Mi sveglio.
Apro gli occhi ed è giorno. Mi accorgo di essere sdraiata su un letto. Provo a muovermi e scopro che ho caviglie e polsi legati al letto. Giro la testa più che posso ed è un sollievo vedere che, se non altro, sono sola. Guardo le pareti scrostate e chiazzate di umidità, le tendine bianche ingiallite e piene di muffa, i mobili di legno ormai logori. Sul muro di fronte a me c’è un quadretto della Vergine Maria e sul comodino c’è una statuetta in metallo di Gesù. Riconosco questa stanza. Mi trovo nella casa in cui sono nata, in Irlanda. Il rumore del mare in lontananza me lo conferma. L’ultima volta che ci sono stata avevo cinque anni, ma l’odore di questo posto mi riporta indietro nel tempo e mi sembra che sia passato solo un giorno.
Sopra un comò ci sono un centrino e una foto incorniciata. Sono io da bambina. Indosso una camicetta e delle calze bianche e una gonnellina rossa. Ho i codini un po’ storti e sembro felice, anche se non ricordo di essere mai stata particolarmente felice quando vivevo qui. Forse sapevo già fingere davanti a un obiettivo. C’è anche uno specchio sopra il comò e contorcendomi vedo il mio riflesso. Ho una camicetta e delle calze bianche e una gonna rossa, proprio come nella foto. Ho anche i codini. Ho il rossetto rosso sopra e tutto intorno alle labbra, che così imbrattate sembrano il doppio di quello che sono in realtà. Lo shock è tale che non mi lascia neanche il tempo di ragionare e urlo.
La porta si spalanca e mio fratello entra di corsa. È vestito da uomo, niente più trucco e parrucca. È di nuovo Ben, anche se diverso da quello di una volta. Mi accarezza le guance. «No, no, stai tranquilla, tesoro. Era solo un brutto sogno.»
Guardo sconvolta il suo viso trasformato dalla chirurgia plastica.
«Oh, Maggie non c’è più, temo. Mi vestivo da donna solo per farti uscire di testa e nascondermi dalla polizia. Perché mi guardi così? È per via della mia nuova faccia? Volevo solo assomigliare a Jack Anderson, visto che lo trovi così irresistibile e attraente. Ti piace il risultato? Ormai i medici possono fare praticamente tutto. Basta portar loro una foto da una rivista e un bell’assegno e il gioco è fatto. Mi sarei tanto voluto far fare dei begli addominali come quelli di Jack, ma la vita ha altri piani per me. Adesso ci siamo solo tu e io, temo. Non ti dispiace, vero, tesoro?»
«Smettila di chiamarmi così.»
«Me lo hai detto tu, che Maggie ti chiamava così. Credevo ti piacesse. Non è per questo che te ne sei andata e non sei mai più tornata? Ti ho portato la colazione.» Mi avvicina alle labbra una tazza blu e un cucchiaio.
Stringo le labbra e mi giro dall’altra parte.
«Su, non fare così adesso. È porridge, te l’ho messo nella tua tazza preferita. Ricordi cosa ti ho detto quando si è sbeccata? Le cose un po’ rovinate possono essere comunque belle.»
«Ti prego, slegami.»
«Vorrei. Vorrei tanto, ma ho paura che poi scappi di nuovo. Te lo ricordi, quel giorno? Lo sai che non ho mai più mangiato pollo, dopo quello che il papà mi ha fatto fare a quella povera gallina?»
«Perché mi hai vestito così?»
«Non ti piace? Non ti ho messo le scarpette rosse solo perché ormai non ti stanno più. Potremmo dire che tutta la strada che hai fatto, oltre a farti montare la testa, ti ha fatto anche gonfiare i piedi.» Ride della sua battuta e poi mi guarda, come se si aspettasse che mi metta a ridere anche io. Poiché non lo faccio, il sorriso svanisce e l’espressione cambia. «Se non ti piacciono i vestiti che ti ho messo, te li posso sempre togliere.» Mi tira su la camicia e comincia a tirarmi giù le calze.
«No, non farlo! Ti prego.»
«Che succede? Una volta ti piaceva quando ti toglievo i vestiti. Non facevi altro che ripetere che volevi un figlio da me anche se ti dicevo che non sarebbe stata una buona idea. Adesso capisci perché, vero? E poi ti ho visto nuda mille volte, cosa sono queste storie?» Mi tira giù le calze fino alle cosce, poi mi infila una mano in mezzo alle gambe e comincia a farla salire. «Ho già visto ogni centimetro della tua pelle, conosco già il tuo sapore, sono già stato dentro di te. Non c’è nessuno su questa terra che ti conosca meglio di me. So chi sei. Chi sei davvero. E ti amo lo stesso.»
Giro la faccia dall’altra parte mentre la sua mano continua a salire.
«Puoi far finta che non ti piaccia, se ti fa sentire meglio. Ma sappiamo entrambi che un tempo ti piaceva eccome. Scopare con me era l’unica cosa che ti faceva passare l’ansia, o sbaglio? Quanta ansia ti veniva, prima di un’intervista o di uno di quegli stupidi eventi cui vanno gli attori?»
«Non sapevo che fossi...»
«Ah, no?»
Non rispondo.
«Ero davvero cambiato così tanto, quando ci siamo incontrati da adulti? E tu, con le tue tettine perfette, i riccioli scuri e gli occhioni, avresti potuto avere chiunque, però hai voluto proprio me. Tuo fratello.»
«Cosa vuoi?»
«Voglio solo che stiamo assieme. È l’unica cosa che ho sempre voluto, ma per te non era abbastanza. Sempre a flirtare coi registi o con gli attori come Jack Anderson. Be’, adesso staremo assieme finché morte non ci separi. Non ci resta molto tempo, però. Sono malato.» Sale sul letto e si mette sopra di me. Intreccia le mani alle mie e posa la testa sul mio petto.
Sento l’odore dei suoi capelli e vedo la cute rosa, lì dove cominciano a diradarsi. È pesante e mi fa male, ma non dico niente. Resto immobile e in silenzio finché non si addormenta.
Quando comincia a russare, sento solo una voce nella testa, ed è quella di Maggie, non la mia.
Finché non dimentichi chi sei davvero, recitare ti salverà la vita.
Mi ripeto quelle parole come un mantra, mentre sono distesa con gli occhi spalancati. Comincio ad accarezzare l’idea, la coccolo, e spero che lui non si svegli e non la senta. In questo momento è l’unica cosa cui posso aggrapparmi. La paura è diventata odio e quest’ultimo mi dà il coraggio di pensare che potrebbe esserci una via di uscita, mi dà il coraggio d’immaginare un finale diverso. Comincio a ripetere le mie battute e a pensare come interpretare la prossima scena. La vita è una partita di scacchi: bisogna ricordare le mosse già fatte e pensare in anticipo a quelle future.
Il vento aumenta e ulula tra le pareti di casa. Fuori dalla finestra vedo l’albero su cui mi arrampicavo da bambina. Sembra morto. I rami si agitano e scricchiolano, i ramoscelli avvizziti battono sul vetro come dita rinseccolite. Toc. Toc. Toc.
Nella stanza comincia a scendere l’oscurità. Quando è buio, so esattamente cosa devo dire e fare.