1500 Benvenuto Cellini nasce a Firenze il 3 novembre da Giovanni d’Andrea di Cristofano e da sua moglie Elisabetta Granacci. Una lapide dettata da G. Molini ricorda la nascita sulla casa dove questa avvenne, in via Chiara 4 (a metà fra il Duomo e la Fortezza da Basso), indicando però il «1° novembre», mentre anche lo stesso Cellini fornisce la data inesatta del 2 [I 3]. Il padre era suonatore («piffero») della Signoria e carpentiere oltre che, forse, costruttore di strumenti musicali e intagliatore d’avorio [I 1-5].
1502 Il governo popolare di Firenze, istaurato nel novembre 1494 con la cacciata dei Medici, elegge (10.XII) Piero Soderini gonfaloniere a vita.
1504 Quale musico governativo, Giovanni Cellini fa parte della giuria incaricata di decidere (25.I) la collocazione del David marmoreo di Michelangelo.
1505 La Signoria approva (febbraio) un pagamento a favore di Giovanni Cellini che ha costruito il ponteggio su cui Leonardo da Vinci dovrebbe dipingere la Battaglia di Anghiari nella sala del Consiglio in Palazzo Vecchio.
1512 A dicembre la Signoria fiorentina ritorna nelle mani dei Medici.
1513 Benché suo padre voglia fare di lui un suonatore («cornetto») e lo istruisca in tal senso, gli concede di frequentare la bottega dell’orafo e armaiolo Michelangelo Brandini, padre di Baccio Bandinelli, futuro scultore e rivale di Benvenuto Cellini [I 6,7].
1515 Contro la volontà paterna frequenta la bottega dell’orafo Antonio Giamberti detto Marcone [I 7].
1516 In seguito a una rissa viene esiliato con suo fratello Cecchino. Soggiorna a Siena «molti mesi» nella bottega dell’orafo Francesco Castoro [I 8]. Di ritorno a Firenze, per fargli proseguire gli studi musicali suo padre lo manda a Bologna, dove Benvenuto Cellini lavora successivamente con due orafi, Ercole del Piffero e Graziadio, poi presso il miniatore Scipione Cavalletti [I 9].
1517 Rientrato a Firenze, prosegue il tirocinio nell’oreficeria, ma le insistenze del padre per la musica lo inducono a scappare da casa. Per circa un anno lavora a Pisa con l’orafo Ulivieri della Chiostra dedicandosi anche allo studio di opere antiche [I 10, 11].
1518 In seguito a una malattia è di nuovo a Firenze, ancora con Marcone; poi con un altro orafo, Francesco Salimbene. Fra l’altro esegue una fibbia d’argento per cintura da uomo [I 12, 13].
1519-20 Si reca a Roma e frequenta successivamente le botteghe degli orafi Giovanni de’ Georgis (eseguendo fra l’altro una saliera d’argento per un cardinale [I 14]) e Paolo Arsago. Rifiuta la proposta dello scultore Pietro Torrigiano di seguirlo in Inghilterra [I 15].
1521-22 Rimpatriato, torna dapprima con F. Salimbene; poi l’orafo Giambattista Sogliani gli concede parte della propria bottega. Esegue fra l’altro una cintura per sposa. Ha contrasti con membri della famiglia Guasconti, pure orafi [I 15].
1523 È multato (13.I) per atti di libidine nei confronti di tale Domenico di Giuliano da Ripa. Si azzuffa coi Guasconti e gli viene comminata (13.XI) un’altra multa; in seguito a ciò ferisce Gherardo Guasconti e Bartolomeo Benvenuti che ne prende le difese. Condannato a morte in contumacia, ripara a Roma, dove si sistema nella bottega dell’orafo Lucagnolo da lesi. Esegue due candelieri per il vescovo di Salamanca e un ricco gioiello per la moglie di Sigismondo Chigi [I 19-21]. Muore (14.IX) papa Adriano VI, sul Soglio dal 9.1.1522, e viene eletto (18.XI) un Medici, Clemente VII.
1524 Passa a lavorare con Giovampiero della Tacca; dal 16.VIII suona come «cornetto» nella fanfara pontificia [I 23]. Entro l’anno apre bottega propria. Benvenuto Cellini ricorda numerose opere di questo momento: acquerecce per il cardinale Cibo Malaspina e per altri prelati [I 25], boccale e vaso d’argento per Berengario da Carpi [I 28], pugnali, anelli d’acciaio e oro [I 31], medaglie d’oro da berretto maschile per il gonfaloniere G. Cesarini [I 25] e per altri [I 31; O., XII]. Studia le tecniche di Lautizio Rotelli, «unico» nella fabbricazione di sigilli, del medaglista Caradosso e dello smaltatore Amerigo Righi; inoltre frequenta Giulio Romano e altri già della cerchia di Raffaello [I 26, 30, 31] desumendone orientamenti stilistici.
1525 c. Il suo temperamento rissoso si manifesta di nuovo in diverbi e duelli [I 24-26]. È colpito dal riacuirsi della «peste»; si cura e trascorre «circa un mese» di convalescenza a Cerveteri presso il conte dell’Anguillara, incontrando il pittore Rosso Fiorentino [I 29].
1527 Si rappacifica coi Guasconti (20.11). Il 6.V, all’ingresso delle truppe di Carlo V in Roma, ripara al seguito di papa Clemente VII in castel Sant’Angelo, prodigandosi nella sua difesa come bombardiere e archibugiere; cosicché durante il famigerato Sacco ha modo — stando alle sue asserzioni, mai fondatamente smentite, quantunque non accertabili — di partecipare all’uccisione del comandante in capo degli assedianti, Carlo di Borbone, e di ferire il suo successore principe d’Orange [I 34-37]. Il pontefice gli fa smontare vari gioielli e fonderne l’oro [I 38]. Come quasi tutti gli artisti attivi a Roma, terminato il Sacco (5.VI) lascia la città. Risale a Firenze [I 39]. Cacciati i governanti pontificio-medicei (cardinali Silvio Passerini e Ippolito de’ Medici, e Alessandro de’ Medici), i fiorentini istaurano (21. VI) un nuovo governo democratico.
1528 Risiede a Mantova lavorando presso maestro Niccolò, che lo mette in relazione con la corte dei Gonzaga. Per il cardinale Ercole esegue un sigillo d’argento, sua prima opera nota (da impronte); per il duca, un sigillo d’oro [I 40; O., XIII]; e un terzo per un membro ignoto della casa ducale [Portioli]. Inoltre abbozza un reliquiario per contenere il sangue di Cristo, destinato al Duomo [I 40]. Di ritorno a Firenze, dove nel frattempo è morto suo padre, lavora una medaglia da berretto maschile per il senese G. Marretta [O., XII] e una per il fiorentino F. Ginori (quest’ultima può essere dell’anno successivo) [I 41; O., XII].
1529 Si reca a Roma (maggio). Clemente VII lo nomina maestro delle stampe della zecca pontificia [Cerasoli], per la quale appresta il doppione d’oro con due rovesci differenti e il due carlini d’argento [I 45; O., XIV]. Intanto lavora nella bottega di Raffaello del Moro [I 41-43], dove prepara per il papa i modelli di un bottone da piviale [I 43,44]. Il 27.V suo fratello Cecchino, pure a Roma, viene ucciso in una rissa; Benvenuto Cellini lo fa seppellire in San Giovanni dei Fiorentini [I 45-50]. Clemente VII e Carlo V stipulano la pace (29.VI) concordando il ritorno dei Medici a Firenze, e la città viene stretta da assedio (ottobre).
1530 Termina il bottone da piviale di Clemente VII [O., VII, XIII] (sarà smembrato nel 1797 per fare fronte alle imposizioni di Napoleone). Ammazza l’uccisore di suo fratello, ricevendo non più che un severo rabbuffo dal papa [I 51]. Per quest’ultimo inizia un calice d’oro [I 56, 58], che non porterà a termine. Apre una bottega in Banchi [I 51] (forse localizzabile nell’attuale via dei Banchi Nuovi). Il 12.VIII i Medici rientrano a Firenze.
1531 Clemente VII gli concede (aprile) una sinecura di mazziere [I 55]. Esegue tre sigilli per la Fabbrica di San Pietro [Müntz, 1898]. Intanto Alessandro de’ Medici, che nel 1530 era stato nominato dall’imperatore Carlo V capo della repubblica di Firenze, il 16. VII ottiene il riconoscimento dei fiorentini; l’anno seguente sarà eletto duca.
1532-33 Disegna, e fa eseguire da Tobia da Camerino, un gioiello a forma di liocorno per Clemente VII; e inizia segretamente una medaglia del papa stesso [I 60, 63]. Ha disturbi alla vista; dapprima li attribuisce ai dissapori col cardinale reggente (il papa è a Bologna dal novembre 1532 al marzo ’33), poi al contagio da parte di una «giovane serva» [I 57-59,63]. Assieme a un prete compie riti negromantici nel Colosseo [I 64]. Dal gennaio 1533 è esonerato sia dal posto di mazziere sia dall’incarico alla zecca; Benvenuto Cellini ne incolpa le mene dell’orafo Pompeo de’ Capitaneis [I 60].
1534 Viene a diverbio con un ser Benedetto notaio e lo ferisce; ripara a Napoli [I 66, 67]. Richiamato a Roma, presenta la medaglia suddetta a Clemente VII; questi, ormai moribondo, gliene commissiona un nuovo rovescio celebrante il Pozzo di Orvieto [I 70, 71; O., XV]. L’agonia del papa e la speranza di amnistia all’elezione del successore suscita sia in Benvenuto Cellini sia in P. de’ Capitaneis il timore di un attentato reciproco. Il primo uccide l’altro l’indomani della morte di Clemente VII (26.IX) [I 72, 73]. Il nuovo eletto (13.X), Paolo III (Alessandro Farnese), assolve immediatamente l’uccisore [I 74], commissionandogli inoltre la moneta di uno scudo con la propria effigie — secondo quanto è asserito in modo piuttosto confuso nella Vita [I 75] —, che presumibilmente non fu mai portata a termine. Per i buoni uffici di B. Gaddi, il 17.X Benvenuto Cellini si concilia col fratello della sua vittima.
1535 Preoccupato dalle mene di Pier Luigi Farnese, figlio di Paolo III, ripara a Firenze [I 75]. Col Tribolo fa un breve viaggio a Venezia, dove incontra Iacopo Sansovino [I 76, 77]. A Firenze incide quattro monete per Alessandro de’ Medici; per il duca stesso inizia una medaglia, probabilmente mai terminata [I 80; O., XIV]. Su invito del papa ritorna a Roma. Verso il 20.VIII si ammala e ha visioni da Inferno dantesco; la malattia è tanto grave che si sparge la notizia della sua morte, sino a Firenze, dove B. Varchi compone un necrologio in versi [I 84,85]. Ancora infermo compie un viaggio nella città natale (novembre); ma presto ricompare a Roma, e ottiene da Paolo III la commissione di un Crocefisso, che resterà allo stato di abbozzo. In previsione dell’arrivo di Carlo V, reduce dalla campagna di Tunisi, il papa gli affida l’esecuzione della preziosa copertina di un «ufiziolo di Madonna» miniato, da donare all’imperatore, e di un anello con diamante [I 90].
1536 II 5.IV Carlo V giunge a Roma; su incarico del papa, Benvenuto Cellini gli presenta l’«ufiziolo» con la copertina ancora incompiuta [I 91, 93]; sarà terminata in seguito.
1537 La notte fra il 5 e il 6.I Alessandro de’ Medici viene assassinato (tre giorni dopo Cosimo I, d’un altro ramo della casata, è eletto supremo reggitore di Firenze; sarà nominato duca il 20.IX). Divenute più allarmanti le mosse di Pier Luigi Farnese, Benvenuto Cellini parte d’improvviso (2.IV) per la Francia [I 93]. Durante una tappa a Padova inizia la medaglia di Pietro Bembo [I 94], forse non terminata. In giugno è a Parigi; accolto freddamente dal Rosso Fiorentino, alloggia presso un altro pittore, A. Sguazzella. Viene ricevuto da Francesco I a Fontainebleau e accompagna il re a Lione; qui si ammala [I 98] e, nonostante le lusinghe di Ippolito d’Este, prossimo cardinale di Ferrara (1539), appena guarito riparte per l’Italia non avendo ricevuto offerte precise da Francesco I [I 99]. Dopo aver fatto tappa a Ferrara e a Loreto è di nuovo a Roma. Lascia la bottega in Banchi a un allievo e ne apre una «molto più grande», dove esegue fra l’altro alcuni gioielli per la moglie di Girolamo Orsini [I 100]. Al soggiorno francese risale di sicuro il ritratto di Francesco I (cfr. 1538) per la bella medaglia compiuta in periodo non precisabile; neppure si può stabilire se a quest’anno o al successivo spettino un bacile e un boccale d’argento per Ippolito d’Este, che nel 1540-41 verranno dati al re di Francia [II 1, 7-9, 14].
1538 Pier Luigi Farnese riesce a farlo imprigionare in castel Sant’Angelo (16.X) con l’accusa di essersi appropriato alcuni preziosi di Clemente VII (cfr. 1527) [I 101-103]. Una settimana dopo si procede all’inventario dei beni di Benvenuto Cellini (23.X); fra essi risulta «una testa del Re di Francia de piombo» (cfr. 1537) assieme a vari lavori d’oro e d’argento (anelli, medaglie da berretto, boccali, un bacile, candelieri, ecc.) non identificabili. Entro breve Benvenuto Cellini evade, fratturandosi una gamba, e trova rifugio presso il cardinal Cornaro [I 108-110].
1539 Dall’ospite è riconsegnato al papa, che lo fa rinchiudere a Tor di Nona [I 114] e, di nuovo, a castel Sant’Angelo [I 116]. In prigione ha visioni mistiche [I 122], in seguito alle quali esegue l’abbozzo in cera di un Crocefisso [I 123,124] che comparirà ancora nell’inventario dei suoi beni steso post mortem (1571). Liberato in dicembre, viene accolto dal cardinale Ippolito d’Este.
1540 Esegue opere per i cardinali d’Este e Accolti. Quelle destinate al secondo — bozzetto in cera di cavallo, abbozzo di galera (per una saliera?) e di medaglia, bacile, acquereccia — sono menzionate in documenti della Biblioteca Riccardiana di Ravenna. Due ritratti in stucco di Ippolito d’Este (possibili abbozzi per una medaglia non identificata) e alcune armi [documenti dell’Archivio di Ferrara] costituiscono il primo gruppo, assieme al sigillo del prelato (noto da impronte) [II 1; O., XIII], all’abbozzo in cera [II 1,2] di quella che sarà la famosa Saliera per re Francesco I (cfr. 1543) e a una copia in bronzo del «nudo del Spino» — il Cava-spina da originale ellenistico, allora e oggi nel palazzo dei Conservatori a Roma — che il cardinale donerà al sovrano stesso (dicembre). L’ospite lo fa partire per la Francia [II 2, 3]. Durante il viaggio, a Siena Benvenuto Cellini uccide un maestro di posta [II 4]. Sosta a Ferrara ed esegue, per il duca Ercole II d’Este, una medaglia (presumibilmente il solo abbozzo) e altre opere [II 3-8]. A metà settembre arriva a Fontainebleau: re Francesco I lo accoglie calorosamente [II 8], e al suo seguito raggiunge Parigi. Gli vengono assegnati lo stipendio che riceveva Leonardo da Vinci (700 scudi annui) e il castello del Petit-Nesle come alloggio, con l’incarico di eseguire dodici gigantesche statue-torciere raffiguranti divinità dell’Olimpo. Entro quest’anno o il seguente sono approntati gli abbozzi in cera di cinque di esse: Giunone, Apollo, Vulcano, Marte e Giove; già nel 1540 risulta eseguito il modello per la fusione di quest’ultimo [II 12, 14, 15]. Al biennio 1540-41 spettano anche il getto in bronzo d’una «testa» di Giulio Cesare, su disegni eseguiti a Roma, e di un piccolo busto della Ninfa relativa alla Porte Dorée del castello di Fontainebleau, oltre l’esecuzione di un vaso a due anse in argento, tutti per il re [II 18]; al quale Benvenuto Cellini destina pure la Saliera abbozzata per il cardinale d’Este, che entra in fase di attuazione [II 16].
1542 In luglio riceve dal re la cittadinanza francese [II 19]. Il sovrano gli commissiona anche una grandiosa fontana per Fontainebleau, di cui Benvenuto Cellini gli sottopone i progetti, iniziando forse subito un abbozzo elaborato per il Marte colossale che avrebbe dovuto far parte dell’opera [S., VII, VIII].
1543 Entro l’anno sono probabilmente terminati la Saliera [II 36; O., XII]; la fusione della Ninfa, lunetta per la Porte Dorée di Fontainebleau; il modello definitivo (tutto o gran parte) di questa porta (comprendente anche due Vittorie, di cui il Louvre conserva i calchi, e due grandi Satiri, uno dei quali noto dal disegno a New York nella collezione Woodner); e il modello definitivo del grande Marte per la fontana [II 22], che risulta menzionato in documenti francesi sino al 1546.
1544 II 7 giugno gli nasce una bambina, Costanza, figlia di «jehanne» (come risulta dall’atto di battesimo), la modella che aveva posato per le figure femminili della Porte Dorée [II 37]. Poco dopo (15.VII) gli viene donato il Petit-Nesle. Consegna al re Francesco il Giove, prima delle statue-torciere d’argento [II 41].
1545 In un disegno (Parigi, Louvre), che Benvenuto Cellini deve aver fatto fare da qualche aiuto e che solo ipoteticamente è del 1545, sta scritto che «si fecie d’argento» anche una seconda statua-torciera, la Giunone; ma il getto sembra assai improbabile, visto che nella Vita [II 20] il Giove è dichiarato unico fuso della serie. Si acuisce l’avversione di Madame d’Étampes, favorita del re, nei confronti di Benvenuto Cellini, tanto che quest’ultimo dona al cardinale di Lorena un «vasetto» che essa gli aveva commissionato [II 23]. Vari cortigiani si dimostrano non meno ostili. Per questo e per altri motivi («certe magagne che a torto m’erano aposte» [II 59]) sospettatamente non chiariti nella Vita né altrove, d’estate l’artista lascia all’improvviso Parigi [II 49]. Viene raggiunto e deve restituire due «vasi» d’argento che aveva con sé; poi, via Lione (7.VII), torna in Italia (II 50, 51]. Dopo una breve sosta a Piacenza giunge a Firenze (II 51, 52].
Benvenuto Cellini entra ufficialmente al servizio della corte medicea il 1°.VIII con una provvisione annua di 200 scudi, che sarà versata irregolarmente, più il rimborso o l’anticipo delle spese per le opere commissionate e un "premio" alla loro consegna. Ma già da luglio Cosimo I lo aveva incaricato di due importanti sculture in bronzo, il proprio busto e il gruppo del Perseo da collocare in piazza della Signoria [II 53, 57, 58]; e gli assegna una casa in via del Rosario (Benvenuto Cellini va ad abitarvi con la sorella Reparata, rimasta vedova, e le sue sei figlie), dotata di orto, dove l’artista impianta la fonderia [II 54], i cui lavori murari vengono saldati dall’amministrazione medicea fra ottobre e novembre. Come laboratorio di oreficeria può disporre del «guardaroba» ducale in Palazzo Vecchio; qui, su disegni propri, fa eseguire da F. Spigliati un «vaso»» d’argento per Cosimo I e, dai Poggini, un «vasetto d’oro» per la duchessa Eleonora [II 58, 65; L., 1561; ecc.], che risulta in lavorazione ancora nel 1548 [R.], a riprova della sua importanza e della volontà del duca di impiegare Benvenuto Cellini non unicamente in scultura, come questi invece vorrebbe, provocando subito una certa tensione col patrono. Il 25.VII chiede il "premio" («scudi dieci») per «fattura e bronzo» della targhetta con Levriere saluki (18 X 27,8; Firenze, Museo del Bargello), eseguita come prova delle «terre per poter gittare ’l Perseo» [R.] e sottaciuta sia nella Vita sia nei Trattati. Con una lettera del 4.X al maggiordomo ducale Benvenuto Cellini chiede materiali per un «gran modello del Perseo»: se ne desume che il modelletto in cera (ibid.) era ormai stato finito e approvato da Cosimo I. Inoltre, pure per la corte, restaura «anticaglie» di scavo, inaugurando un’attività destinata a farsi più intensa.
1546 Viene accusato di sodomia, ma senza conseguenze giudiziarie; tuttavia preferisce allontanarsi per un po’ e va a Venezia, dove ha cordiali incontri con Tiziano e Sansovino [II 62]. Di ritorno a Firenze, fonde il ritratto di Cosimo I (Firenze, Bargello) [II 63]; secondo autorevoli pareri l’operazione avrebbe riguardato la sola «testa» [cfr. II 63 nota 4], e quella relativa al busto sarebbe avvenuta un decennio — o più — dopo. In realtà, entro l’anno l’opera viene gettata totalmente in un’unica fase (cfr. 1547 e 1548) con l’assistenza del fonditore di campane Zanobi di Pagno (liquidato con undici scudi il 17.X); questi cominci ò ad aiutare Cellini dal 17.VI, data che deve aver preceduto di poco la fusione. Documenti relativi al ritratto di Cosimo I contengono accenni a un «Perseo in chamera» o «di chamera» impostato assieme al busto stesso e che con ogni cautela si può assimilare al noto bronzetto (alto cm. 75) del Bargello [Camesasca, 1985]. Quest’ultimo non risulta altrimenti menzionato negli scritti celliniani; tuttavia l’attribuzione all’artista è unanime, mentre divergono i pareri sulla cronologia e sulle finalità della sua realizzazione. In effetti alcuni lo considerano una prova al getto del Perseo «grande» [Camesasca, 1955] per studiare il comportamento del metallo fuso, su cui Benvenuto si dimostra tanto sicuro nelle anticipazioni al duca [II 73, 74] (un lavoro segreto, allora, e come tale sottaciuto? Ipotesi un po’ "gialla", ma non se ne scorgono di più ordinarie); a idea di altri fu attuato dopo la conclusione del gruppo «in piazza» quale ricompensa alla duchessa Eleonora che avrebbe voluto tenere per sé le «figurette» della base [II 88; cfr. Micheletti, 1980, e Barbaglia, 1981]. La seconda congettura è intralciata dal silenzio sul modello in bronzo, così come su quello in cera, tanto negli elenchi del patrimonio artistico dei Medici quanto nell’inventario dei beni di casa Cellini alla morte del maestro (1571). Entrambe le opere ricompariranno soltanto nel 1826 presso il pittore e mercante fiorentino F. Acciai, che le dichiarava provenienti da una dimora «patrizia» della sua città e che le vendette agli Uffizi, da dove passarono poi alla sede odierna [Carosa Guadagni, 1981; Barocchi, 1982; Trento, 1984]. Dunque possono essere state cedute dall’autore stesso a qualche privato; e forse la mancata acquisizione da parte medicea non fu casuale (cfr. Introduzione). Cellini ottiene un blocco di marmo da Bandinelli (dopo una furiosa lite in presenza di Cosimo I, che di solito viene riferita al 1548) e inizia l’Apollo con Giacinto (ibid.), rimasto incompiuto [II 71; L. 23.VI.1546]. Progetta oreficerie per i duchi, fra cui un anello che Eleonora donerà a Filippo II di Spagna [II 68]. Tra il 28.II.1546 e lo stesso giorno del 1549 riceve in nove partite dall’amministrazione medicea 19.940 libbre «di rame, stagno et metallo allegato [bronzo]» per le sculture da gettare; i rendiconti di Benvenuto Cellini sull’impiego dell’ingente quantitativo daranno luogo a una controversia protrattasi fino al 1559. L’artista ricorda la morte d’un suo «figliuolino ... di due anni» [II 66]: o la notizia riguarda un periodo successivo, oppure il bimbo aveva solo qualche mese, poiché concepito dopo il rimpatrio. Dal 5.II risulta già intestatario di depositi presso il banco Salviati di Lione tramite l’omologo di Firenze: le rimesse e le riscossioni di interessi proseguiranno fino al 1567. Questo stesso 1546 o nel seguente, durante un possibile soggiorno a Firenze in occasione della sua nomina a senatore (1546), Bindo Altoviti deve aver posato per il ritratto bronzeo a mezza figura (Boston, Gardner Museum) eseguito da Benvenuto Cellini e che era ormai compiuto e consegnato nel 1550-52 (cfr.).
1547 Il 17.11 chiede a Cosimo I «scudi cinquecento d’oro» per la «fattura de ritratto della sua testa di bronzo con parte del chorpo insino al belicho [ombelico] armato»: il giustificativo accerta sul totale getto del busto (cfr. anche 1548). Dal 18.VI e, poi, dal 2.VIII si susseguono pagamenti per «murare il fornello» della fornace da fusione; l’intervallo corrisponde forse al getto, sempre a scopi sperimentali, d’una «testa di Medusa», la quale risulta nell’inventario post mortem del 1571 e che viene identificata con un’opera (alta cm.14 c.) recentemente acquisita dal British Museum di Londra; però, a parte i dubbi sulla sua autenticità [cfr. Camesasca, 1971], o il getto in questione riguardò anche altro (il busto di Altoviti? [cfr. 1546]) o va escluso che la fornace fosse usata e rifatta per un elemento così piccolo e di cui non si comprende l’utilità ai fini della fusione del Perseo «grande». Assieme a tale Fiorino di Matteo Fiorini, rigattiere, Benvenuto allestisce una lotteria coi suoi fondi di bottega, ricavando 1800 scudi; ma ne nasce una lite col socio, che si protrarrà fino al 1555 [Calamandrei 1953]. Acquista un terreno (22.VIII). Presso Rambouillet muore (31.III) re Francesco I di Francia; gli succede suo figlio Enrico II che nel 1533 aveva sposato Caterina de’ Medici.
1548 A ulteriore riprova dell’avvenuto completamento dell’opera (cfr. 1546 e 1547), l’11.II vengono pagati dall’amministrazione medicea «300 pezzi d’oro ... per dorare» il busto di Cosimo I e, il 17 dello stesso mese, sette lire al «dipintore» che ha eseguito la doratura «e per lo azuro della basa et portatura [in altri testi dell’epoca equivale ad "acconciatura", qui è forse da intendere come "mantello"]»: l’entità del metallo prezioso lascia supporre che fosse dorata almeno buona parte della lorica (la lunga esposizione all’aperto [cfr. 1557] ha eliminato i «diversi et lascivi ornamenti» [L. al duca Cosimo I, 20.V.1548], salvo qualche traccia di smalto bianco sugli occhi e di oro, appunto, sul petto). Fino al 23.VI vengono pagati «maestri muratori» e «manovali» per avere ricostruito la fornace da fusione. Nella prima metà dell’anno ha luogo il getto in bronzo del corpo di Medusa destinato al complesso del Perseo, le cui spese sono saldate a Benvenuto entro il 3.VII, mentre da agosto iniziano i versamenti a vari orafi che con ogni probabilità attendono a rinettarlo. Forse in seguito alla buona riuscita del getto [II 73], Cellini scrive a Cosimo I (20.V) facendo presente che non riceve "premi" per il lavoro del Perseo e chiedendogli, come ricompensa dei due anni al suo servizio quale «orefice et scultore», la proprietà «a vita» di un terreno. L’artista concede aiuti in denaro (9.VI) all’orafo P. Paoli che ha preso in moglie (1546) sua sorella Reparata. Cosimo I ordina (12.VIII) che gli si dia un locale per il Perseo: non appare chiaro a quale scopo; certo è che la grande impresa si sta avviando verso una fase decisiva: dal 24.XI al febbraio seguente si registrano pagamenti per rifare la fornace, in vista di gettare la statua dell’eroe, mentre già da settembre erano saldati conti per la sua «camicia» (cfr. II 73 nota 3). Proseguono anche i lavori in marmo: quasi di sicuro entro l’anno viene terminata per Cosimo I l’integrazione a mo’ di Ganimede (Firenze, Bargello) d’un torso antico che gli era stato donato [II 69, 72, 73]; e con un «pezzo di marmo greco» che il duca aveva fatto giungere da Roma per questo Ganimede (Benvenuto Cellini gliene annuncia l’arrivo «al porto [di Livorno?]» con una lettera del 15.XI), comincia a scolpire il Narciso (ibid.), di cui si riparla soltanto nel 1557. Durante il lavoro gli entra una scheggia nell’occhio destro; quando se ne libera esegue un ex voto d’oro per la festa di santa Lucia (13.XII) [II 72]. Inoltre si dedica, sempre più recalcitrante, alle «coselline» di oreficeria imposte dalla corte: il 13.VIII risulta ancora in lavorazione il «vasetto d’oro» cominciato nel 1545 per la duchessa, Eleonora (a giudicare dalla durata non doveva poi essere una «cosellina»); e restaura vari piccoli bronzi di scavo [contabilità medicea del 16.XI]. II 26.X aveva acquistato «a vita» un podere a Trespiano e uno a Fiesole.
1549 Una nota di Benvenuto Cellini (11.III) si riferisce a pagamenti «per fattura et colori della basa del Ganimede [cfr. 1548]», la quale viene inoltre «coperta di [cuoio] cordovano azuro»: la statua, di cui la presente notizia attesta il compimento, è ricordata con questa "base" in un inventario mediceo del 1560. Entro giugno riceve il marmo per un’altra base, quella del Perseo, i cui lavori saranno pagati fino al 9.VII.1552. In un "ricordo", il maestro annota: «A dì 15 settembre 1549 si cominciò l’armatura di Perseo», alla quale viene atteso «per insino a tutto il mese di ottobre». Quello stesso mese o subito dopo ha luogo la celebre fusione dell’elemento maggiore del gruppo [II 73, 75-77; S., III], che sovente si trova riferita al 1553 (cfr.). Varie registrazioni contabili [Milanesi, 1857; Somigli, 1958] ne documentano anche alcuni fra gli aspetti più secondari annotati nella Vita (per esempio, la «catasta di legne di quercia, aùta in la ... necessità» da «madonna Ginevra del Capretta [II 76]). E subito comincia la rinettatura, per la quale chiede all’amministrazione medicea [L., 16.XII] i rimborsi di «lime grande e pichole», «trapani», ecc., oltre ai «carboni» per temperarli («perché siamo sei mazzuoli continui infra il marmo e il bronzo»: ossia siamo in sei a lavorare continuamente coi mazzuoli), facendo pure presente la necessità di nuovi aiutanti per chiudere i buchi «di dove s’è cavato l’anima [di terracotta] del Perseo» e per «rifare il mezzo piede del detto», riuscito difettoso durante la fusione [II 78]. Nel corso dell’anno esegue per il cardinale di Ravenna bozzetti di due tazze con figure a tutto tondo [R., 18.IX]. Il 16.XII scrive a Cosimo I sollecitando il rimborso del «marmo greco» per un busto di «sua Eccellenzia», rimasto incompiuto [I. p. m.] e forse assimilabile, nonostante le rifiniture spurie, a un’opera del De Young Museum di San Francisco. Nell’inventario post mortem è inoltre elencata una «statua di marmo» ritraente la duchessa Eleonora, forse pendant dell’altra, cui accenna anche B. Bandinelli in una lettera del 1549; poiché Benvenuto Cellini non la menziona nella Vita né nei Trattati, si può credere che fosse stata eseguita, o soltanto iniziata, da un collaboratore, magari sotto la sua direzione. Muore papa Paolo III (10.XI).
1550 Chiede (14.11) il rimborso delle spese «per avere gittato il piede del Perseo et riturato tutte le buche di dove s’è tratto l’anima». Con ciò la fusione della statua principale del gruppo «di piaza» era completa, e da gennaio (fino al febbraio 1551) gli viene assegnato un mensile per l’ultima fase dei lavori. Inoltre, almeno dal 15.II si hanno versamenti ducali relativi alle «pichole figure» bronzee della base, tuttora da gettare. L’artista raggiunge Pisa per esporre a Cosimo I la situazione dell’opera, ottenendo il permesso di recarsi a Roma, con l’incarico di sollecitare Michelangelo al rientro in Firenze, quantunque scopo dichiarato del viaggio fosse la sistemazione del busto di Bindo Altoviti, che parrebbe eseguito da tempo (cfr. 1546), e di certe somme affidate al banchiere da amministrare: per ò non risulta chiaro quando avvenne la gita, talora ascritta al mese d’aprile (cfr. 1552); Benvenuto Cellini la collega con «li primi anni del pontificato di Giulio III, eletto il 7.11.1550 [II 78-81 ].
1551 II viaggio a Roma può essere avvenuto quest’anno (cfr. 1550 e 1552).
1552 Da registrazioni contabili di Benvenuto Cellini sembra che al 15.IV risalga «il getto del Mechurio, Danae et del picol Perseino», al 28.IV «il getto di 4 ale del Perseo et dua Gorgoni», al 20.VI il «getto di Giove et di Minerva»: Mercurio, Danae con Perseo fanciullo, Giove e Minerva sono le statuette bronzee per la base del Perseo; le quattro ali, quelle dell’elmo e dei calzari della figura principale; le Gorgoni concernono l’elmo stesso. Il viaggio a Roma (cfr. 1550 e 1551) può avere preceduto di poco questi getti poiché del 9.IV è la sottoscrizione di un vitalizio con B. Altoviti. Le spese relative alle fusioni vengono pagate il 9.VII, mentre in giugno erano stati saldati «Maestro Bernardo muratore et altri per avere messo insieme il Perseo nell’orto di casa Cellini. Qui lo vede B. Minerbetti vescovo di Arezzo, che ne scrive (20.VIII) in termini entusiastici a Vasari «per havere molte parti maravigliose», sebbene «Benvenuto scultore ... hora va ritoccando le gambe, perché li parevon un poco grossette, et le ridurrà a perfettione per essere il getto del metallo per tutto molto grosso» [Frey 1923]. Va segnalata una lettera (27.VI) a Cosimo I da parte di Benvenuto Cellini che sollecita il saldo delle spese sostenute per il Perseo, con riserva di rendere conto dei metalli da lui impiegati nella fusione (cfr. 1546 e 1559). I francesi si sostituiscono agli spagnoli in Siena, eleggendone governatore (25.VII) il cardinale Ippolito d’Este. Dopo una breve parentesi di dominio mediceo (1548), Cosimo I torna a occupare (12.VIII) l’isola d’Elba, cacciando Iacopo IV Appiani.
1553 Spesso si trova riferita a quest’anno la fusione del Perseo a causa della data «MDLIII» posta, assieme alla firma, sulla cinghia che attraversa il petto dell’eroe; ma evidentemente deve trattarsi della fine della rinettatura [II 89] (tanto più che, more fiorentino, 1553 equivale anche a una parte del 1554), nel corso della quale l’iscrizione può essere stata incisa a cesello. In effetti il 16.IX viene compensato «Bernardo di madonna Mattea per avere condotto il Perseo in piaza» [Cod. Riccardiano 2787]; ma nell’ubicazione definitiva resta isolato entro una staccionata. Precedentemente (19.VI) avviene un pagamento «per getto della storia», ossia del rilievo con la Liberazione di Andromeda [id.] destinato ai piedi del complesso (nella lettera del vescovo Minerbetti, 1552, si parlava in verità di «due tavole di bronzo di basso rilievo»: d’una eventuale seconda non risultano ulteriori notizie; comunque non erano ancora «gettate, ma quasi fatte di cera»). Il 27.XI nasce Iacopo Giovanni, figlio di Benvenuto Cellini e di tale Dorotea sua modella. L’artista progetta e dirige, terminandola nel 1554, la fortificazione di due porte della cerchia di Firenze [II 85,86].
1554 Dal mese di marzo (sino al febbraio 1555) non riceve la provvisione ducale: l’interruzione viene messa in rapporto [Trento, 1984] con le divergenze sui metalli ricevuti a partire dal 1546 (cfr. 1552), che in una recente "supplica" (8.I) Benvenuto Cellini dichiara di avere appianato, evidentemente senza convincere Cosimo I (cfr. 1559). Il complesso del Perseo, «quasi» finito, viene scoperto al pubblico il 27.IV, provocando giudizi in massima parte positivi [II 89-92]. Dopo una settimana di pellegrinaggio ai monasteri di Vallombrosa, di Camaldoli e della Verna, l’ostilità del duca si manifesta asprissima, e l’artista gli chiede di poter ritornare in Francia [II 93, 94]. Poi domanda con una "supplica" il pagamento del Perseo in ragione di 10.000 scudi; il 2.IX viene nominato arbitro Girolamo degli Albizzi, che ottiene per Benvenuto 3500 scudi da versarsi in rate mensili di cento. Il figlio Iacopo Giovanni è legittimato (19.IV); sua madre Dorotea riceve una dote da Benvenuto Cellini e sposa un certo Sputasenni, col quale l’artista avrà una lunga controversia.
1555 Da febbraio al gennaio 1558 — salvo interruzioni nel 1556 e ’57 (cfr.) — riceve di nuovo lo stipendio ducale, accresciuto di 40 fiorini mensili. Appare evidente il rapporto con la proposta avanzata da Cosimo I di eseguire i rilievi per il recinto ottagonale del coro, attuato da B. Bandinelli sotto la cupola del Duomo. Benvenuto Cellini appresta abbozzi dei quali è traccia nell’inventario post mortem, e la lavorazione di uno può avere oltrepassato la fase iniziale (cfr. 1563). Nella stessa occasione l’artista si offre di eseguire due pergami da porre ai lati del coro stesso, e la porta bronzea del tempio [II 98], accompagnando entrambe le proposte con modellini plastici, pure accennati nell’inventario del 1571. Lavori, tutti, irrealizzati, mentre si moltiplicano gli incarichi ai rivali di Benvenuto Cellini: è comprensibile che la frustrazione della sua voglia di fare sbocchi in un tentativo di rivalsa (cfr. 1558). Del 10.VII è un suo legato di 30 scudi e 30 staia di grano a favore di Fernando (o Ferrando) di Giovanni da Montepulciano, «giovinetto suo allievo», che Benvenuto Cellini dichiara in un sonetto d’avere impiegato come modello per l’Apollo «e ’l suo Diacinto e ’l bel Narciso... e di Perseo». Poco dopo (10.IX) l’artista revoca il legato, forse in seguito a una delle numerosi liti col ragazzo (cfr. 1557). II 10.VIII fa testamento confermando una donazione postuma al figlio e stabilendo che la propria tomba, nella chiesa di Santa Maria Novella, debba comprendere il Crocefisso modellato in carcere a Roma (1539), quello che sta scolpendo — o si accinge a scolpire — in marmo [II 100], pervenuto invece all’Escorial, e un tondo in rilievo con la Vergine e san Pietro: la tomba non sarà realizzata. Pochi giorni dopo il figlio muore. Nel corso dell’anno si alternano tre papi: morto Giulio III (23.III), gli succede (9.IV) Marcello II, che si spegne subito (30.IV) e viene eletto l’ascetico Paolo IV (23.V). Cacciati i francesi da Siena, Carlo V ne nomina vicario imperiale Filippo II (17.IV).
1556 Il 6.V fa un nuovo testamento e salda il marmo del «mio Cristo», ossia del Crocefisso ora all’Escorial (cfr. 1555). In agosto viene imprigionato per avere percosso l’orafo Giovanni di Lorenzo Papi; e dopo «giorni 76» di carcere scrive a Cosimo I facendo presente che questo periodo sarebbe stato «speso» più utilmente «intorno al marmo di già ... abbozzato, nel crucifisso», per il futuro «piacere» del destinatario. Il duca gli concede la grazia (ottobre). Il 14.VIII compera per 140 fiorini la metà di un podere a Trespiano. Intorno a quest’anno è stato erroneamente supposto il completamento del busto bronzeo di Cosimo I (cfr. 1546-48).
1557 Viene condannato (27.II) a 50 scudi di multa, quattro anni di carcere e alla perdita perpetua dei diritti civili perché durante «cinque anni ... ha tenuto ... Fernando di Giovanni di Montepulciano [cfr. 1555] ... in letto come suo moglie»; dalla prigione supplica (13.III) Cosimo I di liberarlo per «finire il Cristo di marmo [cioè il Crocefisso], il quali è in procinto di fine». La scarcerazione segue entro breve (22.III). Al 10.VII risale la prima delle sue numerose registrazioni pervenute [Calamandrei, 1955] a proposito del gioco «di maschio e femmina»: scommesse, delle quali Benvenuto si rivela accanito (cfr. 1567), sul sesso di uno o più nascituri, spesso accettate da disonesti «sensali» quando il parto era già avvenuto in segreto. Il 13.XI compensa l’intagliatore fiesolano Bernardino Pettirossi per sei giornate «che lui m’à aiutato lavorare in sul Cristo [di marmo]»; poco dopo (27.XI) paga tre scudi all’Opera del Battistero «un pezzo di marmo nero... per fare la croce del mio Cristo». Intanto è avvenuta la grande inondazione dell’Arno (3.IX), che investe anche la bottega di Benvenuto Cellini, spezzando il Narciso marmoreo, poi riparato [II 72; L. a Cosimo I, 1565]. I rapporti dell’artista con la corte debbono essere disastrosi, tanto che gli viene chiesto di pagare quattordici anni d’affitto della casa assegnatagli nel 1545; Benvenuto Cellini ribatte adducendo i crediti non riscossi. In novembre il busto di Cosimo I viene trasferito a Portoferraio: evento collegabile al fatto che il 29.V Iacopo IV Appiani era stato reintegrato nel dominio dell’Elba (ma si insedierà soltanto nel 1559) e tuttavia a Cosimo I rimaneva la principale piazzaforte dell’isola. Pure nel ’57 Filippo II cede in feudo Siena e gran parte del suo territorio alla Signoria di Firenze (3.VII), e Cosimo I ne prende possesso il 19.VII.
1558 Da gennaio si interrompe la provvisione ducale. Il 4.I. Cellini presta denaro a B. Pettirossi per lavorare «la crocie del Cristo», pagandolo fino al 6.VII, quando essa risulta «finita»; provvede anche a far eseguire la «cassa» di legno dove il Crocefisso avrebbe dovuto trovare posto in Santa Maria Novella (cfr. 1555) e che comparirà nell’inventario dei beni lasciati da Cosimo I, futuro proprietario della scultura. Nuovo testamento (15.IV). Risoltosi a prendere i voti religiosi, l’artista riceve (2.VI) gli ordini minori. Il 6.VII versa il primo (560 scudi) di vari prestiti al Comune di Volterra. In precedenza (9.III) aveva acquistato un terreno a Vaiano. Entro l’anno inizia la stesura della Vita [I1].
1559 Esegue vari bozzetti in cera per la fontana da collocarsi in piazza della Signoria e per il Nettuno marmoreo che deve costituirne l’elemento maggiore; di quest’ultimo termina, sotto la loggia dei Lanzi, il modello in grandezza definitiva [II 99, 100-106, 111; I. p. m.]; ma l’impresa viene affidata (1559) a B. Ammannati, suo nuovo rivale. In una lettera dell’8.II descrive a Cosimo I un proprio marmo raffigurante Leda con il cigno, Castore e Polluce, Elena e Clitennestra, non altrimenti menzionato. Fra il 15 e il 24.V concede due mutui al Comune di Volterra (scudi 224 e 448). Risulta che il «Perseo in piaza» è circondato da un «cancello»: il 20.V Benvenuto Cellini lo fa «rachonciare [riparare]» dopo che, durante la rimozione del modello per il Nettuno eseguito da Ammannati pure sotto la loggia dei Lanzi, una trave gli era caduta addosso (non a caso, sospettava l’artista [L. a G. Caccini, 27.XI.1565]), presumibilmente colpendo anche la figuretta di Mercurio, tuttora danneggiata [Camesasca 1963]. Il 22.V invia una lettera di ringraziamenti a B. Varchi, cui aveva sottoposto la prima parte del manoscritto della Vita e che dichiarava eccedente qualsiasi correzione: era il primo riconoscimento delle sue qualità di scrittore [Borsellino 1971]. Con un lodo giudiziario richiesto da Cosimo I, la controversia sui metalli da fusione (cfr. 1546) si risolve (31.V) a sfavore dell’artista, che viene dichiarato debitore di 6583 libbre. Documenti medicei (13.VI) si riferiscono a otto teste di animali in pietradura progettate da Cellini. Il 22.VI Benvenuto presta cento fiorini a un contadino di Vicchio, tale P. M. Richi d’Anterigoli, al quale poi vende un bue per 23 fiorini: è l’antefatto d’una lite ultradecennale.
1560 Da vari indizi il Crocefisso marmoreo sembra quasi ultimato. Il 24.V Benvenuto si associa a un «sensale» del gioco «di maschio e femmina» (cfr. 1557), investendo 400 scudi. Del 26.VI è il contratto in forza del quale P. M. Richi gli cede la proprietà «a vita» del podere «dicto la Fonte» presso Vicchio, dietro versamento di 550 scudi, meno i 123 fiorini già anticipati (cfr. 1559): ne segue una controversia (aggravata, secondo Cellini [II 104-105], da un tentativo di avvelenamento) che cesserà solo alla morte dell’artista. Fra il 5.VIII e il 31.X Michele di Goro Vestri, suo contabile, è occupato nella verifica del dare e avere con l’amministrazione medicea. Rinuncia agli ordini religiosi. Muore (7.II) B. Bandinelli.
1561 Da Piera de’ Parigi, sua domestica, gli nasce (22.III) un figlio, Giovanni. Due giorni dopo fa un nuovo testamento. Va a Livorno (giugno?), dove si trova Cosimo I, e gli chiede ancora il congedo per passare al servizio di altri: il duca lo nega con vaghe promesse [II 108]. Una eco di queste si coglie forse nell’offerta (18.VII) della casa abitata da Benvenuto Cellini in cambio del Crocefisso marmoreo.
1562 Firma e data il Crocefisso marmoreo [II 100, 101]. Gli nasce (29.X) una figlia, Elisabetta, e ne sposa in segreto la madre, Piera de’ Parigi. Il 9.X fa un altro testamento. È richiesto da Caterina de’ Medici, vedova di Enrico II di Francia, per terminare il monumento funebre del marito; ma Cosimo I si rifiuta di congedarlo [II 112]. Fra novembre e dicembre muoiono tre membri della famiglia ducale, il cardinal Giovanni a Livorno, don Garzia ed Eleonora di Toledo a Pisa; Cellini raggiunge quest’ ultima città, forse per le esequie. Con l’accenno a quei lutti interromperà, nel 1567, la stesura della Vita.
1563 A Firenze viene istituita (1°.I) l’Accademia delle Arti del Disegno; Benvenuto Cellini ne è nominato membro ed esegue vari progetti grafici per il sigillo (Firenze, Archivio Calamandrei; Londra, British Museum; Monaco di Baviera, Staatliche Sammlung, n° 1147 e n° 2264). Dal 1°.IV è di nuovo salariato dalla corte medicea, forse in relazione col prospettato incarico dei rilievi marmorei per il coro del Duomo (cfr. 1555); a essi, in particolare a uno con Adamo ed Eva, si riferisce una lettera di Benvenuto Cellini a Cosimo I (13.X) per sollecitare cera e altri materiali occorrenti ai preliminari, e che è l’ultima notizia pervenuta su questa impresa. Gli muoiono il figlio Giovanni (per il quale chiede a Varchi l’epitaffio con una bella lettera del 22.V) e, probabilmente, anche la figlia Elisabetta. Del 2.III era un acquisto di terreni, e dell’11.VI un prestito gratuito al monastero di Santa Marta.
1564 È delegato (16.III) dall’Accademia del Disegno all’allestimento dell’apparato per i funerali solenni (14.VII) di Michelangelo; durante la progettazione ha controversie, specie con Vasari, sulle precedenze nella sistemazione delle allegorie delle varie arti; e non interviene alla cerimonia. Ottiene (10.IV) gli arretrati della provvisione per il periodo 1558-62. Il 4.VIII presta 230 scudi al rigattiere Fiorini e fa altri prestiti per complessivi 142 scudi. Del 12.XI è un suo nuovo testamento, dal quale risulta già nata un’altra figlia, Reparata, tuttora in fasce. Cosimo I demanda (1°.V) al figlio Francesco I il governo del ducato, conservando però il titolo, molti poteri e vari beni.
1565 Fino a maggio riceve la provvisione ducale, poi viene cancellato dai libri-paga della corte; il 15.VI rivolge un’accorata "supplica", chiedendo la liquidazione dei suoi crediti. Il 2 dello stesso mese aveva acquistato per 425 fiorini i diritti su un podere; e il 25 risulta fra i procuratori dell’Accademia del Disegno. D’agosto Cosimo I fa trasferire il Crocefisso marmoreo a palazzo Pitti, nuova residenza ducale; Benvenuto Cellini ne chiederà a lungo 1500 ducati. L’8.X fa ancora testamento. In piazza della Signoria viene allestita provvisoriamente la fontana del Nettuno di Ammannati, mentre il modello celliniano per la stessa statua si trova ancora sotto la loggia dei Lanzi [L. a G. Caccini, 27.XI]. Muore Benedetto Varchi.
1566 Gli nasce (3.IX) una figlia, Maddalena. Il 4.XII cominciano suoi investimenti e riscossioni di interessi presso la magistratura dell’Abbondanza (cfr. 1567) e proseguiranno fino all’8.X.1568. Dieci giorni dopo compera una casa in via Benedetta e la affitta al conte Trotti di Ferrara, col quale avrà divergenze, così come con inquilini successivi.
1567 Il 13.I riceve 635 scudi di interessi dal banco Salviati (è l’ultima riscossione del genere) e ne deposita 950 alla magistratura dell’Abbondanza, che forse è il tramite autorizzato con l’istituto lionese; e il 12.III acquista terre a Carmignano per 300 fiorini. Frattanto aveva indirizzato (3.II) a Cosimo I una delle numerose richieste di «sc. mille cinqueciento d’oro in oro» per il «nostro Crocifisso»; e dell’8.III è la ricevuta a saldo del Perseo, pagato 3500 scudi invece dei 10.000 sperati. Ciò, assieme alla interruzione dello stipendio e delle commissioni, e al probabile parere di qualche lettore meno diplomatico di B. Varchi, deve averlo indotto a interrompere la Vita, la cui stesura era proseguita di sicuro fino ai primi mesi del 1567 [II 96 nota 19], e a iniziare i Trattati come nuova rivalsa contro l’insuccesso professionale. Entro l’anno ne redige una buona parte e la presenta al reggente Francesco I, cui spera di dedicare l’opera. In luglio tenta di commutare i crediti con l’amministrazione medicea in una pensione di otto scudi mensili; ne segue una nuova verifica, e la liquidazione viene fatta controfirmare da artisti di prestigio: B. Ammannati, Giambologna, V. Danti, ecc. Il 15.IX stipula un contratto con gli stampatori V. Panizzi e M. Peri per pubblicare, entro quattro mesi, i Trattati, concedendo un mutuo di 30 scudi in tre rate (la prima è versata il 27.XII), e riservandosi 30 copie del volume. Frattanto aveva sposato ufficialmente (24.III) Piera de’ Parigi, usando come fede nuziale un anello d’oro con rubino [I. p. m.], verosimilmente opera sua. Un mese dopo (23. IV) detta un altro testamento.
1568 Non avendo, dopo «molti mesi», ricevuto dal principe reggente il consenso a patrocinare i Trattati [L. a Francesco I, 1568?], ripiega su suo fratello, cardinale Ferdinando; al quale l’edizione princeps, apparsa nel corso dell’anno (forse entro la prima metà), risulta dedicata con una lettera del 26.II. Poiché Panizzi non restituisce il mutuo (cfr. 1567), Benvenuto Cellini lo fa arrestare (5.XI). Intanto Antonio Gregori aveva preso in affitto (21.VI) per tre anni una bottega orafa di Calimala, con l’intesa che Cellini pagasse la pigione in vista della società tra quest’ultimo, lo stesso Gregori e alcuni suoi congiunti. La «compagnia» viene costituita il 30.VI e Benvenuto procede ad altri versamenti nel resto dell’anno. Inoltre vende (14.VII) un podere per 600 scudi, fa un prestito (8.X) di 250, ne riscuote (9.XI) 1124 dall’Abbondanza e ne presta (11.X) 75 al monastero di Santa Maria degli Angeli.
1569 Panizzi comincia (7.II) i rimborsi, dapprima con prestazioni professionali: fra esse è la «legatura d’un libro di disegni» presumibilmente di Benvenuto Cellini stesso e del quale non sussistono ulteriori notizie. Gli nasce (24.III) un figlio, Andrea Simone, e quattro giorni dopo fa un ennesimo testamento. Si può ricordare che aveva scommesso «lire 7» a «maschio e femmina» anche su questa nascita (16.II), e ne perde il doppio «essendo mastio». Fa un prestito senza interessi (10.VI) di 150 scudi; compera (22.VI) la bottega affittata dai Gregori e paga la sua ristrutturazione per incrementarne l’attività, che sembra redditizia; compera inoltre (5.IX) alcuni terreni a Brozzi.
1570 Fa impartire (dal 15.I) lezioni di «gravicembalo» alla figlia Reparata, che ha «6 anni» e che diventa scolara (1°.XI) al monastero di Santa Maria degli Angeli. Viene eletto console (28.V) dell’Accademia del Disegno. Il 27.VIII Cosimo I riceve dal papa il titolo di granduca, e Benvenuto Cellini dedica un sonetto all’avvenimento. Nel mese di settembre, cercando di ottenere un nuovo saldo delle opere eseguite per i Medici, presenta stime riguardanti sculture (busto di Cosimo I, Ganimede, ecc.) e oreficerie; l’amministrazione granducale le confronta con quelle di altri (Ammannati, V. de’ Rossi, ecc.), dopo di che gli salda il Crocefisso marmoreo per metà della somma più volte richiesta (cfr. 1565). Con una lettera del 20.XII informa Francesco I che, se non fosse infermo, avrebbe «gittata la sua Junone di bronzo, benché non ne sia molto lontano». Quest’opera, evidentemente mai fusa, è altrimenti nota solo per «dua modellini d’una Junone, di cera gialla, non finiti» [I. p. m.]. Sono proseguiti i finanziamenti alla bottega dei Gregori, e le relazioni coi «compagni» si mantengono cordiali. Fra i maggiori prestiti concessi da Cellini entro l’anno: due di 500 scudi (14.IV e 15.IV) e uno di 500 fiorini e 100 scudi (20.XII). Del 18.XII è un altro testamento (destina 300 fiorini alla moglie, 1000 alle figlie Reparata e Maddalena, ecc.).
1571 Aggiunge codicilli (12.I, 3 e 6.II) al testamento del 1570. Panizzi salda (5.II) il debito del 1567.
Benvenuto Cellini muore a Firenze il 14 febbraio e viene sepolto (15.II) nella cappella di San Luca in Santa Maria Novella. Nel giorno precedente al trapasso il notaio Giovanni de Falgano aveva comunicato a Francesco I de’ Medici la volontà espressa dall’artista di donargli «il modello del Neptuno di cera ... et ancora tutte quelle statue per detto Benvenuto fatte di qual si voglia sorte, siano finite et non finite».
Il 16 dello stesso mese si procede all’inventario dei beni rimasti in casa Cellini: numerose armi, «modelli» del Perseo (sembra da escludere che fra essi si trovassero i due bozzetti attualmente al Bargello [cfr. 1546]), opere di scultura e disegno (tranne una «Vergine a uso di tabernaculo antica bene», le altre possono essere state eseguite da Benvenuto) e qualche dipinto, suppellettili d’argento, ori e gioielli connessi alla pratica dell’oreficeria e alcuni «per uso di Ma Piera» sua moglie, mobili, ecc. Il 20.IV sono inventariate le «masseritie ... nella bottegha»; fra esse si trovano parecchie opere compiute e non, in gran parte menzionate nella presente Cronologia. Tenuto conto delle case e dei poderi a Firenze e fuori, delle somme investite a Roma, Lione e altrove, della società coi Gregori, degli interessi sui prestiti (abbiamo registrato soltanto alcuni dei maggiori, trascurando al completo l’interminabile sequela dei piccoli — «7 sc.», «sc. 5», ecc., che magari fruttano «un luccho», una tazza d’argento o simili — ), dagli inventari si ricava l’impressione d’un patrimonio non comune né molto inferiore a quello dei «grandi» come Raffaello o Michelangelo, realizzato coi proventi della professione (soprattutto orafa — si deve supporre — notoriamente redditizia) e accresciuto da un senso degli affari accorto e, nell’applicare le clausole dei dettagliatissimi e arzigogolati contratti, risoluto fino alla spietatezza.