Londra, 2017
Sono abbastanza brava a fingere di stare bene anche se sto male. Ho fatto molta pratica. Ma la faccia che metto oggi non mi sembra nemmeno la mia e, pezzo dopo pezzo, mi pare che la mia vita stia andando in frantumi. Non posso fare niente per impedirlo e il mio agente ha pensato che fosse un buon momento per scaricarmi e dunque mettere fine alla mia carriera.
L’ufficio di Tony è in centro. È una giornata di sole, per cui decido di andarci a piedi, evitando la metro e la folla. Solo perché lavoro sotto i riflettori non significa che non abbia più diritto alla mia vita privata. Nonostante l’aggressione online di stamattina, non mi preoccupa essere riconosciuta dalla gente; di questi tempi le persone vedono solo quello che vogliono vedere piuttosto che la realtà. Ho visto altre attrici andarsene in giro con cappelli e occhiali giganti per nascondersi, ma così non fanno altro che attirare l’attenzione. Non stirare i capelli, non truccarmi e vestirmi normalmente è un travestimento molto più efficace. A volte la gente mi fissa un po’ più del dovuto e capisco che mi ha riconosciuto, però non ricorda dove mi ha già visto.
E a me piace.
Sono sorprendentemente in anticipo, per cui entro a fare un giro alla Waterstones di Piccadilly. Per la prima volta da giorni stacco la spina, ed è una bella sensazione. Ci sono così tanti libri, qua dentro. Ci vengo abbastanza spesso e adoro il fatto che nessuno sappia chi sono. A volte mi piacerebbe venire a nascondermi qui e uscire solo quando se ne sono andati tutti e i commessi stanno chiudendo per tornare a casa. Passerei la notte a leggere qualcosa di vecchio e all’alba prenderei qualcosa di nuovo. Non bisogna permettere al passato di rubarci il presente, però, preso a piccole dosi, può dare una bella spinta al futuro.
Nelle librerie mi sono sempre sentita al sicuro. È come se le storie che contengono potessero salvarmi da me stessa e dal resto del mondo. Un santuario letterario pieno di paracadute di carta pronti a salvarti quando cadi. Alcune persone riescono a vivere in una bolla, ci si nascondono dentro per proteggersi dalla realtà del mondo. Ma, anche se vivi in una bolla, vedi comunque quello che ti accade intorno. Non si possono escludere del tutto le cose brutte, a meno che non si chiudano gli occhi.
Compro un libro. Sembrerebbe scortese non farlo quando ce ne sono così tanti, qui dentro. È una storia scritta nel 1958. L’ho già letto, però mi dà un curioso senso di conforto infilarlo in borsa. Mentre esco dal negozio e mi lascio alle spalle questo mondo di storie inventate, mi sembra quasi come se portassi con me un po’ di fantasia. Un talismano fatto di carta e parole che mi aiuterà ad affrontare la realtà.
Ho un po’ più di speranza nel cuore rispetto a quando sono entrata. Comincio a pensare che forse si sistemerà tutto, alla fine. Poi una donna mi prende per un braccio e mi tira indietro, proprio mentre un autobus a due piani mi sfreccia davanti e l’autista suona il clacson, sfondandomi i timpani.
«Faccia attenzione!»
Balbetto un ringraziamento, anche se non riesco quasi a parlare, visto che sono rimasta senza fiato. Ci è mancato poco. Molto poco. A volte non so proprio cos’ho che non vada. Mi sembra di avere passato tutta la vita a guardare dalla parte sbagliata.
Raggiungo l’ufficio del mio agente e poi prendo l’ascensore fino al quinto piano. Visto che non c’è nessuno, mi guardo allo specchio e mi do una spruzzata di Chanel Nº5, perché questo profumo mi calma quando sono agitata, anche se non so bene come mai. Vedere il mio riflesso nello specchio mi fa ripensare ai filmati delle telecamere a circuito chiuso che mi ha fatto vedere poco fa l’ispettrice Croft. Non ero io, ma quella persona mi assomigliava molto. Non sono stata io a prosciugare il nostro conto e poi a chiuderlo. Non l’ho fatto e non me ne sono dimenticata. Non sono pazza. Sono sempre più convinta che Ben, assieme a qualcuno, abbia architettato tutto per distruggere la mia carriera, però devo smetterla di pensare a lui, e anche a lei, chiunque sia. Devo cancellarli.
Guardo l’insegna molto elegante dietro la reception che recita: AGENZIA DI TALENTI. Come al solito mi chiedo cosa ci faccio qui. Non ho talento, non c’entro niente. Ho sempre pensato che Tony si sia sbagliato, quando ha deciso di scritturarmi, e che quindi prima o poi se ne sarebbe reso conto. Aspetto, cercando di non agitarmi, mentre qualcuno va ad avvisarlo che sono arrivata.
È un posto molto grande. Gli uffici hanno pareti di vetro, un po’ come uno zoo in cui gli agenti si cibano di un bel mix di talento e ambizione. Un giorno ti aiutano a realizzare i tuoi sogni, il giorno dopo ti spezzano il cuore. La donna dietro la reception mi sorride quando i nostri sguardi s’incrociano. Mi fissa da quando sono entrata. È nuova. Non l’ho mai vista prima e mi chiedo se sappia quale sia il motivo per cui sono qui. Chissà se lo sanno anche tutti gli altri.
Gli agenti scaricano di continuo i propri clienti.
Mentre venivo qui ho anche pensato di controllare sul sito la lista dei clienti di Tony, ma poi ci ho ripensato, avevo troppa paura di vedere il mio nome e la mia foto già eliminati. La fiducia in me stessa è la cruna di un ago, e si è talmente rimpicciolita che non ci entrerebbe neanche un filo di speranza. Alicia aveva ragione. Non c’entravo niente con gli altri suoi clienti e ancora adesso è lo stesso. Un paio di ruoli non cambia la realtà dei fatti.
L’agitazione comincia ad avere la meglio e mi viene la nausea. Proprio nel momento in cui mi alzo per andare in bagno, l’assistente di Tony viene a prendermi per portarmi nel suo ufficio. Io mi sforzo di sorridere e la seguo. Mentre attraversiamo i corridoi, sono convinta che mi stiano guardando tutti. Ogni passo che faccio mi richiede uno sforzo mentale e fisico non indifferente. È come lottare contro la forza di gravità.
Tony è un uomo di mezza età, medio-borghese e sempre impegnato. È abbronzato ed elegante, e ha la fronte costantemente aggrottata a meno che non si accorga che lo stanno guardando: allora cambia espressione e sfoggia un sorriso a trentadue denti. Da poco gli sono venuti i capelli bianchi e spero che la colpa non sia mia. Lo guardo attraverso il vetro: sembra indaffarato. È chino sulla scrivania e fissa il computer.
L’assistente mi chiede se voglio bere qualcosa. Le dico di no, anche se in realtà ho sete. Non mi sono mai abituata al fatto che gli altri facciano le cose per me. Mi sembra sbagliato.
Tony mi vede e il sorriso ci mette un secondo di troppo a prendere il posto della fronte aggrottata. Cerco di non prenderla sul personale. M’invita a sedermi e chiude la porta dell’ufficio. «Come stai?»
Sono nella merda fino al collo e lo sai. «Benissimo, tu?» Scommetto che risponderà che è oberato.
«Oberato, super oberato. Il film è finito, vero? Non volevo parlarti di questa cosa sino alla fine delle riprese.»
’Fanculo. Lo sapevo. Sono fritta. Bastardo, perché non me l’ha scritto per mail? Posso sempre trovarmi un altro agente, ma non sarà mai la stessa cosa. Sono convinta di avere ottenuto tutti i miei ruoli solo perché è lui che mi rappresenta. Mi fido di Tony. Mi fidavo, almeno. Non mi fido di nessun altro. Sono nella merda fino al collo.
Tony interrompe il mio monologo interiore. «Aimee? Stai bene?»
No. «Sì, scusami... sono solo stanca.»
«Vado dritto al punto, allora. Sai per quale motivo ti ho chiesto di vederci oggi?»
Perché vuoi scaricarmi e ti odio per questo. Scuoto la testa. È la paura a decidere cosa dico e cosa no, in questo momento. Mi fisso i piedi: non ce la faccio a guardare in faccia questa persona di cui mi fidavo e che adesso sta affilando il coltello. La nausea ha di nuovo la meglio e temo che vomiterò nel suo ufficio. Le ginocchia cominciano a tremarmi, come fanno sempre quando ho paura. Un cliché perfetto. Cerco di fermarle con le mani mentre mi chiedo se ci sia qualcosa che possa dire per far cambiare idea a Tony.
Ma lui riprende la parola prima che io abbia il tempo di aprire bocca. «In realtà sono due, le cose che devo dirti...»
Ti prego, non farlo.
«Ho ricevuto una mail da tuo marito.»
Il tempo si ferma.
«Cosa?»
«Voleva informarmi del fatto che tutta la pressione cui sei sottoposta ti sta mettendo a dura prova. So bene che quest’anno hai girato due film, ed è una bella impresa, anche per un attore navigato. Voglio solo dirti che me lo puoi dire, se non te la senti. Non è un problema dire di no, ogni tanto. Ci sono cose e persone da cui io ti posso proteggere.»
«Non so cosa lo abbia spinto a scriverti, perché io in realtà sto bene. Davvero.»
Tony mi osserva a lungo. «A casa è tutto a posto?»
«Sì.» Non gli ho mai mentito prima e mi sento in colpa. «In realtà no. Ma le cose si aggiusteranno presto. Spero.»
Tony annuisce e guarda il copione che ha sulla scrivania. «Bene, perché c’è un altro motivo per cui ti ho chiesto di venire qui oggi. Mi ha contattato un regista in merito a un altro film. Volevano che andassi a Los Angeles per un provino la scorsa settimana, però mi sono permesso di rifiutare al posto tuo, visto che sapevo che stavi ancora girando. E quindi il regista e altre persone della produzione verranno qui a Londra la settimana prossima per incontrarti. Credo che la parte sia già tua... se la vuoi. Le riprese inizieranno come minimo tra un mese, per cui avrai un po’ di tempo per riposarti...»
«Chi è il regista? È qualcuno di cui ho sentito parlare?»
Tony sorride. «Eh, sì.»
«Chi?»
«Fincher.»
Non rispondo subito, non sono sicura di aver sentito bene. È ovvio che ho sentito male. «Hai detto ’Fincher’?»
«Sì.»
Deve trattarsi di un errore o di uno scherzo di cattivo gusto.
«Sei sicuro che è me che vuole incontrare? Forse voleva dire Alicia?» Lo guardo, cercando qualcosa nella sua espressione che però non trovo.
«Non rappresento più Alicia White. Non c’è nessun errore. E tu quand’è che comincerai a credere in te stessa?»
Viaggio indietro nel tempo e nello spazio. Sono a scuola, nell’ufficio del mio insegnante di teatro, subito dopo aver ottenuto la parte di Dorothy nel Mago di Oz sebbene avessi saltato le audizioni perché avevo troppa paura. Tony mi ricorda un po’ il mio insegnante. Non so per quale motivo queste due persone abbiano deciso di darmi fiducia, ma gli sono molto grata per averlo fatto. Forse la mia vita non è esattamente quella che sognavo, però a volte mi sento così fortunata che fa male, giuro. E questa è una di quelle volte. Torno al presente. «Grazie.»
Tony fa la faccia che di solito fa quando ha un altro impegno e vorrebbe che me ne vada, ma non sa come dirlo. Allora mi alzo e faccio per andarmene, sollevata del fatto che probabilmente non ha letto le stupidaggini che hanno scritto su quell’articolo di stamattina.
«Aimee?»
Mi giro e capisco di essermi di nuovo sbagliata: è ovvio che l’ha letto, lui legge sempre tutto. Ma la sua faccia è tranquilla, non quella del papà arrabbiato che mi sarei aspettata.
«C’è una cosa che, come tuo agente, vorrei tu ricordassi sempre: bisogna combattere, sempre, soprattutto quando pensi che perderai. È proprio allora che devi lottare con più forza.»
«Grazie», rispondo con un filo di voce. Me ne vado prima di scoppiare a piangere.