Asha Greyjoy sedeva nella lunga sala di Galbart Glover, bevendo il vino di Galbart Glover, quando il maestro di Galbart Glover le portò la lettera.
«Milady» la voce del maestro era ansiosa, come succedeva ogni volta che si rivolgeva a lei. «Un corvo messaggero da Barrowton.» Le tese la pergamena come se non vedesse l’ora di liberarsene. Era strettamente arrotolata e sigillata con una goccia di ceralacca rosa.
“Barrowton” pensò Asha. Cercò di ricordare chi ci governava. “Qualche lord del Nord, non mio amico.” E quel sigillo… i Bolton di Forte Terrore andavano in battaglia sotto stendardi rosa schizzati di piccole gocce di sangue. C’era solo da capire perché avrebbero dovuto usare della ceralacca rosa anche per i sigilli.
“Quello che ho in mano è veleno” pensò. “Dovrei bruciarlo.” Invece ruppe il sigillo. Un pezzo di pelle le volò in grembo. Quando lesse quelle asciutte parole marroni, il suo umore diventò ancora più nero. “Ali oscure, oscure parole.” I corvi non portavano mai notizie allegre. L’ultimo messaggio arrivato a Deepwood Motte era stato di Stannis Baratheon: una richiesta di vassallaggio. Questo era peggio ancora. «Gli uomini del Nord hanno preso il Moat Cailin.»
«Il Bastardo di Bolton?» chiese Qarl, seduto al suo fianco.
«Ramsay Bolton, qui si firma lord di Grande Inverno. Ma ci sono anche altri nomi.» Lady Dustin, lady Cerwyn e quattro Ryswell avevano apposto la loro segnatura sotto quella di Bolton. C’era poi il disegno di un rozzo gigante, simbolo di qualche Umber.
Le firme erano vergate con dell’inchiostro di maestro, ricavato da fuliggine e catrame di carbonella, ma il messaggio sovrastante era scarabocchiato in marrone, con caratteri larghi e spigolosi. Parlava della caduta del Moat Cailin, del trionfante ritorno del Protettore del Nord nei suoi domini, di un matrimonio che sarebbe avvenuto presto. Le prime parole erano: “Scrivo questa lettera con il sangue degli uomini di ferro”. Le ultime: “Mando a ciascuno di voi un pezzo del principe. Restate nelle mie terre e farete la stessa fine”.
Asha credeva che il suo fratellino Theon fosse morto. “Meglio morto che così.” Asha raccolse il brandello di pelle umana che le era caduto in grembo, lo accostò alla candela, guardò il fumo arricciarsi. Lo lasciò bruciare finché anche l’ultimo frammento si consumò e la fiamma non le lambì le dita.
Il maestro di Galbart Glover rimase in attesa accanto a lei.
«Non c’è risposta» lo informò Asha.
«Posso condividere le notizie con lady Sybelle?»
«Se così ti compiace.» Non sarebbe stata in grado di dire se Sybelle Glover avrebbe provato gioia per la caduta del Moat Cailin. Lady Sybelle viveva praticamente nel parco degli dèi, pregando per i suoi figli e per il ritorno del marito. “Altre preghiere che probabilmente rimarranno senza risposta. Il suo albero del cuore è sordo e cieco come il nostro Dio Abissale.”
Robett Glover e suo fratello Galbart erano andati a sud con il Giovane Lupo. Se anche solo la metà delle storie che avevano sentito sulle Nozze Rosse erano vere, c’erano poche possibilità che tornasse a nord. “I suoi figli almeno sono vivi, grazie a me.” Asha li aveva lasciati alle Dieci Torri, affidati alle sue zie. La figlia infante di lady Sybelle era ancora al seno, e l’aveva ritenuta troppo delicata per esporla ai rigori di un’altra traversata tempestosa.
Spinse la lettera in mano al maestro. «Prendila. Lascia che lei trovi qualche conforto qui, se ci riesce. Hai il mio permesso di ritirarti.»
Il maestro chinò la testa e se ne andò. Dopo che si fu allontanato, Tris Botley si rivolse ad Asha. «Se il Moat Cailin è caduto, Piazza di Torrhen seguirà presto. Poi sarà il nostro turno.»
«Non ancora, per un po’. Mascella Spaccata li farà sanguinare.»
Piazza di Torrhen non era una rovina come il Moat Cailin, e Dagmar era un uomo di ferro fino al midollo. Sarebbe morto piuttosto che arrendersi.
“Se mio padre fosse stato ancora vivo, il Moat Cailin non sarebbe mai caduto.” Balon Greyjoy sapeva che il Moat era la chiave per difendere il Nord. Anche Euron lo sapeva, ma semplicemente se ne fregava. Così come non si curava di quanto sarebbe accaduto a Deepwood Motte o a Piazza di Torrhen. «A Euron non interessano le conquiste di Balon. Mio zio è lontano, a caccia di draghi.» Occhio di Corvo aveva radunato tutte le forze delle Isole di Ferro a Vecchia Wyk ed era salpato verso il vasto Mare del Tramonto, con suo fratello Victarion che lo seguiva come un cane bastonato. A Pyke non era rimasto nessuno cui fare appello, a parte il suo stesso lord marito. «Siamo soli.»
«Dagmar li schiaccerà» insisté Cromm, che non aveva mai amato nessuna donna metà di quanto amava una battaglia. «Sono solo lupi.»
«I lupi sono stati uccisi tutti» disse Asha tormentando con l’unghia del pollice la ceralacca rosa. «Questi sono gli scuoiatori che li hanno trucidati.»
«Dovremmo andare a Piazza di Torrhen e unirci alla lotta» propose Quenton Greyjoy, un suo lontano cugino e capitano della Ragazza mordace.
«Aye» concordò Dagon Greyjoy, un suo cugino ancora più lontano. Gli uomini lo chiamavano Dagon l’Ubriacone. Ma ubriaco o sobrio, amava combattere. «Perché Mascella Spaccata dovrebbe avere tutta la gloria per sé?»
Due servitori di Galbart Glover portarono l’arrosto, ma quel brandello di pelle aveva fatto passare l’appetito ad Asha. “I miei uomini hanno abbandonato ogni speranza di vittoria” capì tristemente. “Ora tutto ciò che cercano è una buona morte.” I lupi li avrebbero accontentati, non aveva dubbi. “Prima o poi verranno a riprendersi questo castello.”
Quando lasciò la sala di Galbart Glover, prese con sé la lettera.
Il sole stava calando dietro gli alti pini della Foresta del Lupo mentre Asha saliva gli scalini di legno per andare nella camera da letto che un tempo era stata di Galbart Glover. Aveva bevuto troppo e si sentiva la testa martellare. Asha Greyjoy voleva bene ai suoi uomini, sia ai capitani sia agli equipaggi, ma metà di loro erano degli stupidi. “Stupidi coraggiosi, ma comunque stupidi. Andare da Mascella Spaccata, certo, come se fosse facile…”
Fra Deepwood e Dagmar c’erano molte leghe di distanza, aspre montagne, fitti boschi, fiumi impetuosi e più uomini del Nord di quelli che lei aveva voglia di contare. Asha disponeva di quattro navi lunghe e neppure duecento uomini… compreso Tristifer Botley, sul quale non poteva fare affidamento. Con tutti i suoi discorsi d’amore, non riusciva a immaginare Tris che si precipitava a Piazza di Torrhen per morire al fianco di Dagmar Mascella Spaccata.
Qarl la seguì nella camera da letto di Galbart Glover. «Esci» gli disse. «Voglio stare da sola.»
«No, tu vuoi stare con me.» Cercò di baciarla.
Asha lo respinse. «Toccami di nuovo e…»
«E che cosa?» Qarl estrasse il pugnale. «Spogliati, ragazza.»
«Fottiti, cane imberbe.»
«Preferisco fottere te.» Un rapido fendente le slacciò il farsetto. Asha prese l’ascia, ma Qarl lasciò cadere il pugnale, le afferrò il polso e glielo torse dietro la schiena fino a farle cadere l’arma dalle dita. La spinse indietro, sul letto di Glover, la baciò con violenza e le strappò la veste facendo sbottare fuori i seni. Quando lei cercò di dargli un calcio all’inguine, Qarl si scansò e con le ginocchia la costrinse ad allargare le gambe. «Io ti prendo ora.»
«Provaci» sputò lei «e ti sgozzo mentre dormi.»
Asha era bagnata fradicia quando lui la penetrò. «Maledetto» gli disse. «Maledetto maledetto maledetto.» Qarl le succhiò i capezzoli finché lei non si mise a piangere, metà di dolore, metà di piacere. La sua fica diventò il mondo. Lei dimenticò il Moat Cailin, Ramsay Bolton e il piccolo pezzo di pelle umana scritto con il sangue, dimenticò l’acclamazione di re, il suo fallimento, l’esilio, i nemici e suo marito. Contavano solo le mani di Qarl, la sua bocca, le sue braccia intorno a lei, il suo cazzo dentro di lei. Qarl la scopò fino a farla gridare e poi di nuovo fino a farla piangere, prima di spargerle infine il seme nel ventre.
«Sono maritata» gli ricordò lei dopo. «Mi hai saccheggiato, cane imberbe. Il lord mio marito ti taglierà le palle e ti vestirà da donna.»
Qarl rotolò di lato. «Solo se riuscirà a lasciare lo scranno.»
La stanza era fredda. Asha si alzò dal letto di Galbart Glover e si tolse gli abiti strappati. Per il farsetto sarebbero bastati dei lacci nuovi, ma la tunica era rovinata. “Tanto non mi è mai piaciuta.” La gettò nelle fiamme. Il resto lo lasciò in un mucchio vicino al letto. Le facevano male i seni, e il seme di Qarl le colava sulla coscia. Avrebbe dovuto prepararsi un po’ di tè della luna o rischiare di mettere al mondo un’altra piovra. “Che importa? Mio padre è morto, mia madre sta morendo, mio fratello lo stanno scuoiando e io non posso fare niente per loro. Sono maritata e portata a letto… ma non dallo stesso uomo.”
Quando s’infilò di nuovo sotto le pellicce, Qarl si era addormentato.
«Ora la tua vita è mia. Dove ho messo il pugnale?» Si strinse contro la schiena di lui e lo circondò con le braccia. Nelle isole era conosciuto come Qarl la Fanciulla, in parte per distinguerlo da Qarl il Pastore, Qarl Kenning il Bizzarro, Qarl Ascia-veloce e Qarl lo Schiavo, ma soprattutto per le sue guance lisce. La prima volta che Asha l’aveva incontrato, Qarl stava cercando di farsi crescere la barba. “Peluria di pesca” l’aveva definita lei, ridendo. Qarl aveva confessato di non avere mai visto una pesca, così lei gli aveva proposto di accompagnarla nel suo prossimo viaggio a sud.
Allora era ancora estate, Robert Baratheon sedeva sul Trono di Spade, Balon Greyjoy rimuginava sul Trono del Mare e i Sette Regni erano in pace. Asha veleggiava sulla Vento nero lungo costa e commerciava. Fecero scalo a Isola Bella e a Lannisport e in una ventina di porti più piccoli prima di raggiungere Arbor, dove le pesche erano sempre grosse e dolci. «Vedi» gli aveva detto, la prima volta che aveva avvicinato una pesca alla guancia di Qarl. Quando gli aveva fatto dare un morso, il succo gli era colato sul mento e lei l’aveva baciato tutto per pulirlo.
Avevano trascorso la notte a mangiare pesche e a divorarsi a vicenda, e il giorno dopo Asha era sazia e appiccicosa, e felice come mai prima. “È stato sei o sette anni fa?” L’estate era un ricordo che sbiadiva ed erano passati tre anni dall’ultima volta che aveva gustato una pesca. Però si godeva ancora Qarl. Capitani e re potevano anche non desiderarla, ma lui sì.
Asha aveva avuto altri amanti: alcuni avevano diviso il letto con lei per metà anno, altri per metà notte. Qarl le piaceva più di tutti gli altri messi insieme. Poteva anche radersi una volta ogni quindici giorni, ma una barba ispida non fa l’uomo. Le piaceva la sensazione della sua pelle morbida sotto le dita. Le piaceva il modo in cui i suoi capelli lunghi e lisci sfioravano le spalle. Le piaceva come baciava. Le piaceva come sogghignava quando lei gli passava i pollici sui capezzoli. I peli fra le sue gambe erano del colore della sabbia, più scuri dei capelli, ma sottili come lanugine a confronto del ruvido cespuglio nero che lei aveva intorno al sesso. Le piaceva anche quello. Lui aveva un corpo da nuotatore, lungo e flessuoso, senza cicatrici.
“Un sorriso dolce, braccia forti, dita abili e due spade sicure. Che cosa può desiderare di più una donna?” L’avrebbe sposato volentieri, ma era la figlia di lord Balon e lui un uomo del popolo, nipote di uno schiavo. “Di rango troppo basso perché io lo sposi, ma non troppo basso perché non debba succhiargli il cazzo.” Ebbra, sorridente, strisciò sotto le pellicce e glielo prese in bocca. Qarl si agitò nel sonno e, dopo un momento, cominciò a indurirsi. Quando fu di nuovo duro, lui era sveglio e lei bagnata.
Si drappeggiò le pellicce sulle spalle nude e montò sopra di lui, tirandolo dentro di sé così a fondo da non poter dire chi aveva il cazzo e chi la fica. Quella volta raggiunsero insieme l’orgasmo.
«Mia dolce lady» mormorò lui dopo, con voce ancora assonnata. «Mia dolce regina.»
“No” pensò Asha “non sono una regina, non lo sarò mai.” «Torna a dormire.»
Lo baciò sulla guancia, attraversò scalza la camera da letto di Galbart Glover e spalancò gli scuri. La luna era quasi piena. Era una notte così serena che si vedevano le montagne, i picchi coronati di neve. “Fredda, desolata e inospitale, ma bellissima nel chiaro di luna.” Le loro vette scintillavano pallide e frastagliate come una fila di denti acuminati. Le alture pedemontane e le cime più basse si perdevano nell’oscurità.
Il mare era più vicino, solo cinque leghe a nord, ma Asha non lo poteva vedere. Troppe alture si frapponevano. “E alberi, tanti alberi.” Foresta del Lupo era il nome che gli uomini del Nord davano al bosco. La maggior parte delle notti lei poteva sentire i lupi che si lanciavano richiami nel buio. “Un oceano di foglie. Magari fosse un oceano di acqua.”
Deepwood Motte era più vicino al mare di Grande Inverno, ma per i suoi gusti rimaneva sempre troppo lontano. L’aria odorava di pini anziché di salmastro. A nordest di quelle sinistre montagne nere c’era la Barriera, dove Stannis Baratheon aveva issato il suo vessillo. “Il nemico del mio nemico è mio amico” si diceva, ma l’altra faccia di quella medaglia era: “Il nemico del mio amico è mio nemico”. Gli uomini di ferro erano i nemici dei lord del Nord, di cui quest’ultimo pretendente Baratheon aveva disperato bisogno. “Potrei offrirgli il mio corpo giovane e bello” pensò Asha, togliendosi una ciocca di capelli dagli occhi. Ma Stannis era sposato, e lei anche. Inoltre Stannis e gli uomini di ferro erano nemici antichi. Durante la prima ribellione di suo padre, Stannis aveva schiacciato la Flotta di Ferro al largo di Isola Bella e aveva sottomesso Grande Wyk in nome del fratello.
Le mura possenti di Deepwood Motte racchiudevano un’ampia collina tondeggiante dalla cima piatta, incoronata da una lunga sala cavernosa, con una torre di guardia alta cinquanta piedi. Sotto la collina c’era la corte intermedia, con le stalle, i recinti dei cavalli, la fucina, il pozzo e il recinto per le pecore, difesa da un profondo fossato, un ripido terrapieno e una palizzata. Le difese esterne formavano un ovale, seguendo i contorni del terreno. C’erano due portoni, ciascuno protetto da due torri di legno squadrate, e camminamenti lungo il perimetro. Sulla palizzata del lato sud del castello, il muschio cresceva folto, strisciando fino a metà delle torri. A est e a ovest si aprivano prati brulli. Quando Asha aveva preso il castello, erano coltivati ad avena e orzo, ma durante l’attacco erano stati calpestati. Una serie di rigide brinate aveva ucciso le messi piantate successivamente, lasciando solo fango, cenere e steli marciti.
Era un castello vecchio, ma non solido. Asha l’aveva preso ai Glover, e il Bastardo di Bolton l’avrebbe preso a lei. Il Bastardo però non sarebbe riuscito a scuoiarla. Asha Greyjoy non aveva intenzione di farsi prendere viva. Sarebbe morta come era vissuta, con un’ascia in pugno e una risata sulle labbra.
Per conquistare Deepwood Motte, il lord suo padre le aveva dato trenta navi lunghe. Gliene restavano quattro, contando anche la sua Vento nero, e una di esse apparteneva a Tris Botley, che si era unito a lei quando gli altri suoi uomini erano fuggiti. “No. Questo è ingiusto. Non sono fuggiti: hanno fatto vela per tornare in patria e rendere omaggio al loro re. Quella che è fuggita sono io.” Ancora se ne vergognava.
«Va’» l’aveva incitata il Lettore, mentre i capitani portavano suo zio Euron ai piedi della Collina di Nagga perché si mettesse in capo la corona di legno levigato dal mare.
«Disse il corvo alla cornacchia: “Vieni, ho bisogno di te per far ribellare gli uomini di Harlaw”.» A quel tempo, Asha intendeva combattere.
«Gli uomini di Harlaw sono qui. Quelli che contano. Alcuni invocano il nome di Euron. Non metterò Harlaw contro Harlaw.»
«Euron è pazzo. E pericoloso. Quel suo corno infernale…»
«L’ho sentito. Va’, Asha. Una volta incoronato, Euron ti cercherà. Non devi lasciare che il suo occhio cada su di te.»
«Se sto con gli altri miei zii…»
«… morirai in esilio, con tutte le mani levate contro di te. Quando ti sei fatta avanti per il trono, ti sei esposta al giudizio dei capitani. Ora non puoi andare contro quel giudizio. Solo una volta la scelta dell’acclamazione di re è stata ignorata. Leggi Haereg.»
Solo Rodrik il Lettore poteva parlare di un libro antico mentre la loro vita era in bilico sul filo di una spada. «Se tu resti, resto anch’io» gli aveva detto Asha, cocciuta.
«Non essere sciocca. Stasera, Euron mostra al mondo il suo occhio sorridente. Ma domani… Asha, tu sei la figlia di Balon e la tua pretesa è più valida della sua. Finché respiri, per lui sei un pericolo. Se resti, verrai uccisa, o data in moglie al Rematore Rosso. Non so che cosa sarebbe peggio. Adesso, va’. Non avrai un’altra occasione.»
Asha aveva ormeggiato la Vento nero sul lato più lontano dell’isola, proprio per una simile eventualità. Vecchia Wyk non era un’isola grande. Asha poteva tornare a bordo prima del sorgere del sole e mettersi in viaggio per Harlaw prima che Euron notasse la sua assenza. Tuttavia aveva esitato, finché suo zio non aveva detto: «Vattene per amore mio, bambina. Non farmi assistere alla tua morte».
Allora era partita. Prima era passata a Dieci Torri, a dire addio a sua madre. «Potrà trascorrere molto tempo prima che io ritorni» l’aveva avvertita Asha. Lady Alannys non aveva capito. «Dov’è Theon?» aveva chiesto. «Dov’è il mio piccino?» Lady Gwynesse voleva solo sapere quando sarebbe tornato lord Rodrik. «Ho sette anni più di lui. Dieci Torri dovrebbe essere mia.»
Asha era ancora a Dieci Torri a fare provviste, quando le era giunta notizia del suo matrimonio. «La mia nipote testarda ha bisogno di essere domata» correva voce che Occhio di Corvo avesse detto «e io conosco l’uomo adatto.» L’aveva data in moglie a Erik il Fabbro, incaricando lo stesso Distruttore di Incudini di governare le Isole di Ferro mentre lui andava a caccia di draghi. Ai suoi tempi, Erik era stato un grande uomo, un intrepido predone che poteva vantarsi di aver navigato con il nonno del nonno di Asha, quello stesso Dagon Greyjoy da cui Dagon l’Ubriacone aveva preso il nome. Le vecchie di Isola Bella ancora spaventavano i nipotini con le storie di lord Dagon e dei suoi uomini. “Ho ferito l’orgoglio di Erik all’acclamazione di re” rifletté Asha. “Non è tipo da dimenticarlo.”
Eppure, doveva riconoscere a suo zio quanto gli era dovuto. Con un colpo solo, Euron aveva tramutato un rivale in un sostenitore, messo al sicuro le isole durante la sua assenza e tolto di mezzo la minaccia rappresentata da Asha. “E si è anche spanciato dalle risate.” Tris Botley aveva detto che Occhio di Corvo aveva usato una foca al posto di Asha durante le nozze. «Mi auguro che Erik non abbia insistito per consumare il matrimonio» aveva risposto lei.
“Non posso andare a casa” pensò “ma non oso trattenermi ancora qui.” La quiete della foresta la innervosiva. Asha aveva passato la vita sulle isole e a bordo di navi. Il mare non era mai silenzioso. Lei aveva nel sangue il rumore delle onde contro gli scogli, ma a Deepwood Motte non c’erano onde… solo alberi, alberi infiniti, pini-soldato e alberi-sentinella, faggi, frassini e querce antiche, castagni, carpini e abeti. Il loro rumore era più delicato di quello del mare e Asha lo sentiva solo quando soffiava il vento. Un mormorio che pareva giungere da tutte le parti intorno a lei, come se gli alberi bisbigliassero in una lingua a lei incomprensibile.
Quella notte, il mormorio pareva più forte del solito. “Un trambusto di morte foglie marroni” pensò Asha. “Rami spogli che scricchiolano nel vento.” Voltò le spalle alla finestra, alla foresta. “Ho bisogno di sentire di nuovo una tolda sotto i piedi. O altrimenti di un po’ di cibo nello stomaco.” Quella sera aveva mandato giù troppo vino, ma troppo poco pane e neanche un boccone di quel grande arrosto al sangue.
Il chiarore della luna era abbastanza vivido da permetterle di trovare i suoi vestiti. Indossò un paio di spesse brache nere, una tunica imbottita e un farsetto di pelle verde con lamine d’acciaio parzialmente sovrapposte. Lasciando Qarl ai suoi sogni, scese la scala esterna del mastio, i gradini scricchiolavano sotto i piedi scalzi. Un uomo di sentinella sui bastioni la vide scendere e alzò la lancia. Asha gli rispose con un fischio. Mentre attraversava la corte interna per recarsi nelle cucine, i cani di Galbart Glover si misero ad abbaiare. “Meglio” pensò Asha. “Almeno coprono il rumore degli alberi.”
Stava tagliando un pezzo di formaggio giallo da una forma grande come una ruota di carro, quando Tris Botley entrò nella cucina, avvolto in un mantello di folta pelliccia.
«Mia regina» la salutò.
«Non prendermi in giro.»
«Regnerai sempre sul mio cuore. Nessun coro di stupide grida in un’acclamazione di re può cambiare la realtà.»
“Che cosa devo fare con questo bamboccio?” Asha non dubitava della sua devozione. Non solo era stato il suo campione sulla Collina di Nagga e gridato il suo nome, ma aveva anche attraversato il mare per unirsi a lei, abbandonando il re, i suoi consanguinei e la sua casa. “Ma non ha osato sfidare Euron faccia a faccia.” Quando Occhio di Corvo aveva riportato la Flotta di Ferro in mare, Tris si era limitato a restare indietro, cambiando andatura solo quando le altre navi sparivano dalla vista. Anche quello però richiedeva un certo coraggio. Neppure lui sarebbe mai potuto tornare alle isole.
«Formaggio?» gli chiese Asha. «C’è anche prosciutto, e senape.»
«Non è cibo che voglio, milady. Lo sai.» A Deepwood Motte Tris si era fatto crescere una folta barba castana. Sosteneva che gli tenesse la faccia al caldo. «Ti ho visto dalla torre di guardia.»
«Se sei di guardia, che cosa ci fai qui?»
«Lassù c’è Cromm. E anche Hagen del Corno. Di quanti occhi abbiamo bisogno per guardare le foglie stormire al chiaro di luna? Dobbiamo parlare.»
«Di nuovo?» sospirò Asha. «Conosci la figlia di Hagen, quella con i capelli rossi. Regge il timone di una nave come un uomo, e di viso non è certo brutta. Ha diciassette anni e l’ho vista che ti guardava.»
«Non voglio la figlia di Hagen.» Mosse la mano per toccarla, poi ci ripensò. «Asha, è ora di partire. Il Moat Cailin era l’unica cosa che tratteneva ancora la marea. Se restiamo qui, gli uomini del Nord ci uccideranno tutti, lo sai.»
«Vorresti che fuggissi?»
«Vorrei che tu continuassi a vivere. Ti amo.»
“No” pensò lei “tu ami una fanciulla innocente che vive solo nella tua testa, una bambina spaventata che ha bisogno della tua protezione.” «Io invece non ti amo» replicò aspramente Asha «e non scappo.»
«A parte i pini, il fango e i nemici, che cosa c’è che ti trattiene qui con tanta forza? Abbiamo le nostre navi. Salpa con me, e ci faremo una nuova vita in mare.»
«Come pirati?» L’idea era quasi allettante. “Lascia ai lupi le loro buie foreste e riprendi il mare aperto.”
«Come mercanti» insisté Tris. «Andremo a est, la stessa rotta di Occhio di Corvo, ma torneremo con sete e spezie al posto di un corno di drago. Un solo viaggio nel Mare di Giada e saremo ricchi come dèi. Potremo avere una casa a Vecchia Città, o in una delle città libere.»
«Tu, io e Qarl?» Al nome di Qarl, lo vide trasalire. «Alla figlia di Hagen potrebbe piacere l’idea di salpare con te per il Mare di Giada. Io sono ancora la figlia della piovra. Il mio posto è…»
«… dove? Non puoi tornare alle isole. A meno di sottometterti al lord tuo marito.»
Asha cercò d’immaginarsi a letto con Erik il Fabbro, schiacciata sotto il suo peso, a patire i suoi abbracci. “Meglio lui che il Rematore Rosso o Lucas Codd il Mancino.” Un tempo il Distruttore di Incudini era stato un brutale gigante, spaventosamente forte, assolutamente fedele e indomito. “Forse non sarebbe poi male. È probabile che muoia la prima volta che cerca di assolvere al suo dovere di marito.” Se fosse accaduto, anziché la moglie di Erik, lei sarebbe stata la vedova di Erik. Il che poteva essere meglio o molto peggio, a seconda dei suoi nipoti. “E di mio zio. Alla fine, ogni vento mi spinge di nuovo verso Euron.”
«Ho degli ostaggi, a Harlaw» Asha ricordò a Tris. «E c’è sempre Punta del Drago Marino… Se non posso avere il reame di mio padre, perché non farmene uno tutto mio?»
Punta del Drago Marino non era sempre stata scarsamente popolata come adesso. Tra le montagne e gli acquitrini si trovavano ancora delle vecchie rovine, i resti di antiche fortezze dei primi uomini. Nei luoghi più alti c’erano dei cerchi di alberi-diga lasciati dai figli della foresta.
«Ti aggrappi a Punta del Drago Marino come chi annegando si aggrappa a un relitto. Che cos’ha di desiderabile Punta del Drago Marino? Non ci sono miniere, non c’è oro, argento, né stagno o ferro. La terra è troppo umida per coltivare mais o frumento.»
“Non ho intenzione di piantare mais o frumento.” «Vuoi sapere che cosa c’è lì? Te lo dico subito. Due lunghe linee costiere, centinaia di calette nascoste, lontre nei laghi, salmoni nei fiumi, molluschi lungo la riva, colonie di foche al largo, alti pini per costruire navi.»
«E chi costruirà quelle navi, mia regina? Dove vostra grazia troverà i sudditi per il suo regno, se gli uomini del Nord ti consentiranno di averlo? O conti forse di governare un regno di lontre e foche?»
Asha rise mestamente. «È più facile governare le lontre che non gli uomini, te l’assicuro. E le foche sono più intelligenti. No, forse hai ragione. La rotta migliore per me potrebbe ancora essere tornare a Pyke. A Harlaw c’è ancora chi mi accoglierebbe con piacere. Anche a Pyke. Ed Euron quando ha ucciso lord Baelor non si è di certo fatto degli amici a Blacktyde. Potrei cercare mio zio Aeron, far sollevare le isole.»
Dopo l’acclamazione di re sulla Collina di Nagga, nessuno aveva più visto Capelli Bagnati, ma i suoi seguaci, gli Annegati, sostenevano che si nascondesse a Grande Wyk e che presto sarebbe tornato allo scoperto, a evocare lo sdegno del Dio Abissale contro Occhio di Corvo e i suoi tirapiedi.
«Anche il Distruttore di Incudini è alla ricerca di Capelli Bagnati. Dà la caccia agli Annegati. Beron Blacktyde il Cieco è stato preso e interrogato. Perfino il vecchio Gabbiano Grigio è stato messo ai ferri. Come farai a trovare il sacerdote, quando tutti gli uomini di Euron hanno fallito?»
«È sangue del mio sangue, fratello di mio padre.» Era una risposta debole e Asha lo sapeva.
«Sai che cosa penso?»
«No, ma ho l’impressione che tra poco me lo dirai.»
«Penso che Capelli Bagnati sia morto. Penso che Occhio di Corvo gli abbia tagliato la gola. La ricerca di Erik il Fabbro serve solo a farci credere che il sacerdote gli sia sfuggito. Euron ha paura di essere considerato un assassino di consanguinei.»
«Non farti mai sentire da mio zio a parlare così. Prova a dirgli che Occhio di Corvo ha paura di uccidere consanguinei, e lui ucciderà uno dei suoi stessi figli solo per dimostrare che non è vero.» Ormai si sentiva quasi sobria. Tristifer Botley aveva quell’effetto su di lei.
«Anche se trovassi tuo zio Capelli Bagnati, insieme fallireste comunque. Facevate parte del Concilio, quindi non puoi dire che è stato convocato illegalmente, come ha fatto Torgon. Siete legati alle decisioni del Concilio secondo tutte le leggi degli dèi e degli uomini. Tu…»
«Un momento» Asha corrugò la fronte. «Quale Torgon?»
«Torgon il Ritardatario.»
«Ha regnato durante l’Età degli Eroi.» Asha ricordava quello e ben poco d’altro. «Che cosa c’entra?»
«Torgon Greyiron era il figlio maggiore del re. Ma il re era vecchio e Torgon era un irrequieto, fu così che quando suo padre morì, lui stava facendo scorrerie lungo il Mander, tra la sua fortezza e Scudo Grigio. I fratelli non lo informarono e convocarono d’urgenza il Concilio, pensando che uno di loro sarebbe stato scelto per portare la corona di legno levigato. Ma i capitani e i re scelsero invece come sovrano Urragon Buonfratello. La prima decisione del nuovo re fu di ordinare che tutti i figli del vecchio sovrano fossero messi a morte. E così avvenne. Dopo di che, gli uomini lo chiamarono Malfratello, anche se in realtà quelli non erano suoi consanguinei. Regnò per quasi due anni.»
Asha ora ricordò. «Torgon tornò a casa…»
«… e dichiarò che l’esito dell’acclamazione di re era illegale, poiché lui non era presente a fare la sua rivendicazione. Malfratello aveva dimostrato di essere tanto meschino quanto crudele e sulle isole era rimasto con pochi amici. I sacerdoti lo denunciarono, i lord si sollevarono contro di lui e i suoi stessi capitani lo fecero a pezzi. Così Torgon il Ritardatario diventò re e governò per quarant’anni.»
Asha afferrò Tris Botley per le orecchie e lo baciò sulla bocca. Quando lo lasciò andare, lui era rosso e senza fiato. «Cos’era?»
«Un bacio, lo chiamano così. Possa io annegare come una stupida, Tris, mi sarei dovuta ricordare che…» Asha s’interruppe di colpo. Quando Tris aprì bocca, lo zittì e tese l’orecchio. «Questo è un corno di guerra. Hagen.» In un primo momento aveva pensato che fosse suo marito. Possibile che Erik il Fabbro avesse fatto tutta quella strada per reclamare la sua moglie testarda? «Il Dio Abissale dopotutto mi vuole bene. Mi stavo chiedendo che cosa fare e lui mi ha mandato dei nemici da combattere.» Si alzò e rimise il pugnale nel fodero. «La battaglia è arrivata da noi.»
Asha Greyjoy raggiunse di corsa la corte intermedia del castello, con Tris alle calcagna. Ma arrivò troppo tardi. Lo scontro era terminato. Asha trovò due uomini del Nord sanguinanti ai piedi del muro orientale, non lontano dalla posterla, con attorno Lorren Lunga Ascia, Harl Sei Dita e Linguatetra che li sovrastavano.
«Cromm e Hagen li hanno visti scavalcare il muro» spiegò Linguatetra.
«Questi due soltanto?» chiese Asha.
«Erano cinque. Due li abbiamo uccisi prima che riuscissero a saltare di là dal muro, Harl ne ha ucciso un altro sul camminamento. Questi due erano arrivati nel cortile.»
Uno dei due era morto, sangue e cervella lordavano l’ascia lunga di Lorren, l’altro respirava ancora, a sussulti. La lancia di Linguatetra l’aveva inchiodato al terreno in una pozza di sangue che si allargava sempre più. Tutt’e due indossavano delle giubbe di cuoio bollito e un mantello a chiazze marrone, verde e nero, con ramoscelli e foglie cuciti intorno alla testa e alle spalle.
«Chi sei?» chiese Asha al ferito.
«Un Flint. E tu chi sei?»
«Asha della Casa Greyjoy. Questo è il mio castello.»
«Deepwood è sede di Galbart Glover. Non rifugio per piovre.»
«Oltre a voi, ce ne sono altri?» chiese Asha. Il ferito non rispose. Asha afferrò la lancia di Linguatetra e la rigirò nella ferita. L’uomo del Nord gridò di dolore, altro sangue dilagò sul terreno. «Che cosa siete venuti a fare qui?»
«La lady» disse il Flint, tremando. «Dèi, basta… Siamo venuti per la lady. Per portarla in salvo. Eravamo solo noi cinque.»
Asha lo fissò negli occhi. Vi lesse la menzogna, rigirò ancora la lancia. «Quanti? Dimmelo o ti farò durare fino all’alba.»
«Tanti» singhiozzò alla fine l’uomo fra le urla. «Migliaia. Tremila, quattromila… aaaah… ti prego…»
Asha estrasse la lancia e la conficcò a due mani in quella gola piena di menzogne. Il maestro di Galbart Glover sosteneva che i clan delle montagne erano troppo litigiosi per riunirsi in bande senza uno Stark a guidarli. “Può darsi che non abbia mentito. Potrebbe semplicemente essersi sbagliato.” Si era fatta un’idea di quello che ciò significava al Concilio di suo zio.
«Quei cinque sono stati mandati ad aprire le nostre porte prima dell’attacco principale» dichiarò. «Lorren, Harl, portatemi lady Glover e il suo maestro.»
«Interi o sanguinanti?» chiese Lorren Lunga Ascia.
«Interi e illesi. Linguatetra, sali su quella torre tre volte maledetta e di’ a Cromm e Hagen di tenere gli occhi ben aperti. Se vedono anche solo una lepre, voglio esserne informata.»
La corte intermedia di Deepwood Motte era piena di persone spaventate. I suoi uomini si affannavano a indossare l’armatura o salivano sui camminamenti. La gente di Galbart Glover guardava con faccia atterrita e si scambiava bisbigli. L’attendente di Glover dovette essere portato su dallo scantinato, avendo perso una gamba quando Asha aveva preso il castello. Il maestro protestò rumorosamente finché Lorren non gli piantò un pugno coperto di maglia di ferro in mezzo alla faccia.
Lady Glover uscì dal parco degli dèi sottobraccio della sua serva scaldaletto. «Ti avevo avvertito che questo giorno sarebbe arrivato, milady» disse vedendo i cadaveri sul terreno.
Il maestro venne avanti, con il sangue che gli gocciolava dal naso fratturato. «Lady Asha, ti supplico, ammaina i vessilli e lascia che sia io a negoziare per la tua vita. Ci hai trattati in modo giusto e onorevole. Lo farò loro presente.»
«Ti scambieremo con i bambini» disse Sybelle Glover. Aveva gli occhi rossi per le lacrime e le notti insonni. «Gawen adesso ha quattro anni. Non abbiamo potuto festeggiare il giorno del suo compleanno. E la mia dolce bambina… rendimi i figli e non ti sarà fatto alcun male. Né a te né ai tuoi uomini.»
L’ultima parte era una menzogna, Asha lo sapeva. Lei sarebbe stata scambiata, forse, e rispedita nelle Isole di Ferro, fra le amorevoli braccia di suo marito. Anche i suoi cugini sarebbero stati riscattati, al pari di Tris Botley e forse qualche altro della sua compagnia, quelli i cui consanguinei avevano conio sufficiente per ricomprarli. Per tutti gli altri ci sarebbero stati l’ascia, il cappio o la Barriera. “Tuttavia hanno il diritto di scegliere” pensò Asha.
Salì su un barile in modo che tutti la potessero vedere. «I lupi stanno arrivando su di noi con le zanne snudate. Saranno alle nostre porte prima che spunti il sole. Getteremo a terra lance e asce, e supplicheremo che ci risparmino?»
«No» gridò Qarl la Fanciulla estraendo la spada. «No» lo imitò Lorren Lunga Ascia. «No» tuonò Rolfe il Nano, un orso d’uomo che superava di una testa ogni altro membro del suo equipaggio. «Mai.» E dall’alto risuonò ancora il corno di Hagen, riecheggiando nella corte intermedia.
AHOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO, gridò il corno di guerra, un suono lungo e profondo da far cagliare il sangue. Asha aveva cominciato a odiare il suono dei corni. A Vecchia Wyk l’infernale corno di suo zio aveva suonato un presagio di morte per i suoi sogni. E ora Hagen stava suonando quella che forse sarebbe stata la sua ultima ora sulla terra. “Se devo morire, morirò con un’ascia in pugno e una maledizione sulle labbra.”
«Alle mura!» ordinò Asha Greyjoy ai suoi uomini.
Si diresse verso la torre di guardia, con Tris Botley a un passo dietro di lei. La torre di legno era la struttura più alta da quel lato delle montagne: superava di venti piedi gli svettanti pini-soldato e alberi-sentinella dei boschi intorno.
«Là, capitano» indicò Cromm, quando lei arrivò sulla piattaforma.
Asha vide solo alberi e ombre, le alture illuminate dalla luna e dietro i picchi innevati. Poi si accorse che gli alberi, lentamente, si stavano avvicinando.
«Ah, ah» rise. «Le capre di montagna si sono ammantate con rami di pino.»
I boschi erano in movimento, strisciavano verso il castello come una lenta marea verde. Asha ripensò a una storia sentita da bambina, sui figli della foresta e le loro battaglie con i primi uomini, quando i figli della foresta avevano trasformato gli alberi in guerrieri.
«Non possiamo combattere con così tanti nemici» disse Tris Botley.
«Possiamo combattere con tutti quelli che si fanno avanti, bamboccio» replicò Cromm in tono deciso. «Più ce ne sono, più c’è gloria. Gli uomini canteranno di noi.»
“Aye, ma canteranno del vostro coraggio o della mia follia?” Il mare era lontano cinque leghe buone. Non avrebbero fatto meglio a resistere e combattere dietro i profondi fossati e le mura di legno di Deepwood Motte? “Ai Glover, queste stesse mura di legno sono servite a ben poco, quando ho preso il loro castello” rammentò Asha a se stessa. “Perché dovrebbero aiutarmi di più?”
«Domani banchetteremo sotto il mare» disse Cromm, lisciando la scure, quasi non potesse più aspettare.
Hagen abbassò il corno. «Se moriamo con i piedi asciutti, come troveremo la strada per le magioni sommerse del Dio Abissale?»
«Quei boschi sono pieni di torrenti» gli assicurò Cromm. «Tutti portano a dei fiumi, e tutti i fiumi portano al mare.»
Asha non era pronta a morire, non lì, non ancora. «Un uomo vivo può trovare il mare più facilmente di un uomo morto. Che i lupi si tengano i loro boschi lugubri. Noi andiamo alle nostre navi.»
Si domandò chi fosse al comando dei nemici. “Se fossi io, prima di dare l’assalto a Deepwood, occuperei la riva e darei fuoco alle nostre navi lunghe.”
Ma per i lupi non sarebbe stata un’impresa facile, soprattutto non avendo navi proprie. Asha non portava mai a riva più di metà della flotta. Il resto restava al sicuro in mare aperto, con l’ordine di alzare le vele e dirigersi a Punta del Drago Marino se gli uomini del Nord avessero preso la riva.
«Hagen, suona il corno e fa’ tremare la foresta. Tris, mettiti una cotta di maglia, è ora di collaudare la tua splendida spada.» Quando vide com’era pallido, gli pizzicò la guancia. «Fa’ schizzare insieme a me un po’ di sangue sulla luna, e ti prometto un bacio per ogni uomo che ucciderai.»
«Mia regina» disse Tristifer «qui ci sono le mura, ma se arriviamo al mare e scopriamo che i lupi si sono presi le nostre navi o le hanno fatte allontanare…»
«… moriremo» completò lei allegramente. «Ma almeno moriremo con i piedi bagnati. Gli uomini di ferro combattono meglio con gli spruzzi salmastri nelle narici e il rumore delle onde alle spalle.»
Hagen suonò il corno, tre suoni brevi in rapida successione, il segnale che avrebbe richiamato gli uomini di ferro alle navi. Dal basso giunsero delle grida, sferragliare di lance e spade, nitriti di cavalli.
“Troppi pochi cavalli e troppi pochi cavalieri” pensò Asha.
Si diresse verso le scale. Nella corte intermedia trovò Qarl la Fanciulla in attesa: le aveva portato la sua giumenta saura, l’elmo da guerra e le asce da lancio. Gli uomini di ferro stavano facendo uscire i cavalli dalle stalle di Galbart Glover.
«Un ariete!» gridò una voce dalle mura. «Hanno un ariete!»
«A quale porta?» chiese Asha, montando in sella.
«La nord!» Da lontano, oltre le muschiose mura di legno di Deepwood Motte, giunse un improvviso squillo di trombe.
“Trombe?” pensò Asha. “Lupi con le trombe?” C’era qualcosa che non andava, ma non aveva il tempo di pensarci. «Aprite la porta sud» ordinò, mentre quella nord veniva scossa dall’impatto con l’ariete. Dalla cinghia di traverso sulla spalla, Asha staccò un’ascia da lancio con il manico corto. «L’ora del gufo è passata, fratello mio. Adesso arriva l’ora della lancia, della spada, dell’ascia. Tutti schierati. Torniamo a casa.»
Da un centinaio di gole provenne un ruggito. «Casa!» e «Asha!»
Tris Botley la raggiunse al galoppo su un destriero roano. Nella corte intermedia, i suoi uomini serrarono le fila, tenendo alti gli scudi e le lance. Qarl la Fanciulla, senza cavallo, prese posto fra Linguatetra e Lorren Lunga Ascia. Mentre Hagen scendeva di corsa gli scalini della torre da guardia, una freccia scagliata dai lupi lo colpì al ventre facendolo sfracellare a terra. Sua figlia corse da lui, gemendo.
«Trascinatela via» ordinò Asha.
Non era tempo per piangere i morti. Rolfe il Nano trascinò la ragazza in sella, i capelli di lei come una nube rossa nel vento. Asha sentì la porta nord cigolare sotto un altro colpo di ariete. “Forse dovremo aprirci la strada in mezzo a loro” pensò, mentre la porta sud si spalancava. Invece la via era sgombra. “Ma per quanto?”
«Fuori!» Asha cacciò i talloni nei fianchi della giumenta.
Uomini e cavalli trottavano insieme quando raggiunsero gli alberi, sul lato più lontano del campo fradicio dove germogli morti di frumento invernale marcivano sotto la luna. Asha tenne i suoi cavalieri di retroguardia, per far avanzare gli sbandati e non abbandonare indietro nessuno. Alti pini-soldato e vecchie querce nodose si chiusero intorno a loro. Deepwood, bosco profondo, era il nome giusto. Gli alberi erano enormi e scuri, in qualche modo minacciosi. I rami s’intrecciavano e scricchiolavano a ogni alito di vento. Quelli più alti graffiavano la faccia della luna. “Prima saremo fuori di qui e meglio mi sentirò” pensò Asha. “Gli alberi odiano tutti noi, nel profondo del loro cuore di legno.”
Si diressero rapidamente a sud e poi a sudovest, finché le torri di legno di Deepwood Motte non sparirono alla vista e gli squilli delle trombe non furono inghiottiti dalla vegetazione. “I lupi hanno di nuovo il loro castello” pensò Asha. “Forse saranno contenti di lasciarci andare.”
Tris Botley le trottò al fianco. «Stiamo andando nella direzione sbagliata» disse indicando la luna che scrutava dal baldacchino di rami. «Per arrivare alle navi dobbiamo girare a nord.»
«Prima a ovest» insisté Asha. «A ovest finché non sorge il sole. Poi a nord.» Si rivolse a Rolfe il Nano e a Roggon Barba Rugginosa, i suoi cavalieri migliori. «Andate in avanscoperta e assicuratevi che la strada sia libera. Non voglio sorprese, quando arriveremo alla riva. Se vi imbattete nei lupi, tornate a riferire.»
«Se proprio dobbiamo…» promise Roggon, muovendo l’enorme barba rossa.
Quando i due esploratori si furono addentrati nel bosco, gli altri uomini di ferro ripresero la marcia, ma con un’andatura più lenta. Gli alberi nascondevano la luna e le stelle, il fondo della foresta era nero e infido. Prima di aver fatto un altro mezzo miglio, la giumenta del cugino di Asha, Quenton, finì in una buca e si spezzò la zampa anteriore. Quenton dovette tagliarle la gola per porre fine ai nitriti di dolore.
«Dovremmo fare delle torce» suggerì Tris.
«I fuochi attirerebbero gli uomini del Nord» replicò Asha. Imprecò sottovoce, domandandosi se non avessero sbagliato a lasciare il castello. “No. Se fossimo rimasti a combattere, magari a quest’ora saremmo già tutti morti.” Ma non era bello nemmeno avanzare alla cieca nel buio. “Questi alberi ci uccideranno tutti, se possono.” Si tolse l’elmo e spinse indietro i capelli bagnati di sudore. «Fra qualche ora il sole sarà alto. Fermiamoci qui e riposiamo fino allo spuntare del giorno.»
Fermarsi si rivelò semplice, riposare fu più difficile. Nessuno dormì, nemmeno Dale Occhi Chiusi, un rematore noto per appisolarsi fra un colpo di remo e l’altro. Alcuni condivisero un otre di sidro di Galbart Glover, passandoselo di mano in mano. Chi aveva portato del cibo lo spartì con chi non aveva niente. I cavalieri diedero da mangiare e da bere ai cavalli. Quenton Greyjoy, cugino di Asha, mandò tre uomini sugli alberi per scorgere eventuali segni di torce nei boschi. Cromm affilò l’ascia e Qarl la Fanciulla la spada. I cavalli brucavano foglie secche ed erbacce. La ragazza dai capelli rossi, la figlia di Hagen, prese per mano Tris Botley con l’intenzione di portarselo fra gli alberi. Quando Tris rifiutò, si allontanò con Harl Sei Dita.
“Potessi fare lo stesso” pensò Asha. Le sarebbe piaciuto perdersi fra le braccia di Qarl per un’ultima volta. Aveva una brutta sensazione alla bocca dello stomaco. Avrebbe sentito ancora la tolda della Vento nero sotto i piedi? E in tal caso, dove l’avrebbe portata la nave? “Le isole mi sono precluse, a meno di piegare il ginocchio, allargare le gambe e patire gli abbracci di Erik il Fabbro, e nessun porto del continente occidentale darebbe il benvenuto alla figlia della piovra.” Avrebbe potuto diventare mercante, come aveva proposto Tris, o altrimenti dirigersi alle Stepstones e unirsi ai pirati. “Oppure…”
«Mando a ciascuno di voi un pezzo di principe» borbottò.
Qarl sogghignò. «Preferirei un pezzo di te» bisbigliò. «Quel dolce pezzo che è…»
Qualcosa volò dai cespugli e atterrò con un soffice tonfo in mezzo a loro, rimbalzando e rotolando. Era un oggetto rotondo, scuro e bagnato, con lunghi peli che giravano mentre roteava in aria. Quando finì contro le radici di una quercia, Linguatetra esclamò: «Rolfe il Nano si è rimpicciolito».
Metà degli uomini di ferro erano già balzati in piedi, per impugnare scudi, lance e asce. “Nemmeno loro accendono delle torce” ebbe tempo di pensare Asha “e conoscono questi boschi molto meglio di noi.”
Poi gli alberi intorno a loro vomitarono ombre, e gli uomini del Nord arrivarono in massa, ululando. “Lupi” pensò Asha. “Ululano come dei lupi maledetti. Il grido di guerra del Nord.” I suoi uomini di ferro risposero con ringhi e grida, e la lotta iniziò.
Nessun bardo avrebbe composto una canzone su quella battaglia. Nessun maestro avrebbe scritto un resoconto per uno degli amati libri del Lettore. Non garrirono stendardi, non risuonarono corni di guerra, nessun grande lord chiamò intorno a sé i suoi uomini per pronunciare un ultimo discorso roboante.
Combatterono nel buio che precede l’alba, ombra contro ombra, inciampando in radici e sassi, con il fango e le foglie marce sotto i piedi. Gli uomini di ferro indossavano cotte di maglia e cuoio macchiate di salsedine, gli uomini del Nord erano coperti da pellicce, pelli e fronde di pino. La luna e le stelle guardarono la strage: la loro pallida luce filtrava nell’intrico di rami spogli che si torcevano in alto.
Il primo uomo del Nord ad avventarsi contro Asha Greyjoy morì ai suoi piedi, con un’ascia da lancio in mezzo agli occhi. Asha ebbe così il tempo sufficiente per infilare il braccio nella cinghia dello scudo. «A me!» gridò, ma non avrebbe saputo dire con certezza se chiamasse i suoi uomini o i nemici.
Un uomo del Nord armato d’ascia si stagliò davanti a lei. Mulinò l’arma in un fendente a due mani, ululando in una furia senza parole. Asha alzò lo scudo per parare il colpo, poi contrattaccò con la daga e lo sventrò. L’ululato cambiò tono mentre l’uomo cadeva.
Asha si girò di scatto e si trovò di fronte un altro lupo. Lo colpì di taglio sulla fronte, appena sotto l’elmo. Il colpo del lupo la prese sotto il seno, ma la cotta di maglia lo deviò. Asha spinse la punta della daga nella gola del lupo e lo lasciò ad annegare nel suo stesso sangue.
Una mano le afferrò i capelli, troppo corti per consentire una buona presa e tirarle indietro la testa. Asha gli piantò il tacco dello stivale sul collo del piede e si divincolò mentre lui lanciava un grido di dolore. Quando tornò a girarsi, l’uomo era a terra, morente, che stringeva ancora una ciocca dei suoi capelli. Qarl gli fu addosso, con la spada lunga che grondava rosso e il chiaro di luna che gli brillava negli occhi.
Linguatetra stava contando gli uomini del Nord man mano che li uccideva. Gridò: «Quattro» mentre uno crollava a terra. «Cinque» un attimo dopo. I cavalli nitrivano, scalciavano e roteavano gli occhi, atterriti, impazziti per il massacro e per l’odore di sangue… Tutti tranne il grande destriero roano di Tris Botley. Tris era riuscito a montare in sella. Il roano s’impennò, torcendosi su se stesso, mentre Tris menava colpi di spada. “Gli dovrò qualche bacio prima che la notte finisca” pensò Asha.
«Sette» gridò Linguatetra, ma accanto a lui Lorren Lunga Ascia crollò in modo scomposto, con una gamba distorta sotto di sé. E dalla foresta, le ombre continuavano ad arrivare, gridando e frusciando.
“Stiamo combattendo contro delle piante” pensò Asha, mentre apriva il ventre di un uomo che aveva addosso più foglie di molti degli alberi lì intorno. A quel pensiero scoppiò a ridere. Quella risata le attirò addosso altri lupi, che lei sterminò l’uno dopo l’altro. Si domandò se non dovesse cominciare a contarli anche lei. “Sono una donna sposata e qui c’è il mio poppante.” Spinse la daga nel petto di un uomo del Nord, trapassando pelliccia, lana e cuoio bollito. La faccia dell’uomo era talmente vicino alla sua che sentì il fetore acre del suo alito. La sua mano le stringeva la gola. Asha sentì il ferro raschiare contro l’osso, quando la punta della sua daga scivolò su una costola. L’uomo ebbe uno spasmo e morì. Nel lasciare andare il corpo, Asha si sentì così debole che rischiò di cadergli addosso.
Più tardi si trovò schiena contro schiena con Qarl, ascoltando i grugniti e le imprecazioni tutt’intorno a loro: uomini coraggiosi che strisciavano fra le ombre piangendo per la propria madre. Un cespuglio l’assalì con una lancia abbastanza lunga da perforare il ventre a lei e la schiena a Qarl, trafiggendoli insieme. “Meglio che morire da sola” pensò, ma suo cugino Quenton uccise l’uomo con la lancia prima che li raggiungesse. Un attimo più tardi, un altro cespuglio uccise Quenton alle spalle, con un colpo d’ascia alla base del cranio.
Dietro di lei Linguatetra gridò: «Nove, maledetti tutti». La figlia di Hagen sbucò, nuda, da sotto gli alberi, con due lupi alle calcagna. Asha afferrò un’ascia da lancio e la scagliò colpendo uno dei due alla schiena. Quando l’uomo schiantò a terra, la figlia di Hagen si lasciò cadere sulle ginocchia, afferrò la spada del morto, trafisse il secondo uomo, poi si rialzò, sporca di sangue e di fango, con i lunghi capelli rossi al vento, e si rituffò nella mischia.
A un certo punto, nel flusso e riflusso della battaglia, Asha perse di vista Qarl, Tris, tutti quanti. Erano sparite anche la sua daga e tutte le asce da lancio; adesso impugnava una spada, una spada corta dalla lama larga e spessa, una specie di mannaia. Neanche a costo della vita avrebbe saputo dire come le fosse capitata in mano. Aveva il braccio indolenzito, il sapore del sangue in bocca e le tremavano le gambe. Strali della pallida luce dell’alba penetravano di sbieco fra gli alberi. “È da così tanto che stiamo combattendo?”
Il suo ultimo nemico era un uomo del Nord armato d’ascia, un bruto calvo e barbuto, con addosso un usbergo di maglia rattoppata e arrugginita che poteva indicare solo che era un capo o un campione. Non fu contento di trovarsi a combattere contro una donna. «Fica di merda!» ruggiva a ogni fendente, schizzandole le guance di saliva. «Fica di merda! Fica di merda!»
Asha avrebbe voluto inveire contro di lui, ma aveva la gola talmente secca che riusciva appena a grugnire. L’ascia del nemico le stava facendo a pezzi lo scudo, scheggiando il legno a ogni fendente e strappando lunghe schegge chiare quando poi risaliva. Presto Asha avrebbe avuto solo un intrico di stuzzicadenti al braccio.
Arretrò, si sbarazzò dello scudo devastato, quindi arretrò ancora un po’ e danzò a sinistra e a destra e di nuovo a sinistra per evitare il fendente dell’ascia.
E poi si trovò a picchiare la schiena contro un albero. Fine delle danze: non avrebbe più potuto schivare i colpi. Il lupo alzò l’ascia sopra la testa per spaccare in due quella di lei. Asha cercò di schivare alla sua destra, ma aveva i piedi impigliati nelle radici, era in trappola. Si contorse, perse l’appoggio e l’ascia le sbatté contro la tempia, con uno stridore di acciaio sull’acciaio. Il mondo diventò rosso e nero e di nuovo rosso. Sentì il dolore risalirle la gamba come una folgore, e da molto lontano udì l’uomo del Nord latrare: «Maledetta fica di merda!», mentre alzava l’ascia per il colpo conclusivo.
Uno squillo di tromba.
“C’è qualcosa che non va” pensò Asha. “Non ci sono trombe nelle magioni sommerse del Dio Abissale. Sotto le onde, le lance sommerse salutano il loro lord soffiando nelle conchiglie.”
Sognò cuori rossi in fiamme e un cervo nero in un bosco dorato, con delle fiamme che fuoriuscivano dalle corna ramificate.