Londra, 2017
Trovo un posto a sedere sulla Central Line e provo inutilmente a mettermi a leggere il libro che ho comprato prima. È una vecchia storia, ma mi mette nuovi pensieri nella testa, che però in questo momento è già piena. I libri possono essere specchi e metterci davanti l’immagine peggiore di noi stessi. Tra le loro pagine ci sono infilate lezioni che aspettano solo di essere imparate. Rimetto il libro in borsa e osservo le facce dei miei compagni di viaggio, domandandomi chi siano davvero queste persone.
Io e Ben facevamo sempre un gioco, in metro. Sceglievamo una coppia di persone che parlava e a turno facevamo le loro voci, inventando dialoghi strampalati che non c’entravano niente con le espressioni che avevano in faccia. Ridevamo come pazzi. Ci divertivamo un sacco, all’epoca. Era bello. Il ricordo mi strappa un sorriso, poi mi rendo conto che sto sorridendo a dei perfetti sconosciuti e a un passato che non potrò mai riavere. È poco educato fissare la gente in questo modo, ma nessuno dice niente, non se ne accorgono neppure. Sono tutti troppo impegnati a fissare i loro cellulari, ignorando le meraviglie del mondo che li circonda. Ormai abbiamo sempre gli occhi incollati agli schermi e non guardiamo più le stelle.
Credo che sia pericoloso passare troppo tempo a guardare le vite degli altri: si rischia di non avere più tempo per vivere la propria. La tecnologia sta facendo involvere la specie umana. Trangugia la nostra intelligenza emotiva e scarta solo quei pochi brandelli di privacy che non riesce a ingoiare. Il mondo continuerà a girare e le stelle continueranno a brillare, che ci sia qualcuno che guarda oppure no.
A volte penso che ognuno di noi dovrebbe essere la stella del proprio sistema solare, intorno cui gira tutto il resto. Osservo le espressioni dei miei compagni di viaggio che cambiano e ogni tanto sono certa di vedere dei bagliori, quando magari pensano al proprio passato o si preoccupano del futuro. Ognuno di noi, ogni essere umano che cammina, parla, pensa, sente ha il suo sistema di pianeti che gli gira intorno: genitori, figli, amici, amanti. A volte alcune stelle diventano troppo grandi, troppo calde, troppo pericolose e i pianeti più vicini esplodono. Mentre fisso questa galassia di facce durante il viaggio da un luogo a un altro, capisco che non è importante chi siamo o cosa facciamo. Siamo solo stelle che cercano di brillare nell’oscurità.
Scendo a Notting Hill e cammino verso casa. Mi sembrano mesi che non cammino con la testa così alta. Ogni passo è un’altalena di emozioni, parto dall’alto e arrivo in basso, poi di nuovo in alto e infine in basso, esausta. Ho un provino con uno dei miei registi preferiti di tutti i tempi, il mio agente non mi vuole scaricare e, nonostante tutti i problemi nella mia vita privata, ho tante cose per cui essere grata. La faccenda di Ben troverà una spiegazione. Sta cercando di farmi del male, ma non può restare nascosto per sempre e soprattutto non mi possono accusare di un crimine che non ho commesso.
Imbocco la strada di casa mia, pensando che tutto si risolverà.
Ci metto poco a cambiare idea.
Le due vetture della polizia che erano parcheggiate qui davanti stamattina ci sono ancora, ma ora sono vuote. La porta di casa è spalancata e dei poliziotti entrano ed escono in continuazione. Ci sono i nastri blu e bianchi della polizia tutto intorno alla casa e alla strada. A quanto pare l’ispettrice Croft ha ottenuto il mandato.
Questa storia è un incubo. Ormai avrà capito che dico la verità. Non so dove sia mio marito, perché abbia raccontato quello che ha raccontato o perché mi stia facendo tutto questo. Forse vuole solo darmi una lezione. Quando è troppo è troppo, però. Di sicuro non gli ho fatto quello che insinua l’ispettrice. Sarà pure vero che da bambina mi hanno diagnosticato una forma di amnesia, ma i dottori si sbagliavano e, comunque sia, penso che mi ricorderei di aver fatto qualcosa di così violento.
Mi avvicino. Devono lasciarmi entrare, è casa mia, e poi mi devo cambiare per andare alla festa di fine riprese. Non posso andarci vestita così. L’entusiasmo che mi sospingeva fino a poco fa si spegne del tutto quando vedo due uomini con le tute bianche della Scientifica che escono da casa mia trasportando quella che sembra una barella. C’è qualcosa o qualcuno, sopra, coperto da un lenzuolo bianco.
All’inizio non credo ai miei occhi.
L’immagine s’imprime nella mia mente, vi lascia un segno indelebile e cancella anche gli ultimi brandelli di speranza rimasti.
Non è possibile che abbiano trovato un cadavere, perché vorrebbe dire che qualcuno è morto. E, se è così, allora vorrebbe dire che qualcun altro deve averlo ucciso. Vedo l’ispettrice Croft che esce da casa mia e indica qualcosa che non vedo. Se ha trovato qualcosa, non crederà mai alla faccenda della stalker. Del resto non mi ha mai creduto. Sono lontana e da qui non riesco a vedere la sua espressione, ma sono sicura che sorride. Allora mi volto e scappo.