Rimase per lungo tempo immobile, come inerte sopra il mucchio di vecchi sacchi che gli serviva da giaciglio, ascoltando il vento sibilare fra le sartie e la corrente del fiume lambire lo scafo.
La luna piena fluttuava al di sopra dell’albero maestro. “Mi sta seguendo verso valle, mi guarda come un grande occhio” pensò il Folletto. Nonostante il calore delle pelli ammuffite che lo coprivano, fu percorso da un brivido. “Ho bisogno di una coppa di vino. Di dieci coppe di vino.” Ma la luna gli avrebbe sorriso, prima che quel figlio di puttana di Griff gli lasciasse estinguere la sua sete. Anziché vino, doveva bere acqua, ed era condannato a notti insonni e giorni di brividi e sudore.
Si mise a sedere, con la testa fra le mani. “Ho sognato?” Tutti i ricordi erano svaniti. Le notti non erano mai state gentili con lui. Tyrion Lannister dormiva male anche in un letto di piume. Sulla Fanciulla pudica si era fatto un giaciglio sopra il tetto della cabina, con una matassa di canapa per guanciale. Preferiva dormire lì che nella stiva angusta. L’aria era più fresca, e preferiva i rumori del fiume al russare di Papero. Però c’era un prezzo da pagare: il ponte era duro e Tyrion si svegliava indolenzito e dolorante, con le gambe contratte.
Adesso sentiva i polpacci duri come pezzi di legno. Se li massaggiò, cercando di sciogliere la contrattura. Ma quando si alzò, la sofferenza era ancora così forte da fargli digrignare i denti. “Devo farmi un bagno.” I suoi abiti da bambino erano puzzolenti, e anche lui. Gli altri si bagnavano nel fiume, ma fino a quel momento Tyrion non si era unito a loro. Alcune tartarughe che aveva avvistato sulle secche erano così grosse che parevano poterlo tagliare in due con un morso. Papero le chiamava “spezzaossa”. Inoltre non voleva che Lemore lo vedesse nudo.
Tyrion s’infilò gli stivali e scese la scaletta che portava sul ponte di poppa, dove Griff se ne stava avvolto in una pelle di lupo accanto a un braciere di ferro. Il mercenario montava la guardia tutta la notte, alzandosi quando il resto della banda andava a dormire e ritirandosi quando sorgeva il sole.
Tyrion si accovacciò di fronte a lui, allungando le mani verso le braci per scaldarsi. Dall’altra parte del fiume, cinguettavano gli usignoli. «Presto sarà giorno» disse a Griff.
«Non presto abbastanza. Dobbiamo metterci in viaggio.» Fosse stato per Griff, la Fanciulla pudica avrebbe continuato a scendere il fiume sia di notte sia di giorno, ma Yandry e Ysilla si rifiutarono di mettere a repentaglio la loro chiatta nell’oscurità. Il corso superiore della Rhoyne era pieno di ostacoli e di tronchi sommersi, ognuno dei quali avrebbe potuto sventrare lo scafo. Ma Griff non voleva sentire ragioni, lui voleva soltanto Volantis.
Gli occhi del mercenario erano sempre in movimento, frugavano la notte alla ricerca di… che cosa? Pirati? Uomini di pietra? Mercanti di schiavi? Il fiume era pieno di insidie, Tyrion ne era consapevole, ma considerava Griff più pericoloso di tutti quei pericoli messi assieme. Gli ricordava Bronn, solo che lui aveva un macabro senso dell’umorismo da mercenario mentre Griff sembrava incapace di ridere.
«Sarei pronto a uccidere per una coppa di vino» brontolò Tyrion.
Griff non commentò. I suoi occhi slavati parvero dire: “Prima di bere un solo goccio, farai in tempo a morire”. La prima notte sulla Fanciulla pudica, Tyrion si era ubriacato fino a perdere i sensi. Il giorno dopo si era svegliato con i draghi che gli battagliavano nel cranio. Griff lo aveva guardato vomitare oltre la murata del barcone. «Nano» aveva sentenziato «tu col vino hai chiuso.»
«Ma mi aiuta a prendere sonno» aveva protestato Tyrion. “Affoga i miei incubi” avrebbe potuto dire.
«Allora resta sveglio» aveva replicato Griff, implacabile.
Nel cielo a oriente, i primi bagliori dell’alba comparvero sopra il fiume. L’acqua della Rhoyne virò lentamente dal nero al blu, quasi intonandosi ai capelli e alla barba del mercenario.
Griff si alzò. «Gli altri fra poco si sveglieranno. Il ponte è tuo.»
Quando gli usignoli di fiume ammutolirono, intonarono i loro canti le allodole. Gli aironi bianchi sguazzavano tra i canneti e lasciavano le loro impronte sulla sabbia. Le nubi in cielo si erano accese di vari colori: rosa e viola, marrone e oro, perla e zafferano. Una sembrava avere la forma di un drago. “Dopo aver visto un drago in volo, la cosa migliore che un uomo può fare è continuare a zappare l’orto” aveva scritto qualcuno “perché al mondo non c’è meraviglia più grande.” Tyrion si grattò la cicatrice, sforzandosi di ricordare il nome dell’autore. Aveva pensato spesso ai draghi, negli ultimi tempi.
«Buongiorno, Hugor.» La septa Lemore era apparsa con le sue vesti bianche strette in vita da una cintura intessuta di sette colori, simbolo dei Sette Dèi. Aveva i capelli sciolti sulle spalle. «Come hai dormito?»
«A intermittenza, buona lady. Ti ho sognato di nuovo.» “Un sogno a occhi aperti.” Non riusciva a prendere sonno, così si era infilato la mano fra le gambe, immaginando di avere sopra di lui la septa con i suoi seni ballonzolanti.
«Di certo un sogno perverso. Sei un depravato. Pregherai con me e chiederai perdono per i tuoi peccati?»
“Solo se preghiamo alla maniera delle Isole dell’Estate.” «No, mia signora, ma da’ alla Fanciulla un lungo, dolce bacio da parte mia.»
La septa andò ridendo verso prua. Aveva l’abitudine di fare ogni mattina un bagno nel fiume. «Chiaramente questa barca non ha preso il suo nome da te» le gridò dietro Tyrion, mentre Lemore si svestiva.
«La Madre e il Padre ci hanno fatti a loro immagine, Hugor. Dovremmo gloriarci nel nostro corpo, perché esso è opera degli dèi.»
“Gli dèi dovevano essere ubriachi, quando si sono occupati del mio” pensò il nano.
Tyrion guardò Lemore scivolare nell’acqua. Quello spettacolo glielo faceva sempre venire duro. C’era un che di meravigliosamente perverso nell’idea di spogliare la septa di quelle caste vesti bianche e poi farle aprire le gambe. “Oltraggio dell’innocenza” pensò… anche se Lemore era molto meno innocente di quanto sembrasse. Sulla pancia aveva delle smagliature che potevano solo essere dovute al parto.
Anche Yandry e Ysilla si erano alzati al sorgere del sole, e ora si occupavano dei lavori di bordo. Di tanto in tanto, mentre controllava il sartiame, Yandry lanciava di nascosto un’occhiata alla septa. La sua piccola moglie nera, Ysilla, pareva non accorgersene. Lei gettava pezzi di legno nel braciere sul ponte di poppa, rimestava con una lama annerita le braci e impastava le focacce per colazione.
Quando Lemore tornò sul ponte, Tyrion si gustò lo spettacolo dell’acqua fra i seni che scorreva sulla serica pelle dorata dalla luce del mattino. Quarant’anni e passa, più attraente che graziosa, ma ancora di bell’aspetto. “A parte l’ubriachezza, non c’è niente di meglio della lascivia” decise il Folletto. Lo faceva sentire vivo.
«Hai visto la tartaruga, Hugor?» chiese la septa, strizzandosi i capelli. «Quella con la grossa cresta?»
Il mattino era il momento migliore per vedere le tartarughe. Durante il resto del giorno nuotavano in profondità o si nascondevano nelle nicchie lungo la riva, ma all’alba venivano in superficie. Alcune si divertivano a nuotare costeggiando il barcone. Tyrion aveva notato almeno una decina di specie diverse: tartarughe grosse e piccole, con il guscio piatto e le orecchie rosse, con il guscio morbido e il becco robusto, tartarughe marroni, verdi, nere, tartarughe con gli artigli e tartarughe con le corna, tartarughe con il guscio crestato e variegato ricoperto di rilievi tinta oro, panna e giada. Alcune erano talmente grosse che avrebbero potuto trasportare un uomo. Yandry giurava che, per attraversare il fiume, i principi rhoynar erano soliti cavalcare delle tartarughe. Lui e sua moglie erano dei sangueverde, due orfani del grande fiume di Dorne tornati a casa da Madre Rhoyne.
«Quella crestata me la sono persa» rispose Tyrion. “Ero troppo intento a guardare una donna nuda.”
«Peggio per te» disse Lemore infilandosi la veste dalla testa. «So che ti svegli presto solo per vedere le tartarughe.»
«Anche per ammirare il sorgere il sole.» Era come guardare una fanciulla che esce nuda dal mare. Alcune potevano essere più belle di altre, ma ognuna era piena di promessa. «Ammetto che le tartarughe hanno il loro fascino. Niente mi delizia come la vista di un bel paio di… gusci ben fatti.»
La septa Lemore rise. Come tutti a bordo della Fanciulla pudica, anche lei aveva i suoi segreti. Che se li tenesse pure. “Non voglio fare amicizia con lei, voglio solo scoparla.” E lei lo sapeva. Quando si mise il cristallo da septa al collo, lo collocò in modo che scendesse in mezzo ai seni, stuzzicando Tyrion con un sorriso.
Yandry levò l’ancora, prese una lunga pertica da sopra il tetto della cabina e spinse il barcone verso il centro del fiume. Due aironi alzarono la testa guardando la Fanciulla pudica allontanarsi dalla riva, fuori nella corrente. Lentamente, il barcone cominciò a scendere verso valle. Yandry andò al timone. Ysilla cuoceva le focacce. Appoggiò sul braciere una padella di ferro, dove abbrustolì della pancetta affumicata. A volte cucinava focacce e pancetta, altre volte pancetta e focacce. Ogni due settimane c’era pesce, ma non quel giorno.
Mentre Ysilla gli girava la schiena, Tyrion arraffò una focaccia dal braciere e scappò via, appena in tempo per evitare un colpo del suo temibile mestolo di legno. Le focacce erano più buone mangiate calde e grondanti di miele e burro. Il profumo della pancetta richiamò ben presto Papero dalla stiva. Ser Rolly annusò il braciere, si beccò un colpo di mestolo da Ysilla e andò a poppa, per la pisciata mattutina.
Tyrion lo raggiunse con andatura ondeggiante. «Ecco uno spettacolo da non perdere» scherzò, mentre entrambi svuotavano la vescica «un nano e un papero che aumentano la potenza della vigorosa Rhoyne.»
Yandry sbuffò per deriderli. «Madre Rhoyne non ha bisogno della vostra acqua, Yollo. È il più grande fiume del mondo.»
Tyrion scrollò le ultime gocce. «Grande abbastanza da annegare un nano, questo è sicuro. Il Mander, però, è altrettanto largo. Anche il Tridente, verso la foce. Il Fiume delle Acque Nere è più profondo.»
«Ancora non conosci Madre Royne. Aspetta e vedrai.»
La pancetta diventò croccante, le focacce assunsero un colore dorato. Griff il Giovane salì barcollando sul ponte e sbadigliò. «Buongiorno a tutti.» Il ragazzo era più basso di Papero, ma il suo fisico allampanato faceva supporre che non avesse ancora finito di crescere. “Questo sbarbatello potrebbe avere qualsiasi fanciulla dei Sette Regni, capelli blu o no. Le farebbe squagliare solo a guardarle.” Come il padre, Griff il Giovane aveva gli occhi azzurri, solo di una sfumatura più scura. Alla luce di una torcia diventavano neri, nel crepuscolo sembravano viola. Le ciglia erano lunghe come quelle di una donna.
«Sento odore di pancetta» disse, infilandosi gli stivali.
«Pancetta buona» confermò Ysilla. «Siediti.»
Servì da mangiare sul ponte di poppa, incalzando Griff il Giovane con focacce al miele e colpendo con il mestolo la mano di Papero ogni volta che cercava di prendere dell’altra pancetta. Tyrion tagliò due focacce per il lungo, le riempì di pancetta e ne andò a portare una a Yandry al timone. Poi aiutò Papero a issare la grande vela latina della Fanciulla pudica. Yandry portò il barcone al centro del fiume, dove la corrente era più forte. La Fanciulla pudica era un buon battello. Aveva un pescaggio talmente basso da poter risalire anche il più piccolo affluente del fiume, superando banchi di sabbia che avrebbero fatto incagliare le barche più grandi. Al tempo stesso, con la vela issata e la corrente giusta, raggiungeva una buona velocità. E questo, sosteneva Yandry, nel tratto superiore della Rhoyne poteva fare la differenza tra la vita e la morte.
«Non c’è legge nelle Anse Dolenti, da migliaia di anni.»
«E nemmeno abitanti, a quanto posso vedere.»
Tyrion aveva scorto lungo le rive delle rovine, tumuli di muratura invasi da rampicanti, muschio e fiori, ma nessun segno di presenza umana.
«Tu non conosci questo fiume, Yollo. In ogni affluente può esserci in agguato un battello pirata e tra i ruderi spesso si nascondono degli schiavi in fuga. Di rado gli schiavisti si spingono così a nord.»
«Gli schiavisti sarebbero un cambiamento gradito rispetto alle tartarughe.» Non essendo uno schiavo in fuga, Tyrion non temeva di essere catturato. E difficilmente i pirati avrebbero dato l’assalto a un barcone che scendeva il fiume. Le mercanzie di valore lo risalivano, provenienti da Volantis.
Terminata la pancetta, Papero diede una manata sulla spalla a Griff il Giovane. «È ora di qualche livido. Oggi propongo spade.»
«Spade?» sogghignò Griff il Giovane. «Benissimo».
Tyrion lo aiutò a prepararsi per il combattimento: brache pesanti, farsetto imbottito e un’ammaccata piastra di vecchio acciaio. Ser Rolly s’infilò la cotta di maglia e cuoio bollito. Entrambi indossarono l’elmo. Dalla cassa delle armi scelsero delle spade lunghe con la punta smussata. Si affrontarono sul ponte di poppa, attaccandosi vigorosamente, mentre il resto della compagnia mattutina guardava.
Battendosi con la mazza o l’ascia lunga smussata, la corporatura e il vigore di ser Rolly avevano facilmente la meglio sul ragazzo a lui affidato. Con la spada, invece, i confronti erano più equilibrati. Quel mattino nessuno dei due aveva preso lo scudo, ed era tutto un vortice di fendenti e parate, avanti e indietro sul ponte. Il fiume risuonava dei clangori dello scontro. Griff il Giovane mise a segno più colpi, ma quelli di Papero erano più potenti. Dopo non molto, il più anziano cominciò a stancarsi. I suoi colpi si fecero più lenti e bassi. Griff li parò tutti, e si lanciò in un attacco furioso che costrinse ser Rolly ad arretrare. Quando arrivarono a ridosso della poppa, il ragazzo bloccò le spade e diede all’altro una spallata. Papero cadde in acqua.
Tornò a galla, sputando e imprecando, urlando che lo ripescassero prima che una spezzaossa gli azzannasse i genitali. Tyrion gli lanciò una fune. «I paperi dovrebbero saper nuotare meglio di così.» Con l’aiuto di Yandry tirò il cavaliere a bordo della Fanciulla pudica.
Ser Rolly afferrò Tyrion per la collottola. «Vediamo allora come nuotano i nani.» E lo gettò a capofitto nella Rhoyne.
Il Folletto smise di ridere. Sapeva nuotare abbastanza da restare a galla, e così fece… finché non gli vennero i crampi alle gambe.
Griff il Giovane gli tese una pertica. «Non sei il primo che prova ad annegarmi» disse a Papero, svuotando uno stivale pieno d’acqua. «Quando venni al mondo, mio padre mi gettò in un pozzo, ma ero talmente brutto che la strega che viveva là dentro mi sputò fuori.» Tyrion si tolse l’altro stivale, poi fece una capriola sul ponte schizzando tutti quanti.
Griff il Giovane scoppiò a ridere. «E questo dove l’hai imparato?»
«Dai guitti» mentì Tyrion. «Mia madre mi amava più di tutti gli altri figli, perché ero così piccolo. Mi nutrì al seno fino a sette anni. Questo rese gelosi i miei fratelli. Allora m’infilarono in un sacco e mi vendettero a una compagnia di guitti. Quando tentai di scappare, il mastro guitto mi tagliò via mezzo naso, per cui non ebbi scelta se non andare con loro e imparare a essere divertente.»
La verità era decisamente diversa. Quando aveva sei o sette anni, suo zio gli aveva insegnato qualche acrobazia. Tyrion si era applicato con entusiasmo. Per sei mesi aveva fatto le sue allegre capriole a Castel Granito, facendo sorridere septon, scudieri e servi. Vedendolo, perfino Cersei un paio di volte aveva sorriso.
Tutto questo era finito bruscamente il giorno in cui il lord suo padre era tornato da Approdo del Re. Quella sera, a cena, il genitore aveva sorpreso Tyrion che camminava sulle mani sul tavolo. Lord Tywin non ne era rimasto compiaciuto. «Gli dèi ti hanno fatto nano. Devi essere anche stolto? Sei nato leone, non scimmia.»
“E adesso tu sei cadavere, padre caro, quindi posso fare tutte le capriole che voglio.”
«Hai il dono di far ridere la gente» disse la septa Lemore, mentre Tyrion si asciugava i piedi. «Dovresti ringraziare il Padre lassù. Egli fa doni a tutti i suoi figli.»
«È vero» convenne il Folletto, in tono gentile. “E quando sarò morto, lasciate per cortesia che mi seppelliscano con una balestra, così potrò ringraziare il Padre lassù come ho ringraziato quello quaggiù.”
Gli abiti ancora fradici per l’involontaria nuotata gli aderivano spiacevolmente alle braccia e alle gambe. Griff il Giovane si allontanò con la septa per essere istruito ai misteri del Credo. Tyrion si cambiò e indossò degli indumenti asciutti. Quando tornò sul ponte, Papero scoppiò in una grassa risata. Non poteva biasimarlo. Vestito com’era, faceva davvero ridere. Il farsetto era diviso a metà: a sinistra, velluto viola con borchie di bronzo, a destra, lana gialla ricamata con disegni floreali. Anche le brache erano divise: la gamba destra era verde, la sinistra a strisce rosse e bianche. Uno dei bauli di Illyrio era pieno di vestiti da bambino, ammuffiti ma comunque di buona fattura. La septa Lemore aveva tagliato in due ogni indumento, poi li aveva ricuciti, mettendo insieme metà di uno e metà dell’altro per confezionare un rozzo abito multicolore da giullare. E Griff aveva insistito perché Tyrion l’aiutasse. La sua intenzione era di schernirlo, ma a Tyrion piaceva cucire. Inoltre Lemore era sempre una compagnia piacevole, nonostante la sua tendenza a rimbrottarlo quando faceva qualche battuta salace sugli dèi. “Se Griff vuole assegnarmi il ruolo di buffone, starò al gioco.” Da qualche parte, ne era certo, lord Tywin Lannister ne inorridiva, e questo pensiero toglieva veleno allo sberleffo.
L’altro suo compito era tutt’altro che di poco conto. “Papero ha la spada, ma io ho la penna d’oca e la pergamena.” Griff gli aveva ordinato di mettere per iscritto tutto quello che sapeva sul folklore dei draghi. Un’ardua impresa, cui il Folletto si dedicava ogni giorno, scrivendo alla bell’e meglio, seduto a gambe incrociate sul tetto della cabina.
Nel corso degli anni, Tyrion aveva letto moltissimo sui draghi. Per lo più, quei resoconti erano storielle cui non si poteva dare credito, e i libri che Illyrio gli aveva fornito non erano quelli che avrebbe desiderato. In realtà lui avrebbe voluto il testo completo dei Fuochi della Fortezza, la storia di Valyria scritta da Galendro. Testo di cui, nel continente occidentale, non esistevano copie integre; anche in quella conservata nella Cittadella mancavano ben ventisette rotoli di pergamena. “Di sicuro, a Vecchia Volantis devono avere una biblioteca. Forse là potrei trovare una copia in buono stato, se riuscissi a trovare il modo di varcare la Muraglia Nera e penetrare nel cuore della città.”
Tyrion aveva meno speranze riguardo al libro di septon Barth, Draghi, idre e viverne: la loro storia innaturale. Barth era figlio di un maniscalco, assurto al rango di Primo Cavaliere del re all’epoca di Jaehaerys il Conciliatore. I suoi nemici sostenevano che fosse stato più uno stregone che un septon. Quando Baelor il Benedetto salì sul Trono di Spade, ordinò che tutti gli scritti di Barth venissero distrutti. Dieci anni prima, Tyrion aveva letto un frammento della Storia innaturale sfuggito a Baelor l’Amato, ma riteneva improbabile che qualche opera di Barth fosse finita al di là del Mare Stretto. E, ovviamente, aveva ancora meno possibilità di mettere le mani sul tomo frammentario, anonimo, intriso di sangue, intitolato a volte Sangue e fuoco e altre volte La morte dei draghi, la cui unica copia esistente si riteneva fosse nascosta in una cripta sigillata sotto la Cittadella.
Quando il Mezzo-maestro comparve sul ponte, sbadigliando, il Folletto stava mettendo per iscritto quello che ricordava sulle abitudini di accoppiamento dei draghi, argomento sul quale Barth, Munkun e Thomax avevano punti di vista decisamente diversi. Haldon andò a poppa a pisciare sui riflessi del sole sull’acqua, che si frangevano a ogni soffio di vento.
«Dovremmo arrivare all’incrocio con la Noyne per sera, Yollo» disse il Mezzo-maestro.
Tyrion alzò gli occhi dalla pergamena. «Mi chiamo Hugor. Yollo è nascosto nelle mie brache. Devo tirarlo fuori per giocarci?»
«Meglio di no, potresti spaventare le tartarughe» replicò Haldon, con un sorriso tagliente come la lama di un pugnale. «Quale mi hai detto che era il nome della strada di Lannisport dove sei nato, Yollo?»
«Era un vicolo. Non aveva nome.» Provava un caustico piacere a inventare i particolari della pittoresca vita di Hugor Hill, conosciuto anche come Yollo, bastardo di Lannisport. “Le menzogne migliori hanno sempre un pizzico di verità.” Il nano sapeva di parlare come un abitante del continente occidentale, di nobili natali, per cui Hugor doveva essere il figlio illegittimo di qualche signorotto. Nato a Lannisport, perché la conosceva meglio di Vecchia Città e di Approdo del Re. E i nani per lo più finivano nelle città, anche quelli partoriti da Madama Bifolca in un campo di rape. Le campagne non avevano fenomeni da baracconi, né spettacoli di guitti… ma di certo non mancavano i pozzi in cui gettare gattini indesiderati, vitelli a tre teste e gli infanti deformi come lui.
«Vedo che hai imbrattato dell’altra buona pergamena, Yollo» rilevò Haldon, allacciandosi le brache.
«Non tutti possono essere dei maestri a metà» ribatté Tyrion. Cominciava ad avere i crampi alla mano. Mise da parte la penna d’oca e fletté le dita tozze. «Ti va un’altra partita a cyvasse?» Il Mezzo-maestro lo batteva sempre, ma era comunque un modo per passare il tempo.
«Stasera ti unisci a noi per la lezione a Griff il Giovane?»
«Perché no? Qualcuno deve pur correggere i tuoi errori.»
Sulla Fanciulla pudica c’erano quattro cabine. Yandry e Ysilla ne occupavano una, Griff e Griff il Giovane un’altra. La septa Lemore aveva una cabina tutta per sé, e così Haldon. La cabina del Mezzo-maestro era la più ampia delle quattro. Una parete era tappezzata di libri e gerle piene di vecchie pergamene. Un’altra era ricoperta da scaffalature con unguenti, erbe medicinali e pozioni. Una luce dorata entrava di sbieco dal vetro giallo ondulato del finestrino rotondo. L’arredo era composto da una cuccetta, uno scrittoio, una sedia, uno sgabello e un tavolo da cyvasse, disseminato di pezzi di legno intagliato.
La lezione cominciò con le lingue. Griff il Giovane parlava la lingua comune come un madrelingua e un ottimo alto valyriano, oltre ai dialetti di Pentos, Tyrosh, Myr e Lys e al gergo dei marinai. Il dialetto di Volantis era ignoto sia a lui sia a Tyrion, perciò ogni giorno imparavano insieme qualche vocabolo, e Haldon correggeva i loro errori. Il meerense era più difficile: aveva una radice valyriana su cui si era innestata la dura e brutta parlata dell’antica Ghis. «Per parlare correttamente il ghiscariano deve andarti un’ape su per il naso» si lamentò Tyrion. Griff il Giovane rise, ma il Mezzo-maestro si limitò a dire: «Ripeti di nuovo». Il ragazzo ubbidì, anche se questa volta roteò gli occhi insieme con gli zzz. “Ha un orecchio migliore del mio” dovette ammettere Tyrion “ma scommetto che la mia lingua è comunque più sciolta.”
Dopo le lingue si passò alla geometria. Qui il ragazzo era meno abile, ma Haldon era un maestro paziente e anche Tyrion riuscì a rendersi utile. Aveva imparato i misteri dei quadrati, dei cerchi e dei triangoli dai maestri di suo padre, a Castel Granito, e se li ricordava meglio di quello che pensava.
Quando passarono alla storia, Griff il Giovane cominciò a essere irrequieto. «Stavamo discutendo della storia di Volantis» disse Haldon. «Sai spiegare a Yollo la differenza fra una tigre e un elefante?»
«Volantis è la più antica delle nove città libere, prima figlia di Valyria» replicò il ragazzo in tono annoiato. «Dopo il Disastro, i volantiani si compiacevano di ritenersi gli eredi dell’antica Fortezza e i legittimi sovrani del mondo, ma erano divisi sul modo migliore di realizzare il dominio. L’antica dinastia preferiva la spada, mentre i mercanti e i prestatori di denaro propendevano per il commercio. Mentre si contendevano il governo della città, le due fazioni divennero note rispettivamente come le tigri e gli elefanti. Le tigri detennero il potere per quasi un secolo dopo il Disastro di Valyria. Per un periodo ebbero successo. Una flotta di Volantis prese Lys e un esercito s’impossessò di Myr, e per due generazioni le tre città furono governate dalla Muraglia Nera. Questa fase terminò quando le tigri cercarono di inghiottire Tyrosh. Pentos entrò in guerra al fianco di Tyrosh, insieme al re della Tempesta del continente occidentale. Braavos fornì a un esule di Lys cento navi da guerra, Aegon Targaryen fuggì dalla Roccia del Drago cavalcando il Terrore Nero, e Myr e Lys si ribellarono. La guerra lasciò devastazione nelle Terre Contese e liberò Lys e Myr dal giogo. Le tigri subirono anche altre sconfitte. La flotta inviata a riconquistare Valyria svanì nel Mare Fumante. Qohor e Norvos persero il controllo sulla Rhoyne quando le cinque galee combatterono sul Lago delle Daghe. Da est arrivarono i dothraki, i quali scacciarono i contadini dalle loro capanne e i nobili dalle loro tenute, finché non rimasero altro che erbacce e rovine, dalla Foresta di Qohor fino alle sorgenti del Selhoru. Dopo un secolo di guerra, Volantis si ritrovò a pezzi, in rovina e spopolata. Fu allora che gli elefanti consolidarono il loro dominio e continuano a mantenerlo. Certi anni le tigri riescono a eleggere un triarca, mai però più di uno, per cui gli elefanti governano la città da trecento anni.»
«Proprio così» commentò Haldon. «E i triarchi attuali?»
«Malaquo è una tigre, Nyessos e Doniphos sono elefanti.»
«E quale lezione possiamo trarre dalla storia di Volantis?»
«Per conquistare il mondo, è meglio avere dei draghi.»
Tyrion non poté fare a meno di ridere.
Più tardi, quando Griff il Giovane salì sul ponte per aiutare Yandry con le vele e le pertiche, Haldon preparò il tavolo per la loro consueta partita di cyvasse.
Tyrion rimase a guardare con i suoi occhi di colore diverso e disse: «Il ragazzo è intelligente. Gli avete insegnato bene. Metà dei lord del continente occidentale non sono altrettanto istruiti, triste a dirsi. Lingue, storia, canti, calcoli… una mistura inebriante per il figlio di un mercenario».
«Un libro può essere pericoloso quanto una spada, nelle mani giuste» rispose Haldon. «Cerca di darmi più filo da torcere questa volta, Yollo. Giochi a cyvasse altrettanto male di come ruzzoli.»
«Voglio darti un falso senso di fiducia» disse Tyrion, mentre sistemavano le tessere ai lati del divisorio di legno intagliato. «Tu credi di dovermi insegnare a giocare, ma non sempre le cose sono come appaiono. Forse ho imparato a giocare dal signore dei formaggi, ci hai mai pensato?»
«Illyrio non gioca a cyvasse.»
“No” pensò il Folletto “lui gioca al gioco del trono, e tu, Griff e Papero siete soltanto delle pedine che lui muove come vuole, pronte a essere sacrificate in caso di bisogno, così come ha sacrificato Viserys.” «Allora sei tu da biasimare. Se gioco male, è tutta colpa tua.»
Il Mezzo-maestro ridacchiò. «Yollo, sentirò la tua mancanza, quando i pirati ti avranno tagliato la gola.»
«Dove sono questi famosi pirati? Sto cominciando a pensare che tu e Illyrio ve li siate inventati.»
«Sono più che altro nel tratto di fiume tra Ar Noy e le Anse Dolenti. Prima delle rovine di Ar Noy, il fiume è dominato dai qohorik, ma oltre le Anse Dolenti sono le galee di Volantis a controllare la zona, ma nessuna delle due città avanza pretese sulle acque nel mezzo, così i pirati le hanno fatte proprie. Il Lago delle Daghe è pieno di isole dove si nascondono in grotte e fortezze segrete. Sei pronto?»
«Per te? Di certo. Per i pirati? Un po’ meno.»
Haldon tolse il divisorio. Ciascuno contemplò lo schieramento d’apertura dell’altro.
«Stai migliorando» ammise il Mezzo-maestro.
Tyrion fece per spostare il suo drago, ma ci ripensò. Nell’ultima partita l’aveva tirato fuori troppo presto e l’aveva perso, mangiato da un trabocco. «Se davvero dovessimo incontrare i mitici pirati, potrei unirmi a loro. Dirò che mi chiamo Hugor Mezzo-maestro.» Mosse il cavallo leggero verso le montagne di Haldon.
Questi rispose spostando un elefante. «Hugor Mezzo-cervello ti si adatterebbe meglio.»
«Mi basta mezzo cervello per essere tuo degno avversario.» Tyrion mosse il cavallo pesante per difendere quello leggero. «Ti andrebbe di scommettere qualcosa?»
Il Mezzo-maestro inarcò un sopracciglio. «Quanto?»
«Non ho conio. Come posta metteremo i segreti.»
«Griff mi taglierebbe la lingua.»
«Hai paura, vero? Anch’io, al posto tuo.»
«Il giorno in cui riuscirai a battermi a cyvasse, le tartarughe mi strisceranno fuori dal culo.» Il Mezzo-maestro mosse i suoi lancieri. «Scommessa accettata, piccolo uomo.»
Tyrion tese la mano verso il suo drago.
Tre ore dopo il piccolo uomo tornò finalmente sul ponte per svuotare la vescica. Papero aiutava Yandry ad ammainare la vela, mentre Ysilla reggeva il timone. Il sole era basso sui canneti lungo la riva occidentale e il vento stava cominciando a soffiare più forte. “Ho bisogno di quell’otre di vino” pensò il Folletto. Aveva i crampi alle gambe per essere rimasto a lungo appollaiato sullo sgabello e si sentiva così stordito che fu fortunato a non cadere nel fiume.
«Yollo» lo chiamò Papero. «Dov’è Haldon?»
«È andato a letto, un po’ a disagio. Ha le tartarughe che gli strisciano fuori dal culo.»
Lasciò al cavaliere le sue conclusioni e salì la scaletta che portava sul tetto della cabina. A oriente, le tenebre si addensavano dietro un’isola rocciosa.
La septa Lemore lo trovò sul tetto. «Senti la tempesta nell’aria, Hugor Hill? Davanti a noi c’è il Lago delle Daghe, dove si aggirano i pirati. E più in là ci sono le Anse Dolenti.»
“Non le mie, però. Quelle me le porto sempre appresso, ovunque vado.” Pensò a Tysha, e ancora una volta si chiese dove vanno le puttane. “Perché non a Volantis? Forse la troverò là. Un uomo deve mantenere viva la speranza.” Si domandò che cosa le avrebbe detto. “Mi dispiace aver lasciato che ti stuprassero, tesoro. Pensavo che tu fossi una puttana. Puoi trovare in cuor tuo la forza di perdonarmi? Voglio tornare nella nostra casetta, come quando eravamo marito e moglie.”
L’isola finì alle loro spalle. Tyrion vide altre rovine lungo la riva orientale: mura sghembe e torri crollate, cupole distrutte e colonne di legno imputridito, strade soffocate dal fango e invase dal muschio violaceo. “Un’altra città morta, dieci volte più grande di Ghoyan Drohe.” Adesso lì vivevano solo le tartarughe, grosse spezzaossa. Il Folletto le vedeva crogiolarsi al sole, tumuli bruni e neri con la cresta frastagliata in mezzo al guscio. Alcune videro la Fanciulla pudica e scivolarono nell’acqua, lasciandosi dietro una sottile increspatura. No, quello non sarebbe stato un buon posto dove farsi una nuotata.
Poi, fra i contorti alberi semisommersi e le ampie vie bagnate, scorse l’argenteo riflesso del sole sull’acqua. “Un altro fiume” capì all’improvviso “che si riversa nella Rhoyne.” Le rovine diventarono più alte con il restringersi del terreno: la città in rovina terminò con una lingua di terra dove si trovavano i resti di un enorme palazzo di marmo rosa e verde. Grandi cupole crollate e guglie mozzate si profilavano su una fila di volte coperte. Tyrion vide altre spezzaossa addormentate, là dove un tempo si sarebbero potute ormeggiare centinaia di navi. Capì allora dove si trovava. “Deve essere il palazzo di Nymeria, e questo è tutto ciò che resta della sua citta, Ny Sar.”
«Yollo» gridò Yandry, mentre la Fanciulla pudica superava il palazzo «parlami ancora di quei fiumi dell’Occidente grandi come Madre Rhoyne.»
«Non ne avevo idea» rispose il nano. «Nei Sette Regni non ci sono fiumi larghi neanche la metà di questo.»
Il nuovo fiume era molto simile a quello che stavano navigando. L’affluente da solo avrebbe quasi uguagliato il Mander o il Tridente.
«Quella è Ny Sar, dove la Madre si unisce alla Figlia selvaggia, la Noyne» disse Yandry. «Ma non raggiungerà il massimo dell’ampiezza finché non incontrerà le altre figlie. Al Lago delle Daghe si congiunge la Qhoyne, la Figlia oscura, piena d’oro e d’ambra dell’Ascia e di pigne della Foresta di Qohor. Più a sud, la Madre incontra la Lhorulu, la Figlia sorridente, che arriva dai Campi Dorati. Nel punto di confluenza, un tempo c’era Chroyane, la città delle feste, con vie fatte d’acqua e case d’oro. Poi la Rhoyne prosegue di nuovo per molte leghe a sud e a est, finché non vi affluisce la lenta Selhoru, la Figlia schiva, che nasconde il proprio corso fra canneti e meandri. Lì, Madre Rhoyne diventa talmente ampia che stando su una barca al centro del fiume non si riescono a scorgere le rive. Vedrai, mio piccolo amico.»
“Non ho dubbi” stava pensando il Folletto, quando notò un’increspatura a neanche sei iarde dal barcone. Stava per indicarla a Lemore, quando venne a galla un animale, provocando uno spostamento d’acqua che fece rollare vistosamente la Fanciulla pudica.
Era un’altra tartaruga, un’enorme tartaruga cornuta, con il guscio verde scuro chiazzato di marrone, invaso da muschio e incrostato di neri molluschi fluviali. Alzò la testa e mugghiò: un tamburellante rombo di gola, più forte di qualsiasi corno da guerra Tyrion avesse mai udito.
«Gli dèi sono misericordiosi» gridò forte Ysilla, con il viso rigato di lacrime. «Gli dèi sono misericordiosi.»
Anche Papero stava urlando, e così Griff il Giovane. Haldon uscì sul ponte per scoprire la causa di tutto quel frastuono… ma troppo tardi. La gigantesca tartaruga era scomparsa sotto il pelo dell’acqua.
«Perché tutto questo baccano?» chiese il Mezzo-maestro.
«Per una tartaruga» rispose Tyrion. «Una tartaruga più grande di questo barcone.»
«Era lui» gridò Yandry. «Il Vecchio del Fiume.»
“E perché no?” sogghignò Tyrion. “Dèi e portenti compaiono sempre a presenziare la nascita dei re.”