La mattina successiva mi svegliai per una serie di colpi proveniente dal cortile. Mi alzai dal letto e uscii. Vidi un negro, il più alto che avessi mai visto, che lavorava chino sul motore del camion, con attrezzi vari sparpagliati ai suoi piedi. June gli porgeva le chiavi inglesi, e, incredibile, lo osservava raggiante, la testa inclinata con grazia.
In cucina, May e Rosaleen erano indaffarate con la pastella delle frittelle. A me non piacevano granché, ma non lo dicevo. Mi bastava che non fosse farinata d’avena. Dopo essere rimasti inginocchiati sui chicchi per metà della vita, passa la voglia di mangiarla.
Il secchio della spazzatura traboccava di bucce di banana, e il piccolo beccuccio di vetro della caffettiera elettrica gorgogliava a pieno ritmo. Blup, blup. Mi piaceva quel suono, e anche il profumo che si spandeva.
«Chi è l’uomo là fuori?» chiesi.
«Neil» rispose May. «Ha una cotta per June.»
«A me sembra che anche June sia cotta di lui.»
«Sì, ma non lo ammette. Da anni tiene sulla corda quel poveruomo. Non lo sposa, ma neppure lo lascia libero.»
May versò nella padella la pastella dandole la forma di elle. «Questa è per te.» Elle per Lily.
Rosaleen apparecchiò, poi scaldò il miele in una ciotola d’acqua bollente, mentre io versavo il succo d’arancia nei bicchieri opachi.
«Com’è che June non vuole sposarlo?» mi informai.
«Molto tempo fa stava per sposare un altro. Ma il giorno delle nozze lui non si è fatto vedere» rispose May.
Guardai Rosaleen, nel timore che il ricordo di questo amore infelice potesse scatenare una crisi in May, che invece era tutta presa dalle frittelle. Per la prima volta mi colpì il fatto che nessuna delle tre fosse sposata. Tre sorelle nubili che vivevano insieme.
Sentii sbuffare Rosaleen, e compresi che stava pensando a quel poco di buono del marito, dispiaciuta che lui, invece, si fosse presentato alla cerimonia.
«June giurò di non mettersi mai più con un uomo, di non sposarsi, ma poi conobbe Neil, il nuovo preside della sua scuola. Non so cosa sia successo a sua moglie, ma quando si è trasferito qui era solo. Ha cercato in ogni modo di convincerla a sposarlo, ma lei non vuole saperne. Neppure io e August ci siamo riuscite.»
Dal petto di May salì un ansito, che ben presto si trasformò in Oh! Susanna. Ci risiamo.
«Oh, Signore! Ancora?» fece Rosaleen.
«Scusate, ma non posso farci nulla.»
«Perché non vai al muro?» suggerii, prendendole di mano la spatola. «Ci penso io, qui.»
«Già» intervenne Rosaleen. «Fai quel che devi.» La guardammo al di là della zanzariera oltrepassare June e Neil.
Pochi minuti dopo entrò June, seguita da Neil. Alto com’era, temetti che non passasse dalla porta.
«Che cos’è che ha sconvolto May?» si informò June. Seguì con gli occhi uno scarafaggio in fuga sotto al frigorifero. «Per caso avete calpestato un insetto davanti a lei?»
«No» dissi. «Non ne abbiamo visti in giro.»
Aprì lo sportello sotto il lavandino e frugò in cerca del nebulizzatore di insetticida. Provai l’impulso di raccontarle l’ingegnoso metodo di mia madre per liberare la casa dagli scarafaggi – briciole di cracker e caramella mou – ma poi ci ripensai. Questa è June, toglitelo dalla testa.
«Be’, cos’è stato allora a turbarla?»
Non volevo spiattellarlo, con Neil proprio lì, ma Rosaleen non se ne fece un problema. «È triste perché tu non vuoi sposare Neil.»
Fino a quel momento non avevo mai pensato che la gente di colore arrossisse, o forse fu la collera a imporporare il viso e le orecchie di June.
Neil scoppiò a ridere. «Ecco, vedi? Dovresti sposarmi e smettere di rattristare tua sorella.»
«Oh, togliti dai piedi» disse lei, allungandogli uno spintone.
«Mi hai promesso le frittelle, e non intendo rinunciare» ribatté lui. Con i jeans e la canottiera macchiata di grasso, gli occhiali con la montatura in corno, aveva l’aspetto del meccanico diligente.
Sorrise, prima a me e poi a Rosaleen. «Allora, hai intenzione di presentarci o preferisci tenermi all’oscuro?»
Ho notato che scrutando attentamente gli occhi di una persona i primi cinque secondi che ti guarda, per un attimo si vedono trasparire i suoi veri sentimenti. Gli occhi di June assunsero un’espressione fosca e dura quando si posarono su di me.
«Questa è Lily, e lei è Rosaleen. Stanno qui per un po’.»
«Da dove venite?» chiese Neil, rivolto a me. Questa è la domanda più frequente in tutta la Carolina del Sud. Vogliamo sapere se sei uno di noi, se tuo cugino conosce nostro cugino, se la tua sorella minore è andata a scuola con il nostro fratello maggiore, se frequenti la stessa chiesa battista del nostro precedente capo. Cerchiamo di scoprire se le nostre storie coincidono in qualche punto. Era raro, peraltro, che i negri chiedessero ai bianchi da dove venivano, perché in fondo non serviva a nulla, visto che era improbabile che le loro storie avessero un elemento in comune.
«Spartanburg County» dissi, dopo un momento di esitazione per ricordare quel che avevo raccontato in precedenza.
«E tu?» chiese a Rosaleen.
Lei fissò gli stampi di rame da budino appesi a entrambi i lati della finestra sopra al lavandino. «Stesso posto.»
«Cos’è che brucia?» fece June.
Dai fornelli arrivava fumo. La frittella a forma di elle era diventata una specie di sfoglia rinsecchita. June mi strappò di mano la spatola, pulì il disastro e lo buttò nella spazzatura.
«Quanto prevedete di stare?» chiese Neil.
June mi fissò. In attesa. Le labbra strette sui denti.
«Ancora un po’.» Guardai il secchio dell’immondizia. Elle per Lily.
Percepivo che lui si stava ponendo molte domande, alle quali non ero in grado di rispondere.
«Non ho fame» dissi, diretta alla porta.
Mentre attraversavo la veranda, sentii Rosaleen chiedergli: «Ti sei registrato per votare?».
La domenica pensavo che andassero a messa, e invece no: tenevano una speciale funzione nella casa rosa, alla quale interveniva altra gente. Era un gruppo chiamato Figlie di Maria, organizzato da August.
Le Figlie di Maria cominciarono ad affluire in soggiorno intorno alle dieci del mattino. Per prima, una vecchia di nome Queenie con la figlia adulta, Violet. Erano vestite uguali: gonne giallo vivace e camicette bianche, ma perlomeno il cappello era diverso. Poi arrivarono Lunelle, Mabelee e Cressie, con i cappellini più stravaganti che avessi mai visto.
Scoprii in seguito che Lunelle faceva la modista, ed era priva di inibizioni. Mi riferisco al suo feltro viola, delle dimensioni di un sombrero, con frutta finta nella parte posteriore. Questo per quanto riguarda lei.
Mabelee portava una creazione di pelliccia tigrata con tanto di frangia dorata; ma era Cressie a conquistare la palma, con un fumaiolo cremisi con tanto di velo nero e piume di struzzo.
Come se ciò non bastasse, tutte esibivano grandi orecchini a clip di cristallo di rocca e pomelli di rossetto sulle guance scure. Erano bellissime.
Oltre a tutte queste Figlie, venne fuori che Maria aveva un altro figlio, in aggiunta a Gesù, un certo Otis Hill, dai denti larghi e un abito blu esageratamente grande. Dunque, tecnicamente, il gruppo era costituito dalle Figlie di Maria più un Figlio. Lui era arrivato con la moglie, soprannominata Zuccherino, in abito bianco, guanti di cotone turchese e turbante verde smeraldo.
August e June, senza cappello, senza guanti, senza orecchini, parevano praticamente le cugine povere di fronte alle altre, ma May, la brava vecchia May, aveva indossato un cappello azzurro con la tesa sollevata su un lato e calata sull’altro.
August aveva portato alcune sedie per disporle a semicerchio davanti alla statua della Madonna. Quando fummo tutti seduti, accese la candela e June cominciò a suonare il violoncello. Recitammo insieme l’avemaria. Queenie e Violet snocciolavano un filo di grani di legno tra le dita.
August si alzò in piedi e diede il benvenuto nel gruppo a me e a Rosaleen, poi aprì la Bibbia e lesse. «Ed ecco che fin d’ora tutte le generazioni mi chiameranno beata. Poiché grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente… ha disperso gli uomini dal cuore superbo… ha rovesciato i potenti dai loro troni e ha esaltato gli umili. Ha saziato di beni gli affamati, e rimandato a mani vuote i ricchi.»
Posò la Bibbia sulla sedia. «È parecchio che non raccontiamo la storia di Nostra Signora delle Catene» disse «e, poiché abbiamo ospiti che non la conoscono, penso sia bene ripeterla.»
Mi resi conto allora che August provava un gran gusto nel narrare.
«Certo, fa bene a tutti risentirla» aggiunse. «Le storie devono essere raccontate, altrimenti muoiono, e quando muoiono, noi non ricordiamo più chi siamo o perché siamo qui.»
Cressie annuì, facendo ondeggiare le piume di struzzo, tanto da dare l’impressione che ci fosse un uccello vero nella stanza. «Giusto. Comincia, su.»
August avvicinò la sedia alla statua della Madonna Nera e sedette rivolta verso di noi. Quando cominciò, non sembrava lei a parlare ma qualcun altro attraverso lei, qualcuno di un altro tempo e luogo. Intanto i suoi occhi correvano verso la finestra, come se vedesse rappresentata in cielo la vicenda.
«Allora» esordì «al tempo della schiavitù, quando venivano picchiati e trattati come proprietà privata, i neri pregavano giorno e notte di ottenere la libertà.
«Nelle isole vicine a Charleston, si riunivano nella casa del Signore a cantare e pregare, e ogni volta qualcuno chiedeva a Dio di dare salvezza. Di dare consolazione. Di dare libertà.»
Capii che aveva ripetuto mille volte quelle prime parole, nella stessa identica maniera in cui le aveva udite dalle labbra di una qualche vecchia, che a sua volta le aveva udite da una più vecchia. Venivano fuori come un canto, con un ritmo che ci cullava trasportandoci via da quel posto, fino alle isole di Charleston, a invocare anche noi salvezza.
«Un giorno, uno schiavo di nome Obadiah stava caricando mattoni su una barca che doveva discendere il fiume Ashley, quando vide qualcosa portato a riva dall’acqua. Avvicinatosi, vide che si trattava della statua di una donna. Il suo corpo sporgeva da un blocco di legno: una donna nera con il braccio alzato e il pugno chiuso.»
A questo punto, August si alzò per assumere quella posizione. Appariva proprio come la statua accanto a lei, il braccio destro sollevato e la mano stretta a pugno. Rimase così alcuni secondi mentre noi la guardavamo incantate.
«Obadiah tirò fuori dall’acqua la statua e faticò a metterla in piedi. Poi ricordò che avevano chiesto al Signore salvezza, consolazione, libertà. Obadiah sapeva che era stato il Signore a mandare quella statua, ma non sapeva chi raffigurasse.
«Si inginocchiò davanti a lei nel fango e udì una voce che gli parlava con chiarezza nel cuore. “Stai tranquillo” diceva “sono qui. Ora sarò io a prendermi cura di voi.”»
Questa storia era dieci volte meglio di quella di Beatrix, la monaca. August si muoveva leggera per la stanza mentre parlava. «Obadiah cercò invano di sollevare la figura appesantita dall’acqua che Dio aveva inviato perché si prendesse cura di loro, così andò a chiamare altri due schiavi, e tutti insieme riuscirono a trasportarla nella casa del Signore e ad appoggiarla sul focolare.
«La domenica seguente, tutti avevano saputo della statua arrivata dal fiume, e di quello che aveva detto a Obadiah. La casa del Signore traboccava di gente, alcuni dovettero rimanere fuori, altri sedettero sul davanzale delle finestre. Obadiah disse loro che sapeva che era stato il Signore Iddio a mandarla, ma non sapeva chi fosse.»
«Non sapeva chi fosse!» gridò Zuccherino, irrompendo nella storia. A quel punto tutte le Figlie di Maria si affannarono a ripetere: «Nessuno di loro sapeva».
Lanciai un’occhiata a Rosaleen, che quasi non riconobbi perché era protesa in avanti sulla sedia, e salmodiava insieme a loro.
Quando il clamore si spense, August continuò. «Ora, il più vecchio degli schiavi era una donna, Pearl. Camminava con il bastone, e quando parlò, tutti la ascoltarono. Si alzò in piedi e disse: “Questa qui è la madre di Gesù”.
«Tutti sapevano che la madre di Gesù si chiamava Maria, e che aveva assistito a ogni genere di sofferenze. Che era forte e tenace, e aveva un cuore di mamma. Ed eccola lì, arrivata sulle stesse acque che avevano portato tutti loro lì in catene. Ebbero l’impressione che lei sapesse quanto avevano sopportato.»
Fissai la statua, percependo un punto dolente nel mio cuore.
«E così» disse August «tutti si misero a piangere, ballare, applaudire. Uno alla volta posarono la mano sul suo petto, ansiosi di ricevere consolazione dal suo cuore.
«Da allora, la domenica nella casa del Signore ballavano e le toccavano il petto, e alla fine vi dipinsero un cuore rosso perché la gente avesse un cuore da toccare.
«La Madonna li rese coraggiosi e sussurrò loro piani di fuga. I più audaci scapparono, spingendosi a nord, e quelli che restarono vissero con il pugno alzato nel cuore. E se mai lo sentivano indebolire, non avevano che da toccare di nuovo il suo cuore.
«Lei diventò tanto potente che anche il padrone ne venne a conoscenza. Un giorno la caricò su un carro e la incatenò nella rimessa delle carrozze. Ma lei, senza alcun aiuto, fuggì nella notte per rientrare nella casa del Signore. Il padrone la incatenò cinquanta volte nel granaio, e cinquanta volte lei sciolse le catene e tornò a casa. Finalmente lui rinunciò e la lasciò stare.»
Nella stanza scese il silenzio quando August si fermò un momento per fare sedimentare le sue parole. Quando riprese, sollevò le braccia dai fianchi. «La gente la chiamò Nostra Signora delle Catene. La chiamavano così non perché portava le catene…»
«Non perché portava le catene» salmodiarono le Figlie.
«Ma perché le aveva spezzate.»
June infilò il violoncello tra le gambe e intonò le prime note dell’inno Amazing Grace. Le Figlie di Maria si alzarono in piedi e ondeggiarono come alghe sul fondo del mare.
Credevo che quello fosse il gran finale, e invece no: June passò al pianoforte e suonò una versione a ritmo jazz di Go Tell It on the Mountain. È allora che August diede inizio al trenino della conga. Coinvolse nel ballo Lunelle, che la allacciò per la vita. Cressie si unì a Lunelle, seguita da Mabelee, e tutte partirono per la sala, mentre Cressie teneva stretto il cappello cremisi. Quando ripassarono, entrarono nella fila anche Queenie e Violet, poi Zuccherino. Avrei voluto unirmi a loro, ma rimasi a guardare, come pure Rosaleen e Otis.
June accelerò il ritmo. Io mi sventolai il viso in cerca d’aria, un po’ stordita.
Quando il ballo terminò, le Figlie, ansimanti, si disposero a semicerchio davanti a Nostra Signora delle Catene, e quel che fecero allora mi lasciò senza respiro. A turno andarono a toccare il cuore rosso sbiadito della statua.
Queenie e la figlia andarono insieme a passare la mano sul legno. Lunelle premette le dita sul cuore, poi le baciò una a una con un movimento lento e cauto che mi fece salire le lacrime agli occhi.
Otis appoggiò la fronte sul cuore, e rimase lì più a lungo di tutti, come a riempire un serbatoio vuoto.
June continuò a suonare mentre tutti tornavano a posto, finché rimanemmo soltanto Rosaleen e io. May fece segno a June di continuare a suonare, poi prese Rosaleen per mano, spingendola davanti a Nostra Signora delle Catene, perché anche lei potesse toccare il cuore di Maria.
Io desideravo più di ogni altra cosa sfiorare quel cuore rosso evanescente. Mentre mi alzavo, avvertii un giramento di testa. Mi avvicinai alla Madonna Nera con la mano sollevata, ma proprio quando stavo per toccarla, June smise di suonare. Si interruppe proprio nel mezzo del brano e io rimasi in silenzio con la mano tesa.
La ritirai, mi guardai intorno, e fu come vedere scorrere tutto dal finestrino di un treno. Mi si offuscò la vista. Un’onda di colore in movimento. “Io non sono una di voi” pensai.
Sentivo il corpo intorpidito. Pensai che sarebbe stato bello diventare sempre più piccola, fino a ridurmi a una macchiolina invisibile.
Sentii la voce irritata di August: «June, che ti prende?». Ma era una voce lontana.
Chiamai Nostra Signora delle Catene, ma forse non pronunciai il suo nome ad alta voce. Lo sentii soltanto dentro di me. Questa è l’ultima cosa che ricordo, il suo nome che echeggiava nello spazio vuoto.
Quando mi svegliai, ero distesa sul letto di August, al di là dell’ingresso, con una salvietta gelata sulla fronte. August e Rosaleen erano chine su di me. Rosaleen aveva sollevato l’orlo del vestito e mi faceva aria, mostrando le cosce.
«Da quando in qua svieni?» Sedette sul bordo del letto, facendomi rotolare dalla sua parte. Mi strinse tra le braccia. Per qualche ragione questo mi riempì il petto di una tristezza insopportabile, e per liberarmi finsi di aver bisogno di bere.
«Forse è stato il caldo» disse August. «Avrei dovuto accendere i ventilatori. C’erano almeno trenta gradi là dentro.»
«Sto bene» dissi io, ma, a dire la verità, ero sbalordita di me stessa.
Avevo la sensazione di essermi imbattuta per caso in uno straordinario segreto: era possibile chiudere gli occhi e lasciare la vita senza effettivamente morire. Bastava svenire. Solo, non sapevo come farlo accadere, come togliere la spina per poter scivolare via all’occorrenza.
L’episodio dello svenimento aveva disperso le Figlie di Maria e mandato May al muro del pianto. June era salita in camera sua dove si era chiusa a chiave, mentre le Figlie si radunavano in cucina.
Incolpammo il caldo. Era il caldo, affermammo. Il caldo spinge a fare cose strane.
Avreste dovuto vedere come August e Rosaleen si affaccendarono intorno a me per il resto della giornata. Un po’ di acqua e zucchero, Lily? Un cuscino di piume? Su, ingoia un cucchiaio di miele.
Sedemmo in soggiorno, dove io mangiai la cena dal vassoio, che già di per sé era un privilegio. June, sempre rintanata nella sua stanza, non rispondeva ai richiami di August che bussava alla sua porta, e May – alla quale era stato proibito di avvicinarsi alla TV perché quel giorno aveva già trascorso troppo tempo al muro – era in cucina intenta a ritagliare ricette dalla rivista “McCall’s”.
Alla televisione il signor Cronkite annunciò l’invio di una navicella spaziale sulla luna. “Il 28 luglio gli Stati Uniti d’America lanceranno il Ranger 7 da Cape Kennedy, in Florida” disse. Un volo di 253.665 miglia prima di cadere sul suolo lunare. Lo scopo della missione sembrava scattare fotografie della superficie e inviarle a terra.
«Oh, Gesù Bambino» fu il commento di Rosaleen. «Un razzo sulla luna.»
August scosse la testa. «La prossima volta ci andranno a passeggio.»
Noi tutti avevamo pensato che il presidente Kennedy fosse fuori di testa quando aveva dichiarato che avremmo mandato l’uomo sulla luna. Il quotidiano di Sylvan l’aveva definita una “idea stra-luna-ta”. Avevo portato in classe l’articolo per attaccarlo al quadro delle notizie d’attualità. Il commento unanime fu: «Un uomo sulla luna. Figurarsi!».
Eppure non si deve mai sottovalutare la forza della concorrenza. Volevamo battere i russi: era questo a far girare il nostro mondo. Ora sembrava che ci saremmo riusciti.
August spense il televisore. «Ho bisogno di aria.»
Uscimmo all’aperto. Rosaleen e August mi sostenevano per il gomito temendo che potessi cadere.
Era il momento sospeso tra la fine del giorno e l’arrivo della notte, un momento che non ho mai amato per la tristezza che permane nell’intervallo tra l’andare e il venire. August guardò il cielo, dove stava sorgendo la luna, grande, argentata e spettrale.
«Osservala bene, Lily, perché stai per assistere alla fine di qualcosa» mi disse.
«Davvero?»
«Certo, perché da quando esiste il genere umano, la luna è sempre stata un mistero per noi. Pensaci bene. È forte tanto da attirare il mare; poi muore, ma torna sempre indietro. La mamma mi ripeteva che la Madonna viveva sulla luna e che io dovevo ballare quando il suo viso era luminoso e correre al riparo quando si presentava scuro.»
August fissò a lungo il cielo e poi, voltandosi verso la casa, soggiunse: «Non sarà mai più la stessa, una volta che andranno a camminarci sopra. Diventerà soltanto l’ennesimo grande programma scientifico».
Pensai al sogno fatto la notte in cui avevo dormito con Rosaleen presso il fiume, con la luna che cadeva a pezzi.
August scomparve in casa e Rosaleen si diresse verso il suo letto nella casa del miele, ma io rimasi lì a fissare il cielo. Immaginai il Ranger 7 che partiva a tutta velocità.
Sapevo che prima o poi sarei tornata in soggiorno, quando non c’era nessuno, per toccare il cuore della Madonna. E che avrei mostrato ad August la foto di mia madre per vedere se questo avrebbe fatto cadere la luna dal cielo.