Jon

All’udire l’ordine, ser Alliser Thorne distorse la bocca in una parvenza di sorriso, ma i suoi occhi rimasero freddi e duri come selce. «Così il ragazzo bastardo ha deciso di mandarmi fuori a morire.»

«Morire» gracchiò il corvo di Mormont. «Morire, morire, morire.»

“Non sei di nessun aiuto.” Jon Snow con una manata allontanò l’uccello. «Il ragazzo bastardo ha deciso di mandarti fuori a esplorare. A cercare i nostri nemici e a ucciderli, se occorre. Sei abile con una lama in pugno, ser. Sei stato maestro d’arme, qui e al Forte Orientale.»

Thorne toccò l’elsa della sua spada lunga. «Aye. Ho sprecato un terzo della vita nel tentativo di insegnare i rudimenti della scherma a zappaterra, teste di rapa e infami. Mi sarà di scarso vantaggio in queste foreste.»

«Dywen verrà con te, insieme a un altro ranger esperto.»

«Ti insegneremo noi quello che c’è da sapere, ser» disse Dywen a Thorne, ridacchiando. «Ti insegneremo a pulirti il nobile culo con le foglie, proprio come un vero ranger.»

Kedge Occhiobianco rise alla battuta, Jack Bulwer il Nero sputò.

Ser Alliser si limitò a dire: «Tu vorresti che rifiutassi. Così potresti tagliarmi la testa, come hai fatto con Slynt. Ma da me non avrai questo piacere, bastardo. Ti conviene pregare che a uccidermi sia la spada di un bruto, però. Quelli uccisi dagli Estranei non restano morti e… ricordano. Ritornerò, lord Snow».

«Pregherò che tu ritorni» rispose Jon.

Non avrebbe mai considerato ser Alliser Thorne un amico, però era pur sempre un confratello dei guardiani della notte. “E nessuno ha mai detto che devi provare simpatia per i tuoi confratelli.”

Non era facile mandare degli uomini in quelle terre selvagge: c’erano buone probabilità che non tornassero più. “Sono tutti uomini esperti” Jon ripeté a se stesso… ma suo zio Benjen e i suoi ranger erano altrettanto esperti e la Foresta Stregata li ha inghiottiti senza lasciare traccia. Quando alla fine, due di loro sono tornati alla Barriera barcollando, erano ridotti a orridi esseri non-morti. Non era la prima volta né l’ultima che Jon Snow si ritrovava a chiedersi che cosa ne fosse stato di Benjen Stark. “Forse i ranger si imbatteranno in qualche segno di lui” cercava di convincersi, senza crederci realmente.

Dywen avrebbe guidato un gruppo di esploratori, Jack Bulwer il Nero e Kedge Occhiobianco gli altri due. Loro almeno erano ansiosi di fare il loro dovere.

«Farà un bell’effetto avere di nuovo un cavallo tra le gambe» disse Dywen sulla soglia, succhiandosi i denti di legno. «Chiedo scusa, mio lord, ma tutti noi avevamo le schegge nelle natiche a furia di stare seduti.»

Nessuno nel Castello Nero conosceva meglio di lui i boschi, gli alberi e i torrenti, le piante commestibili, le abitudini dei predatori e delle prede. “Thorne è in mani migliori di quanto non si meriti.”

Jon osservò i cavalieri partire dalla sommità della Barriera: tre gruppi, ognuno di tre uomini, ognuno con due corvi. Visti da così in alto, i loro destrieri parevano non più grandi di formiche e Jon non riusciva a distinguere un ranger dall’altro. Però li conosceva tutti. Ogni nome era inciso nel suo cuore. “Otto bravi uomini” pensò “più un… be’, vedremo.”

Quando l’ultimo cavaliere fu scomparso fra gli alberi della Foresta Stregata, Jon Snow entrò nella gabbia dell’argano, insieme a Edd l’Addolorato. Mentre scendevano lentamente, qualche rado fiocco di neve danzava nelle raffiche di vento. Un fiocco seguì la gabbia fin giù, posandosi appena oltre le sbarre. Scendevano più in fretta di loro, e ogni tanto sparivano sotto la gabbia. A momenti, una folata li sospingeva di nuovo in alto. Jon avrebbe potuto infilare la mano tra le sbarre e afferrarli, se avesse voluto.

«Ieri notte ho fatto un sogno orribile, mio lord» confessò Edd l’Addolorato. «Tu eri il mio attendente, mi portavi da mangiare e ripulivi gli avanzi. Io ero il lord comandante, senza mai un momento di pace.»

Jon non sorrise. «Il tuo incubo è la mia vita.»

Le galee di Cotter Pyke riferivano di un numero sempre maggiore di individui del popolo libero in movimento lungo le rive boscose a nord e a est della Barriera. Erano stati avvistati accampamenti, zattere lasciate a metà, perfino lo scafo di una cocca che qualcuno aveva cominciato a riparare. Nel momento in cui venivano individuati, i bruti svanivano nuovamente nei boschi, ma certo solo per riemergere appena le navi di Pyke erano passate. Intanto da Torre delle Ombre ser Denys Mallister continuava a vedere fuochi nella notte a nord della Gola. I comandanti delle fortezze alle estremità della Barriera chiedevano entrambi più uomini.

“E dove li prendo?” Jon aveva mandato a entrambi dieci bruti di Città della Talpa: ragazzi imberbi, vecchi, alcuni feriti e infermi, ma tutti in grado di eseguire qualche compito. Ben lungi dall’essere soddisfatti, sia Pyke sia Mallister avevano scritto lamentandosi. “Quando ho chiesto degli uomini, pensavo a uomini dei guardiani della notte, addestrati e disciplinati, della cui fedeltà non avrei avuto motivo di dubitare” scrisse ser Denys. Cotter Pyke era stato ancora più esplicito. “Potrei farli penzolare dalla Barriera come ammonimento per tenere lontano altri bruti, ma non vedo altro modo per utilizzarli” aveva scritto per lui maestro Harmune. “Non mi fiderei di gente simile nemmeno per farmi pulire il vaso da notte. Inoltre, dieci non bastano.”

Scricchiolando, sferragliando, la gabbia di ferro continuò a scendere, appesa alla lunga catena. Alla fine, si arrestò con un sussulto alla base della Barriera, ondeggiando a un piede dal suolo. Edd l’Addolorato aprì la grata e saltò giù per primo, spezzando con gli stivali la crosta di neve. Jon lo seguì.

Davanti all’armeria, Emmett il Ferrigno stava ancora pungolando i suoi allievi nel cortile degli addestramenti. Il clangore dell’acciaio contro l’acciaio risvegliò la memoria in Jon. Gli ricordò i giorni più caldi e più semplici, di quando era ragazzo a Grande Inverno e incrociava la spada con Robb, sotto l’occhio attento di ser Rodrik Cassel. Anche ser Rodrik era caduto, ucciso da Theon il Voltagabbana e dai suoi uomini di ferro in un ultimo, disperato tentativo di riprendere Grande Inverno. La grande fortezza della Casa Stark era solo una tetra rovina. “Tutti i miei ricordi sono veleno.”

Quando Emmett il Ferrigno lo vide, alzò un braccio e interruppe l’addestramento. «Lord comandante. Come possiamo servirti?»

«Con i tuoi tre allievi migliori.»

Emmett sogghignò. «Arron. Emrick. Jace.»

Hareth detto Cavallo e Hop-Robin portarono le imbottiture per il lord comandante, oltre a un usbergo di maglia ad anelli da indossare sopra, schinieri, gorgiera e mezzo elmo. Uno scudo nero bordato di ferro per il braccio sinistro, una spada lunga smussata per la mano destra. Nella luce dell’alba, la lama brillava di un grigio argento: era pressoché nuova. “Una delle ultime uscite dalla forgia di Donal. Peccato che non sia vissuto abbastanza per affilarla.” La lama era più corta di Lungo artiglio, ma fatta di acciaio normale, e quindi più pesante. I colpi sarebbero stati un po’ più lenti.

«Va bene.» Jon si girò per affrontare gli avversari. «Fatevi avanti.»

«Chi vuoi per primo?» chiese Arron.

«Tutti e tre insieme.»

«Tre contro uno?» Jace era incredulo. «Non sarebbe giusto.»

Faceva parte dell’ultimo gruppo reclutato da Conwy ed era figlio di un ciabattino di Isola Bella. Forse questo spiegava tutto.

«Vero, non è giusto. Forza.»

Quando andò all’attacco, Jon lo colpì di lato alla testa e lo scaraventò a terra. In un battibaleno, il ragazzo aveva uno stivale piantato sul petto e la punta di una spada contro la gola. «La guerra non è mai giusta» disse Jon. «Adesso è due contro uno e tu sei morto.»

Dallo scricchiolio della ghiaia capì che stavano arrivando i gemelli. “Questi due però diventeranno ranger.”

Ruotò su se stesso in un lampo, bloccando con il bordo dello scudo il fendente di Arron e colpendo con la spada quello di Emrick.

«Non sono delle lance» gridò. «Venite più vicino.»

Passò all’attacco per mostrare loro come bisognava fare. Per primo Emrick. Menò fendenti alla testa e alle spalle, a destra e a sinistra e ancora a destra. Il ragazzo alzò lo scudo, tentando un goffo contrattacco. Jon pestò lo scudo contro quello di Emrick e abbatté il ragazzo con un colpo alla parte inferiore della gamba… appena in tempo, perché Arron gli fu addosso, con un forte colpo di taglio al polpaccio che lo mandò in ginocchio. “Gli resterà un livido.” Jon parò il colpo successivo con lo scudo, si rialzò e spinse Arron verso il centro del cortile. “È rapido” pensò, mentre le spade lunghe si toccavano una, due, tre volte “ma deve diventare più robusto.”

Quando percepì un lampo di sollievo negli occhi di Arron, capì di avere Emrick alle spalle. Jon si girò e gli vibrò un fendente sulla schiena che lo mandò a sbattere contro il fratello.

Jace si era rimesso in piedi, ma Jon lo atterrò di nuovo. «Detesto i cadaveri che si rialzano. Capirai che cosa voglio dire, il giorno che affronterai un non-morto.» Arretrò e abbassò la spada.

«Il corvo grosso può beccare i corvi piccoli» ringhiò una voce alle sue spalle «ma ha abbastanza coraggio da affrontare un uomo?»

Rattleshirt se ne stava appoggiato al muro. Una barba corta e ispida gli copriva le guance smunte, e il vento gli spingeva un ciuffo di sottili capelli castani sugli occhi, piccoli e gialli.

«Non montarti la testa» rispose Jon.

«Aye, ma potrei smontare te.»

«Stannis ha bruciato l’uomo sbagliato.»

«No» il bruto sogghignò, mettendo in mostra i denti scuri e spezzati. «Ha bruciato l’uomo che doveva bruciare, perché tutti vedano. Facciamo quello che dobbiamo fare, Snow. Anche i re.»

«Emmett, trovagli una corazza. Lo voglio vestito d’acciaio, non di vecchie ossa.»

Una volta indossate cotta di maglia e piastre, il Lord delle Ossa parve avere un portamento un po’ più eretto. Sembrava anche più alto, con le spalle più robuste e forti di quanto non si sarebbe detto.

“È l’armatura, non l’uomo” pensò Jon. “Perfino Sam sembrerebbe imponente, vestito dalla testa ai piedi dell’acciaio di Donal Noye.”

Il bruto allontanò lo scudo che Cavallo gli offriva. Chiese invece una grande spada a due mani. «Ha un bel suono» disse, facendo sibilare la lama nell’aria. «Starnazza più vicino, corvo Snow. Voglio farti volare via le penne.»

Jon si scagliò con forza contro di lui.

Rattleshirt arretrò di un passo, rispose all’assalto e assestò un fendente a due mani. Se Jon non avesse frapposto lo scudo, forse il colpo gli avrebbe ammaccato la piastra pettorale e rotto metà delle costole. L’urto lo fece barcollare per un momento, e sentì una forte scossa salire su per il braccio. “Colpisce più duramente di quanto non pensassi.” Anche la rapidità del Lord delle Ossa fu una spiacevole sorpresa. Girarono l’uno intorno all’altro, scambiandosi colpo su colpo. Il Lord delle Ossa restituiva quello che riceveva. A rigor di logica, la grande spada a due mani avrebbe dovuto essere molto più ingombrante della spada lunga di Jon, ma il bruto la maneggiava con incredibile destrezza.

All’inizio, le reclute di Emmett il Ferrigno incoraggiavano con le grida il loro lord comandante, ma l’implacabile velocità dell’attacco di Rattleshirt li costrinse presto al silenzio. “Non può mantenere a lungo questo ritmo” si consolò Jon, bloccando un altro colpo talmente forte da strappargli un grugnito. Anche se smussata, la grande spada gli incrinò lo scudo di legno di pino e piegò il bordo di ferro. “Presto si stancherà. Non può reggere.”

Jon puntò alla faccia del bruto, ma Rattleshirt tirò indietro la testa. Allora tentò un colpo al polpaccio, Rattleshirt evitò la lama con un salto. La grande spada piombò sulla spalla di Jon, così forte da far risuonare lo spallaccio e intorpidirgli il braccio.

Jon arretrò. Il Lord delle Ossa lo pressò, ridacchiando. “Non ha scudo, e quella spada gigante è troppo goffa per le parate. Dovrei mettere a segno due colpi per ognuno dei suoi.”

Ma per qualche ragione non ci riusciva, e i colpi che metteva a segno non erano efficaci. Il bruto pareva muoversi sempre o indietro o di lato. La spada lunga di Jon finiva ogni volta per colpire di striscio una spalla o un braccio.

In breve Jon si ritrovò a cedere terreno nel tentativo di evitare i poderosi colpi dell’avversario, per metà del tempo senza riuscirci. Aveva lo scudo ormai ridotto a un ammasso di schegge. Se lo tolse dal braccio. Sentiva il sudore colargli sul viso e bruciargli gli occhi sotto l’elmo. “È troppo forte e troppo veloce” si rese conto “e con quello spadone ha peso e allungo superiori.” Se avesse avuto Lungo artiglio, sarebbe stato tutto molto diverso ma…

L’occasione si presentò nel successivo colpo di rovescio di Rattleshirt. Jon si lanciò avanti e addosso all’avversario. Caddero insieme, con le gambe intrecciate. L’acciaio cozzò sull’acciaio. Entrambi persero la spada, rotolando sul terreno. Il bruto lo colpì con il ginocchio fra le gambe. Jon rispose pestando con il pugno coperto di maglia di ferro.

In tutti quei movimenti furibondi, Rattleshirt finì sopra di lui, con la testa di Jon serrata fra le mani. La sbatté con forza contro il terreno, poi si aprì la visiera. «Se avessi un pugnale, ora avresti un occhio in meno» ringhiò, prima che Cavallo e Emmett il Ferrigno lo tirassero via dal lord comandante. «Lasciatemi, maledetti corvi» ruggì il Lord delle Ossa.

Jon si tirò a fatica in ginocchio. Sentiva la testa ronzargli, aveva la bocca piena di sangue. Lo sputò nel ghiaccio. «Bel combattimento.»

«Non montarti la testa, corvo. Non ho versato neanche una goccia di sudore.»

«La prossima volta lo farai.»

Edd l’Addolorato aiutò Jon a rimettersi in piedi e gli sganciò l’elmo. Jon notò diverse ammaccature che non c’erano quando l’aveva indossato.

«Lasciatelo andare.» Jon lanciò l’elmo a Hop-Robin, che mancò la presa.

«Mio lord» disse Emmett il Ferrigno «ha minacciato la tua vita, abbiamo sentito tutti. Ha detto che se avesse avuto un pugnale…»

«Ha un pugnale. Nella cintura.» “C’è sempre qualcuno più svelto e più forte” ser Rodrik aveva detto una volta a Jon e a Robb. “Ed è quello l’avversario che vuoi affrontare nel cortile d’addestramento, prima di vedertela con uno come lui su un campo di battaglia.”

«Lord Snow?» disse una voce mite.

Si girò, e c’era Clydas sotto l’arcata in rovina. Aveva in mano una pergamena. «Da Stannis?» chiese Jon. Sperava di avere notizie dal re. I guardiani della notte si mantenevano neutrali, lo sapeva, e a lui non sarebbe dovuto importare quale re avesse riportato il trionfo. In qualche modo però gli importava.

«Viene da Deepwood?»

«No, mio lord» Clydas gli tese la pergamena, strettamente arrotolata e sigillata, con una goccia di ceralacca rosa.

“Solo Forte Terrore usa la ceralacca rosa” pensò Jon. Si tolse il guanto, prese la lettera e spezzò il sigillo. Quando vide la firma, dimenticò i colpi ricevuti da Rattleshirt.

“Ramsay Bolton, lord di Hornwood” era scritto con una grafia grande e spigolosa. L’inchiostro marrone venne via a scaglie, quando Jon lo toccò con il pollice. Sotto la firma di Bolton, anche lord Dustin, lady Cerwyn e quattro Ryswell avevano apposto il proprio marchio e sigillo. Una mano più rozza aveva disegnato il gigante della Casa Umber.

«Potremmo sapere cosa dice, mio lord?» chiese Emmett il Ferrigno.

Jon non vide motivo per non dirglielo. «Il Moat Cailin è caduto. I cadaveri scuoiati degli uomini di ferro sono stati inchiodati a dei pali lungo la Strada del Re. Roose Bolton convoca a Barrowton i lord per confermare fedeltà al Trono di Spade e celebrare il matrimonio del figlio con…» Sentì il cuore fermarsi per un momento. “No, è impossibile. È morta ad Approdo del Re, con nostro padre.”

«Lord Snow?» Clydas lo scrutò attentamente, con i suoi occhi rosa velati. «Non… non ti senti bene? Sembri…»

«Sta per sposare Arya Stark. La mia sorellina.» Quasi se la vedeva davanti, il viso allungato e l’aria goffa, tutta ginocchia e gomiti appuntiti, la faccia sporca e i capelli arruffati. L’avrebbero lavata e pettinata, non aveva dubbi, ma non riusciva a immaginare Arya in abito da sposa, men che meno nel talamo di Ramsay Bolton. “Non importa quanta paura abbia, non la farà vedere mai. Se proverà a metterle una mano addosso, Arya si batterà.”

«Tua sorella» disse Emmett il Ferrigno «quanti anni ha…»

“Ora ne avrebbe undici. Ancora una bambina.”

«Non ho nessuna sorella» dichiarò. «Solamente confratelli. Solamente voi.» Lady Catelyn si sarebbe rallegrata a sentire quelle parole, lo sapeva. Questo non rendeva più facile dirle. Jon strinse le dita intorno alla pergamena.

“Magari queste dita potessero stringere con altrettanta facilità la gola di Ramsay Bolton.”

Clydas si schiarì la gola. «C’è una risposta?»

Jon scosse la testa e si allontanò.

La sera i lividi ricevuti da Rattleshirt erano violacei. «Saranno gialli, prima di svanire» disse al corvo di Mormont. «Diventerò olivastro come il Lord delle Ossa.»

«Ossa» convenne il corvo. «Ossa, ossa.»

Jon sentiva un mormorio di voci giungere dall’esterno, troppo debole per distinguere le parole. “Sembrano lontani mille leghe.” Erano lady Melisandre e i suoi seguaci intorno al falò. Al crepuscolo, la Donna Rossa guidava i suoi fedeli nella preghiera della sera, chiedendo al dio del fuoco di proteggerli nel buio. “Perché la notte è oscura e piena di terrori.”

Ripartiti per il Sud Stannis e gran parte degli uomini della regina, anche il gregge di Melisandre si era notevolmente rimpicciolito: una cinquantina di fedeli del popolo libero di Città della Talpa, la manciata di guardie lasciata dal re, forse una decina di confratelli in nero che si erano convertiti al dio rosso.

Jon si sentiva rigido come un uomo di sessant’anni. “Sogni tenebrosi” pensò “e sensi di colpa.” Ripensò ad Arya. “Non ho modo per aiutarla. Ho rinunciato a tutti i parenti, il giorno in cui ho pronunciato il giuramento della confraternita in nero. Se uno dei miei uomini mi dicesse che sua sorella è in pericolo, gli direi che non lo riguarda.” Una volta pronunciati i voti, il sangue diventava nero. “Nero come il cuore di un bastardo.” Una volta aveva detto a Mikken, il fabbro di Grande Inverno, di fare una spada per Arya, una lama da braavosiano, più piccola perché potesse stare in mano a una bambina. “Ago, lei l’aveva chiamata così”. Si domandò se ce l’avesse ancora. “Colpisci con la parte appuntita” le aveva detto. Ma se avesse cercato di colpire il Bastardo, forse ci avrebbe rimesso la vita.

«Snow» borbottò il corvo di lord Mormont. «Snow, snow.»

All’improvviso, Jon non poté più sopportare di stare là dentro, a rimuginare su cose perdute, cose morte.

Trovò Spettro fuori della porta, intento a rosicchiare un osso di bue, determinato ad arrivare fino al midollo. «Quando sei tornato?» Il meta-lupo albino si alzò, lasciando l’osso per seguire Jon.

Mully e Kegs erano al di qua della porta, appoggiati alle lance. «Fuori fa un freddo micidiale, mio lord» lo avvertì Mully, parlando tra l’arruffata barba arancione. «Starai fuori a lungo?»

«Non molto, ho solo bisogno di una boccata d’aria.»

Jon uscì nella notte. Il cielo era pieno di stelle e il vento soffiava a raffiche lungo la Barriera. Anche la luna pareva congelata. Jon sentì la pelle d’oca sulla faccia. La prima raffica di vento lo investì, penetrando sotto gli strati di lana e cuoio, facendogli battere i denti.

Attraversò il cortile, dritto nelle fauci di quel vento. La cappa gli sbatteva rumorosamente sulle spalle. Spettro gli andò dietro. “Dove sto andando? Che cosa sto facendo?” Il Castello Nero era quieto e silenzioso, le sale e le torri immerse nell’oscurità. “Il mio scranno” rifletté Jon Snow. “La mia sala, la mia casa, il mio comando. Un’unica rovina.”

Nell’ombra della Barriera, il meta-lupo si strofinò contro le sue dita. Per un istante, la notte si rianimò di mille odori. Jon Snow sentì lo scricchiolio della crosta su una chiazza di neve vecchia. Aveva qualcuno alle spalle, capì d’un tratto. Qualcuno che profumava di caldo come una giornata d’estate.

Quando si girò, vide Ygritte.

Stava al riparo delle pietre bruciate della Torre del Lord comandante, avvolta dalle tenebre e dalla memoria. La luce della luna si rifletteva sui suoi capelli, capelli rossi baciati dal fuoco. Nel vederli, Jon si sentì balzare il cuore in gola.

«Ygritte…»

«Lord Snow.» Non era Ygritte. La voce era di Melisandre.

La sorpresa lo fece ritrarre. «Lady Melisandre.» Fece un passo indietro. «Ti avevo scambiata per un’altra persona.» “Di notte tutte le vesti sono grigie.” Eppure all’improvviso le sue erano rosse. Jon non riusciva a capire come avesse fatto a prenderla per Ygritte. Melisandre era più alta, più magra, più vecchia, anche se il chiaro di luna le cancellava gli anni dal viso. La condensa si alzava dalle sue narici, dalle pallide mani nude alla notte.

«Ti congelerai le dita» l’avvertì Jon.

«Se questa è la volontà di R’hllor. I poteri della notte non possono toccare chi ha il cuore immerso nel sacro fuoco del dio.»

«Il tuo cuore non mi riguarda. Solo le tue mani.»

«Il cuore è tutto ciò che conta. Non disperare, lord Snow. La disperazione è un’arma del nemico il cui nome non può essere pronunciato. Tua sorella non è perduta per te.»

«Non ho nessuna sorella.» Parole taglienti come daghe. “Che ne sai tu del mio cuore, sacerdotessa? Che ne sai di mia sorella?”

Melisandre parve quasi divertita. «Come si chiama, questa sorellina che non hai?»

«Arya» rispose Jon, con voce roca. «Sorellastra, in realtà…»

«… perché sei nato bastardo. Non l’ho dimenticato. Ho visto tua sorella nei miei fuochi: fugge dal matrimonio predisposto per lei. Ora sta venendo qui, da te. Una bambina in grigio su un cavallo morente, l’ho visto chiaro come il giorno. Non è ancora accaduto, ma accadrà.» Guardò Spettro. «Posso toccare il tuo… lupo?»

Un pensiero mise Jon a disagio. «Meglio di no.»

«Non mi farà niente. Lo chiami Spettro, sì?»

«Sì, ma…»

«Spettro.» Melisandre rese musicale quella parola.

Il meta-lupo le si avvicinò. Diffidente, le girò intorno, annusando. Quando lei tese la mano annusò anche quella, poi spinse il muso contro le sue dita.

Jon lasciò uscire un respiro bianco. «Non sempre è così…»

«… caloroso? Calore chiama calore, Jon Snow.» I suoi occhi erano due stelle rosse, scintillanti nelle tenebre. Intorno alla gola risplendeva il rubino, un terzo occhio più scintillante degli altri. Jon aveva visto gli occhi di Spettro brillare di rosso allo stesso modo, quando erano colpiti dalla giusta luce.

«Spettro» chiamò. «Qua!»

Il meta-lupo lo guardò come se fosse un estraneo.

Jon corrugò la fronte, incredulo. «Questo è… strano.»

«Pensi?» Melisandre si inginocchiò, e grattò Spettro dietro l’orecchio. «La tua Barriera è uno strano palazzo, Jon Snow. Ma qui c’è potere, se tu sarai disposto a usarlo. Potere in te e in questo animale. Tu opponi resistenza, ecco il tuo errore. Abbraccia il potere. Usalo.»

“Non sono un lupo” pensò Jon. «E come dovrei fare?»

«Posso mostrartelo.» Melisandre passò il braccio intorno al collo di Spettro e il meta-lupo le leccò il viso. «Il Signore della Luce nella sua saggezza ci ha fatti maschio e femmina, due parti di un’unica, grande entità. Nel nostro congiungimento c’è potere. Potere di creare vita. Potere di creare luce. Potere di proiettare ombre.»

«Ombre.» Il mondo parve di colpo più scuro, quando Jon ripeté la parola.

«Ogni uomo che cammina sulla terra getta un’ombra sul mondo. Alcune sono deboli e sottili, altre sono lunghe e scure. Guarda dietro di te, lord Snow. La luna ti bacia, e ha inciso sul ghiaccio la tua ombra alta venti piedi.»

Jon lanciò un’occhiata alle sue spalle. L’ombra era lì, proprio come lei aveva detto, incisa dal chiaro di luna sulla Barriera. “Una bambina in grigio su un cavallo morente” pensò Jon. “Che viene qui, da te. Arya.” Si girò di nuovo verso la sacerdotessa. Poteva sentire il suo calore. “Ha potere.” Il pensiero gli giunse spontaneo, afferrandolo con denti di ferro, ma quella non era una donna con cui volesse trovarsi in debito, nemmeno per la sua sorellina. «Una volta Dalla mi disse una cosa. Sorella di Val, moglie di Mance Rayder. Mi disse che la stregoneria è come una spada senza impugnatura, non c’è un modo sicuro di brandirla.»

«Una donna saggia.» Melisandre si rialzò, le sue vesti rosse furono agitate dal vento. «Però una spada senza impugnatura rimane pur sempre una spada. E una spada è una buona cosa da avere quando si hanno intorno dei nemici. Adesso ascoltami, Jon Snow. Nove corvi sono volati nel bosco bianco a cercare per te i tuoi nemici. Tre sono morti. Non sono ancora morti, anche se la loro morte è la fuori ad aspettarli e stanno cavalcando a incontrarla. Li hai mandati avanti perché fossero i tuoi occhi nelle tenebre, ma quando torneranno da te non avranno più occhi. Ho visto nelle fiamme la loro faccia pallida e morta: orbite vuote che piangono sangue.» Si spinse indietro i capelli rossi, e i suoi occhi rossi luccicavano. «Tu non mi credi. Be’, mi crederai. Il costo per credermi saranno tre vite. Un prezzo modesto per avere la saggezza, potrebbe dire qualcuno… ma un prezzo che non dovevi pagare. Ricordalo quando vedrai la faccia cieca e devastata dei tuoi morti. E arrivato quel giorno, prendi la mia mano.»

La bruma si levò dalla sua pallida carne e per un momento parve che delle pallide fiamme stregate le danzassero intorno alle dita.

«Prendi la mia mano» ripeté Melisandre «e lascia che io salvi tua sorella.»