Partirono da Pentos varcando la Porta dell’Alba, anche se Tyrion Lannister non vide nessuna alba.
«Sarà come se tu non avessi mai messo piede in città, mio piccolo amico» garantì magistro Illyrio, richiudendo le tendine di velluto viola della portantina. «Nessuno ti vedrà uscire, così come nessuno ti ha visto entrare.»
«Nessuno a parte i marinai che mi hanno cacciato in quel barile, il mozzo che ha ripulito la mia cabina, la ragazza che hai mandato a scaldarmi il letto, e non dimentichiamo quella lavandaia infame dalla faccia lentigginosa. Oh, e poi le tue guardie. A meno che tu, insieme alle palle, non abbia rimosso anche il loro acume, sanno che tu non sei solo qui dentro.»
La portantina era sospesa tra otto giganteschi cavalli da tiro per mezzo di spesse cinghie di cuoio. Quattro eunuchi scortavano i cavalli, due per lato, e altri marciavano in posizione arretrata, a sorvegliare il carro dei bagagli.
«I miei Immacolati non vanno in giro a chiacchierare» asserì Illyrio. «E in questo preciso istante, la galea che ti ha portato qui è già in rotta per Asshai delle Ombre. Passeranno due anni prima che faccia ritorno, se i mari sono misericordiosi. Quanto al personale della mia modesta dimora, anche loro mi amano. Nessuno mai oserebbe tradirmi.»
“Tieniti ben stretta questa convinzione, mio grasso amico. Verrà il giorno in cui incideremo queste parole sulla tua cripta.” «Avremmo dovuto essere a bordo di quella galea» replicò il Folletto. «Il modo più rapido per raggiungere Volantis è via mare.»
«Il mare è pieno di pericoli» rispose Illyrio. «L’autunno è la stagione delle tempeste e i pirati si rifugiano ancora alle Stepstones, da dove si avventurano per depredare la gente onesta. Non sia mai che il mio piccolo amico possa cadere in mani simili.»
«Ci sono pirati anche sulla Rhoyne.»
«Pirati di fiume.» Il mercante di formaggi sbadigliò, coprendosi la bocca con il dorso della mano. «Capitani scarafaggi che rincorrono le briciole.»
«Ho sentito delle storie anche sugli uomini di pietra.»
«Esistono davvero, poveri esseri. Ma perché disquisire di simili argomenti? È una giornata troppo bella per questi discorsi. Presto saremo in vista della Rhoyne, dove potrai finalmente affrancarti da Illyrio e dal suo grosso ventre. Ma fino a quel momento, brindiamo e sogniamo. Abbiamo vini e leccornie con cui sollazzarci, perché incupirci parlando di morte e morbi?»
“Già, perché?” Per l’ennesima volta, Tyrion udì nella propria mente lo schiocco della balestra, e si interrogò. La portantina ondeggiava lateralmente: un movimento dolce che lo faceva sentire come un bambino cullato dalle braccia della madre per fargli prendere sonno. “Non che io sappia per esperienza quale sensazione si provi.” Le sue natiche appoggiavano su cuscini di seta imbottiti di piume d’oca. Le pareti rivestite di velluto viola si curvavano sopra la sua testa in una sorta di tetto, rendendo l’interno del palanchino piacevolmente caldo, nonostante il freddo autunnale all’esterno.
Dietro di loro si snodava una carovana di muli, carichi di bauli, otri e barili, oltre a gerle colme di cibo, per evitare che il signore dei formaggi soffrisse l’inedia. Quella mattina, Tyrion e Illyrio pasteggiarono con salsicce piccanti, annaffiate da un vino affumicato di bacche scure. Nel pomeriggio furono servite anguille in gelatina e vini rossi di Dorne. E la sera prosciutti affettati, uova bollite e folaghe arrosto ripiene di aglio e cipolle, con birra di malto chiara e forti vini myriani, per favorire la digestione. La portantina era tanto lenta quanto confortevole, ma il Folletto fu ben presto roso dall’impazienza.
«Quanti giorni mancano per arrivare al fiume?» chiese a Illyrio quella medesima sera. «Di questo passo, prima che io riesca a vederli, i draghi della tua regina saranno diventati più grossi dei tre mostri di Aegon il Conquistatore.»
«Ah, fosse vero! Un drago grande fa più impressione di uno piccolo.» Il magistro alzò le spalle. «Per quanto mi piacerebbe dare personalmente il benvenuto alla regina Daenerys a Volantis, devo invece delegare te e Griff. Posso servirla meglio a Pentos, preparando la strada per il suo ritorno nel continente occidentale. Ma finché saremo insieme… be’, questo vecchio grassone deve pur soddisfare i propri bisogni. Prendi, bevi un’altra coppa di vino.»
«Dimmi un po’» riprese Tyrion, sorseggiando «perché mai a un magistro di Pentos dovrebbe importare mezzo fico marcio chi si mette in testa la corona del continente occidentale? In questa avventura, mio lord, che cosa ci guadagni?»
Illyrio si asciugò l’unto dalle labbra. «Ormai sono vecchio, stanco del mondo e dei suoi intrighi. È davvero così strano che io desideri compiere una buona azione prima della fine dei miei giorni, vale a dire aiutare una delicata fanciulla a riconquistare ciò che le spetta per diritto di nascita?»
“Sì, e tra un po’ cercherai di vendermi un’armatura magica e un castello a Valyria.” «Se per te Daenerys Targaryen è una delicata fanciulla, allora il Trono di Spade la farà in tante delicate fettine.»
«Non temere, mio piccolo amico. Nelle sue vene scorre il sangue di Aegon il Drago.»
“Insieme a quello di Aegon il Mediocre, Maegor il Crudele e Baelor il Confuso.” «Parlami ancora di lei.»
Il grassone assunse un’espressione pensosa. «Daenerys era poco più di una bambina quando arrivò da me, eppure ancora più radiosa della mia seconda moglie, tanto che fui tentato di chiederla io stesso in sposa. E tuttavia anche timorosa, furtiva: seppi quindi che non avrei tratto alcuna gioia nell’accoppiarmi con lei. Per cui feci venire una donna di piacere e la chiavai con tutto il mio vigore finché quella follia per la principessa del drago non mi fu passata. Per la verità, non pensavo che Daenerys sarebbe sopravvissuta a lungo tra i signori del cavallo.»
«Il che però non ti ha impedito di venderla al khal Drogo.»
«I dothraki non comprano e non vendono. Di’ piuttosto che è stato suo fratello Viserys a consegnarla a Drogo, per assicurarsi l’amicizia del khal. Un giovane vanesio, quel Viserys, e anche avido: bramava il trono del padre, ma anche le grazie della sorella, e non sopportava l’idea di privarsi di lei. La notte prima che la principessa andasse in sposa al khal Drogo, cercò d’infilarsi nel suo letto, dicendo che non potendo avere la sua mano, voleva almeno avere la sua purezza. Se non avessi preso le opportune precauzioni, mettendo delle guardie armate alla porta della fanciulla, quello stolto avrebbe mandato all’aria anni di trattative.»
«Lo descrivi come un completo idiota.»
«In fondo era figlio di Aerys il Folle. Invece Daenerys… è ben diversa.» Illyrio si cacciò in bocca una folaga arrosto che masticò rumorosamente, con le ossa e tutto. «La bimba spaventata che aveva trovato rifugio nella mia magione morì nel Mare Dothraki, ma solo per risorgere dal sangue e dal fuoco. La Regina dei Draghi che ora si fregia di questo nome è una vera Targaryen. Quando inviai dei vascelli per riportarla a casa, lei si diresse verso la Baia degli Schiavisti. In men che non si dica conquistò Astapor, costrinse Yunkai a compiere atto di sottomissione e saccheggiò Meereen. E se la regina deciderà di marciare a ovest seguendo le antiche strade valyriane, la prossima a cadere sarà Mantarys. Se invece preferisce andare via mare, be’… la sua flotta dovrà rifornirsi di cibo e acqua a Volantis.»
«Via terra o via mare» osservò Tyrion «sono comunque molte le leghe che separano Meereen da Volantis.»
«Cinquecentocinquanta, a volo di drago, attraverso deserti, montagne, paludi e rovine infestate da demoni. Molti periranno nella marcia, ma quelli che riusciranno a sopravvivere saranno i più vigorosi, e una volta raggiunta Volantis… troveranno te e Griff ad attenderli, con forze fresche e un numero di navi sufficiente per portarli attraverso il Mare Stretto fino al continente occidentale.»
Tyrion ripensò a quello che sapeva di Volantis, la più antica e orgogliosa delle nove città libere. C’era qualcosa che non andava in quel piano. Anche con solo mezzo naso, il Folletto sentiva odore di bruciato.
«Si dice che a Volantis ci siano cinque schiavi per ogni uomo libero. Per quale motivo i triarchi dovrebbero appoggiare una sovrana che ha abolito la tratta degli schiavi?» fece notare a Illyrio. «E, tanto per restare in tema, come mai tu la sostieni? La schiavitù sarà anche proibita dalle leggi di Pentos, ma in quel commercio anche tu hai dentro uno zampino, se non due. Eppure cospiri a favore della Regina dei Draghi, invece che contro di lei. Perché? Che cosa speri di ottenere?»
«Ancora con queste domande? Sei proprio un ometto ostinato.» Magistro Illyrio scoppiò in una risata, dandosi una manata sul ventre. «Visto che insisti. Il Re Mendicante spergiurò di volermi nominare suo maestro del conio, e che sarei anche diventato lord. E una volta che si fosse messo in testa la sua corona d’oro, avrei potuto scegliermi il castello che volevo… perfino Castel Granito, se così avessi desiderato.»
Tyrion eruttò vino rosso dalla voragine mutilata che sostituiva il suo naso. «Quanto il lord mio padre avrebbe gradito udire queste parole.»
«Il lord tuo padre non avrebbe avuto motivo di preoccuparsi. Perché mai avrei dovuto desiderare un ammasso di roccia? La mia magione è grande abbastanza da soddisfare qualsiasi uomo, e anche più confortevole dei vostri castelli occidentali, così pieni di correnti d’aria. Maestro del conio, invece…» Il grassone si sbucciò un altro uovo. «Io adoro il conio. Esiste forse un suono più gradevole del tintinnio delle monete?»
“Le urla di mia sorella.” «Come puoi essere così certo che Daenerys terrà fede alle promesse del fratello?»
«Forse lo farà, e forse no.» Illyrio staccò metà uovo con un morso. «Te l’ho già detto, mio piccolo amico, un uomo non sempre agisce in nome del profitto. Credi quello che vuoi, ma anche un vecchio grassone come me ha degli amici e dei debiti d’affetto da ripagare.»
“Bugiardo” pensò subito Tyrion. “In questa impresa c’è in gioco qualcosa che per te vale ben più del conio o dei castelli.” «Di questi tempi, sono talmente pochi gli uomini che antepongono l’amicizia all’oro.»
«Hai proprio ragione» gli fece eco magistro Illyrio, sordo all’ironia del Folletto.
«E dimmi, come mai sei così affezionato al Ragno Tessitore?»
«Siamo cresciuti insieme, due ragazzini ingenui a Pentos.»
«Varys è di Myr.»
«Anch’io. Lo incontrai non molto tempo dopo il suo arrivo, appena prima degli schiavisti. Di giorno dormiva nelle cloache, di notte vagava sui tetti come un gatto. Io ero povero quasi quanto lui: una lama in vendita, ricoperto di luride sete. Immagino che avrai visto la statua al centro della vasca nella mia magione. L’ha scolpita Pytho Malanon, quando avevo sedici anni. Una magnifica opera d’arte, per quanto mi venga da piangere ogni volta che la guardo.»
«Di tutti noi, il tempo lascia indietro solo rovine. Io, per esempio, sono ancora in lutto per il mio naso. Ma tornando a Varys…»
«A Myr era stato il principe dei ladri, fino a quando un rivale non lo denunziò. A Pentos, era riconoscibile per via dell’accento e, una volta identificato come eunuco, fu disprezzato e picchiato. Per quale ragione mi abbia scelto come suo protettore, non lo saprò mai, riuscimmo comunque a trovare un accordo. Varys spiava i ladruncoli e s’impossessava del loro bottino. Da parte mia, offrivo aiuto alle vittime, promettendo di recuperare i beni trafugati in cambio di una ricompensa. In breve, chiunque avesse subito un furto sapeva di doversi rivolgere a me, mentre tutti i violatori di case e i tagliaborse erano alla ricerca di Varys… metà di loro per tagliargli la gola, l’altra metà per rivendergli quello che avevano rubato. Diventammo ricchi entrambi, soprattutto quando Varys cominciò ad ammaestrare i suoi ratti.»
«Ad Approdo del Re aveva i suoi uccelletti.»
«All’epoca noi li chiamavamo ratti. I ladri più anziani erano degli stolti, interessati solo a convertire il bottino della notte in vino. Varys, invece, preferiva le ragazzine e gli orfanelli. Sceglieva quelli di statura più bassa, rapidi e silenziosi, e li istruiva su come scalare i muri e infilarsi nei camini. Insegnava loro anche a leggere. L’oro e le gemme li lasciavamo ai ladri comuni. I nostri ratti, invece, s’impossessavano di lettere, diari, mappe… e dopo averli letti li rimettevano esattamente dove li avevano trovati. I segreti valgono più dell’argento o degli zaffiri, soleva dire Varys. Ed è vero. Da parte mia, acquisii un tale livello di rispettabilità che un cugino del principe di Pentos mi diede in sposa la figlia vergine, questo mentre voci appena sussurrate riguardo ai talenti di un certo eunuco varcavano il Mare Stretto, arrivando all’orecchio di un re. Un re quanto mai ansioso, che non si fidava completamente del proprio figlio, né della propria moglie, né del proprio Primo Cavaliere, un amico di gioventù, quest’ultimo, diventato troppo arrogante e sicuro di sé. Penso che tu conosca il resto della storia, non è così?»
«Ne conosco la maggior parte» ammise Tyrion. «Vedo quindi che tu sei qualcosa di più di un semplice mercante di formaggi.»
Illyrio inclinò il capo di lato. «Gentile da parte tua dire così, mio piccolo amico. E da parte mia, constato che sei arguto come diceva lord Varys.» Illyrio sorrise, mostrando i suoi denti storti e giallastri, e urlò di portare dell’altro vino infuocato di Myr.
Alla fine, il magistro si assopì, con un braccio attorno all’otre. Tyrion si fece strada tra i cuscini, per evadere dalla sua adiposa prigione, e si versò un’altra coppa di vino. La svuotò tutta d’un fiato, sbadigliò e la riempì di nuovo.
“Forse, se bevo abbastanza vino infuocato… sognerò di sicuro i draghi.”
Tanto tempo prima, quando era ancora un bimbo solitario, sperduto nelle viscere di Castel Granito, trascorreva spesso le sue notti cavalcando draghi, immaginando di essere un principe Targaryen diseredato, o un signore dei draghi dell’antica Valyria, librandosi al di sopra di prati e montagne. Una volta, i suoi zii gli chiesero che cosa volesse come regalo di compleanno, e Tyrion li implorò per avere un drago. «Non proprio uno di quelli grossi, a me ne basta uno piccolino come me.» Zio Gerion pensò fosse la cosa più divertente che avesse mai udito, ma zio Tygett gli spiegò: «L’ultimo drago, ragazzo, è morto più di un secolo fa». La notizia gli parve così mostruosamente ingiusta, che il giovane nano pianse tutta la notte.
Per contro, se c’era effettivamente da credere al signore dei formaggi, la figlia del Re Folle aveva portato in vita ben tre draghi. “Due in più di quelli di cui perfino un Targaryen potrebbe desiderare.” Tyrion era quasi dispiaciuto di aver assassinato suo padre. Avrebbe voluto vedere la faccia di lord Tywin Lannister nell’apprendere che una regina Targaryen stava per fare ritorno nel continente occidentale con tre draghi, appoggiata da un eunuco cospiratore e da un mercante di formaggi grosso come la metà di Castel Granito.
Il Folletto era così pieno di cibo e di vino da doversi slacciare la cintura e le stringhe superiori delle brache. Gli abiti da bambino che il suo ospite gli aveva fatto indossare lo facevano sentire come una salsiccia da dieci libbre in una pelle da cinque. “Se dovessi ingozzarmi ogni giorno in questo modo, raggiungerei la stazza di Illyrio prima ancora di incontrare la regina.”
All’esterno del palanchino erano calate le tenebre. Dentro era buio. Tyrion ascoltava il russare di Illyrio, gli scricchiolii delle cinghie di cuoio, il ritmo lento degli zoccoli ferrati della carovana sulla dura pietra della strada valyriana, ma il suo cuore era in attesa del battito delle cuoiose ali di drago.
Al suo risveglio era tornata l’alba. I cavalli continuavano ad avanzare, il palanchino ondeggiava sospeso tra loro e scricchiolava.
Tyrion scostò la tendina, per osservare da una fessura il mondo esterno, ma c’era poco da vedere: solo campi ocra, alberi di olmo spogli e la strada, un’ampia carreggiata di pietra che correva fino all’orizzonte, diritta come una lancia. Aveva letto delle strade valyriane, ma questa era la prima che vedeva. Il dominio dell’antica fortezza di Valyria si estendeva fino alla remota Roccia del Drago, ma non era mai giunto fino in Occidente. “Che strano. Roccia del Drago era solo una roccia, appunto. La ricchezza si trovava più a ovest, i valyriani lo dovevano sapere, e loro avevano i draghi.”
La notte prima aveva bevuto troppo. Si sentiva la testa pulsare e l’ondeggiare ritmico del palanchino bastava a fargli salire le viscere in gola. Anche se non disse una sola parola di lamento, il suo malessere non sfuggì a Illyrio Mopatis.
«Forza, bevi con me» lo esortò il grasso magistro. «Per bilanciare il drago che ti ha bruciato, come si suole dire.»
Illyrio versò per entrambi del vino di mirtilli talmente dolce da attrarre più mosche del miele. Tyrion le disperse con il dorso della mano e bevve tutto d’un fiato. Il gusto era quasi nauseante, e Tyrion ce la mise tutta per trattenere il liquido nello stomaco. La seconda coppa, però, scese più facilmente. Ma non aveva fame, e rispose con un gesto di diniego quando Illyrio gli offrì una coppa di mirtilli con la panna.
«Ho sognato la Regina dei Draghi» disse Tyrion. «Ero in ginocchio al suo cospetto, per giurarle fedeltà, ma lei mi ha scambiato per mio fratello Jaime e mi ha gettato in pasto ai draghi.»
«Speriamo che non si tratti di un sogno premonitore. Sei un folletto astuto, come diceva Varys, e Daenerys avrà bisogno di uomini astuti al suo fianco. Ser Barristan è un cavaliere leale, ma credo che nessuno lo abbia mai definito astuto.»
«I cavalieri conoscono un unico modo per risolvere i problemi: abbassano la lancia e vanno alla carica. Un nano ha un modo ben diverso di guardare il mondo. E che dire di te, magistro? Anche tu sei un uomo astuto.»
«Tu mi aduli, Folletto.» Illyrio fece un cenno vago con la mano. «Purtroppo, viaggiare non fa per me, per questo ti mando da Daenerys al posto mio. Uccidendo il lord tuo padre, hai reso a sua grazia un grande servigio, e spero che tu gliene possa rendere molti altri. Daenerys non è affatto stolta, a differenza di suo fratello Viserys. Saprà fare buon uso di te.»
“Come legna da ardere?” pensò Tyrion.
Quel giorno fecero solo tre cambi dei cavalli, ma in pratica si fermavano ogni mezz’ora per dare modo a Illyrio di calarsi giù dal palanchino per pisciare. “Quindi il nostro signore dei formaggi ha le dimensioni di un elefante ma la vescica grande come un pisello” concluse il Folletto.
Tyrion approfittò di una di quelle soste per scendere a sua volta e osservare meglio la strada. Sapeva quello che avrebbe trovato: non terra battuta, né mattoni, né ciottoli, bensì un nastro di pietra fusa rialzato di mezzo piede rispetto al terreno, per permettere alla pioggia e alla neve in scioglimento di defluire. A differenza dei tracciati fangosi che nei Sette Regni venivano considerati strade, quelle valyriane erano abbastanza larghe da consentire il passaggio di tre carri affiancati, e né il tempo né il traffico parevano poterle intaccare. Persistevano immutate, quattro secoli dopo che il Disastro si era abbattuto su Valyria. Tyrion cercò tracce di solchi, crepe, ma tutto quello che trovò fu un tumulo di merda ancora fumante appena depositato da uno dei cavalli.
Quella vista gli fece tornare alla mente il lord suo padre. “Sei laggiù, padre caro? In qualche gelido inferno da dove, alzando lo sguardo, mi puoi vedere riportare sul Trono di Spade la figlia di Aerys il Folle?”
Quando si rimisero in viaggio, Illyrio tirò fuori una sacca piena di castagne arrosto e riprese a parlare della Regina dei Draghi.
«Le ultime notizie che abbiamo di Daenerys sono purtroppo vecchie e stantie. A questo punto, avrà lasciato Meereen, suppongo. Si è finalmente dotata di un esercito, sia pure raccogliticcio, composto da mercenari, cavalieri dothraki e lancieri Immacolati, che senza dubbio adesso starà conducendo a ovest, per riconquistare il trono che era di suo padre.» Magistro Illyrio aprì una giara di lumache all’aglio, annusò e sorrise. «A Volantis avrai sue notizie più recenti» riprese, succhiando un guscio. «Draghi e fanciulle sono due generi di creature capricciose, e può darsi che tu sia costretto a rivedere i tuoi piani. Griff saprà cosa fare. Gradisci una lumaca? L’aglio proviene dai miei orti.»
“A dorso di una lumaca avanzerei più in fretta che su questa portantina.” Tyrion fece cenno di no. «Tu confidi molto in questo Griff. È un altro tuo amico d’infanzia come Varys?»
«No, Griff è un mercenario, tu lo definiresti così, ma è nato in Occidente. A Daenerys servono uomini degni della sua causa.» Illyrio alzò preventivamente una mano. «So che cosa stai pensando! Per i mercenari l’oro viene prima della fedeltà e dell’onore. O che Griff mi venderà a mia sorella. Non è così. Mi fido di lui come di un fratello.»
“Altro errore mortale.” «In tal caso farò lo stesso anch’io.»
«In questo preciso istante, la Compagnia Dorata è in marcia verso Volantis, dove attenderà l’arrivo da Oriente della nostra regina.»
“Sotto l’oro, il gelido acciaio.” «Avevo sentito dire che la Compagnia Dorata è sotto contratto con una delle città libere.»
«Con Myr» confermò Illyrio. «Ma i contratti possono essere rescissi.»
«Il formaggio produce più conio di quanto non immaginassi» commentò Tyrion. «E come sei riuscito in tale impresa?»
Il magistro agitò le dita grassocce. «Certi contratti sono scritti con l’inchiostro e altri con il sangue. Non aggiungo altro.»
Il Folletto ci pensò sopra. La Compagnia Dorata aveva fama di essere la migliore formazione mercenaria, fondata un secolo prima da Acreacciaio, figlio bastardo di Aegon il Mediocre. Quando un altro dei figli bastardi riconosciuti da Aegon cercò di strappare il Trono di Spade a uno dei suoi fratellastri di sangue puro, Acreacciaio si unì alla rivolta. Ma Daemon Blackfyre cadde combattendo sul Campo Rosso Sangue, e la ribellione finì con lui. I seguaci del Drago Nero sopravvissuti alla disfatta rifiutarono però di fare atto di sottomissione e fuggirono al di là del Mare Stretto. Tra loro i figli più giovani di Daemon, Acreacciaio e centinaia di guerrieri, lord senza terre e cavalieri senza signori, tutti costretti a vendere le loro lame per guadagnarsi da vivere. Alcuni si arruolarono nel Vessillo Lacerato, altri nei Secondi Figli o negli Uomini della Vergine. Acreacciaio vide la forza bellica della Casa Blackfyre disperdersi ai quattro venti, così per ricompattare gli esiliati fondò la Compagnia Dorata.
Da quel giorno in poi, gli uomini della Compagnia Dorata avevano continuato a vivere e morire nelle Terre Contese, combattendo per Myr, Lys o Tyrosh in piccole guerre prive di senso, senza però mai smettere di sognare la terra perduta dei loro padri. Erano esiliati figli di esiliati, senza averi e senza perdono… ma pur sempre formidabili combattenti.
«Ammiro la tua capacità di persuasione» disse Tyrion a Illyrio. «Come sei riuscito a convincere la Compagnia Dorata a fare propria la causa della nostra delicata regina, considerando che hanno passato gran parte della loro storia a combattere contro i Targaryen?”»
Illyrio si sbarazzò dell’obiezione come di una mosca fastidiosa. «Nero o rosso che sia, un drago è sempre un drago. La morte di Maelys il Mostruoso alle Stepstones ha segnato la fine della linea dinastica maschile della Casa Blackfyre.» Dietro la sua barba biforcuta, il signore dei formaggi sorrise. «E Daenerys darà a quegli esiliati ciò che né Acreacciaio né i Blackfyre sono riusciti a garantire loro: li riporterà a casa.»
“Con il fuoco e con la spada.” Era il tipo di ritorno che desiderava anche lui. «Devo ammettere che diecimila spade è un regalo davvero principesco. Sua grazia sarà oltremodo compiaciuta.»
Il magistro annuì con un cenno del capo, facendo tremolare i suoi molteplici menti. «Non vorrei avere l’ardire di presumere che cosa possa compiacere a sua grazia.»
“Molto prudente da parte tua.” Tyrion la sapeva lunga sulla gratitudine dei re. Perché la regina avrebbe dovuto essere diversa?
Poco dopo il magistro si mise a russare sonoramente, lasciando Tyrion solo con i suoi pensieri. Il Folletto non poté fare a meno di domandarsi come avrebbe reagito ser Barristan Selmy all’idea di andare in battaglia insieme alla Compagnia Dorata. Durante la guerra dei Re da Nove Soldi, Selmy aveva aperto una falla sanguinosa nelle loro file, deciso ad abbattere fino all’ultimo pretendente Blackfyre. “Le rivolte creano strani compagni di letto. E i più strani di tutti siamo questo lardoso mercante di formaggi e io.”
Il mercante di formaggi si svegliò al successivo cambio dei cavalli, e chiese un’altra gerla di cibo.
«Dove siamo?» domandò Tyrion mentre si rimpinzavano di cappone freddo e pâté di carote, uva passa, limoni e arance.
«Questa è Andalos, amico mio. Le terre da cui sono arrivati gli andali, tuoi antenati. Le terre che strapparono agli uomini irsuti che c’erano prima di loro, cugini degli irsuti abitanti di Ib. Il cuore dell’antico reame di Hugor si trova a nord rispetto a noi, e ne stiamo attraversando le marche meridionali. A Pentos, queste sono chiamate le Terre Piatte. Più a est sorgono le Colline di Velluto, dove siamo diretti.»
“Andalos.” Il Credo insegnava che anche i Sette Dèi un tempo avevano camminato sulle colline di Andalos in forma umana. «Il Padre allungò la mano fino al più alto dei cieli, prese sette stelle» recitò Tyrion a memoria «e a una a una le collocò sulla fronte di Hugor della Collina, formando una corona scintillante.»
Magistro Illyrio gli lanciò uno sguardo incuriosito. «E chi avrebbe mai immaginato che il mio piccolo amico fosse così devoto?»
«Reminiscenze adolescenziali» rispose il Folletto alzando le spalle. «Sapendo di non poter essere nominato cavaliere, decisi di diventare Alto Septon. La corona di cristallo aggiunge almeno un piede di statura. Studiai i libri sacri e pregai fino a farmi venire le piaghe su entrambe le ginocchia, ma la mia ricerca spirituale si concluse tragicamente. Arrivato a una certa età, m’innamorai.»
«Di una fanciulla? So che cosa significa.»
Illyrio affondò la mano destra nella manica sinistra ed estrasse un medaglione d’argento. All’interno c’era il ritratto di una donna: grandi occhi azzurri e capelli biondo chiaro striati d’argento.
«Serra. La incontrai in un bordello di Lys e la portai a casa perché mi scaldasse il letto, ma alla fine la sposai. Io, che come prima moglie avevo avuto la cugina del principe di Pentos. Da quel momento, le porte del palazzo mi furono precluse, ma a me non importava. Era un piccolo prezzo da pagare, in cambio di Serra.»
«E come morì?» Tyron sapeva che era morta: nessuno parla con tanto affetto della donna che lo ha abbandonato.
«Una galea mercantile braavosiana di ritorno dal Mare di Giada attraccò a Pentos. La Tesoro trasportava chiodi di garofano e zafferano, oltre a giada, sciamito scarlatto, seta verde… e il morbo grigio. Sterminammo i rematori appena misero piede a terra e bruciammo la nave ancora all’ancora, ma i ratti di bordo fuggirono lungo i remi e riuscirono a raggiungere le fredde pietre del molo. L’epidemia si portò via duemila anime.» Magistro Illyrio richiuse il medaglione. «Conservo ancora le mani di Serra nella mia stanza da letto. Mani così morbide…»
Tyrion ripensò a Tysha. Il suo sguardo si spostò sui campi dove un tempo avevano camminato gli dèi. “Quale genere di dèi può creare ratti, epidemie e nani?” Citò ad alta voce un altro passaggio della Stella a sette punte che gli era tornato alla memoria.
«La Vergine portò al suo cospetto una fanciulla, delicata come un salice, con occhi che parevano profondi laghi azzurri, e Hugor dichiarò di volerne fare la propria sposa. Così la Madre la rese fertile, e la Vecchia predisse che avrebbe dato al re quarantaquattro possenti figli maschi. Il Guerriero diede loro forza nelle braccia, mentre il Fabbro forgiò per ognuno un’armatura a piastre di ferro.»
«Il tuo Fabbro deve essere stato un rhoynar» ritorse Illyrio. «Gli andali appresero l’arte della lavorazione del ferro da quella popolazione che viveva lungo il fiume. È risaputo.»
«Non dai nostri septon.» Tyrion indicò con la mano i campi. «Chi abita oggi le vostre Terre Piatte?»
«Timonieri e instancabili lavoratori, legati alla terra. Ci sono frutteti, fattorie, miniere… Io stesso ho dei poderi, anche se li visito di rado. Perché dovrei passare le mie giornate quaggiù, con tutte le delizie di Pentos a portata di mano?»
«Una miriade di delizie.» “E alte mura di mattoni.” Tyrion fece roteare il vino nella coppa. «Non abbiamo incontrato altre città, dopo Pentos.»
«Ci sono solo rovine.» Illyrio sventolò una coscia di pollo verso le tende del palanchino. «Ogni volta che un khal si mette in testa di vedere com’è fatto il mare, i signori del cavallo si spingono in questa direzione. I dothraki non amano le città, dovreste saperlo anche voi del continente occidentale.»
«Allora attaccate di sorpresa uno dei loro khalasar e distruggetelo, dopo di che vedrete che i dothraki non saranno più tanto ansiosi di attraversare la Rhoyne.»
«È meno dispendioso corrompere i nemici con cibo e doni.»
“Perché non ci ho pensato a portare dei buoni formaggi alla Battaglia delle Acque Nere? Magari a quest’ora avrei ancora il mio naso.” Lord Tywin aveva sempre disprezzato le città libere. “Invece che con le spade, combattono con il conio” soleva dire. “L’oro ha la sua utilità, ma è con il ferro che si vincono le guerre.” «Da’ dell’oro a un nemico, e quello continuerà a tornare per averne dell’altro, diceva sempre mio padre.»
«Stiamo forse parlando di quel medesimo padre che hai assassinato?» Illyrio gettò l’osso di pollo fuori del palanchino. «I mercenari non reggono il confronto con i guerrieri dothraki. Questo è stato dimostrato a Qohor.»
«Nemmeno il tuo coraggioso Griff?» ironizzò Tyrion.
«Griff è diverso. Ha un figlio cha adora. Il ragazzo si chiama Griff il Giovane. E mai ci fu fanciullo più nobile.»
Il vino, il cibo, il sole, l’ondeggiare del palanchino, il ronzio delle mosche, tutto cospirava a conciliare il sonno. Così Tyrion dormì, si svegliò, bevve. Illyrio rispose coppa su coppa. E mentre il cielo assumeva le tonalità violacee del crepuscolo, il grasso mercante iniziò a russare.
Quella notte, Tyrion Lannister sognò una battaglia che fece diventare rosse di sangue tutte le colline del continente occidentale. Lui era al centro della strage, seminando morte con un’ascia grande quanto lui, al fianco di Barristan il Valoroso e Acreacciaio, mentre dei draghi sorvolavano la mischia. Nel sogno, Tyrion aveva due teste, entrambe senza naso. A guidare il nemico c’era il lord suo padre, per cui dovette ucciderlo un’altra volta. Poi uccise anche il fratello Jaime, maciullandogli la faccia fino a ottenere una poltiglia rossastra, ridendo a ogni colpo portato a segno. Solo a battaglia finita, Tyrion si rese conto che la sua seconda testa stava piangendo.
Si svegliò con le gambette deformi rigide come aste di ferro. Illyrio stava mangiando delle olive.
«Dove siamo?» gli chiese Tyrion.
«Non abbiamo ancora lasciato le Terre Piatte, mio impaziente amico. Presto il nostro cammino ci porterà ad attraversare le Colline di Velluto, dopo di che ci dirigeremo verso Ghoyan Drohe, risalendo la Piccola Rhoyne.»
Ghoyan Drohe era stata una città rhoynar, fino al giorno in cui i draghi di Valyria non l’avevano ridotta a una rovina fumante. “Sto viaggiando nello spazio e nel tempo” rifletté Tyrion “sto tornando indietro nella storia, a quando i draghi dominavano la terra.”
Tyrion dormì, si svegliò, dormì ancora, i giorni e le notti sembravano perdere significato. Le Colline di Velluto si rivelarono una delusione.
«Metà delle puttane di Lannisport ha seni più grossi di queste colline» disse a Illyrio. «Dovreste chiamarle Tette di Velluto.»
Videro un cerchio di pietre disposte in verticale, che Illyrio dichiarò essere state erette dai giganti, e un lago profondo.
«Qui viveva una banda di briganti che depredavano tutti quelli che passavano di qui» spiegò il magistro. «Si dice che vivano tuttora sotto le acque. Chi si avventura a pescare nel lago viene tirato giù e divorato.»
La sera successiva raggiunsero una gigantesca sfinge valyriana che sembrava in agguato sul lato della strada, con il corpo di drago e il volto di donna.
«Una regina-drago» disse Tyrion. «Un buon presagio.»
«Ma il re è sparito.» Illyrio indicò il levigato plinto di pietra, ammantato di muschio e strangolato dai rampicanti, dove un tempo si ergeva la seconda sfinge. «I signori del cavallo gli hanno costruito sotto le ruote di legno e se lo sono riportato a Vaes Dothrak.»
“Un altro presagio” pensò Tyrion “ma non altrettanto buono.”
Quella notte, più ubriaco del solito, il Folletto intonò un canto improvvisato:
Cavalcò per le vie cittadine,
su viottoli, ciottoli e scalini,
giù dalle alte colline,
per il sospiro di una donna.
Essa era il suo segreto tesoro,
la sua vergogna e la sua benedizione,
a nulla valgono una catena e un maniero,
confronto al bacio di una donna.
Erano le uniche parole che sapeva, oltre al ritornello. “Sempre fredde sono le mani d’oro, sempre calde quelle di una donna.” Le mani di Shae lo avevano colpito, mentre le mani d’oro affondavano nella sua gola. Il Folletto non ricordava se erano calde o fredde. Mentre le forze l’abbandonavano, i colpi di Shae si erano tramutati in falene volteggianti davanti alla sua faccia devastata. “A nulla valgono una catena e un maniero, confronto al bacio di una donna.” L’aveva baciata, per l’ultima volta, dopo che era morta? Non ricordava neanche questo… Invece rammentava la prima volta che l’aveva baciata, nella sua tenda vicino alla Forca Verde del Tridente. Com’erano dolci le sue labbra.
Ricordava anche la prima volta con Tysha. “Non sapeva che cosa fare, come del resto non lo sapevo io. I nostri nasi continuavano a urtarsi, ma quando toccai la sua lingua con la mia, sentii il suo corpo tremare.” Tyrion chiuse gli occhi, cercando di riportare alla memoria il viso di Tysha. Invece vide suo padre, accovacciato sulla latrina, con la camicia da notte sollevata.
“Ovunque vadano le puttane” disse lord Tywin Lannister. Poi il sibilo del dardo della balestra.
Il Folletto si voltò, affondando il naso mutilato nei cuscini di seta. Il sonno si spalancò sotto di lui come una voragine. Tyrion Lannister vi si gettò dentro, lasciandosi divorare dalle tenebre.