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Galway, 1987

Maledetta ancora prima di nascere.

Mia madre è morta nel darmi alla luce e lui non mi ha mai perdonato.

È stata colpa mia: era passato il termine e mi sono girata dalla parte sbagliata. Ancora adesso ho problemi con l’orientamento.

Non riuscivano a farmi uscire, non volevo, ma ora non ricordo perché. I medici avevano detto a mio padre che avrebbe dovuto scegliere tra me e mia madre, perché non ci potevano salvare entrambe. Il papà aveva scelto lei, però le cose non erano andate come sperava. Ero sopravvissuta io, e la cosa lo aveva reso triste e arrabbiato per molto tempo.

È stato mio fratello a raccontarmelo. Mi ha ripetuto la storia un mucchio di volte.

È più grande di me e sa cose che io non so.

Dice che l’ho uccisa io.

E quindi adesso faccio di tutto per non uccidere più. Cerco di non calpestare le formiche, se mi trovo davanti a un ragno faccio finta di non averlo visto e, quando mio fratello mi porta a pescare, libero i pesci che catturiamo. Lui dice che il papà era buono, prima che gli spezzassi il cuore.

Li sento, nel capanno.

So che non dovrei, ma voglio sapere cosa stanno facendo.

Fanno un mucchio di cose senza di me. A volte li spio.

Salgo sul ceppo che usiamo per tagliare la legna e sbircio dal buchino nel muro. Con l’occhio destro vedo la gallina, quella che si chiama Diana. È il nome di una principessa inglese. Il papà la tiene per il collo con la sua mano gigante. Le hanno legato le zampe con uno spago nero. Il papà la mette a testa in giù e lei resta immobile, muove solo gli occhietti neri. Sembra che guardino proprio nella mia direzione e penso che la gallina sappia che sto guardando qualcosa che non dovrei.

Mio fratello ha un’accetta in mano.

Piange.

Non l’ho mai visto piangere. L’ho sentito, dalla mia stanza, quando il papà usa la cinghia, ma è la prima volta che lo vedo in lacrime. Ha quindici anni, il viso rosso e pieno di brufoli e le mani che tremano.

Il primo colpo di accetta non va a segno.

La gallina agita le ali, strilla come una banshee, col sangue che le sprizza dal collo. Il papà colpisce mio fratello sulla nuca e lui riprova. Le grida della gallina e il pianto di mio fratello si confondono. Ancora una volta il colpo non va a segno e il papà gli dà un altro schiaffo, così forte che lo fa cadere in ginocchio, col sangue della gallina che schizza ovunque e finisce sulle loro camicie bianche. Al terzo colpo d’accetta, la testa della gallina rotola a terra, mentre le ali si muovono ancora. Le piume che prima erano bianche ora sono rosse.

Quando il papà se ne va, entro nel capanno e mi metto a sedere accanto a mio fratello, che piange ancora. Non so cosa dire e gli prendo la mano. Guardo le nostre dita intrecciate: due pezzi di un puzzle così diversi che non dovrebbero incastrarsi, e invece lo fanno. Le mie mani sono rosa e morbide, le sue grandi, ruvide e sporche.

Lui sfila bruscamente la mano dalla mia e si asciuga il viso, sporcandosi le guance di sangue. «Che vuoi?»

Voglio solo stare con lui, però si aspetta una risposta, e allora me la invento, anche se so già che è quella sbagliata. «Ti volevo chiedere se ti andava di accompagnarmi in città. Voglio farti rivedere le scarpette rosse che voglio per il mio compleanno.»

La settimana prossima compio sei anni. Il papà mi ha detto che se faccio la buona quest’anno avrò un regalo. Non sono stata cattiva, e credo che valga lo stesso.

Mio fratello scoppia a ridere. Non è la sua solita risata, è cattiva. «Possibile che non capisci? Non ce le possiamo permettere, quelle scarpe rosse, riusciamo a malapena a comprare da mangiare!» Mi prende per le spalle e mi scuote, come fa il papà con lui quand’è arrabbiato. «La gente come noi non porta scarpe rosse, quelli come noi nascono e muoiono nel fango. Ora vattene via e lasciami in pace!»

Non so cosa fare. Mi sento strana e non riesco più a parlare.

Mio fratello non mi ha mai parlato in questo modo. Sento le lacrime che vorrebbero uscire, ma non glielo permetto. Provo a riprendergli la mano, voglio stringerla.

Lui mi spinge via, così forte che cado all’indietro e sbatto la testa sul ceppo dove ci sono il sangue e le interiora della gallina, che adesso mi impiastricciano i ricci neri. «Vattene via, ti ho detto, o taglio la testa anche a te.»

E allora corro via, più lontano che posso.