Essex, 1987
Mi sveglio nella cameretta bianca e rosa con un fortissimo mal di pancia. Da dietro le tende con gli arcobaleni filtra la luce del giorno, ma quando le scosto mi accorgo che ci sono le sbarre alle finestre e che il cielo è grigio. Ho fame e sento odore di pane tostato, per cui mi alzo e in punta di piedi vado verso la porta. Abbasso la maniglia, che è più in alto rispetto a quelle di casa mia. Apro piano piano la porta, che struscia sulla moquette. Cammino ancora più piano, per non farmi sentire.
Le pareti sul pianerottolo sembrano raschiate e fa molto freddo. Faccio un passo e qualcosa mi fa male ai piedi. Guardo il pavimento e vedo che ci è attaccata la stessa cosa verde e ispida che ho visto ieri in cucina. Tutto intorno ci sono delle listarelle di legno da cui escono delle puntine argentate. Mi chino a toccarne una, mi pungo e mi esce il sangue dal dito. Me lo succhio finché il dolore non passa.
Seguo il profumo di pane tostato facendo attenzione a dove metto i piedi per non farmi male di nuovo e arrivo davanti alla prima porta, che però è chiusa. La porta dopo è scostata e si sente una televisione accesa. Cerco di sbirciare dalla fessura, ma la porta cigola.
«Sei tu, Aimee?» chiede Maggie.
Io mi chiamo Ciara, per cui non so cosa rispondere.
«Entra, non essere timida. Questa è casa tua, ormai.»
Apro la porta e vedo Maggie su un letto accanto all’uomo col dente d’oro. Gli manca qualche altro dente, come se a forza di sorridere gli si fossero consumati. Ha delle molliche impigliate nella barba. Vedo la televisione riflessa nei suoi occhiali, e quando mi giro a guardarla vedo un uomo e una donna seduti su un divano. Le pareti di questa stanza sono come quelle sul pianerottolo, tutte macchiate e senza carta da parati. Anche qui il pavimento è ricoperto di quella cosa verde e ispida.
«Vieni, infilati a letto con noi, fa freddo. Falle spazio, John.»
Lui sorride e batte la mano sul materasso per indicarmi dove andare a mettermi, in mezzo a loro. Tremo di freddo, ma non voglio entrare nel letto con loro.
«Avanti!»
«Salta su», dice l’uomo, scostando le coperte.
I coniglietti saltano. Io non sono un coniglietto.
Maggie indossa una camicia da notte e le gambe nude spuntano da sotto le coperte. I capelli neri le scendono sulle spalle e vorrei tanto averli ancora lunghi così anch’io. Salgo sul letto e mi metto vicino a Maggie, solo perché ho paura che si arrabbi se non obbedisco.
La camera da letto di Maggie è disordinata, il che mi sorprende un po’, perché lei sembra una persona molto precisa. Ci sono piatti e tazze sporchi ovunque, giornali e riviste accatastati vicino alle pareti e vestiti sparpagliati per terra. Il piumone ha uno strano odore, non so di cosa, però non mi piace. Ci mettiamo tutti e tre a guardare la televisione, poi il mio stomaco brontola così forte che lo sentono tutti.
«Vuoi fare colazione?» mi domanda Maggie quando c’è la pubblicità.
«Sì.» Ma la sua espressione cambia e, prima che sia troppo tardi, aggiungo: «Per favore».
«Cosa ti va? Puoi chiedere tutto quello che vuoi.»
Guardo uno dei piatti sporchi con le briciole sopra. «Pane tostato?»
Lei fa una faccetta triste, come fanno i clown. «Temo che l’ultima fetta di pane l’abbia mangiata il tuo papà.»
All’inizio sono confusa, poi però ricordo e capisco che intende l’uomo col dente d’oro.
«Non ti preoccupare, vado a prepararti la tua colazione preferita e torno in un baleno.»
Non ho idea di che cosa sia un «baleno».
Maggie esce e sono contenta che non chiuda la porta. Non voglio restare sola con John. Sembra che abbia un tappetino sul petto. Da vicino capisco che sono peli. Ne ha un sacco. Allunga un braccio sul letto e io mi sposto. Prende un pacchetto di sigarette e se ne accende una, facendo cadere la cenere dentro una tazza vuota mentre guarda la televisione e ride.
Maggie torna con un piatto, il che è strano, perché aveva detto che sarebbe tornata con la mia colazione preferita, che è porridge col miele. A casa me lo preparava mio fratello e lo metteva dentro una tazza blu, che era la mia preferita anche se era sbeccata. Mio fratello diceva che poteva comunque essere la mia preferita, anche se non era più perfetta. Diceva che le cose un po’ rovinate possono essere comunque belle.
«Ecco qua, mangia tutto.» Le gambe fredde di Maggie mi sfiorano i piedi quando si rimette a letto.
«Che cos’è?»
«La tua colazione preferita, sciocchina! Biscotti col burro. Mangiali tutti, mi raccomando. Bisogna che ingrassi un pochino, sei diventata troppo magra.»
A me sembra di essere uguale a ieri e al giorno prima ancora.
Guardo Maggie, poi il piatto e poi di nuovo Maggie. Non so bene cosa fare. Poi prendo uno di quei biscotti tondi che hanno un nome scritto sopra, come me che ho il mio nuovo nome scritto sulla maglia del pigiama. Leggo in silenzio: DIGESTIVE.
«Avanti, mangia.»
Non mi va.
«Mangia, ho detto.»
Allora do un morso a uno dei biscotti e mastico piano. Sanno solo di burro e non mi piacciono.
«Come si dice?»
«Grazie?»
«Grazie, e poi?»
«Grazie, Maggie?»
«No, non Maggie. Da oggi in poi mi devi chiamare mamma.»