La mattina seguente, Juliet incontrò l'avvocato per rivedere i propri conti.
Il giovane Mr. Sternham era in piedi di fronte alla scrivania, con le mani inguantate unite sul davanti del completo marrone che pendeva sulla sua figura ossuta. Come suo padre, il socio anziano dello studio Sternham & Son, portava il monocolo, sorretto tra un sopracciglio sottile e la guancia sollevata, che generava un arco di rughe da un lato del naso fino alla mandibola. Il fatto che lei non avesse mai visto nessuno dei sue senza occhiale, la spingeva a chiedersi se non glielo avessero fissato alla nascita. Ma, malgrado l'origine, quel grande occhio dietro la lente la stava fissando con malcelata impazienza.
«Ho quasi finito, Mr. Sternham» disse con un sorriso di scuse. Preferiva controllare da sola i libri contabili e tenere d'occhio le spese. Anche se possedeva un immenso patrimonio, non poteva dimenticare l'involontaria lezione del padre: le cattive decisioni spesso erano il risultato della disperazione.
Purtroppo, non le riusciva di concentrarsi sui numeri. Non dopo la sera precedente. Né lei né Max erano tornati al concerto. Al contrario, lui l'aveva accompagnata a casa, tenendola stretta nell'abitacolo buio della carrozza. C'era qualcosa di naturale e intimo nell'appoggiarsi a lui, con la testa posata sulla sua spalla.
Il senso di meraviglia che aveva provato in quel momento indugiava ancora in lei. Forse era quello il motivo per cui lo sguardo continuava a caderle su ogni parola della pagina che cominciasse per M, come se gli occhi vedessero Max dappertutto.
Modisteria Max's: cappellino di paglia, nastri, guanti.
Fioreria Smythe's: Max, felci e gipsofila.
Pasticceria Draber's: Max.
In effetti dovette battere le palpebre diverse volte per vedere cosa ci fosse davvero scritto.
Modisteria Merlin's: cappellino di paglia, nastri, guanti.
Fioreria Smythe's: mirto, felci e gipsofila.
Pasticceria Draber's: meringhe.
Forse anche a lei serviva un monocolo.
Dopo qualche altro minuto, rinunciò con riluttanza e chiuse il registro. Invece di aggiornare la somma in colonna mentre l'avvocato aspettava come era stata l'intenzione originaria, glielo consegnò, ringraziandolo per la sua pazienza, e gli riferì che sarebbe andata l'indomani nel suo studio. Sperava di avere la mente lucida per allora, anche se aveva parecchi dubbi.
Non riusciva a smettere di pensare a Max, domandandosi che cosa stesse facendo e se stesse pensando a lei. Davvero patetico.
Lo stomaco le sfarfallava di continuo, come se avesse inghiottito un fringuello che stava cercando di scappare. Il cuore era passato da una rapida cadenza a un ritmo ansioso e irregolare. E, cosa peggiore, si era ritrovata a sospirare – sospirare, per amor del cielo! – a intervalli regolari, come una cadenza prestabilita.
Quella mattina, Zinnia le aveva chiesto se le fosse venuta la febbre.
Pronta a negare, Juliet aveva assicurato che stava bene, anche se si era sentita oltremodo imbarazzata. La sua unica consolazione era che poteva attribuirne la colpa anche a Max.
Ciononostante, mentre usciva per andare a fare visita a Marjorie, Zinnia aveva dichiarato che si sarebbe fermata dal farmacista per vedere se aveva una polvere medicinale che aiutasse la respirazione di Juliet.
Ora che la cugina se ne era andata, e anche l'avvocato, Juliet aveva fin troppo tempo a disposizione.
«Sono arrivate lettere o pacchi, Mr. Wick?» chiese mentre raggiungeva l'ingresso.
«No, da un quarto d'ora fa, milady.» L'espressione solenne del maggiordomo rimase immutata, a parte una lieve inclinazione del sopracciglio quando l'uomo gettò uno sguardo al vassoio della posta vuoto sul tavolino in palissandro. «Se state aspettando una consegna, posso mandare un fattorino.»
«No, grazie. Non è necessario, solo una mera curiosità.» Juliet represse la vergogna, sentendosi come se fosse ricoverata a Bedlam. «Tuttavia, se qualcuno dovesse farci visita, sarò nel salottino.»
Mr. Wick si schiarì la gola. «Perdonatemi, milady, ma avevo l'impressione che non foste a casa per le visite il giovedì.»
«Oh, oggi è giovedì? Be', allora ciò spiega tutto. Non sono mai in me il giovedì» rispose lei con una secca risata e domandandosi se dovesse fingere un capogiro per un migliore effetto.
Grazie al cielo, fu salvata dal dover prendere tale decisione quando si udì bussare tre volte alla porta. Mr. Wick si voltò per rispondere.
«Una consegna, sir» annunciò un ragazzo che indossava un berretto di feltro carminio, sollevando con entrambe le mani un pacchetto rettangolare avvolto in carta marrone.
Juliet sentì un sorriso allargarsi sulle labbra mentre veniva assalita dalla trepidazione. Non stava aspettando alcuna consegna e, per quello che ne sapeva, nemmeno Zinnia. Ma poiché era già accaduto due volte in precedenza, non poté fare a meno di chiedersi se il pacco non fosse per lei.
Mr. Wick sembrò impiegare un'eternità per controllare il biglietto allegato e voltarsi. Juliet trattenne il fiato per tutto il tempo.
Infine, il maggiordomo chinò il capo e fece un passo verso di lei. «Per voi, milady.»
Vide il semplice cartoncino bianco con lo scarabocchio familiare quando afferrò i bordi di quella che sembrava una scatola vuota. Era piuttosto leggera, come se non contenesse altro che aria, e lei sarebbe stata comunque contenta se dentro ci fosse stata solo quella.
«Vi ringrazio, Mr. Wick» rispose, senza fiato, pronta a correre in salotto per aprirla.
L'obiettivo cambiò all'improvviso quando il maggiordomo si voltò per pagare il ragazzo. Fu allora che scoprì che il fattorino non era più l'unico dall'altro lato della porta.
Max si tolse il cilindro grigio dalla testa, con lo sguardo attento su Juliet, prima di spostarsi su Mr. Wick. «Mrs. Harwick è qui per caso? Mi è stato riferito che mia madre stava facendo visita a Lady Cosgrove questa mattina.»
«Mi rincresce, Lord Thayne. Temo che Lady Cosgrove sia uscita poco tempo fa, credo per fare visita a Mrs. Harwick» rispose l'altro in tono perplesso. Povero Mr. Wick. Era probabile che pensasse che di giovedì fossero tutti indisposti.
Max apparve dispiaciuto. «Devo avere capito male. Sono stato un po' distratto ultimamente. L'unica cosa che mi sembra di ricordare è che Lady Granworth non è a casa di giovedì, quindi suppongo di dover tornare da dove sono venuto. Buona giornata, Mr. Wick.»
Sbalordita, Juliet lo osservò voltarsi senza nemmeno degnarla di una seconda occhiata. Si sentiva offesa, ma al contempo aveva voglia di ridere. Come osava andare fin lì, vederla a meno di quattro passi da lui e non chiedere neanche di incontrarla? Eppure, lei ebbe la netta impressione che non fosse andato lì per sua madre, in particolare poiché non lo aveva mai fatto in passato.
«Mr. Wick, potete informare Lord Thayne che al momento sono a casa» disse Juliet, parlando a voce abbastanza alta da richiamare l'attenzione di Max, che quindi guardò alle proprie spalle con un sorrisetto sulle labbra. «A meno che, naturalmente, non abbia impegni più urgenti.»
Poi Juliet si voltò senza aspettare la sua risposta.
In salotto, chiuse gli occhi e fece del proprio meglio per placare il cuore che le batteva all'impazzata. Si strinse il pacco al seno e si disse che era sciocco reagire in quel modo solo perché Max era lì. Aveva accompagnato sua madre in visita in diverse occasioni durante quella Stagione.
Però le sovvenne che era la prima volta che ci andava da solo e, probabilmente, per vedere lei.
Felice, senza un motivo particolare, supponeva, attraversò la stanza, si sedette sul divano e mise il pacchetto ancora chiuso sul tavolo, il biglietto rivolto verso di lei.
Mr. Wick apparve sulla soglia, un po' sconcertato. «Lord Thayne è qui per vedervi, milady.»
Poi spuntò Max, senza guanti e cappello, con i capelli scuri leggermente arruffati, che gli si arricciavano sulla fronte. Fece l'inchino, senza mai staccare lo sguardo da lei, nemmeno per mascherare l'evidente passione che gli ardeva negli occhi.
«Grazie, Mr. Wick. È tutto» rispose Juliet, sperando che non si avvertisse il tremito che aveva nella voce.
Il maggiordomo se ne andò senza badarci, mentre Max, d'altro canto, sembrò studiarla con maggiore attenzione.
«È gentile da parte vostra ricevermi» affermò, occupando la poltroncina di fronte a lei. «Sembrate stare piuttosto bene. Molto meglio di quanto ha raccontato Lady Cosgrove.»
Ah, quindi sapeva che era a casa da sola. «E cosa vi ha detto esattamente lei, solo qualche momento fa, quando è venuta a fare visita a vostra madre?»
Max sorrise, spudorato. «Che eravate a un passo dalla morte, in preda alla febbre, con difficoltà di respiro, disorientata, incapace di concentrarvi su un singolo compito...»
«Non ci credo.» Perlomeno, Juliet non pensava che fosse da Zinnia rivelare troppo.
«Allora forse sono solo i miei sintomi» ribatté lui con un'alzata di spalle, come se non avesse confidato qualcosa di tanto colossale da toglierle il respiro.
«Sono in perfetta salute al momento» proclamò Juliet, solo perché le piaceva contraddirlo.
Lui si sporse in avanti, con i gomiti sulle ginocchia, le dita premute le une contro le altre. «Ne siete sicura? Perché vedo un pacco sul tavolo e sembra che lo abbiate del tutto dimenticato.»
Lei represse un sorriso. «Sarebbe scortese da parte mia aprirlo in vostra presenza.»
«Perché? Temete che sia il dono di un ammiratore e che il contenuto possa essere di natura intima?»
La curiosità di Juliet fu stuzzicata, al punto che sentì formicolare la pelle. Possibile che Max fosse lì proprio perché sapeva quando sarebbe stato consegnato il pacco? Voleva assistere mentre lei scopriva cosa conteneva?
Incapace di resistere alla tentazione di protrarre la tensione, sfiorò con la punta delle dita lo spago. «Non c'è modo di scoprirlo. È già successo due volte e il biglietto non era firmato.»
«Uhm... perciò non si può sapere chi sia il mittente o che cosa possa contenere.»
«Per niente.» Lei ritrasse la mano.
Max ridusse gli occhi a fessura. «E non siete neanche un po' curiosa?»
«Io? Sapete che non rivelerei mai un tale difetto del mio carattere. Tuttavia, poiché siete voi» sussurrò, «vi svelerò un segreto. Se la curiosità fosse uno sfogo cutaneo, sarei ricoperta di macchie dalla testa ai piedi.»
Max strinse i denti ma sorrise allo stesso tempo. «Allora, aprite quel dannato pacchetto.»
«Non vi dispiace?»
«Insisto.»
Spostandosi il pacco sul grembo, tirò lo spago, con il cuore che le batteva all'impazzata nel petto. Come sempre, scostò la carta con calma, assaporando il momento e... forse solo per prolungare di proposito il tormento del suo pubblico.
Alla fine, raggiunse la scatola all'interno. Sollevò il coperchio e scoprì che cosa conteneva la fodera di feltro blu.
Le si mozzò il respiro in gola.
«La porta di una gabbietta per uccellini.» In effetti, avrebbe detto che fosse una delle porticine dell'uccelliera di Lady Falksworth, poiché sembrava uguale, con sottili sbarre metalliche dipinte di bianco e arricciate in fondo per decorazione.
«E ora è sempre aperta» spiegò Max con un sussurro che proclamava la sua sincerità.
Lei vi posò sopra la mano con tenerezza, come se fosse un tesoro inestimabile. Al contrario dei due doni che erano arrivati in precedenza, questo non era inteso per suscitare la sua collera o il suo divertimento. Era molto tenero ed era qualcosa che solo Max avrebbe potuto regalarle. Perché solo lui la conosceva intimamente. Era stato suo amico, suo nemico e poi il suo amante. E ora, anche se non sapeva più cosa fossero, Juliet aveva solo una certezza: si stava innamorando di lui.
Quella rivelazione improvvisa la terrorizzò.
Guardò Max, e cogliere la tenerezza nel suo sguardo peggiorò solo la situazione. Prima di quel momento, l'unico uomo che aveva pensato di amare era stato suo fratello Bram. L'esito di quell'esperienza l'aveva lasciata inerme.
Con Max aveva un passato in comune, un legame profondo costituito da molto più che sorrisi e civetterie. Per qualche ragione sapeva che amarlo sarebbe stato doloroso quando la loro storia fosse finita. Catastrofico, in realtà. Dopotutto, a lui serviva una moglie prima di partire per il Lancashire mentre lei... non aveva bisogno di un marito, né lo desiderava. Le piaceva la sua nuova vita indipendente. Amarlo la metteva a rischio. Max era il tipo d'uomo che avrebbe preteso tutto ciò che lei poteva dare.
Posò la scatola sul cuscino accanto a sé e si alzò; lo sguardo prima le saettò verso la finestra, poi corse alla porta.
Anche Max si alzò, con espressione preoccupata. «Vi sentite male?»
Juliet scosse la testa, cercando di mantenere la compostezza, anche se iniziò a cercare il ventaglio; andò alla tavola dall'altro lato della stanza e aprì il cassetto. «Solo un po' di caldo. Sembra non esserci abbastanza aria.»
Ovvio che si stava preoccupando senza ragione. Era possibile che non cambiasse niente tra di loro. Ma anche mentre formulava quel pensiero nella testa, sapeva che non era possibile. Max stava cercando una moglie e forse stava persino pensando che lei fosse disponibile. Oh, sperava di no. Sperava che lui non fosse così ingenuo.
Max arrivò dietro di lei, una presenza confortante alle sue spalle, e le fece scorrere con tenerezza i palmi lungo le braccia. «Ma la vostra pelle è fredda.»
«Sul serio?» Juliet chiuse gli occhi, gustandosi la sensazione delle sue mani su di sé, e desiderò con tale intensità di appoggiarsi a lui che non farlo le provocò quasi dolore.
«Non penso che abbiate troppo caldo. In effetti, penso che il regalo vi abbia turbata. Se è vero, lo eliminerò subito.»
«Il regalo era perfetto.» Max non aveva ancora ammesso di averlo mandato, ma lei non voleva più continuare con quella finizione. «Mi capite meglio di chiunque altro.»
E poiché sembrava un bisogno che non poteva più controllare, si voltò tra le sue braccia e lo baciò.
Il tocco delle labbra di Juliet sembrò destare un turbine di speranza e desiderio dentro Max. Tutto tra di loro si stava infine sistemando. Non insistere nel corteggiarla sembrava funzionare. Se quello era il suo premio, le avrebbe concesso tutto il tempo che le serviva, anche se aspettare andava contro l'istinto di reclamarla come sua. Voleva che l'intero mondo sapesse che lei era sua.
Non avrebbe rischiato di perderla una seconda volta.
Senza fiato, lei interruppe il bacio, posandogli le mani sul torace. «Che cosa volete da me, Max?»
Lui scorse il panico nella sua espressione. E anche se gli piaceva che fossero sempre diretti l'uno con l'altra, sapeva che era ancora troppo presto per dirle la verità, e cioè che voleva tutto di lei, ogni singolo momento, per il resto della loro vita. «Solo quello che siete disposta a dare.»
La risposta sembrò placare le sue paure perché Juliet gli allacciò le braccia intorno al collo e premette di nuovo le labbra sulle sue. Questa volta il suo bacio fu impaziente, appassionato, quasi disperato, come se avesse bisogno di qualcosa di più da lui. Rassicurazione? Chiarezza? Non ne era sicuro. Perciò le diede tutto ciò che poteva in quel momento.
Sapendo con precisione come le piaceva essere baciata, le sfiorò la bocca con la propria e gliela mordicchiò nel modo che la faceva sempre tremare. Juliet si aggrappò forte a lui schiudendo le labbra con un debole gemito. E Max si smarrì in quel suono, in quell'ammissione di intimità che nemmeno lei riusciva a nascondere. La fece camminare all'indietro così da nascondersi dietro la porta aperta.
Come qualche giorno prima, finirono contro la parete, a baciarsi e palparsi con ardore. Lei gli infilò le mani sotto la giacca e gli accarezzò la schiena. Lo sorprese afferrandogli il fondoschiena e attirandolo a sé, il suo corpo che accoglieva le spinte dell'erezione contro di lei. Attraverso la mussola gialla, Max le prese il seno con il palmo, descrivendo cerchi con il pollice sulla punta impertinente. Lei ansimò nella sua bocca e insinuò una mano tra di loro, sulla patta dei suoi pantaloni.
Proprio allora, però, lui udì il suono di una porta che si apriva, seguito dalla voce del maggiordomo che salutava Lady Cosgrove nell'ingresso.
Max le bloccò le mani. «Vostra cugina è tornata.»
Juliet sbatté le palpebre, sgranando gli occhi, lo sguardo che saettava qua e là come se si stesse rendendo conto solo in quel momento che si trovavano nel salotto di sua cugina. «Presto. Dovete fingere che stavate per andarvene.»
Lui rise, abbassando lo sguardo sulla prova evidente della sua eccitazione. «Mi occorrerà qualche istante.»
«Oh, cielo.» Lei inarcò le sopracciglia dorate e un piccolo sospiro le sfuggì dalle labbra. «Dovrete portare qualcosa davanti a voi. Qualcosa di abbastanza grosso.»
Max sorrise. «Potrei portare voi via da qui e risolverei due problemi in un colpo solo.»
Juliet alzò lo sguardo sul suo, vi indugiò e per un attimo sembrò considerare l'idea. Ma poi, purtroppo, scosse la testa. «Creerebbe più problemi di quanti potrebbe risolverne. Ecco.» Afferrò il ventaglio e lo aprì con uno scatto. «No, non va bene. Ci serve qualcosa di più grande. Forse potreste sollevare una sedia e fingere che la state spostando.»
Sapendo che stavano esaurendo il tempo a disposizione, Max le prese la mano e la condusse al divano prima di sedersi di fronte a lei. Ebbe l'ardire di deporle un bacio sulla guancia. «Forse vorreste aprire il ventaglio, perché mostrate un'incantevole sfumatura di rosa sopra i seni e lungo la gola.»
Non appena Juliet ebbe aperto il ventaglio, sua cugina entrò nella stanza.
«Buongiorno, Lord Thayne, Juliet.»
Loro ricambiarono il saluto come se fosse normale trovarli da soli in salotto. Max suppose che fossero fortunati per il fatto che Lady Cosgrove appariva distratta, con le mani che tormentavano il nodo della reticella.
«Sono lieta che siate qui entrambi, perché ho delle novità. Vostro fratello» disse a Max, «il Marchese di Engle, è appena tornato a Londra.»
Subito Max guardò Juliet per leggere la sua espressione. Lei spostò lo sguardo sul suo e poi lo distolse in fretta, come per nascondere la propria reazione. Lui non voleva pensare al perché sentire nominare suo fratello la facesse agire così.
Deglutì. «È un'ottima notizia.»
«Non proprio» aggiunse Lady Cosgrove a occhi bassi e scrollando addolorata il capo. «È con mio profondo rammarico che vi informo anche che vostra cognata, la Marchesa di Engle, è morta.»
Juliet coprì la propria esclamazione strozzata con le dita. «È una terribile notizia. Oh, Max, mi dispiace tanto. Per favore estendete il mio più profondo cordoglio a vostra madre e a Bram.»
Bram. Lei si riferiva sempre a suo fratello con il nome di battesimo, come se ci fosse ancora familiarità tra di loro. Ora Bram era vedovo. E Max desiderò d'un tratto aver portato via Juliet di lì quando ne aveva avuto la possibilità.