3

Agli apprendisti apicoltori viene spiegato che per trovare la sfuggente regina bisogna localizzare la sua cerchia di custodi.

The Queen Must Die: and Other Affairs of Bees and Men

Dopo Shakespeare, il mio autore preferito era Thoreau. La signora Henry ci fece leggere alcune parti del Walden, dopodiché fantasticai di andare in un bosco segreto dove sfuggire per sempre a T. Ray. Cominciai ad apprezzare Madre Natura, la sua grande opera sulla terra. Nella mia testa, aveva l’aspetto di Eleanor Roosevelt.

Pensai a lei, la mattina successiva al mio risveglio accanto al ruscello, in un letto di tralci di pueraria. Una chiatta di nebbia fluttuava sull’acqua, e libellule azzurre iridescenti si muovevano a scatti come a ricamare l’aria. Era una visione così bella che per un attimo dimenticai quel senso di oppressione che provavo da quando T. Ray mi aveva parlato di mia madre. Mi trovavo sulle rive del lago di Walden. “Il primo giorno della nuova vita” mi dissi. “Questa è vita.”

Rosaleen dormiva a bocca aperta, un lungo filo di saliva appeso al labbro inferiore. Dal modo in cui muoveva gli occhi sotto le palpebre capii che guardava lo schermo argentato su cui vanno e vengono i sogni. Il viso sembrava meno gonfio, ma alla chiara luce del giorno notai lividi violacei su braccia e gambe. Nessuna delle due aveva l’orologio; però, a giudicare dalla posizione del sole, avevamo dormito fino a metà mattina.

Mi dispiaceva svegliarla, quindi tirai fuori dalla sacca il quadretto di legno della Madonna e lo appoggiai a un tronco d’albero per studiarlo con attenzione. Una coccinella si arrampicò sulla guancia della Santa Madre, disegnandole un perfetto neo. Forse Maria era un’amante dell’aria aperta, e preferiva alberi e insetti all’aureola religiosa che le mettevano.

Mi sdraiai, cercando di inventare una storia su mia madre e il ritratto della Madonna Nera. Ma non mi venne in mente nulla, forse anche per la mia ignoranza su Maria, che non era oggetto di molta attenzione nella nostra chiesa. Secondo fratello Gerald, l’inferno non era che un falò per i cattolici. Non ce n’erano a Sylvan – solo metodisti e battisti –, ma ricevevamo indicazioni precise su come comportarci in caso ne incontrassimo in viaggio. Dovevamo presentare loro il piano di redenzione in cinque parti, che lo accettassero o meno. In chiesa ci avevano consegnato un guanto di gomma con ogni passo scritto su un dito. Si iniziava dal mignolo per risalire al pollice. Alcune signore portavano il guanto della redenzione in borsa, nel caso si fossero imbattute in un cattolico.

La sola storia di Maria di cui si parlava era il matrimonio, quando in cucina persuase il figlio, praticamente contro la sua volontà, a trasformare in vino l’acqua pura. Io ne ero stata molto turbata, perché la nostra chiesa non credeva nel vino, e, tantomeno, nelle donne che dicevano la loro. Mi venne in mente soltanto che mia madre fosse stata in qualche modo coinvolta con i cattolici e – devo ammetterlo – la cosa mi procurò un brivido di eccitazione.

Infilai in tasca il ritratto mentre Rosaleen continuava a dormire, con sbuffi d’aria che le facevano vibrare le labbra. Avrebbe potuto dormire fino all’indomani, così decisi di svegliarla. Le scossi il braccio finché non socchiuse gli occhi.

«Dio, sono tutta intirizzita» commentò. «Mi sento come se mi avessero picchiato con un bastone.»

«Ma ti hanno picchiato, ricordi?»

«Non con un bastone, però.»

Aspettai che si alzasse, un processo incredibilmente lungo accompagnato da gemiti, grugniti e membra che tornavano in vita.

«Che cosa stavi sognando?» le chiesi quando fu in piedi.

Guardò le cime degli alberi, strofinandosi i gomiti. «Be’, vediamo. Ho sognato il reverendo Martin Luther King, in ginocchio, che mi pitturava le unghie dei piedi con lo sputo, e tutte le unghie erano rosse come se avesse succhiato würstel al peperoncino.»

Ci pensai mentre ci incamminavamo verso Tiburon, con Rosaleen che procedeva sui piedi consacrati, come fosse la padrona di tutto il Paese.

Passammo accanto a grigi granai, campi riarsi, e gruppi di mucche Hereford che masticavano lente, con l’aria soddisfatta della loro vita. Socchiudendo gli occhi vidi in lontananza fattorie con ampie verande e altalene fatte di pneumatici da trattore appesi ai rami, accanto a mulini a vento i cui giganteschi petali argentei scricchiolavano un poco a ogni alito di brezza. Il sole aveva cotto tutto a puntino; perfino l’uva spina sulle staccionate si era prosciugata fino a sembrare zibibbo.

L’asfalto terminò, sostituito dalla ghiaia. Ascoltai il rumore che produceva sotto le nostre scarpe. Il sudore si raccoglieva nella fossetta alla base del collo di Rosaleen. Non so se era il mio o il suo stomaco a soffrire di più la fame. Dopo esserci messe in cammino, mi resi conto che era domenica, e i negozi chiusi. Il mio timore era che per sopravvivere avremmo finito per cibarci di denti di leone, rape selvatiche e radici.

Proprio in quel momento arrivò dai campi l’odore di letame fresco, che mi fece passare subito l’appetito, ma Rosaleen commentò: «Potrei mangiare un mulo».

«Se riusciamo a trovare un posto aperto, in città, entro a prendere qualcosa da mangiare» le dissi.

«E per dormire, che si fa?»

«Se non c’è un motel, dovremo affittare una camera.»

Mi sorrise, allora. «Lily, bambina mia, da nessuna parte accettano una donna di colore. Non l’accoglierebbero neppure se fosse la Vergine Maria in persona.»

«E allora, che senso ha l’Atto sui Diritti Civili?» chiesi piantandomi in mezzo alla strada. «Non significa che devono lasciarti dormire nei loro motel e mangiare nei loro ristoranti, se lo desideri?»

«Dovrebbe essere così, ma bisognerà prendere la gente a calci in culo per costringerla a farlo.»

Percorsi il miglio successivo oppressa dall’ansia. Non avevo un piano, neppure un abbozzo. Fino a quel momento avevo quasi creduto che da qualche parte avremmo trovato una finestra su cui arrampicarci per entrare in una nuova vita. Rosaleen, per parte sua, era certa che ci avrebbero riagguantate. La considerava come una sorta di vacanza dalla prigione.

Aspettavo un segnale, una voce come quella che avevo udito il giorno prima nella mia stanza, che mi dicesse: “Lily Melissa Owens, il tuo barattolo è aperto”.

Faccio quattro passi e poi alzo gli occhi: quello che vedo sarà il segnale. Quando li riaprii, vidi un piccolo aereo per la disinfestazione in volo su un campo di pianticelle appena spuntate, seguito da una nuvola di pesticida. Non riuscii a decidere quale parte della scena rappresentassi io, se le piante sul punto di essere salvate dai parassiti o i parassiti stessi sul punto di essere sterminati dallo spruzzo. C’era anche la remota possibilità che io fossi l’aereo che ronzava sulla terra portando salvezza e disastro al tempo stesso.

Ero molto abbattuta.

Faceva sempre più caldo, e Rosaleen aveva il viso madido di sudore.

«Peccato non ci sia una chiesa, qui intorno, dove rubare qualche ventaglio» fu il suo commento.

Da lontano, il negozio ai margini della città sembrava vecchio di cent’anni, ma quando fummo più vicine mi resi conto che li superava. Sull’insegna sopra la porta si leggeva FROGMORE STEW. EMPORIO E RISTORANTE. DAL 1854.

Probabilmente il generale Sherman è passato di qui a cavallo e di sicuro ha deciso di risparmiarlo per via del nome, non certo per l’aspetto. L’intera facciata era coperta di avvisi dimenticati: Noleggio Studebaker, Esche vive, Torneo di pesca, Ghiaccio di produzione Rayford Brothers’, Fucili da caccia $ 45, e il ritratto di una ragazza con il tappo della bottiglia di Coca-Cola in testa. Un cartello annunciava che un concerto di canti gospel si era svolto nella chiesa battista di Mount Zion nel 1957, se a qualcuno poteva interessare.

Quello che più mi piacque era la bella raccolta di targhe automobilistiche di vari Stati. Mi sarebbe piaciuto leggerle una a una, se avessi avuto tempo.

In un cortile laterale un uomo di colore sollevò il coperchio di un barbecue fatto con un barile di petrolio, e l’odore di maiale marinato in aceto e pepe mi provocò una tale produzione di saliva da farmi letteralmente sbavare sulla camicetta.

Sul davanti erano parcheggiati alcuni camion e automobili, probabilmente di persone che avevano saltato la funzione religiosa per dirigersi dritte là dopo la scuola domenicale.

«Entro a vedere se riesco a comprare qualcosa da mangiare» dissi.

«E tabacco. Ho bisogno di un po’ di tabacco» fece lei.

Mentre Rosaleen si accasciava su una panca accanto al barbecue, io superai la porta a vetri per inoltrarmi nella mescolanza di odori di uova in salamoia e segatura, sotto decine di prosciutti ricoperti di zucchero appesi al soffitto. Il ristorante era situato sul retro, mentre nella parte adibita a negozio si vendeva di tutto, dalla canna da zucchero alla trementina.

«Posso servirti, signorina?» mi chiese un ometto basso con un cravattino a farfalla dall’altra parte del banco di legno, quasi sommerso dietro a una barricata di gelatina d’uva moscatella e peperoncini Sweet Fire. Aveva una voce stridula e un aspetto delicato, gentile. Non me lo vedevo proprio a vendere fucili per la caccia al cervo.

«Non mi pare di conoscerti» disse.

«Non sono di qui. Vado a trovare la nonna.»

«Mi piacciono i giovani che trovano il tempo di stare con i nonni. Si impara molto dagli anziani.»

«Proprio così. Io ho imparato più da mia nonna che da un anno di scuola.»

Scoppiò a ridere come se fosse la cosa più comica mai sentita da anni. «Sei qui per mangiare? Abbiamo la specialità della domenica: maiale al barbecue.»

«Ne vorrei due porzioni da portare via. E due Coca-Cola, per favore.»

Mentre aspettavo il pranzo, vagabondai nel negozio per fare provviste per la cena. Pacchetti di arachidi salate, biscotti, due sandwich al formaggio piccante impacchettati nella plastica, caramelle acidule, e una scatola di tabacco Red Rose. Impilai tutto sul banco.

Quando lui tornò con piatti e bottiglie, scosse la testa. «Mi spiace, ma è domenica. Non possiamo vendere niente in negozio, solo piatti del ristorante. Tua nonna dovrebbe saperlo. A proposito, come si chiama?»

«Rose» risposi, leggendo il nome sulla scatola di tabacco.

«Rose Campbell?»

«Sissignore. Rose Campbell.»

«Credevo avesse solo nipoti maschi.»

«No, ci sono anch’io.»

Toccò il sacchetto delle caramelle. «Lascia tutto qui. Ci penso io a rimettere a posto.»

Il registratore di cassa emise un ping, e il cassetto si spalancò. Io frugai nella sacca in cerca dei soldi e pagai.

«Le dispiace aprirmi le bottigliette di Coca-Cola?» domandai, e mentre lui tornava in cucina lasciai cadere il tabacco Red Rose nella sacca, che chiusi con la cerniera.

Rosaleen era stata picchiata, non aveva mangiato, aveva dormito sulla nuda terra, e chi poteva dire quanto tempo sarebbe passato prima che finisse di nuovo in prigione oppure uccisa? Meritava un po’ di tabacco da fiuto.

Stavo pensando che un giorno, nel giro di qualche anno, avrei rimandato al negoziante un dollaro in una busta, spiegando che il senso di colpa aveva dominato ogni momento della mia vita, quando mi ritrovai a guardare un ritratto della Madonna Nera. Intendo non un ritratto di una qualunque Madonna Nera, ma proprio lo stesso identico già appartenuto a mia madre. Mi fissava dall’etichetta di una dozzina di barattoli, su cui era scritto MIELE DELLA MADONNA NERA.

Si aprì la porta ed entrò una famiglia appena uscita di chiesa: madre e figlia vestite entrambe di blu marino con colletto piatto e tondo. Dalla soglia entrava una luce nebbiosa, attenuata, soffusa di pagliuzze dorate. La bambina starnutì e la madre le disse: «Vieni qui, fatti soffiare il naso».

Tornai a guardare i barattoli di miele, le luci ambrate che fluttuavano all’interno, e mi imposi di respirare con calma.

Allora, per la prima volta nella vita, me ne resi conto: non c’è altro che mistero al mondo; si nasconde dietro il tessuto dei nostri poveri giorni affannosi, e brilla luminoso a nostra insaputa.

Pensai alle api che arrivavano di notte in camera mia, come erano state parte di tutto quanto. E la voce che avevo sentito il giorno prima: “Lily Melissa Owens, il tuo barattolo è aperto”, col tono chiaro e diretto che la donna vestita di blu usava nel rivolgersi alla figlia.

«Ecco le tue Coca-Cola» stava dicendo l’uomo dal cravattino.

Indicai i barattoli di miele. «Da dove arrivano questi?»

Lui dovette scambiare il mio tono sconvolto per costernazione. «So cosa intendi. Un sacco di gente non lo compra perché la Vergine Maria è ritratta come una donna di colore, ma, vedi, questo è perché la donna che lo produce è di colore.»

«Come si chiama?»

«August Boatwright. Ha api sparse per tutta la contea.»

Continua a respirare. Continua. «Sa per caso dove vive?»

«Oh, certo, nella casa più pazzesca che tu abbia mai visto. Dipinta rosa shocking. Tua nonna deve conoscerla senz’altro: prendi la Main Street e attraversa la città, finché incroci la strada per Florence.»

Mi incamminai verso la porta. «Grazie.»

«Saluta la nonna da parte mia.»

Rosaleen russava tanto forte da far vibrare le assi della panca. Le diedi uno scrollone. «Sveglia. Ecco il tuo tabacco, ma ficcalo in tasca, perché non l’ho esattamente pagato.»

«L’hai rubato?»

«Ho dovuto, perché di domenica non vendono niente in negozio.»

«Hai proprio preso una brutta china.»

Tirai fuori il pranzo e lo disposi sulla panca come fosse un picnic, ma io non riuscivo a mangiare un boccone se prima non le raccontavo della Madonna Nera sul barattolo di miele e dell’apicoltrice di nome August Boatwright.

«Credi che mia madre l’abbia conosciuta? Non può trattarsi di una semplice coincidenza.»

Lei non rispose, così lo ripetei a voce più alta. «Rosaleen? Cosa ne pensi?»

«Non so proprio cosa pensare. Non voglio che tu ci speri troppo, tutto qui.» Allungò la mano a sfiorarmi la guancia. «Oh, Lily. Cosa abbiamo combinato?»

Tiburon era un posto come Sylvan, mancavano solo le pesche. Davanti al tribunale con la cupola qualcuno aveva ficcato una bandiera confederata nella bocca del cannone pubblico. La Carolina del Sud appartiene prima di tutto agli Stati del Sud, e solo in secondo luogo all’America. L’orgoglio di Fort Sumter non ce lo toglie nessuno, se volete saperlo.

Percorremmo a passo tranquillo la Main Street, con le lunghe ombre proiettate da edifici a due piani che fiancheggiavano l’intera strada. Al negozio di alimentari, sbirciai attraverso la vetrina la fontanella dell’acqua con le cromature, i cartelli che pubblicizzavano Coca-Cola alla ciliegia e banana split, e pensai che ben presto non sarebbe più stato riservato soltanto ai bianchi.

Oltrepassammo l’agenzia assicurativa Worth, l’ufficio rurale dell’Energia Elettrica e il negozio Amen Dollar, che aveva in vetrina hula hop, occhialini da nuoto, scatole di stelle filanti e la scritta FOLLIE ESTIVE di traverso sul cristallo. In alcuni posti, come la Farmers Trust Bank, c’erano cartelli con la scritta GOLDWATER PRESIDENTE, a volte con un adesivo sul fondo che diceva SÌ ALLA GUERRA DEL VIETNAM.

All’ufficio postale lasciai Rosaleen sul marciapiede ed entrai dove tenevano le caselle postali e i giornali della domenica. A quanto potevo vedere, non c’erano manifesti con la foto di me e Rosaleen, e i titoli di prima pagina del quotidiano di Columbia parlavano della sorella di Castro che faceva la spia per la CIA. Neppure una parola di una ragazza bianca che aveva fatto evadere una negra da una prigione di Sylvan.

Infilai una moneta nella fessura e presi un giornale, chiedendomi se l’articolo non fosse all’interno. Insieme a Rosaleen sedetti a terra in un vicolo e guardai ogni pagina. Pieno di Malcolm X, Saigon, Beatles, tennis a Wimbledon, e un motel di Jackson, Mississippi, che aveva preferito chiudere piuttosto che accogliere ospiti negri, ma nulla su me e Rosaleen.

A volte viene voglia di mettersi in ginocchio a ringraziare Dio in cielo per la scarsità di informazioni su quanto accade nel mondo.