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Francisco in Cile è ricordato come un uomo dolcissimo. Il nome l’aveva scelto la madre perché il bambino aveva occhi grandi e buoni e «saprà parlare agli animali». Il soprannome glielo diede il padre che era appassionato di film messicani e confidava che suo figlio sarebbe diventato un eroe e come succede agli eroi avrebbe conservato per sempre la sua giovinezza.
Francisco Valdés Muñoz detto Chamaco, il ragazzo, era nato a Santiago del Cile il 19 marzo 1943, nel quartiere Juan Antonio Ríos. La piazza del «Pino», che si trova proprio di fronte alla sua casa, ora è intitolata a lui. Il giorno del suo cinquantesimo compleanno scrisse una lettera al poeta Pablo Neruda nel tentativo di colmare una distanza temporale che gli aveva procurato un lunghissimo e profondo dolore.
L’azione del gol della vergogna dura undici secondi. Francisco indossa la fascia di capitano sul braccio sinistro. La sua corsa è lenta, a testa bassa. Quando raggiunge l’area piccola con il piede destro calcia con forza e in maniera impacciata il pallone nella porta vuota, come per liberarsene. L’ultimo passaggio è di Carlos Caszely, allora appena ventitreenne, attaccante funambolico e insofferente alla disciplina – i tifosi lo chiamavano «il Re del metro quadrato» per l’opportunismo in area di rigore – nel cui palmarès politico figura il rifiuto di stringere la mano a Pinochet alla vigilia della partenza per i Mondiali tedeschi del 1974. Carlos e il Generale si rivedono nel 1985, assieme ad altri sportivi cileni, poco prima del ritiro agonistico di Caszely. L’episodio sarà ricordato nel documentario I ribelli del calcio prodotto dal calciatore francese Éric Cantona. In quella occasione Caszely sfoggia sulla camicia una fiammante cravatta rossa. Pinochet gli domanda se è vero, come qualcuno gli ha riferito, che non se ne separa mai.
«Mai, presidente,» risponde Caszely «la tengo sempre accanto al mio cuore». Il dittatore mima l’immagine di una forbice e lo minaccia: «Gliela taglierei qui e adesso, quella cravatta rossa».
Francisco Valdés ha giocato tredici anni nella squadra del Colo-Colo, ricopriva il ruolo di centrocampista offensivo. Cinquanta le sue presenze nella Roja, nazionale con la quale ha partecipato ai mondiali inglesi del 1966 e a quelli del 1974 in Germania. Ha realizzato 215 reti in 478 partite ufficiali. Nelle fotografie ha gli occhi buoni e tristi, non sorride quasi mai. Un infarto lo ha ucciso nel suo letto lunedì 10 agosto 2009, all’età di sessantasei anni. Il giorno prima era stato ai funerali del fratello Mario. Alle esequie la presidente del Cile Michelle Bachelet lo ha ricordato come un uomo umile, sincero e dotato di grande spirito di solidarietà. Nelle settimane immediatamente successive al golpe dell’11 settembre 1973 cercò di aiutare i compagni Hugo Lepe e Mario Moreno, che erano stati incarcerati – come molti altri sportivi di sinistra – su ordine della giunta militare. Nello stadio di Santiago, mentre Chamaco piangeva abbandonato sulla panca degli spogliatoi, i brasiliani del Santos, pur privi di Pelé, rifilarono cinque gol al Cile senza subirne alcuno.