sbiadì, conferendole un'espressione incerta. Diede le spalle allo specchio e si alzò. «Presumi troppo. Non so nemmeno se ho una relazione.»

Marguerite sorrise e la baciò sulle guance. «Allora, per il vostro bene, spero che Lord Thayne lo metta in chiaro questa sera. Vive l'amour!»

La fila di invitati per il concerto di Lady Falksworth seguiva il muro che costeggiava il corridoio troppo dorato e traboccante di opere d'arte del primo piano, e continuava lungo le scale rivestite dal tappeto. Come l'ambiente, la maggior parte degli ospiti era carica di ornamenti: una profusione di gioielli, diademi e turbanti, volti a impressionare la padrona di casa.

Al contrario delle previsioni sullo Standard, Juliet non si era impegnata in modo particolare. Si era vestita con la semplicità che preferiva sempre. Un solo gioiello e un abito ben confezionato erano tutto ciò che le serviva. Quando fu il suo turno di salutare Lady Falksworth, tuttavia, provò un po' di piacere nel ricevere un'occhiata di disapprovazione.

«Lady Granworth, è bello che siate venuta» esordì la donna con un sorriso tirato. «Mi sembra di ricordare di avere ammirato il taglio di quell'abito lo scorso mercoledì.»

Non era un caso se Juliet stava indossando lo stesso vestito che aveva messo in un'occasione precedente a cui avevano partecipato entrambe. «Oh, cielo» esclamò senza un briciolo di rammarico. «Che parsimoniosa sono stata.»

Gli occhi azzurri di Lady Falksworth divennero di ghiaccio, turbati dall'offesa. «Uhm... già. Ci si aspettava, tuttavia, che il patrimonio di mio cugino potesse permettervi un abito nuovo per un evento simile. A meno che, ovvio, la sventura di vostro padre non sia diventata vostra.» Non si incomodò ad abbassare la voce, ma aggiunse una risatina soddisfatta per alleggerire la calunnia. I risolini provenienti dagli ospiti accanto dimostrarono che era riuscita a fare sembrare che fossero conoscenti intime.

Juliet si era aspettata una simile rappresaglia e non batté ciglio. Non dire nulla fece solo apparire la padrona di casa permalosa.

Lady Falksworth continuò. «Oh, ma non giochiamo tutti d'azzardo di quando in quando? A me piace una vivace partita a whist. Anche se devo suggerirvi cautela, perché si dà il caso che non abbia più cugini che vi evitino la rovina.»

Questa volta ci fu una serie di brusche esclamazioni strozzate.

Non volendo dare a Lady Falksworth la soddisfazione di pensare di avere colpito un nervo scoperto, Juliet mantenne la compostezza come se la sua vita dipendesse da essa. «È una fortuna che non abbia bisogno di aiuto.»

«Ah, allora dobbiamo giocare qualche volta» ribatté l'altra.

Lei chinò il capo e si astenne da ulteriori commenti. Era meglio ritirarsi mantenendo la via più nobile, invece di scendere nel fango. Perché coloro che ci camminavano erano fin troppo felici quando li raggiungeva compagnia. Eppure Juliet desiderava aver detto o fatto qualcosa. Anni di ingiustizia infuriavano ancora dentro di lei.

Sapeva benissimo che quasi tutti gli ospiti presenti erano caduti vittima della lingua velenosa della padrona di casa, una volta o l'altra. L'alta società, tuttavia, era volubile ed era più interessata a compiacere se stessa quando possibile che a sconfiggere vecchie bisbetiche. La prova di ciò era la folla radunata nella sala da ballo.

Nell'attimo in cui Juliet entrò, cercò Ellery, sperando ancora di poter portare a termine quanto prima l'obiettivo per cui si era recata lì. Se fosse riuscita a fingere un incidente prima ancora che cominciasse l'esibizione, allora tanto meglio per lei.

Purtroppo, il visconte non si vedeva da nessuna parte. Peggio ancora erano le voci che imperversavano come un vento di burrasca su una baia rocciosa: a quanto pareva, l'invito di Lady Falksworth al Duca di Vale, a Ivy e alla duchessa madre, aveva escluso di proposito Gemma Desmond.

Juliet era furibonda. Che arpia altezzosa!

Se lo avesse saputo, avrebbe rifiutato l'invito per solidarietà. Fu pervasa dal rimorso e dalla delusione.

Guardò l'uscita, pronta a mostrare il suo sostegno, anche se a cose fatte. Ma la compagnia di cantanti d'opera italiani iniziò l'esibizione e le portefinestre che davano sulla sala da ballo si chiusero. Un valletto in livrea rossa e oro montava la guardia davanti a esse.

Era risaputo che Lady Falksworth detestava i ritardi e le interruzioni di ogni sorta. Si vantava della precisione della propria servitù, così come della puntualità e della perfezione dei suoi amici. Era solita ripetere: «Una vita non è degna senza ordine».

Ma ora Juliet era decisa a disturbare l'ordine di Lady Falksworth.

Quando fu il momento giusto, si alzò. Portandosi una mano alla tempia, sapeva che chiunque l'avesse guardata avrebbe presunto che avesse solo mal di testa. Funzionò per il valletto, dopotutto. Fu persino così gentile da mostrarle la stanza dei servizi, dove avrebbe potuto aspettare la fine dell'esibizione.

«Grazie, ma preferirei andarmene» gli disse con un sorriso, quando furono soli in corridoio.

Il giovane valletto arrossì fino alla punta delle orecchie e iniziò a balbettare. «Sua Signoria non vorrebbe... voglio dire... Lady Falksworth preferisce che gli ospiti restino sino... alla fine del ricevimento.»

Sentendosi in prigione, Juliet lanciò un'occhiata alle scale. «E se un ospite desidera andarsene comunque?»

«Temo, milady, che Mr. Bowson, alla porta principale, possa solo accompagnarvi in salotto.»

Che seccatura quella donna! Juliet era sempre più decisa a creare un po' di scompiglio. E sapeva esattamente come fare.

Senza lasciare trapelare l'acredine che scorreva in lei, congedò il valletto con un cenno ed entrò nella stanza dei servizi. Quando lui si fu allontanato, tuttavia, diede il via alla ribellione.

Percorse un corridoio e una rampa di scale e sgattaiolò nell'uccelliera, dove chiuse la porta dietro di sé. Le occorse un attimo per abituarsi all'interno in penombra. Solo il tenue bagliore della falce di luna filtrava attraverso il tetto a cupola in vetro. Arbusti in vaso, potati in una perfetta forma sferica, circondavano le pareti esterne. Al centro, cinque gabbie moresche, incappucciate di bianco, pendevano da delle catene e, tra di esse, la sua preda.

Un altro particolare noto di Lady Falksworth era che, proprio come Lord Granworth, era una collezionista. In particolare adorava la sua collezione di più di un centinaio di fringuelli verdi e gialli.

File e file di uccellini con i becchi rosati erano appollaiati sui trespoli e cinguettavano rumorosi. Qualcuno svolazzava irrequieto, con i piccoli artigli che ticchettavano contro le barre sottili, e si tuffava con una torsione del collo per sorseggiare un goccio d'acqua, o vagliava un seme, mordicchiandolo senza sosta per trovare la polpa all'interno.

Juliet gettò uno sguardo alla porta alle sue spalle, per assicurarsi di essere sola, prima di prepararsi ad alzare il chiavistello della prima gabbia. Riusciva già a immaginare i fringuelli che volavano in giro e lasciavano i loro escrementi su tutto il pavimento e sulle panche. Poi, quando Lady Falksworth avesse mostrato la sua collezione, sarebbe sprofondata dalla vergogna. Era il minimo che meritasse.

Inoltre, gli uccelli non avrebbero dovuto stare in gabbia. Lady Falksworth non aveva il diritto di tenere quelle bellissime creature imprigionate per il proprio divertimento.

Juliet sapeva fin troppo bene come ci si sentisse.

Notte dopo notte, si era spogliata per farsi esaminare e ammirare da Lord Granworth. Secondo il contratto matrimoniale, non poteva rifiutarsi. Il pagamento dei debiti di suo padre e il suo mantenimento dipendevano da quanto avesse compiaciuto il marito. L'unica tregua le era concessa dal ciclo mestruale, poiché lui lo riteneva una sfortuna per giunta disgustosa, ma diceva spesso che era un'afflizione che si doveva sopportare quando si aveva un'opera d'arte vivente in casa.

Certo, dopo la morte dei suoi genitori, Lord Granworth non aveva avuto più autorità su di lei. Juliet aveva pensato centinaia di volte di andarsene nell'ultimo anno, prima che lui mancasse. All'epoca, tuttavia, non aveva alcun posto dove andare, nessuna famiglia, nessuna casa, niente soldi e niente che potesse reclamare come suo. Era una prigioniera in una gabbia dorata, che non desiderava nulla a parte la propria libertà.

Nell'uccelliera di Lady Falksworth, Juliet sorrise felice mentre faceva un passo indietro, aspettando che gli uccellini uscissero e prendessero il volo, trovando appiglio su un ramo, invece.

Ma dopo che ebbe aperto la prima gabbia, notò che stava succedendo qualcosa di strano, o piuttosto non stava succedendo. I fringuelli si erano fatti silenziosi, tutti stretti insieme sui trespoli. Non c'erano più cinguettii, niente frullii d'ali.

«Dai» li incoraggiò, facendo schioccare la lingua. «Ora siete liberi. Guardate.» Infilò una mano attraverso l'apertura e agitò le dita prima di ritrarla.

Poi, immaginando che quegli uccelli non fossero dei più intelligenti, andò a una gabbia diversa e fece la stessa cosa. Ma anche quelli si zittirono. In effetti, tutti i fringuelli rimasero in silenzio, osservandola con attenzione, come se fosse un qualche tipo di predatore, invece che la loro salvatrice.

Frustrata, aprì tutte le gabbie, lasciando le porticine aperte come bocche in un grido muto. Sentì le lacrime bruciarle gli occhi. «Dannazione, perché non volate?»

Max arrivò tardi alla soirée di Lady Falksworth. Così per entrare fu costretto a insistere parecchio con il maggiordomo, che infine si rifiutò di farlo passare, mettendo in chiaro che il concerto era già iniziato e che il ritardo non era ammesso sotto il tetto di Sua Signoria.

Naturalmente, lui non aveva avuto intenzione di andarci. Non gli importava di Lady Falksworth, poiché era stata l'istigatrice principale del rinnovato interesse del ton per lo scandalo del bacio al ritorno di Juliet.

Tuttavia, aveva appreso dalla madre che Juliet aveva deciso di partecipare, e ne era rimasto sbalordito. Lei aveva reso manifesta in diverse occasioni la sua avversione per Lady Falksworth, quindi Max non poteva fare a meno di chiedersi perché avesse preso tale decisione.

Farsi chiudere la porta in faccia dal maggiordomo non lo scoraggiò nemmeno un po'. Avrebbe semplicemente trovato un altro modo per entrare.

Dalla strada, guardò l'alone dorato del lume di candela che illuminava i vetri delle file di finestre lungo la facciata di pietra grigia. Eretta su un angolo, la proprietà ospitava il muro di un giardino che costeggiava il marciapiede, una struttura che torreggiava più simile a un baluardo contro gli intrusi.

A passo svelto, Max seguì la parete che girava sul retro e lì trovò un cancello coperto di edera. In un lampo, penetrò nel giardino e dopo qualche passo trovò la cupola a vetri della famosa uccelliera di Lady Falksworth.

Fortuna volle che la stretta porta che conduceva in giardino fosse aperta.

«Dannazione, perché non volate?»

Una volta entrato, Max si fermò di colpo. «Juliet?»

Eccola lì, inondata dal chiaro di luna e con le lacrime che le brillavano negli occhi.

Lei lo guardò, sbattendo le palpebre, poi proruppe con un sospiro: «Siete venuto».

Max non sapeva che cosa fosse successo, ma avrebbe trovato il colpevole più tardi e lo avrebbe ucciso. Nel frattempo, la raggiunse soltanto, la abbracciò e le fece posare la testa sul suo petto. «Che cosa c'è, mia dea?»

«Volevo causare uno scandalo, ma non sta funzionando.»

«Ah» esclamò lui, come se avesse capito tutto e sapesse perché lei si trovava nell'uccelliera. «Ma siamo molto più bravi a suscitare uno scandalo insieme. Quindi ditemi che cosa posso fare.»

«Restate così come siete» rispose lei piano, appoggiando la guancia alle falde della sua giacca. «Non so nemmeno perché sono venuta. Avrei dovuto ignorare Lady Falksworth quando ha tirato fuori i debiti di gioco di mio padre. Non sono in molti a esserne a conoscenza o a sapere che facevano parte del contratto che lui aveva firmato con Lord Granworth.»

«Vostro padre...» Max si interruppe, assalito da un ricordo. «Quindi le voci erano vere.»

Lei annuì, emettendo un lento respiro. «Era a un passo dalla prigione per debiti. Quella sera, Lord Granworth gli offrì una vita di lusso, viaggi, ricevimenti... per il prezzo di una inutile figlia. Tutto ciò che quell'uomo voleva era la mia anima.»

Max le strinse le braccia intorno e premette le labbra sui capelli. «Ma vi siete presa gioco di tutti loro, non è vero?»

«Che cosa volete dire?»

«Non avete mai dato loro la vostra anima. L'avete tenuta rinchiusa al sicuro.»

Juliet sbuffò e indicò le gabbie. «Penso di essere stata più simile a questi uccelli, troppo stupida per volare.»

Quando lui gettò un'occhiata alle gabbie e vide gli sportelli aperti, iniziò a capire. Solo in quel momento si rese conto appieno di come dovevano essere stati per Juliet tutti quegli anni in trappola, in una vita che non si era creata lei. Era nata bella e con genitori che non tenevano a lei come avrebbero dovuto fare, ma che l'avevano invece venduta per un matrimonio senza amore.

Non poté fare a meno di pensare a quanto le cose sarebbero potute essere diverse. A quanto intensamente lui l'avrebbe amata, dissipando qualunque suo dubbio.

«Non volano. Stanno solo appollaiati lì.» Juliet tirò su con il naso, poi continuò: «E si meritano di più di una vita in gabbia».

Lui le depose un bacio sulla tempia e inspirò il lieve profumo di rosa dei suoi capelli. «Forse hanno paura. Sanno com'è la vita dentro la gabbia: cibo in abbondanza, una vaschetta d'acqua, una comunità a cui appartengono. Ci vorrebbe un atto di coraggio per andarsene e avventurarsi nell'ignoto.»

Lei rimase in silenzio per un istante. Quando parlò, la sua voce era fragile e tirata come pizzo calpestato. «Sono sempre stata libera di lasciare Lord Granworth. Ci pensavo ogni momento di ogni giorno. Avrei potuto trovare un impiego come dama di compagnia o persino governante. Invece, sono rimasta e ho attribuito la colpa del mio destino ai debiti di mio padre. Mentre la verità era che avevo paura di ciò che mi aspettava al di fuori della mia gabbia. Soprattutto temevo di venire a sapere che tutti avevano ragione su di me: non possedevo alcun valore.»

«Come avete mai potuto crederlo?»

Di nuovo, lei gli appoggiò la testa sulla spalla. «Era fin troppo facile.»

Più di ogni altra cosa, Max voleva dirle che pensava fosse stata coraggiosa a tornare a Londra e a fronteggiare gli oppositori, specie lui, a testa alta. Non le aveva reso la vita facile. Ma in tutti i loro battibecchi, lei non aveva mai ceduto e, si rese conto adesso, ciò gliel'aveva fatta amare ancora di più.

I sentimenti che aveva sempre provato per Juliet erano ancora dentro di lui. Tuttavia, per quanto volesse rivelarglielo, temeva di spaventarla.

«Quando sarete pronta» le disse, «vi riaccompagnerò dentro.»

Lei alzò la testa, la schiena di colpo rigida. «Sapete benissimo che non possiamo farci vedere insieme.»

«Perché no?»

«Qualcuno di certo noterebbe quanto...» Si interruppe, gli occhi che guizzarono sui suoi, e poi altrove. «... camminiamo bene insieme.»

Max annuì, solenne, cercando di non ridere. «È vero. Voi e io camminiamo da molti anni, ormai, e ritengo che siamo degli esperti.»

«Accertatevi di non ripeterlo con Zinnia nei paraggi. La annienterebbe sapere di non essere l'esempio primario» scherzò lei in risposta, tornando a rilassarsi nel suo abbraccio. «Ma, tornando seri, penso che abbiate capito cosa intendo dire.»

«Sì, camminiamo piuttosto bene insieme.» La studiò con attenzione e azzardò un bacio di sfuggita. «È un peccato che voi ci tradiate, perché non riuscite a evitare di carezzarmi con lo sguardo. Dovreste imparare a controllarvi, sapete.»

Lei sorrise e il chiaro di luna si rifletté con dolcezza nei suoi occhi. «Mi sforzerò, ma non posso promettere niente.»

E con quelle poche parole, Juliet lo colmò della speranza che, magari, non si sarebbe tirata indietro come lui temeva.