Jon

Il lupo albino correva nella foresta dominata dalle tenebre, sotto uno strapiombo livido che saliva fino al cielo. La luna correva con lui, scivolando tra i grovigli di rami spogli, spostandosi nel cielo pieno di stelle.

«Snow» mormorò la luna.

Il lupo albino non rispose. La neve scricchiolava sotto le sue zampe. Il vento sussurrava tra gli alberi.

In lontananza, poteva udire i suoi fratelli di branco che lo chiamavano, specie che chiama specie. Anche loro stavano cacciando. Una gelida pioggia flagellava il suo fratello nero intento a squarciare le carni di un capro enorme, lavando il sangue che gli colava dal fianco, dove il lungo corno della bestia aveva scavato un solco. In un altro luogo, la sua sorella minore alzò il muso e ululò alla luna, e centinaia di cugini grigi interruppero la caccia per unirsi al canto. Sulle colline dove si trovavano era più caldo e c’era abbondanza di cibo. Notte dopo notte, il branco guidato da sua sorella si ingozzava di carne di pecore, vacche, cavalli: le stesse prede degli uomini. A volte, perfino della carne degli stessi uomini.

«Snow» chiamò nuovamente la luna, quasi in tono di scherno. Il lupo albino continuò ad avanzare sul sentiero tracciato dall’uomo alla base dello strapiombo coperto di ghiaccio. Sentiva sulla lingua il sapore del sangue, nelle orecchie riecheggiava il canto dei suoi cugini, a centinaia. Un tempo erano in sei. Di cui cinque ancora ciechi dal parto, gementi nella neve a fianco del corpo della madre morta, intenti a succhiare latte ormai freddo dai capezzoli. Adesso, di loro ne restavano quattro… più uno che il lupo albino non riusciva ormai a percepire.

«Snow» insisteva la luna.

Il lupo albino corse lontano da lei, verso la caverna della notte nella quale il sole era andato a nascondersi, il suo respiro si congelava nell’aria. Nelle notti senza stelle, lo strapiombo era nero come la roccia, un’oscurità che incombeva sul vasto mondo. Ma quando appariva la luna, la parete risplendeva pallida e glaciale come un torrente gelato. La pelliccia del lupo albino era spessa e ispida, ma quando il vento soffiava sul ghiaccio, nessuna pelliccia riusciva a tenere lontano il gelo. Sul versante opposto, il lupo albino lo percepiva, il vento doveva essere ancora più gelido. Era dove si trovava suo fratello, il lupo grigio che odorava d’estate.

«Snow.»

Una stalattite di ghiaccio si staccò da un ramo.

Il lupo albino si voltò, snudando le zanne.

«Snow!»

I peli si rizzarono sul suo dorso, mentre la foresta attorno si stava dissolvendo.

«Snow, snow, snow!»

Udì un battito d’ali.

Un corvo volò nell’oscurità.

Un tonfo, raschiare di artigli. Il corvo andò a posarsi sul torace di Jon Snow.

«Snow!» gli gracchiò in faccia.

«Ti ho sentito.»

La stanza era in penombra, il pagliericcio su cui giaceva era duro. Dalle imposte filtrava un lucore grigiastro, preludio di un’altra giornata gelida e tetra.

«È così che svegliavi lord Mormont?» Jon tirò fuori un braccio dalle coperte per allontanare il corvo. «Toglimi quelle penne dalla faccia.»

Era un uccello molto grosso, vecchio, temerario e scontroso, totalmente senza paura.

«Snow» gracchiò di nuovo, svolazzando fino alla testata del letto. «Snow, snow

Jon afferrò il cuscino e lo lanciò, ma il corvo lo schivò, spiccando il volo. Il cuscino andò a sbattere contro il muro ed esplose, disperdendo ciuffi d’imbottitura in tutte le direzioni proprio mentre Edd l’Addolorato infilava la testa nella porta.

«Chiedo venia» esordì, ignorando la nevicata di piume «posso portare al mio signore la colazione?»

«Grano» gracchiò il corvo. «Grano, grano

«Che ne dici di un corvo arrosto?» suggerì Jon Snow. «E mezza pinta di birra di malto.»

Avere un attendente che lo serviva continuava a sembrargli strano. Non molto tempo prima, lui stesso portava la colazione al lord comandante Mormont.

«Tre pannocchie di grano e un corvo arrosto» ripeté Edd l’Addolorato. «Molto bene, mio signore. È solo che oggi Hobb ha preparato uova bollite, salsicce scure e mele al forno ripiene di prugne. Le mele al forno sono ottime, tranne che per le prugne. A me le prugne proprio non piacciono. Be’, c’era un periodo che Hobb le tagliava a fette con le castagne e le carote, e le nascondeva dentro una gallina. Mai fidarsi di un cuoco, mio lord. Quelli ti fregano quando meno te lo aspetti.»

«D’accordo, più tardi, allora.» La colazione poteva aspettare, Stannis Baratheon no. «Ci sono stati problemi nelle prigioni, questa notte?»

«Non da quando hai messo delle guardie a fare la guardia alle guardie, mio lord.»

«Bene.»

C’era almeno un migliaio di bruti confinati oltre la Barriera, i prigionieri che Stannis Baratheon aveva preso quando i suoi cavalieri avevano sconfitto il troppo variegato esercito di Mance Rayder. Molti di quei prigionieri erano donne, e alcune guardie le facevano uscire di soppiatto per scaldare i loro letti. Che fossero uomini del re o della regina non faceva alcuna differenza; lo avevano fatto anche alcuni confratelli. Gli uomini sono sempre uomini, e quelle erano le uniche donne nel raggio di mille leghe.

«Altri due bruti sono venuti ad arrendersi» riprese Edd. «Una madre con una ragazzina attaccata alle sottane. Aveva anche un infante avvolto nelle pellicce, ma è morto.»

«Morto» ripeté il corvo: era una delle sue parole preferite. «Morto, morto, morto.»

Quasi ogni notte arrivavano degli sbandati del popolo libero, creature mezze morte di fame e mezze congelate che erano fuggite dalla disfatta sotto la Barriera, e poi alla Barriera erano tornate strisciando, dopo essersi rese conto che non esisteva un posto sicuro in cui rifugiarsi.

«La madre è stata interrogata?» chiese Jon.

Stannis Baratheon aveva sconfitto l’esercito dei bruti e preso prigioniero Mance Rayder, il loro re… Ma i bruti erano ancora là fuori, il Piagnone, Tormund Veleno dei Giganti e migliaia di altri.

«Aye, mio lord» rispose Edd «ma tutto quello che sa è che è scappata dalla battaglia e poi si è nascosta nei boschi. L’abbiamo rimpinzata di porridge, mandata in detenzione e abbiamo bruciato la carcassa dell’infante.»

Bruciare bambini morti ormai aveva cessato di essere un problema per Jon Snow. I bambini vivi, invece, erano un discorso ben diverso. “Due re per risvegliare il drago. Prima il padre e poi il figlio, quindi due re morti.” Quelle parole erano state sussurrate da uno degli uomini della regina, mentre maestro Aemon si occupava delle sue ferite. Jon aveva cercato di ignorarle, considerandole un delirio della febbre. Aemon aveva obiettato. «Nel sangue di re c’è potere» aveva avvertito l’anziano maestro «e uomini molto migliori di Stannis hanno perpetrato efferatezze molto peggiori di questa.» “Il re può essere duro e spietato, aye, ma un lattante? Soltanto un mostro getterebbe una simile creatura nelle fiamme.”

Jon pisciò al buio nel pitale, mentre il corvo del Vecchio Orso gracchiava le sue proteste. I sogni di lupo diventavano sempre più vividi, e Jon Snow se li ricordava anche da sveglio. “Spettro sa che Vento Grigio è morto.” Anche Robb, il suo fratellastro, era morto, tradito da uomini che credeva essere amici, e il suo lupo era morto con lui. Anche Bran e Rickon, i due fratellastri minori di Jon, erano stati assassinati: decapitati per ordine di Theon Greyjoy, che un tempo era stato il protetto di lord Eddard, padre di tutti loro… eppure se i sogni non mentivano, i meta-lupi di Bran e di Rickon erano riusciti a fuggire. A Corona della Regina, uno di loro era emerso dalle tenebre, salvando la vita di Jon. “Deve essere stato Estate, aveva il pelo grigio, mentre Cagnaccio è nero.” Si chiedeva spesso quali parti dei suoi fratelli continuassero a vivere nei loro meta-lupi.

Riempì il bacile con l’acqua della brocca accanto al letto. Si lavò la faccia e le mani. Indossò indumenti di lana nera puliti, allacciò la giubba di cuoio nero e infilò i robusti, usurati stivali neri. Gli astuti occhi neri del corvo di Mormont lo osservavano, poi l’uccello volò fino alla finestra.

«Cos’è, mi hai preso per il tuo schiavo?»

Quando Jon aprì la finestra, ripiegando le ante con i vetri spessi e gialli a forma di losanga, il gelo del mattino investì il suo volto. Fece un profondo respiro per liberare la mente dalle ragnatele della notte, mentre il corvo volava via. “Quell’uccello è davvero troppo furbo.” Per tanti anni era stato con il Vecchio Orso, il che però non gli aveva impedito di banchettare con la faccia del lord comandante, quando era morto.

Fuori della sua camera da letto, una rampa di scale portava a una stanza più ampia al piano inferiore, arredata con un tavolo in legno di abete tutto rovinato e una dozzina di scranni in rovere e cuoio. Con Stannis che si era installato nella Torre del Re, e la Torre del Lord comandante ridotta a una crisalide annerita dal fuoco, Jon aveva dovuto sistemarsi nel modesto alloggio di Donal Noye dietro l’arsenale. Col tempo, gli sarebbero serviti quartieri più vasti, ma per il momento, mentre si abituava al comando, quegli spazi bastavano.

Il documento d’investitura che il re gli aveva dato da firmare era sul tavolo, sotto una coppa d’argento un tempo anch’essa appartenuta a Donal Noye. Il fabbro con un braccio solo si era lasciato dietro ben pochi effetti personali: la coppa, sei monete e una stella di bronzo, una spilla di niello con il fermaglio rotto, un farsetto di broccato muffito con l’emblema araldico di Capo Tempesta. “I suoi tesori erano i suoi utensili, e le spade e i pugnali che aveva fabbricato. La forgia, era quella la sua vita.” Jon scostò la coppa d’argento e lesse per l’ennesima volta la pergamena. “Se io apponessi il mio sigillo su questo documento, verrei ricordato per l’eternità come il lord comandante che ha ceduto la Barriera” pensò. “Se invece dovessi rifiutare…”

Stannis Baratheon si stava rivelando un ospite quanto mai ingombrante e spietato. Si era spinto a cavallo lungo la Strada del Re fin quasi a Corona della Regina, aveva esplorato gli alloggi sotterranei abbandonati di Città della Talpa, aveva ispezionato i fortilizi in rovina di Porta della Regina e Scudo di Quercia. Ogni notte percorreva la sommità della Barriera, con lady Melisandre al suo fianco, e di giorno visitava le prigioni a nord della muraglia di ghiaccio, scegliendo personalmente gli uomini che poi la Donna Rossa avrebbe sottoposto a interrogatorio. “Lui non tollera di essere contraddetto.” Jon Snow capì che quella non sarebbe stata una mattinata piacevole.

Dall’armeria arrivava un clangore di scudi e spade: l’ultimo gruppo di reclute si stava armando. Jon riconobbe la voce di Emmett il Ferrigno che li spronava a fare in fretta. Cotter Pyke non era stato affatto contento di doversi privare di lui, ma il giovane ranger aveva il dono di saper addestrare. “Ama combattere, e comunicherà anche a questi ragazzi la sua passione.” Almeno così sperava.

La cappa di Jon era appesa a un piolo vicino alla porta, il cinturone con la spada a un altro. Indossò la cappa, affibbiò il cinturone e si diresse verso l’armeria. Notò che il tappeto sul quale dormiva Spettro era vuoto. Fuori delle porte c’erano due uomini di guardia, con i mantelli neri e i mezzi elmi di ferro, e le lance in pugno.

«Mio lord, vuoi una scorta?»

«Credo di riuscire a trovare da solo la Torre del Re.» Jon detestava avere delle guardie che lo seguissero ovunque andasse. Lo faceva sentire un’anatra con dietro una fila di anatroccoli.

I ragazzi di Emmett il Ferrigno ci stavano dando dentro nel cortile degli addestramenti: le spade senza taglio pestavano le une contro le altre, abbattendosi sugli scudi. Jon si fermò per qualche momento a guardare: Cavallo stava costringendo Hop-Robin ad arretrare verso il pozzo. Cavallo prometteva di diventare un bravo combattente, decise Jon. Si stava facendo sempre più forte, e aveva un ottimo intuito. Hop-Robin invece partiva già svantaggiato dal piede equino, ma soprattutto aveva paura di essere colpito. “Forse possiamo farne un buon attendente.” Lo scontro si concluse in modo brutale, con Hop-Robin a terra.

«Bel combattimento» disse Jon rivolgendosi a Cavallo «ma nell’attaccare hai abbassato troppo lo scudo. Devi correggere questo difetto, altrimenti rischi di finire ucciso.»

«Sì, mio lord. La prossima volta lo tengo più alto.» Cavallo rimise in piedi Hop-Robin, che abbozzò un goffo inchino.

Alcuni cavalieri di Stannis stavano duellando all’estremità opposta del cortile. “Uomini del re da una parte, uomini della regina dall’altra” non mancò di notare. “E sono comunque in pochi. Fa troppo freddo per la maggior parte di loro.”

Mentre stava passando, echeggiò una voce tonante. «Ehi, ragazzo! Tu, laggiù!»

Da quando era stato nominato lord comandante, non era certo il peggiore appellativo che gli era stato riservato. Jon si limitò a ignorare il richiamo.

«Snow» insisté la voce. «Lord comandante.»

A quel punto, Jon si fermò. «Ser?»

Il cavaliere torreggiava su di lui di almeno sei pollici. «Un uomo che porta al fianco dell’acciaio di Valyria dovrebbe usarlo per qualcosa di meglio che non grattarsi il culo.»

Jon aveva già notato quell’individuo aggirarsi per il castello: cavaliere di chiara fama, a sentire lui. Durante la battaglia sotto la Barriera, ser Godry Farring aveva abbattuto un gigante in fuga, inseguendolo a cavallo e conficcandogli la lancia nella schiena, dopo di che era smontato per recidergli la testa pateticamente piccola. Gli uomini della regina lo avevano così soprannominato Godry lo Sterminatore di Giganti.

A Jon tornò in mente Ygritte, ripensò alle sue lacrime. “Io sono l’ultima dei giganti.” «Cavaliere, uso Lungo artiglio solo quando devo.»

«Mi domando con quale perizia.» Ser Godry sfoderò la spada. «Dacci una dimostrazione. E io prometto, ragazzo: non ti farò male.»

“Gentile da parte tua.” «Sarà per un’altra volta, cavaliere. In questo momento, temo di avere altri doveri da assolvere.»

«Tu temi e basta» sogghignò ser Godfry rivolgendosi ai suoi amici. «Lui teme e basta» ripeté per quelli più duri di orecchie o lenti di comprendonio.

«Se ora volete scusarmi…» Jon Snow voltò loro le spalle.

Nel pallido chiarore dell’alba, il Castello Nero appariva un luogo tetro e desolato. “Il mio comando” rifletté cupamente Jon “è al tempo stesso una rovina e una fortezza.” La Torre del Lord comandante era una crisalide svuotata, la sala comune una catasta di legname annerito. Quanto alla Torre di Hardin, sembrava dover crollare alla prima raffica di vento… ma erano anni che conservava quell’aspetto. Oltre tutto questo si ergeva la Barriera: immane, inaccessibile, glaciale, formicolante di costruttori intenti ad allestire nuove scale, in sostituzione di quelle distrutte. Uomini che lavoravano dall’alba al tramonto. Senza quelle scale, non c’era modo di raggiungere la sommità della muraglia di ghiaccio, se non per mezzo dell’argano, inutilizzabile se i bruti avessero sferrato un altro attacco.

In cima al pennone della Torre del Re, il grande stendardo di battaglia color oro della Casa Baratheon schioccava come una frusta. Su quel medesimo tetto non molto tempo prima, Jon Snow, con l’arco lungo in pugno, aveva abbattuto gli uomini del clan thenn e del popolo libero, combattendo fianco a fianco con Satin e Dick Follard il Sordo. Due soldati della regina montavano la guardia sui gradini d’ingresso alla torre. Due soldati tremanti di freddo, con le mani infilate sotto le ascelle e le lance appoggiate contro la porta.

«Quei guanti di stoffa non vi basteranno» disse loro Jon. «Domani mattina andate da Bowen Marsh, il nostro attendente, che vi darà dei guanti foderati di pelliccia.»

«Lo faremo, mio lord, grazie» disse il soldato più anziano.

«Se le nostre fottute mani non si congeleranno prima» aggiunse il soldato più giovane, il cui respiro si condensava in una bruma biancastra. «E io che credevo nella marca dorniana facesse freddo… Che ne sapevo del freddo, io?»

“Niente” rimuginò Jon Snow “come me.”

A metà della scala a chiocciola, Jon incontrò Samwell Tarly che stava scendendo.

«Hai visto il re?» gli chiese Jon.

«Maestro Aemon mi ha mandato a portare una lettera.»

«Capisco.» C’erano lord che si fidavano dei maestri e permettevano loro di leggere e riferire il contenuto delle proprie lettere. Stannis invece ci teneva a spezzare i sigilli di persona. «E Stannis come l’ha presa?»

«Non proprio felicemente, a giudicare dalla faccia che ha fatto.» La voce di Sam si abbassò in un sussurro. «Ma non ne dovrei parlare.»

«Allora lasciamo stare.» Jon si domandò quale lord alfiere del suo defunto padre si fosse rifiutato questa volta di rendere omaggio a re Stannis. “Non ci ha messo molto a spargere la notizia quando Karhold si è schierata con lui.” «E tu, Sam, come te la stai cavando con l’arco lungo?»

«Ho trovato un buon libro sul tiro con l’arco.» Sam corrugò la fronte. «La pratica però è più dura della teoria. Mi sono venute le vesciche.»

«Continua a addestrarti. Se in una notte buia gli Estranei dovessero presentarsi alla Barriera, avremo bisogno anche del tuo arco.»

«Oh, spero proprio di no.»

C’erano altri soldati che montavano la guardia al solarium del re. «Non sono ammesse armi al cospetto di sua grazia, mio lord» avvertì il loro sergente. «Devo chiederti la spada. E anche i tuoi pugnali.»

Jon sapeva che era inutile protestare. Consegnò le sue lame.

Nel solarium faceva caldo. Lady Melisandre sedeva vicino al fuoco, il rubino scintillava sulla pallida carnagione della sua gola. Ygritte era stata baciata dal fuoco; la sacerdotessa rossa era il fuoco, i suoi capelli sembravano fatti di sangue e fiamma.

Stannis era in piedi accanto al tavolo rustico dove un tempo il Vecchio Orso era solito sedere a consumare i suoi pasti. Sopra il tavolo c’era distesa una grande mappa del Nord, dipinta su una pelle vecchia e logora. Una candela di sego ne fissava un lembo, un guanto ferrato quello opposto.

Il re indossava delle brache di lana e un farsetto imbottito, eppure appariva rigido e a disagio come fosse gravato da cotta di maglia e corazza. La sua pelle pareva pallido cuoio, la barba era rasata talmente corta da sembrare pitturata. Una frangia alle tempie era tutto quello che restava dei suoi capelli neri. Teneva in mano una pergamena, con il sigillo di lacca verde spezzato.

Jon si genuflesse, un ginocchio a terra.

«Alzati.» Re Stannis aggrottò la fronte, facendo scricchiolare con rabbia la pergamena. «Dimmi, chi sarebbe questa… Lyanna Mormont?»

«Una delle figlie di lady Maege, sire. La più giovane. Le è stato dato il nome della sorella del lord mio padre.»

«Solo per ottenere i favori di quest’ultimo, non c’è dubbio. Conosco bene il gioco. E quanti anni ha, questa indegna bamboccia?»

Jon dovette pensarci un istante. «Circa dieci. Posso sapere in che modo lady Lyanna ha arrecato offesa a vostra grazia?»

Stannis lesse ad alta voce. «“L’Isola dell’Orso non riconosce altro re se non il Re del Nord, il cui nome è Stark.” Una ragazzina di dieci anni, dici, che ha l’arroganza di rimbrottare il suo re di diritto.» La barba cortissima aleggiava come un’ombra sulle sue guance scavate. «Vedi di tenere queste cose per te, lord Snow. Karhold si è schierato con me, è tutto quello che gli uomini devono sapere. Non consentirò ai tuoi confratelli in nero di scambiarsi fole su come una bambina di dieci anni ha osato sputarmi addosso.»

«Come tu comandi, sire.» Lady Maege Mormont aveva portato le sue forze a sud al seguito di Robb, Jon lo sapeva. Anche la figlia maggiore aveva fatto parte dell’esercito del Giovane Lupo. Forse erano morte entrambe, ma lady Maege aveva altre figliole, alcune delle quali avevano a loro volta dei figli. Erano andati anche loro con Robb? Di certo lady Maege aveva lasciato indietro almeno una delle figlie con il rango di castellana. Jon però non comprendeva per quale motivo Lyanna avesse scritto a Stannis, però non poteva fare a meno di domandarsi se la risposta della ragazza sarebbe stata diversa se il sigillo, invece del cervo incoronato, avesse riportato il meta-lupo, e la firma fosse stata quella di Jon Stark, lord di Grande Inverno. “Ma ormai è troppo tardi per simili congetture. Hai già fatto la tua scelta.”

«Sono stati inviati ben due stormi di corvi messaggeri» si lamentò il re. «Nonostante ciò le uniche risposte che ho ottenuto sono state silenzio e sfida. Ogni suddito leale è tenuto a fare atto di sottomissione al proprio re. Invece, gli alfieri di tuo padre mi hanno tutti voltato le spalle, tranne i Karstark. Che Arnolf Karstark sia l’unico uomo d’onore rimasto in tutto il Nord?»

Arnolf Karstark, zio del defunto lord Rickard Karstark, era stato nominato castellano di Karhold quando suo nipote e i figli erano andati a sud con Robb. Era stato il primo, a quanto pareva anche l’unico, a rispondere alla chiamata di re Stannis inviando un corvo con un messaggio nel quale dichiarava la propria alleanza. “I Karstark non avevano altra scelta” avrebbe potuto dire Jon. Rickard Karstark aveva tradito il meta-lupo e versato il sangue del leone. Per Karhold il cervo dei Baratheon era quindi l’unica speranza.

«In tempi confusi come questi» disse Jon «perfino gli uomini d’onore sono costretti a chiedersi quale sia il loro dovere. Vostra grazia non è l’unico re del reame a chiedere atto di sottomissione.»

Intervenne allora lady Melisandre. «Dimmi un po’, lord Snow… dov’erano gli altri re mentre le genti selvagge del profondo Nord si lanciavano all’assalto della tua Barriera?»

«A mille leghe di distanza, sordi alle nostre necessità» rispose Jon. «Non l’ho affatto dimenticato, milady, né in futuro lo dimenticherò. Ma gli alfieri di mio padre hanno mogli e figli da proteggere e se, dovessero fare la scelta sbagliata, molti dei loro sudditi moriranno. Sua grazia chiede molto. Date loro tempo, e avrete le risposte che cercate.»

«Risposte come questa?» Stannis accartocciò nel pugno la lettera di Lyanna.

«Perfino gli uomini del Nord temono il furore di Tywin Lannister. Anche i Bolton si sono rivelati nemici brutali. Non è certo un caso che sui loro stendardi ci sia un uomo scuoiato. Il Nord ha cavalcato con Robb Stark, sanguinato con Robb Stark e, alla fine, è morto con Robb Stark. Questa gente ha patito lutti e morti, e ora, sire, tu vieni a offrire loro una nuova servitù. Come biasimare la loro riluttanza? Perdona la franchezza, vostra grazia, ma alcuni di loro vedono in te solo un altro pretendente al Trono di Spade: un pretendente destinato alla sconfitta.»

«Se sua grazia è destinato alla sconfitta, lo stesso vale per il vostro reame» aggiunse lady Melisandre. «Ricordatelo, lord Snow. Davanti a te hai l’unico vero re dell’Occidente.»

Il volto di Jon era inespressivo. «Come tu dici, milady.»

Stannis emise un grugnito. «Lord Snow, parli come se ogni parola fosse un dragone d’oro. Per cui mi domando: quanto oro hai nei tuoi forzieri?»

«Oro?» “Che siano questi i draghi che la Donna Rossa intende risvegliare? Draghi d’oro?” «Le gabelle che riscuotiamo, vostra grazia, sono pagate in natura. I guardiani della notte sono ricchi di rape, ma poveri di oro.»

«È difficile che le rape possano soddisfare Salladhor Saan. Io ho bisogno di oro e argento.»

«Allora devi andare a Porto Bianco. Non è paragonabile a Vecchia Città o Approdo del Re, ma è comunque un porto dal commercio fiorente. Lord Manderly è il più ricco degli alfieri del mio defunto padre.»

«Il lord troppo grasso per stare in sella a un cavallo» grugnì Stannis. La lettera che gli aveva inviato in risposta da Porto Bianco parlava soprattutto di vecchiaia e infermità. Stannis aveva dato ordine a Jon di non nominargli più lord Manderly.

«Forse il lord di Porto Bianco gradirebbe una moglie dei bruti» propose lady Melisandre. «Quell’uomo obeso è sposato, lord Snow?»

«La lady sua moglie è mancata molto tempo fa. Lord Manderly ha due figli in età adulta, e due nipoti dal figlio maggiore, anche lui troppo grasso di almeno trenta libbre per stare in sella a un cavallo. Val non vorrebbe saperne di lui.»

«Cerca almeno una volta, lord Snow, di darmi una risposta che mi compiaccia» rumoreggiò re Stannis.

«La mia speranza è che a compiacerti sia la verità, sire. I tuoi uomini chiamano Val principessa, ma per il popolo libero lei è solo la sorella della defunta moglie del loro re. Se tu dovessi costringerla a sposare un uomo che non le aggrada, molto probabilmente gli taglierà la gola la notte stessa delle nozze. E quand’anche accettasse un marito, non significa che i bruti la seguiranno, o seguiranno te. L’unico uomo che può legare i bruti alla tua causa, sire, è Mance Rayder.»

«Ne sono ben consapevole» rispose Stannis in tono mesto. «Ho passato ore e ore a colloquio con lui. Mance Rayder sa molte, forse troppe cose sul nostro vero nemico, ed è astuto, puoi starne certo. Quand’anche rinunciasse al trono, resta il fatto che ha infranto un giuramento. Concedi la vita a un disertore, e incoraggerai altri a disertare a loro volta. No. Le leggi devono essere dure come il ferro, non tenere come il burro. Mance Rayder è condannato da tutte le leggi dei Sette Regni.»

«Le leggi dei Sette Regni, vostra grazia, si fermano qui, alla Barriera. E Mance Rayder potrebbe tornarti molto utile.»

«Infatti lo brucerò, in modo che tutto il Nord possa vedere come tratto i voltagabbana e i traditori. Ridotto lui in cenere, il suo cucciolo diventerà il re oltre la Barriera.»

«Vostra grazia è in errore.» “Tu non sai niente, Jon Snow.” Ygritte non cessava mai di ripeterglielo, ma adesso Jon Snow aveva imparato. «L’infante di cui parli non è più re di quanto Val non sia principessa. Nessuno diventa re oltre la Barriera per via ereditaria.»

«Meglio così» ribatté Stannis «eviterò l’ingombro di un altro re nel continente occidentale. Hai firmato la mia bolla regale?»

«No, vostra grazia.» “Ci siamo.” Jon serrò le dita ustionate, poi le aprì di nuovo. «Tu chiedi troppo.»

«Chiedere? Io ti ho chiesto di essere lord di Grande Inverno e Protettore del Nord. Io esigo quei castelli lungo la Barriera.»

«Ti abbiamo ceduto il Forte della Notte.»

«Ratti e rovine. Un dono amaro che non costa nulla al donatore. Il tuo confratello Yarwyck dice che ci vorranno almeno sei mesi perché il castello possa tornare a essere abitabile.»

«Le altre fortezze non sono in condizioni migliori.»

«Lo so, ma non ha importanza. Sono tutto quello che abbiamo. Ci sono diciannove fortilizi lungo la Barriera, e tu hai uomini solamente in tre di essi. Intendo avere di nuovo tutti quei fortilizi presidiati entro la fine dell’anno.»

«Nessun ostacolo da parte mia, sire. Ma si dice anche che intendi concedere quei castelli ai tuoi lord e cavalieri, i quali ne faranno le proprie sedi quali vassalli di vostra grazia.»

«Ci si aspetta che i re siano generosi nei confronti dei loro sudditi. Lord Eddard non ha dunque insegnato nulla al suo figlio bastardo? Molti dei miei cavalieri hanno abbandonato ricche terre e solidi manieri nel Sud. La loro lealtà dovrebbe forse restare senza ricompensa?»

«Se è desiderio di vostra grazia perdere tutti i lord alfieri del mio defunto padre, non c’è modo migliore che concedere le fortezze del Nord a nobili del Sud.»

«Come potrei perdere degli uomini che non ho? Se ben ricordi, avevo sperato di consegnare Grande Inverno a un uomo del Nord, un figlio di Eddard Stark. Ha rifiutato la mia offerta gettandomela in faccia.» Stannis Baratheon davanti a un rifiuto si comportava come un mastino con un osso in bocca: continuava a morderlo fino a ridurlo in briciole.

«Per diritto di discendenza» rispose Jon «Grande Inverno dovrebbe andare a mia sorella Sansa.»

«Intendi a lady Lannister? Sei davvero così ansioso di vedere il Folletto assiso sullo scranno che apparteneva a tuo padre? Ti prometto, lord Snow, che finché sarò in vita io questo non accadrà.»

Jon aveva imparato quando non era il caso di insistere. «Sire, alcuni dicono che intendi concedere terre e castelli a comandanti bruti come Rattleshirt e il maknar di Thenn.»

«Chi dice questo?»

Se ne vociferava ai quattro angoli del Castello Nero. «Se proprio vuoi saperlo, è stata Gilly a riferirmelo.»

«E chi è?»

«La nutrice del figlio di Mance Ryder» rispose lady Melisandre. «Vostra grazia le ha concesso libertà di movimento nel castello.»

«Non certo però di diffondere dicerie. Abbiamo bisogno delle sue tette, non della sua lingua. Da lei d’ora in poi avrò più latte e meno parole.»

«Il Castello Nero non ha bisogno di bocche inutili» concordò Jon. «Infatti intendo mandare Gilly a sud sul primo vascello che salperà dal Forte Orientale.»

Melisandre sfiorò il rubino che portava al collo. «Gilly sta allattando sia il figlio di Dalla sia il proprio. Sembra crudele da parte tua, mio lord, separare il nostro piccolo principe dal suo fratellino di latte.»

“Attento, ora, a come parli.” «L’unica cosa che condividono è il latte materno. Il figlio di Gilly è più grande e robusto. Dà al principe calci e pizzicotti, lo allontana dal seno. Suo padre era Craster, un uomo avido e feroce, e temo che il piccolo abbia preso da lui.»

Il re sembrava disorientato. «Pensavo che la nutrice fosse la figlia di Craster.»

«Figlia e moglie, vostra grazia. Craster ha sposato tutte le sue figlie. Il bimbo di Gilly è il frutto della loro unione.»

«Il padre ha messo incinta la propria figlia?» Stannis sembrava sconvolto. «Sbarazziamoci di lei, allora. Non permetterò la presenza di simili abomini. Qui non siamo ad Approdo del Re.»

«Posso trovare un’altra nutrice» assicurò Jon. «Se nessuna sarà adatta fra le donne dei bruti, cercherò tra i clan delle montagne. Fino a quel momento, il piccolo dovrà accontentarsi del latte di capra, se a vostra grazia compiace.»

«Una ben misera dieta per un principe… ma sempre meglio del latte di una baldracca, aye.» Stannis tamburellò le dita sulla mappa. «Se ora vogliamo tornare a parlare di questi fortilizi…»

«Vostra grazia» disse Jon con glaciale cortesia «ho alloggiato i tuoi uomini e li ho nutriti, ad alto prezzo per le nostre scorte invernali. Li ho anche vestiti, perché non congelassero.»

Stannis non si fece smuovere. «Aye, hai condiviso con noi sale, maiale e porridge, e ci hai dato qualche straccio nero per tenerci caldi. Stracci che i bruti avrebbero depredato dai vostri cadaveri se io non fossi arrivato nel Nord.»

Jon non colse la provocazione. «Ho procurato il cibo per i vostri cavalli e, una volta che le scalinate saranno completate, ti darò anche i miei costruttori per i lavori di ripristino del Forte della Notte. Ti ho perfino accordato di permettere ai bruti di colonizzare le terre del Dono, che erano state concesse in perpetuo ai guardiani della notte.»

«Quelle che mi hai accordato sono terre vuote e desolate, invece continui a negarmi i castelli che ti chiedo per ricompensare i miei lord e i miei alfieri.»

«È stata la confraternita in nero a costruire quei castelli…»

«E la confraternita in nero li ha poi abbandonati.»

«… per difendere la Barriera» concluse fermamente Jon Snow «non per trasformarli in sedi di lord del Sud. Le pietre di quei fortilizi sono intrise del sangue e delle ossa dei miei confratelli, morti da tempo. Non posso concederteli.»

«Non puoi o non vuoi?» I tendini del collo di re Stannis erano affilati come lame. «Io ti ho offerto un nome.»

«E io, vostra grazia, ho già un nome.»

«Snow, neve. Si è mai sentito nome più nefasto?» Stannis sfiorò l’elsa della propria spada. «Dimmi, Snow, chi ti credi di essere?»

«Il guardiano della Barriera, la spada nelle tenebre.»

«Non usare quelle parole altisonanti con me!» Stannis snudò la spada chiamata Portatrice di luce. «Ecco la tua spada nelle tenebre!» Un lampo di luce guizzò lungo la lama, ora rossa, ora gialla, ora arancione, in sfumature crude e violente, balenando sul volto del re. «Perfino un ragazzino ingenuo può capirlo. Sei forse cieco?»

«No, sire. Concordo che quei fortilizi devono essere presidiati…»

«Il ragazzo al comando concorda. Che bellezza!»

«… da uomini dei guardiani della notte.»

«Uomini che tu non hai.»

«Allora dammeli tu, sire. Da parte mia, provvederò agli ufficiali da porre al comando di ciascuno di quei fortilizi, comandanti esperti che conoscono la Barriera e le terre al di là di essa, che sanno sopravvivere all’inverno incombente. In compenso per tutto quello che ho già dato a te, dammi gli uomini per rioccupare quelle fortezze. Uomini d’arme, balestrieri, reclute ancora da addestrare. Prenderò perfino i feriti e gli infermi.»

Stannis lo fissò incredulo, poi scoppiò in una risata simile a un latrato. «Hai un bel fegato, Snow, devo ammetterlo. Ma se credi davvero che i miei uomini accettino di entrare nella confraternita in nero sei fuori di senno.»

«I tuoi uomini potranno indossare mantelli del colore che vogliono, purché obbediscano ai miei ufficiali come obbedirebbero ai tuoi.»

Il re non cedette. «Al mio servizio ho lord e cavalieri, membri di nobili casate dall’onore antico. Non ci si può aspettare che prendano ordini da bracconieri, plebaglia e assassini.»

“O bastardi, sire?” «Il tuo Primo Cavaliere è un contrabbandiere.»

«Lo era. Per questo gli ho accorciato qualche dito. Mi dicono che tu sei il novecentonovantottesimo comandante dei guardiani della notte. Quale pensi sarà l’opinione del novecentonovantanovesimo riguardo a quei fortilizi? La vista della tua testa mozzata su una picca potrebbe persuaderlo a essere più flessibile.» Il re posò la spada sulla mappa, parallela alla Barriera: l’acciaio scintillava come i raggi del sole sull’acqua. «Tu sei lord comandante in virtù della mia tolleranza. Faresti bene a ricordartelo.»

«Io sono lord comandante perché così hanno voluto i miei confratelli.» C’erano mattine in cui lui stesso faticava a crederlo, e si svegliava pensando che fosse stato un sogno. “È come indossare degli abiti nuovi” gli aveva detto Samwell Tarly. “All’inizio sembra che ti vadano stretti, ma dopo un po’ che li avrai portati comincerai a sentirti a tuo agio.”

«Ser Alliser Thorne ha tuttora da obiettare sui modi in cui sei stato scelto, e non posso negare che abbia le sue ragioni.» La mappa si estendeva tra loro come un campo di battaglia, inondata dai colori della spada scintillante. «Il conteggio dei voti è stato eseguito da un vecchio cieco, con quel grassone tuo amico a guidargli la mano. Quanto a Janos Slynt, ti definisce un voltagabbana.»

“E chi lo è più di Slynt?” «Un voltagabbana ti direbbe quello che vuoi sentirti dire per poi tradirti. Vostra grazia sa che sono stato scelto correttamente. Mio padre diceva sempre che sei un uomo giusto.» “Giusto ma duro” erano per l’esattezza le parole di lord Eddard Stark, ma Jon non considerò saggio aggiungere quel dettaglio.

«Lord Eddard non era certo un amico per me, ma non era privo di buonsenso. Lui quei fortilizi me li avrebbe dati.»

“Mai.” «Non posso dire che cosa avrebbe fatto mio padre. Io ho prestato giuramento, vostra grazia. La Barriera è mia.»

«Per ora. Staremo a vedere per quanto tempo lo resterà.» Stannis gli puntò contro l’indice. «Tieniti pure quelle rovine, visto che ci tieni tanto. Ma ti prometto che se entro la fine dell’anno uno solo di quei fortilizi sarà rimasto vuoto, me li andrò a prendere tutti, con o senza il tuo consenso. E se uno solo dovesse cadere in mano nemica, la prossima cosa a cadere sarà la tua testa. Ora fuori di qui.»

Lady Melisandre si alzò dal suo scranno vicino al fuoco. «Con il tuo consenso, sire, riaccompagno lord Snow nelle sue stanze.»

«Perché? La strada la conosce.» Poi Stannis fece un gesto di commiato rivolto a entrambi. «Fate come volete. Devan, portami uova bollite e acqua con limone.»

Rispetto al calore del solarium, sulla scala a chiocciola c’era un freddo che entrava fino al midollo.

«Si sta alzando il vento, mia signora» disse a Melisandre il sergente, riconsegnando a Jon le sue armi. «Meglio provvedere a indossare un mantello che ti riscaldi.»

«La mia fede mi riscalderà.» La Donna Rossa scese gli scalini ricurvi al fianco di Jon. «Sua grazia sta sviluppando dell’affetto nei tuoi confronti.»

«Non c’è dubbio. Oggi ha minacciato di uccidermi solo due volte.»

Melisandre rise. «Sono i suoi silenzi che devi temere, non le sue parole.»

Uscirono nel cortile. Il vento gonfiò il mantello di Jon, facendolo sbattere contro la sacerdotessa rossa. Melisandre lo scostò con un gesto deciso e infilò il braccio sotto quello di Jon.

«È possibile che tu abbia ragione riguardo al re dei bruti. Pregherò il Signore della Luce che mi mostri la strada. Quando scruto nelle fiamme posso vedere attraverso la roccia e la terra, e trovare la verità nell’anima umana. Posso comunicare con re da lungo tempo defunti e con bambini ancora non nati, osservando lo scorrere degli anni e delle stagioni, fino alla fine dei giorni.»

«E le tue fiamme non sbagliano mai?»

«Mai… per quanto noi sacerdoti siamo comunque mortali e talvolta erriamo, confondendo ciò che deve accadere con ciò che potrebbe accadere.»

Anche attraverso la lana e il cuoio bollito, Jon percepiva il calore emanato da Melisandre. Lo spettacolo di loro che camminavano a braccetto attirò sguardi curiosi. “Questa notte ci saranno bisbiglii nei baraccamenti.”

«Se nelle tue fiamme sei davvero in grado di vedere il domani» Jon liberò il proprio braccio da quello di lei «dimmi dove e quando i bruti attaccheranno di nuovo.»

«R’hllor, Signore della Luce, ci invia le visioni secondo la sua volontà, ma tra le fiamme cercherò di vedere quell’uomo che chiamate Tormund.» Le labbra rosse di Melisandre si atteggiarono a un sorriso. «Nelle mie fiamme ho visto te, Jon Snow.»

«È una minaccia, mia signora? Intendi forse bruciarmi?»

«Interpreti male le mie parole.» Melisandre lo scrutò attentamente. «Ho l’impressione, lord Snow, di metterti a disagio.»

Jon non negò. «La Barriera non è un luogo adatto a una donna.»

«Ti sbagli. Ho sognato la tua Barriera, Jon Snow. Grande è stata la magia che l’ha costruita, e grandi sono gli incantesimi racchiusi nel suo ghiaccio. In questo momento, noi camminiamo al cospetto di una delle cerniere del mondo.» Melisandre alzò lo sguardo alla muraglia congelata, il suo respiro era una nuvola calda nell’aria. «Questo posto è mio quanto è tuo, e ben presto avrai un estremo bisogno di me. Non respingere la mia amicizia, Jon. Ti ho visto nella tempesta, sotto duro attacco, con nemici da ogni lato. E tu hai tantissimi nemici. Vuoi che ti dica i loro nomi?»

«Li conosco già.»

«Non essere così sicuro.» Il rubino alla gola di Melisandre mandò un barbaglio rosso. «Non sono quelli che ti urlano in faccia che devi temere, ma quelli che quando li guardi ti sorridono e appena volti le spalle affilano le lame. Farai bene a tenerti vicino il tuo lupo. Vedo ghiaccio e daghe nelle tenebre. Sangue congelato, rosso e duro, e acciaio snudato. E faceva molto freddo.»

«Fa sempre molto freddo, sulla Barriera.»

«È questo che pensi?»

«È questo che so, mia signora.»

«Allora non sai niente, Jon Snow» sussurrò la Donna Rossa.