«Alla salute!»
Jack appoggia il suo bicchiere di champagne accanto al mio. «Alla salute. Mi devi raccontare di questo incontro. Voglio sapere tutto. Ogni singola parola.»
Rido. «No, non voglio portarmi iella. Credo che il pranzo sia andato bene. Ora dobbiamo solo aspettare e vedere se otterrò la parte.»
Siamo seduti al bar di un ristorante molto esclusivo di West London. Aspettiamo che si liberi un tavolo e nel frattempo cominciamo a festeggiare. Mi rilasso un po’. L’alcol mi stordisce e attutisce la paura che è cresciuta in me da quand’è cominciato quest’incubo.
Ho già detto più di quanto avrei dovuto dell’incontro col mio agente e con Fincher. Non ho resistito, sono troppo emozionata. Ci ho ricamato un po’ su, giusto un pochino, solo per presentare la storia così come ho deciso di ricordarla. Avrei potuto tagliare, ma non fa niente. Lo facciamo tutti, alla fine. Le storie che ci raccontiamo sono come quelle palle di vetro con la neve: scuotiamo i fatti e aspettiamo che si depositino. Se non ci piace la forma che prendono, scuotiamo di nuovo finché non vediamo quello che vogliamo.
Una volta credevo che tutto quello che accade lo fa per un motivo, però non lo penso più. Credo comunque che l’inferno che ho passato negli ultimi giorni abbia avuto uno scopo. Forse la mia vita cambierà per il meglio. Cerco di restare calma e provo a negare la felicità che provo. Non posso permettere che le mie fantasie mi diano un senso di sicurezza ingiustificato. Ho già commesso questo errore. «C’è una cosa che ha detto Fincher e che non riesco a togliermi dalla testa.»
Jack mi punta gli occhi addosso mentre bevo un altro sorso di champagne. «E sarebbe?»
«Ha detto che il personaggio che vuole che interpreti è ripugnante, ma allo stesso tempo affascinante, e comincio a pensare che anch’io sono così.»
Jack mi guarda per qualche secondo, poi gli si formano delle rughe intorno agli occhi e la bocca si apre in un sorriso ampio e bianchissimo. Scoppia a ridere di cuore, senza rendersi conto che la mia in realtà non era affatto una battuta. Mi prende la mano. «Sono tanto orgoglioso di te, lo sai?»
«Non ho ancora ottenuto la parte.»
«Non mi riferisco solo a oggi, sono orgoglioso di te per tutto quanto. Un’altra persona, in una situazione del genere, avrebbe perso la testa o si sarebbe andata a nascondere da qualche parte. Tu invece hai dimostrato di essere una donna forte.»
Sono forte solo all’apparenza. Non so più cosa stiamo facendo. Qualunque cosa sia, sono certa che non dovrei incoraggiarla; la mia vita è già abbastanza complicata in questo momento. Siamo seduti l’uno davanti all’altra sugli sgabelli di questo ristorante esclusivo, più vicini del normale. Le mie gambe sono strette tra le sue ginocchia e mi piace sentire il calore del suo corpo. Stargli così vicina mi fa sentire al sicuro e desiderosa di soccombere alle sue avances. Anche se ho bevuto, sono perfettamente consapevole che il conforto che mi danno le sue mani non è altro che un placebo. Lo ingoio lo stesso, perché voglio godermi questa sensazione il più a lungo possibile.
Jack finisce il suo bicchiere di champagne, poi prende il mio, ormai vuoto, e li mette vicini sul bancone del bar. È diventato serissimo. «Voglio che tu sappia che con me sei al sicuro.»
Mi sento al sicuro, in effetti, come se tutto ciò che è successo fosse stato solo un brutto sogno.
«Di me puoi fidarti.»
Lo voglio così tanto che non mi tiro indietro, quando lui si avvicina per baciarmi. Non è il tipo di bacio che ci diamo di solito sul set, è un bacio vero, pieno di passione. È come se mi rendessi conto solo adesso di quanto lo desiderassi, almeno quanto lui, sospetto, e che finora abbia solo cercato di negarlo a me stessa. Lo so che fare una cosa del genere in un luogo pubblico è una follia, ma non ci posso fare niente. Mi prende il viso tra le mani e io penso a quanto avrei voluto incontrarlo prima, prima dell’uomo che ho sposato.
Sento picchiettare sul vetro della finestra dietro di noi, e quando apro gli occhi vedo Jack che guarda alle mie spalle con la fronte aggrottata. «Chi cazzo è quella?»
Mi giro e la vedo, fuori dal ristorante. La donna che mi ha perseguitato negli ultimi due anni.
Ero certa che Ben non avesse fatto tutto da solo.
Il trench che indossa sembra proprio quello che non riuscivo più a trovare, e i lunghi ricci scuri si agitano al vento. Nonostante gli occhiali da sole, è chiaro che ci sta fissando e mi chiedo da quanto sia lì. Mi saluta con la mano coperta da un guanto bianco. Non sorride, e a me saltano i nervi: adesso la rabbia è più forte della paura. Mi alzo di scatto e vado verso l’uscita, pronta ad affrontare questa donna, chiunque sia.
Jack mi viene subito dietro, però quando arriviamo in strada è già troppo tardi. La donna alla finestra non c’è più.