«Lotto novantasette.» Il banditore fece schioccare la frusta. «Una coppia di nani ben addestrati per il vostro divertimento.»
La piattaforma d’asta era stata eretta dove l’ampio e fangoso fiume Skahazadhan andava a gettarsi nella Baia degli Schiavisti. Tyrion Lannister sentiva nell’aria l’odore di salmastro, mescolato con il tanfo delle latrine scavate dietro le gabbie degli schiavi. Pativa non tanto il caldo quanto l’umidità. L’aria stessa sembrava schiacciarlo, come una coperta calda e fradicia gettata sulla testa e sulle spalle.
«Cane e maiale sono inclusi nel lotto» annunciò il banditore. «I nani montano loro in groppa. Deliziate gli ospiti al vostro prossimo festino, oppure usateli a vostro piacimento.»
I compratori sedevano su panche di legno sorseggiando bevande alla frutta. Gli schiavi facevano vento ad alcuni di loro. Molti indossavano il tokar, quell’indumento singolare così amato dall’antico sangue della Baia degli Schiavisti, indubbiamente elegante ma poco pratico. Altri vestivano in modo più ordinario: uomini in tunica e mantello con cappuccio, donne avvolte in sete colorate. Con ogni probabilità, o baldracche o sacerdotesse; lì nel lontano Oriente era difficile distinguere le une dalle altre.
Dietro le panche, a scambiarsi battute e a ridere su quanto stava accadendo, c’era un gruppo di occidentali. “Mercenari” dedusse Tyrion. Scorse spade lunghe, stiletti e pugnali, parecchie asce da lancio e maglie di ferro sotto i mantelli. Capelli, barbe e facce suggerivano che erano per lo più uomini delle città libere, ma qua e là ce n’erano alcuni che potevano venire dal continente occidentale. “Sono qui per comprare? O si godono solo lo spettacolo?”
«Chi fa la prima offerta per questa coppia?»
«Trecento» disse una corpulenta matrona su un vecchio palanchino.
«Quattrocento» gridò uno yunkai mostruosamente grasso dal palanchino su cui stava stravaccato come un leviatano. Interamente ricoperto di seta gialla con frange dorate, sembrava grosso come quattro Illyrio messi assieme. Tyrion provò compassione per gli schiavi costretti a trasportarlo. “Almeno questo è un compito che mi sarà risparmiato. Che gioia essere un nano.”
«E uno» rilanciò una vecchiaccia con un tokar viola. Il banditore la fulminò con un’occhiata ostile, ma accettò l’offerta.
I marinai schiavi della Selaesori Qhoran, venduti individualmente, erano stati aggiudicati a prezzi tra i cinquecento e i novecento pezzi d’argento. Gli uomini di mare esperti erano merce di valore. Nessuno aveva opposto resistenza quando gli schiavisti avevano abbordato il cargo che andava alla deriva. Per loro si trattava solo di cambiare padrone. Gli ufficiali del vascello erano uomini liberi, ma la vedova del fronte del porto li aveva inclusi nel contratto, garantendo di pagare il loro riscatto in un caso come quello. I tre adepti superstiti non erano ancora stati venduti, ma erano di proprietà del Signore della Luce e potevano contare di venire riconsegnati a qualche tempio rosso. Le fiamme tatuate in faccia erano il loro contratto.
Tyrion e Penny non avevano simili rassicurazioni.
«Quattro e cinquanta» l’offerta salì.
«Quattro e ottanta.»
«Cinquecento.»
Certi rilanci erano pronunciati in alto valyriano, altri nel dialetto imbastardito di Ghis. Alcuni compratori facevano cenni con un dito, ruotando il polso o facendo ondeggiare il ventaglio dipinto.
«Sono contenta che ci tengano insieme» bisbigliò Penny.
Il mercante di schiavi lanciò loro un’occhiata. «Non si parla.»
Tyrion appoggiò la mano sulla spalla di Penny. Ciocche di capelli, biondo pallido e neri, aderivano alla fronte del nano, i resti stracciati della tunica alla sua schiena. In parte era sudore, in parte sangue rappreso. Tyrion non era stato così stupido come Jorah Mormont da battersi contro gli schiavisti, ma questo non gli aveva risparmiato di essere punito. Nel suo caso, le frustate erano dovute alla parlantina.
«Ottocento.»
«E cinquanta.»
«E uno.»
“Valiamo quanto un marinaio” rimuginò Tyrion. Ma forse i compratori volevano Carina Porcellina. “Non è facile trovare una scrofa ben addestrata.” Di certo non stavano offrendo a peso.
A novecento pezzi d’argento, l’asta cominciò a rallentare. A novecentocinquantuno (offerti dalla vecchiaccia) si fermò. Il banditore, però, aveva intuito e capì che l’unica cosa da fare era dare alla folla un assaggio dello spettacolo dei nani. Scrocchio e Carina Porcellina vennero portati sulla piattaforma. Stare loro in groppa senza né selle né briglie non era facile. Appena la scrofa si mosse, Tyrion scivolò giù dal suo didietro e atterrò sul proprio, suscitando una marea di risate fra i compratori.
«Mille» rialzò il grassone grottesco.
«E uno.» Ancora la vecchiaccia.
La bocca di Penny era inchiodata in un sorriso di circostanza. “Ben addestrati per il vostro divertimento.” Suo padre avrebbe avuto molto da ridire, qualsiasi fosse la piccola sezione degl’inferi riservata ai nani.
«Milleduecento.» Il leviatano in giallo. Uno schiavo al suo fianco gli porse una bevanda. “Limone, senza dubbio.” Il modo in cui quegli occhi gialli fissavano la piattaforma mise Tyrion a disagio.
«Milletrecento.»
«E uno.» La vecchiaccia.
“Mio padre diceva sempre che un Lannister vale dieci volte un uomo comune.”
Ma a milleseicento l’asta accennò a fermarsi di nuovo, per cui lo schiavista invitò alcuni dei compratori a salire sulla piattaforma per dare ai nani un’occhiata più da vicino. «La femmina è giovane» garantì. «Potreste anche farli accoppiare e ricavare valido conio dalla cucciolata.»
«Al maschio manca metà naso» si lagnò la vecchiaccia dopo averlo esaminato a poca distanza. Sulla sua faccia rugosa c’era una smorfia di malcontento. La carne era livida come i vermi della putrefazione; avvolta nel tokar viola sembrava una prugna ricoperta di muffa. «E ha anche gli occhi spaiati. Non è un buon articolo.»
«La mia lady non ha ancora visto la mia parte migliore.» Tyrion si afferrò il cavallo delle brache, qualora non avesse capito bene l’allusione.
L’arpia avvizzita emise un sibilo scandalizzata, e Tyrion si beccò un colpo secco di frusta sulla schiena, una sferzata mordace che lo fece cadere in ginocchio. In bocca sentì il sapore del sangue. Sogghignò e sputò.
«Duemila» dichiarò una voce nuova, dalle panche in fondo.
“E che cosa ci farà mai un mercenario con un nano?” Tyrion si trascinò in piedi per vedere meglio. Il nuovo offerente era un uomo anziano, con i capelli bianchi, ma alto e in ottima forma fisica, la pelle tinta cuoio e la barba sale e pepe tagliata corta. Seminascosti sotto una sbiadita cappa viola c’erano una spada lunga e un arsenale di pugnali.
«Duemilacinquecento.» Questa volta una voce femminile; una ragazza, di bassa statura, con un ampio girovita e il seno pesante, chiusa in un’armatura riccamente decorata. La piastra pettorale d’acciaio nero con i muscoli scolpiti era istoriata d’oro e mostrava un’arpia che risorgeva, con le catene degli artigli penzolanti. Due soldati schiavi la tenevano sollevata su uno scudo all’altezza delle spalle.
«Tremila.» L’uomo con la pelle tinta cuoio avanzò, mentre i suoi compagni mercenari spingevano di lato la folla per aprirgli la strada. “Sì, vieni più vicino.” Tyrion sapeva come trattare i mercenari. Non pensò nemmeno per un istante che quell’uomo lo volesse per allietare i suoi festini. “Lui sa chi sono. Vuole riportarmi in Occidente e vendermi a mia sorella.” Il Folletto si passò la mano sulla bocca per nascondere un sorriso. Cersei e i Sette Regni erano a mille leghe da lì. Prima che lui ci arrivasse poteva accadere di tutto e di più. “Sono riuscito a portare Bronn dalla mia. Se si creasse l’occasione, potrei fare lo stesso anche con lui.”
La vecchiaccia e la ragazza sullo scudo si fermarono a tremila, non così il grassone in giallo. Scrutò i mercenari con i suoi occhi giallognoli, si passò la lingua sui denti giallastri e disse: «Cinquemila pezzi d’argento per la coppia».
Il mercenario corrugò la fronte, alzò le spalle, si ritirò.
“Per i Sette Inferi.” Tyrion era quanto mai sicuro di non voler diventare proprietà dell’immenso Lord Panzagialla. Anche il solo guardarlo, sbracato sulla sua portantina, una montagna di carne flaccida con occhietti gialli porcini e le mammelle grosse quanto quelle di Carina Porcellina che premevano contro la seta del tokar, era più che sufficiente per fargli torcere le viscere. Inoltre, il tanfo che emanava arrivava fino alla piattaforma.
«Se non ci sono altre offerte…»
«Settemila!» ringhiò Tyrion.
Un gorgoglio di risate tra le panche. «Il nano vuole comprare se stesso» osservò la ragazza sullo scudo.
Tyrion le rivolse un sogghigno lascivo. «Un abile schiavo si merita un abile padrone, e tutti voi sembrate una massa d’idioti.»
Questo provocò risate ancora più forti da parte degli offerenti, e un’occhiata torva del banditore, che tastava l’impugnatura della frusta, incerto se usarla di nuovo o se invece aspettare di vedere se la situazione potesse volgere a suo favore.
«Cinquemila è un insulto!» tuonò ancora Tyrion. «Io so giostrare, so cantare e so dire cose divertenti. Posso chiavarmi vostra moglie e farla urlare di piacere. Oppure se preferite, chiavarmi la moglie del vostro nemico: quale modo migliore per coprirlo di vergogna? Sono infallibile con una balestra, e uomini grossi il triplo di me se la fanno sotto e si mettono a tremare quando devono confrontarsi con me a un tavolo da cyvasse. Sono anche noto come cuoco, di tanto in tanto. Offro per me stesso diecimila pezzi d’argento! Li valgo, sì, che li valgo. Mio padre mi ha insegnato che devo sempre ripagare i miei debiti.»
Il mercenario con il mantello viola tornò sui propri passi. I suoi occhi incontrarono quelli di Tyrion, oltre le file degli altri offerenti, e sorrise. “Un sorriso caldo” rifletté il Folletto. “Amichevole. Ma, per gli dèi, gli occhi sono gelidi. Forse dopotutto non voglio che sia lui a comprarmi.”
La flaccida enormità gialla tremolava sulla sua portantina, con un’espressione seccata sull’immensa faccia da luna piena. Mugugnò qualcosa di acido in lingua ghiscariana, che Tyrion non capì, ma il tono lasciava adito a pochi dubbi.
«Che cos’era quella, un’altra offerta?» Il Folletto inclinò il capo da un lato. «Io offro tutto l’oro di Castel Granito!»
Udì la frusta prima ancora di essere colpito, un sibilo nell’aria, sottile e tagliente. Tyrion grugnì sotto la sferzata, ma questa volta riuscì a restare in piedi. I suoi pensieri andarono indietro nel tempo, agli inizi del suo viaggio, quando il problema più pressante era decidere quale vino bere con lo spuntino di lumache a metà mattina. “Ecco che cosa succede a dare la caccia ai draghi.” Una risata gli eruttò dalle labbra, irrorando di bava e sangue i compratori della prima fila.
«Venduti» annunciò il banditore. Poi lo colpì di nuovo, tanto per togliersi lo sfizio. Questa volta Tyrion andò al tappeto.
Una delle guardie lo tirò su. Un’altra, con il fondo della picca, spinse Penny a scendere dalla piattaforma. Il lotto successivo era già pronto a prendere il loro posto. Una ragazza di quindici o sedici anni, non della Selaesori Qhoran. Tyrion non l’aveva mai vista. “La stessa età di Daenerys Targaryen, o poco ci manca.” In breve, lo schiavista la fece stare nuda davanti a tutti. “Almeno questa umiliazione a noi è stata risparmiata.”
Tyrion lasciò spaziare lo sguardo oltre l’accampamento yunkai, fino alle mura di Meereen. Le porte della città sembravano così vicine… e a voler dare credito alle voci che giravano tra le gabbie degli schiavi, Meereen rimaneva ancora una città libera. All’interno di quelle mura che si stavano sgretolando, la schiavitù e la tratta degli schiavi erano ancora proibite. Tutto quello che lui doveva fare era raggiungere quelle porte e passare al di là, e sarebbe stato di nuovo un uomo libero.
Ma era un’impresa difficilmente realizzabile, a meno che non avesse abbandonato Penny. “Lei vorrebbe portare con sé anche il cane e il maiale.”
«Non sarà poi così terribile, non credi?» bisbigliò Penny. «Ha pagato così tanto, per noi. Sarà gentile, vero?»
“Solo finché lo faremo divertire.” «Valiamo troppo per essere maltrattati» la rassicurò Tyrion, anche se dopo le ultime due frustate continuava a colargli il sangue lungo la schiena. “Però una volta che il nostro spettacolino diventerà stantio… perché, prima o poi, è questo che accade…”
Il sorvegliante del loro padrone aspettava, su un carretto trainato da un mulo e due guardie, di prenderli in consegna. Aveva una faccia lunga e stretta, un pizzetto legato con filo d’oro, e i suoi capelli rossi e neri rigidi partivano dalle tempie come due mani ad artiglio. «Ma quanto siete carucci. Mi ricordate i miei figlioletti… o meglio, me li ricordereste, se non fossero morti. Mi prenderò cura di voi. Ditemi i vostri nomi.»
«Penny» la sua voce era un sussurro, esile e spaventata.
“Tyrion, della Casa Lannister, erede di diritto di Castel Granito, razza di viscido verme che non sei altro.” «Yollo.»
«Prode Yollo, radiosa Penny. Voi ora siete di proprietà del nobile e valoroso Yezzan zo Qaggaz, erudito e guerriero, riverito fra i Saggi Padroni di Yunkai. Ritenetevi fortunati, perché Yezzan è un padrone gentile e benevolo. Pensate quindi a lui come a un padre.»
“Con piacere” pensò Tyrion, ma questa volta tenne a freno la lingua. Sarebbero stati chiamati ben presto a esibirsi per il loro padrone, ne era certo, e non avrebbe retto un’altra frustata.
«Vostro padre ama i suoi tesori speciali più di qualsiasi altra cosa e avrà cura di voi» continuò il sorvegliante. «Quanto a me, consideratemi un po’ come la balia che si occupava di voi quando eravate bimbi. E Balia è per l’appunto il modo in cui vengo chiamato da tutti i miei bambini.»
«Lotto novantanove» annunciò il banditore. «Un guerriero.»
La ragazza era stata venduta in fretta e stava già per essere portata via dal suo nuovo proprietario, con la tunica stretta a coprire i piccoli seni. Al suo posto, due schiavisti trascinarono sulla piattaforma Jorah Mormont. Il cavaliere era nudo tranne le pudenda, aveva la schiena solcata dalle frustate, il volto talmente tumefatto da essere quasi irriconoscibile. Le catene gli legavano polsi e caviglie. “Un piccolo assaggio del pranzo che mi hai servito” pensò Tyrion, però si accorse di non poter trarre alcun piacere dalla miserevole sorte toccata al cavaliere.
Perfino in catene, Jorah Mormont appariva pericoloso: un gigantesco bruto, con grosse braccia muscolose e le spalle spioventi. Tutta quella ispida peluria nera sul petto lo faceva sembrare più una belva che un uomo. Aveva entrambi gli occhi pesti: due oscure voragini in quella faccia grottescamente rigonfia per i colpi. Su una guancia aveva un marchio a fuoco: la maschera di un demone.
Quando gli schiavisti si erano avventati contro la Selaesori Qhoran, ser Jorah li aveva affrontati con la spada in pugno, sventrandone tre prima di essere sopraffatto. Gli altri schiavisti erano pronti a ucciderlo, ma il comandante della nave li aveva fermati: un combattente valeva pur sempre ottimo argento. Così Mormont era stato incatenato a un remo, picchiato quasi a morte, lasciato senza cibo e infine marchiato a fuoco.
«Ecco un bel lotto, grande e forte» dichiarò il banditore. «E anche pieno di rabbia. Darebbe di certo un bello spettacolo nelle fosse da combattimento. Si parte da trecento. Chi offre di più?»
Nessuno.
Mormont non prestava nemmeno attenzione a quella folla meticcia: i suoi occhi erano fissi oltre le linee d’assedio yunkai, sulla città lontana dietro le ancestrali mura di mattoni multicolori. Tyrion poteva leggere quello sguardo come un libro aperto: “Così vicina, eppure così lontana”. Quel povero rottame umano era arrivato troppo tardi. Daenerys Targaryen si era sposata, le guardie delle gabbie li avevano informati, ridendo. Aveva scelto come suo re uno schiavista di Meereen, tanto ricco quanto aristocratico, e una volta che la pace con Yunkai fosse stata stipulata, le fosse da combattimento di Meereen sarebbero state riaperte. Altri schiavi, però, sostenevano che le guardie mentivano, che mai e poi mai Daenerys Targaryen avrebbe fatto pace con gli schiavisti. La chiamavano “Mysha”. Qualcuno disse a Tyrion che voleva dire “Madre”. Ben presto l’argentea regina sarebbe uscita da quelle mura, annientando gli yunkai e spezzando le loro catene, sussurravano gli uni agli altri.
“Certo, dopo di che preparerà per tutti noi una bella torta al limone e ci darà un bacino sulle ferite lasciate dalle fruste per farle guarire prima” pensò il Folletto. Non aveva alcuna fiducia nei soccorsi da parte di re o regine. Se necessario, ci avrebbe pensato lui alla loro liberazione. I funghi che teneva nascosti nella punta dello stivale sarebbero stati forse sufficienti sia per lui sia per Penny. Scrocchio e Carina Porcellina avrebbero dovuto arrangiarsi.
Balia continuava a concionare i nuovi trofei del padrone. «Fate tutto quello che vi viene detto e nulla più, e vivrete come piccoli lord, coccolati e adorati» promise. «Disobbedite… ma voi non fareste mai una cosa simile, vero? Non i miei tesorucci.» Allungò una mano e diede un pizzicotto a Penny sulla guancia.
«Allora duecento» disse il banditore. «Un bruto grande e grosso come questo, ne vale tre volte tanto. E che guardia del corpo sarebbe! Nessun nemico oserebbe più molestarvi!»
«Venite, miei piccoli amici» li esortò Balia. «Vi porto nella vostra nuova dimora. A Yunkai abiterete nella piramide dorata di Qaggaz e cenerete in piatti d’argento, ma qui viviamo nella frugalità, nelle umili tende dei soldati.»
«Chi offre cento, quindi?» ripeté il banditore.
Questo in effetti portò a un’offerta, ma al ribasso: solo cinquanta pezzi d’argento. Il compratore era un uomo magro con un grembiule di cuoio.
«E uno» la vecchiaccia con il tokar viola.
Uno dei soldati issò Penny sul carretto trainato dal mulo. «Chi è quella vecchia?» chiese Tyrion.
«Zahrina» rispose il soldato. «I suoi sono combattenti da poco. Carne da macello per i campioni. Tuo amico morto presto.»
“Non è un mio amico.” Eppure Tyrion Lannister si ritrovò comunque ad apostrofare Balia: «Non puoi lasciarglielo prendere».
Balia lo guardò di traverso. «Perché fai tutto questo rumore?»
Tyrion indicò. «Lui fa parte del nostro spettacolo. L’orso e la fanciulla bionda. Jorah è l’orso, Penny la fanciulla e io sono il valoroso cavaliere che la salva dall’orso. Prima faccio un balletto, poi lo sistemo con un calcio nelle palle. Da crepare dalle risate.»
Il servo strinse gli occhi, osservando la piattaforma. «Quello?» Le offerte per Jorah Mormont erano arrivate a duecento pezzi d’argento.
«E uno» rilanciò la vecchiaccia con il tokar viola.
«Il tuo orso. Capisco.» Balia ciabattò attraverso la folla, si chinò sul colossale yunkai giallo sulla portantina e gli sussurrò all’orecchio. Il padrone annuì, vari menti tremolarono, poi sollevò il ventaglio. «Trecento» dichiarò con voce ansimante.
La vecchiaccia tirò in su con il naso e rinunciò.
«Ma perché l’hai fatto?» chiese Penny in lingua comune.
“Bella domanda” pensò Tyrion. “Perché l’ho fatto?” «Il nostro spettacolo stava perdendo mordente. E ogni guitto ha bisogno di un orso che balla.»
Penny gli lanciò un’occhiata di rimprovero, quindi si ritirò verso il fondo del carretto, con le braccia attorno a Scrocchio, come se il cane fosse l’ultimo vero amico che le rimaneva al mondo. “Forse ha ragione.”
Balia tornò con Jorah Mormont. I due soldati del padrone lo scaraventarono nel carretto trainato dal mulo, in mezzo ai due nani. Il cavaliere non oppose alcuna resistenza. “Tutto il suo spirito combattivo si è dileguato, quando ha appreso che la sua regina si è sposata” capì Tyrion. Una parola sussurrata aveva fatto quello che pugni, fruste e bastoni non erano riusciti a ottenere: spezzare quell’uomo. “Avrei dovuto lasciare che lo prendesse la vecchia. Mi sarà utile quanto i capezzoli su un’armatura.”
Balia si arrampicò sulla parte anteriore del carretto, afferrò le redini e si avviarono, attraverso il campo d’assedio, verso la tenda del loro nuovo padrone, il nobile Yezzan zo Qaggaz. Quattro soldati schiavi marciavano di fianco a loro, due per ogni lato del carretto.
Penny non piangeva, ma i suoi occhi erano rossi e disperati, e non si staccava mai da Scrocchio. “Forse lei crede che non guardando, tutto questo si dissolverà?” Ser Jorah Mormont non guardava niente e nessuno. Rimase curvo su se stesso, a rimuginare sulle sue catene.
Tyrion invece guardava tutto e tutti.
L’accampamento yunkai non era un solo accampamento, ma cento accampamenti diversi, l’uno attaccato all’altro, disposti a mezzaluna attorno alle mura di Meereen; una città fatta di seta e di tela, con strade e vicoli, taverne e baldracche, quartieri belli e quartieri brutti. Nella fascia di terra fra le linee d’assedio e la baia, le tende erano spuntate come funghi giallastri. Alcune erano piccole e rozze, solo un lembo di tela sbiadita per ripararsi dal sole e dalla pioggia, ma accanto a queste sorgevano tende a baraccamento abbastanza grandi da ospitare cento uomini, e padiglioni di seta grandi come palazzi, con i vessilli delle arpie che garrivano sui pali centrali. Certi accampamenti erano ben ordinati, con le tende disposte a cerchi concentrici attorno alla fossa del fuoco, le armi e le armature collocate nell’anello centrale, linee dei cavalli all’esterno. Altri invece sembravano governati dal caos allo stato puro.
Le pianure attorno a Meereen, aride e bruciate dal sole, erano piatte, spoglie e senza alberi per molte leghe, ma le navi yunkai avevano trasportato abbastanza legname e cuoio dal Sud per costruire sei enormi catapulte. Erano schierate su tre lati della città, escluso quello del fiume, circondate da tumuli di pietre spezzate e barili di catrame e resina che aspettavano soltanto una torcia. Uno dei soldati che marciavano a fianco del carretto notò che Tyrion le stava osservando e gli disse con orgoglio che a ognuna di esse era stato dato un nome: Domatrice di Draghi, Strega, Figlia dell’Arpia, Sorella Crudele, Fantasma di Astapor, Pugno di Mazdhan. Alte quaranta piedi, incombenti sopra le tende, le catapulte erano i principali punti di riferimento del campo d’assedio. «Solo a guardarle la Regina dei Draghi è caduta in ginocchio» si vantò il soldato schiavo. «E in ginocchio farà bene a restare, a succhiare il cazzo del nobile Hizdahr, se non vuole che riduciamo in polvere le sue mura.»
Tyrion vide uno schiavo che veniva frustato, un colpo dopo l’altro, finché la sua schiena fu soltanto sangue e carne viva. Una fila di uomini in catene marciò nella direzione opposta, con un tintinnare metallico a ogni passo. Brandivano delle lance ed erano armati di spade corte, ma i ceppi li vincolavano polso a polso, caviglia a caviglia. Nell’aria c’era odore di carne arrostita, e un uomo stava scuoiando un cane per preparare uno stufato.
Tyrion vide anche i morti e udì i morenti. Sotto il fumo portato dal vento, l’odore dei cavalli e l’acre sentore salmastro della baia, ristagnava una puzza di sangue e merda. “Dissenteria emorragica” dedusse Tyrion, osservando due mercenari trasportare fuori da una tenda il corpo di un compagno. Contrasse le dita: un morbo può annientare un esercito più in fretta di qualsiasi battaglia, diceva spesso suo padre.
“Ragione di più per andarsene via di qui, e alla svelta.”
Un quarto di miglio più avanti, però, Tyrion ebbe motivo di ripensarci. Una folla si era formata attorno a tre schiavi catturati mentre cercavano di fuggire. «Io so che i miei piccoli tesori saranno dolci e obbedienti» disse Balia. «Guardate a quale destino vanno incontro quelli che tentano di scappare.»
I prigionieri erano stati legati a una fila di travi a croce, e un paio di frombolieri li stava utilizzando per dimostrare la propria abilità. «Toloshi» li informò una delle guardie. «I migliori frombolieri del mondo. Invece delle pietre lanciano palle di piombo morbido.»
Tyrion non aveva mai capito il significato delle frombole, visto che archi e frecce arrivavano ben più lontano… ma non aveva ancora visto i frombolieri di Tolos all’opera. Le loro palle di piombo erano molto più devastanti delle pietre lisce generalmente usate dagli altri frombolieri, e anche delle frecce. Uno di quei proiettili colpì un prigioniero al ginocchio, facendo esplodere l’articolazione in un’eruzione di sangue e ossa che lasciò la parte inferiore della gamba dell’uomo appesa a un tratto di tendine rosso scuro. “Be’, ecco uno che ha smesso di correre” ammise Tyrion, mentre l’uomo cominciava a gridare. Nell’aria del mattino, le sue urla si mescolarono alle risate delle baldracche al seguito dell’esercito e alle bestemmie di quelli che avevano scommesso buon conio contro il fromboliere. Penny distolse lo sguardo, ma Balia l’afferrò per il mento e le fece girare di nuovo la testa. «Guarda» le ordinò. «E anche tu, orso.»
Jorah Mormont alzò gli occhi e fissò Balia. Tyrion notò le braccia del cavaliere contrarsi. “Adesso gli stacca la testa, e per noi tutti è la fine.” Ma ser Jorah si limitò a fare una smorfia, poi si voltò a guardare lo spettacolo cruento.
Verso oriente, le massicce mura di mattoni di Meereen tremolavano nel calore del mattino. Era quello il rifugio che i tre sventurati avevano sperato di raggiungere. “Ma per quanto tempo rimarrà un rifugio?”
Tutti e tre gli schiavi catturati erano morti prima che Balia tornasse a impugnare le redini. Il carretto trainato dal mulo si rimise in moto scricchiolando.
L’accampamento del padrone si trovava a sudest della catapulta chiamata Strega, quasi nella sua ombra, che si estendeva su parecchi acri di terreno. L’umile tenda di Yezzan zo Qaggaz si rivelò un vero e proprio palazzo di seta giallo limone. Arpie smaltate svettavano scintillanti nel sole sulla sommità dei pali centrali di ciascuno dei nove tetti a punta. Tende più piccole circondavano il padiglione su ogni lato.
«Quelli sono gli alloggi dei cuochi, delle concubine e dei guerrieri del nostro nobile padrone, nonché di alcuni suoi parenti di rango inferiore» illustrò Balia «ma voi tesorucci avrete il raro privilegio di dormire niente meno che nel padiglione del nobile Yezzan. A lui compiace tenersi vicini i suoi trofei.» Spostò lo sguardo su Mormont. «Tu, orso, no. Tu sei grosso e brutto, resterai incatenato fuori.» Nessuna risposta da Mormont. «Ma per prima cosa, vi verrà preparato un collare.»
Erano collari di ferro, leggermente smaltati perché scintillassero alla luce. Nel metallo era inciso in glifi valyriani il nome di Yezzan e sotto le orecchie c’erano due campanelle, in modo che ogni passo di chi lo portava producesse un allegro tintinnio. Jorah Mormont accettò il collare in un cupo silenzio. Penny, invece, cominciò a piangere mentre il fabbro sistemava il suo. «È così pesante» si lamentò.
Tyrion le fece coraggio stringendole la mano. «È d’oro massiccio» mentì. «Nel continente occidentale, le lady d’alto lignaggio sognano di avere una collana come questa.» “Meglio un collare di un marchio a fuoco. Un collare può essere rimosso.” Ripensò a Shae, a come scintillava la catena di mani d’oro del Primo Cavaliere, mentre lui la torceva sempre più stretta attorno al suo collo, fino a strangolarla.
Più tardi, Balia fece fissare le catene di ser Jorah a un palo vicino al fuoco, mentre lui accompagnava i due nani nel padiglione del padrone, per mostrare loro dove avrebbero dormito: un’alcova separata dallo spazio principale da pareti di seta gialla. Avrebbero condiviso quello spazio con gli altri tesori di Yezzan: un ragazzo con “gambe di capra”, storte e pelose; una ragazza con due teste di Mantarys, una donna barbuta e una creatura chiamata Dolcezza, esile come un giunco e addobbata con pietre di luna e pizzi di Myr.
«State cercando di capire se sono uomo o donna» disse Dolcezza, quando venne accompagnata davanti ai due nani. Sollevò le gonne e mostrò quello che c’era sotto. «Sono sia l’uno che l’altra, ed è a me che il padrone vuole il bene più grande.»
“Una parata di esseri grotteschi” capì Tyrion. “Da qualche parte un dio sta ridendo.” «Adorabile» disse a Dolcezza, che aveva i capelli viola e gli occhi azzurri «ma per una volta tanto speravamo di essere noi quelli carini.»
Dolcezza soffocò una risata, ma Balia non era divertito. «Farai meglio a risparmiare le tue facezie per questa sera, quando ti esibirai per il nostro nobile padrone. Se lo compiacerai, sarai ben ricompensato. In caso contrario…» Servì a Tyrion un ceffone in piena faccia.
«È meglio che siate cauti con Balia» avvertì Dolcezza, quando il sorvegliante se ne fu andato. «L’unico vero mostro qui dentro è lui.»
La donna barbuta parlava un incomprensibile dialetto ghiscariano, il ragazzo-capra un gergo gutturale da marinai chiamato “lingua dei commerci”. La ragazza con due teste era corta di comprendonio: una delle teste non era più grossa di un’arancia e non parlava affatto, l’altra aveva denti limati come zanne e ringhiava a chiunque si avvicinasse troppo alla gabbia. In compenso, Dolcezza parlava correntemente quattro lingue, tra cui l’alto valyriano.
«Ma il padrone com’è?» domandò ansiosamente Penny.
«I suoi occhi sono gialli e puzza» rispose Dolcezza. «Dieci anni fa fece un viaggio fino a Sothoros, e da allora va in decomposizione da dentro a fuori. Fategli dimenticare che sta morendo, anche solo per breve tempo, e saprà essere molto generoso. Non negategli nulla.»
Ebbero solamente il pomeriggio per apprendere le usanze della casa. Gli schiavi personali di Yezzan riempirono una vasca d’acqua bollente, e i nani poterono fare il bagno: prima Penny, poi Tyrion. Dopo di che, un altro schiavo spalmò un unguento che bruciava sulle ferite lasciate dalla frusta, per evitare la necrosi, quindi le coprì con un impacco rinfrescante. I capelli di Penny vennero tagliati e la barba di Tyrion fu spuntata. Vennero date loro morbide pantofole e indumenti nuovi, semplici ma puliti.
Al calare della sera, Balia riapparve, annunciando che era tempo d’indossare le armature da guitti. Yezzan avrebbe avuto come ospite il nobile Yurkhaz zo Yunzak, comandante supremo dell’esercito yunkai, e volevano assistere al loro spettacolo.
«Dobbiamo togliere le catene al vostro orso?» chiese infine Balia.
«Stasera, no» rispose Tyrion. «Oggi giostreremo solo noi per il nostro padrone e terremo l’orso per un’altra occasione.»
«D’accordo. E quando avrete finito con le vostre capriole, servirete il vino. Fate attenzione a non rovesciarlo addosso agli ospiti, altrimenti finite male.»
Un giocoliere aprì i numeri della serata. Poi fu la volta di tre atletici acrobati. Poi toccò al ragazzo-capra, il quale si esibì in una giga grottesca, mentre uno degli schiavi di Yurkhaz suonava il flauto ricavato da un osso. Tyrion stava quasi per chiedergli se conosceva Le piogge di Castamere. Nell’attesa che arrivasse il loro turno, Tyrion osservò Yezzan e i suoi ospiti. La prugna umana al posto d’onore era evidentemente il comandante supremo yunkai, dall’aspetto minaccioso quanto una scarica di diarrea. Al suo seguito c’erano almeno una dozzina di lord yunkai. C’erano anche due capitani mercenari, ciascuno accompagnato da una dozzina di guerrieri della propria compagnia. Uno era un elegante soldato di Pentos, con i capelli grigi, interamente vestito di seta tranne il mantello, tutto sbrindellato, ricavato cucendo insieme svariate strisce di stoffa lacera e chiazzata di sangue. L’altro capitano mercenario era l’uomo che aveva cercato di comprare Tyrion quella stessa mattina, l’offerente dalla pelle tinta cuoio e con la barba sale e pepe. «Ben Plumm il Marrone» lo identificò Dolcezza «capitano dei Secondi Figli.»
“Un occidentale, e un Plumm. Di bene in meglio.”
«I prossimi siete voi» li informò Balia. «Siate divertenti, miei tesorucci, o desidererete di esserlo stati.»
Tyrion non aveva appreso nemmeno la metà dei vecchi trucchi di Groat, ma sapeva cavalcare la scrofa, cadere quando doveva cadere, rotolare e balzare di nuovo in piedi. Tutto questo venne bene accolto. Lo spettacolo dei piccoletti che corrono avanti e indietro come ubriachi, picchiandosi con armi di legno, si rivelò divertente in un campo d’assedio nella Baia degli Schiavisti quanto lo era stato al banchetto di nozze di Joffrey ad Approdo del Re. “Il disprezzo” pensò Tyrion Lannister “è un linguaggio universale.”
Ogni volta che uno dei nani finiva a terra o incassava un colpo, il loro padrone Yezzan rideva più a lungo e più forte di tutti, il suo corpo immane si scuoteva come sugna durante un terremoto; prima di ridere a loro volta, i suoi ospiti aspettavano di vedere come reagiva Yurkhaz zo Yunzak. Il comandante supremo aveva un aspetto così fragile che Tyrion temeva che ridere troppo forte avrebbe potuto ucciderlo. Quando l’elmo di Penny venne colpito e volò in grembo all’austero yunkai con il tokar a strisce verdi e oro, Yurkhaz strillò come un pollo. E quando il suddetto lord si mise a rovistare nell’elmo e tirò fuori un grosso pezzo d’anguria viola gocciolante, sghignazzò fino a quando la sua faccia non diventò del medesimo colore del frutto. Poi si chinò verso il suo ospite e gli sussurrò all’orecchio qualcosa che indusse il padrone a sorridere e a inumidirsi le labbra… anche se a Tyrion sembrò di vedere in quegli occhietti gialli a fessura accendersi un lampo di rabbia.
Quindi i nani si tolsero le armature di legno e gli abiti madidi di sudore che portavano sotto, e indossarono delle tuniche gialle pulite che vennero date loro per farli servire. A Tyrion fu affidata una caraffa di vino viola, a Penny una caraffa d’acqua. Si aggirarono per la grande tenda riempiendo le coppe, con le pantofole ai loro piedi che sussurravano sugli spessi tappeti. Si rivelò un compito più faticoso del previsto. Tyrion si ritrovò in breve le gambe doloranti e una delle ferite alla schiena ricominciò a sanguinare, la macchia rossa si allargava sul lino della tunica. Tyrion si morse la lingua e continuò a versare.
La maggior parte degli ospiti non prestava loro più attenzione di quella che riservavano agli altri schiavi… ma uno degli yunkai, mezzo ubriaco, suggerì che Yezzan facesse chiavare i due nani, e un altro chiese in che modo Tyrion avesse perduto il naso. “L’ho infilato nella fregna putrida di tua moglie, e lei me lo ha staccato con un morso” fu sul punto di rispondere, ma la tempesta lo aveva convinto che non era ancora pronto a morire, per cui si limitò a dire: «Mi è stato tagliato come punizione per la mia insolenza, lord».
Poi un lord in un tokar azzurro con frange a occhi di tigre ricordò di come Tyrion, durante la vendita all’asta, si fosse vantato della sua abilità al gioco della cyvasse. «Vediamo se è davvero così bravo» dichiarò. In breve, furono preparati tavolo e pezzi. Solo poche mosse, e l’inferocito lord buttò il tavolo per aria, disseminando le pedine sui tappeti fra le risate degli altri yunkai.
«Dovevi lasciarlo vincere» bisbigliò Penny.
Sorridendo, Ben Plumm il Marrone raddrizzò il tavolo rovesciato. «Adesso veditela con me, nano. Quando ero giovane, i Secondi Figli erano sotto contratto a Volantis. Ho imparato a giocare là.»
«Io sono soltanto uno schiavo. È il mio nobile padrone che decide quando e contro chi devo giocare» Tyrion si rivolse a Yezzan. «Padrone?»
Il lord in giallo parve divertito dalla proposta. «E quale posta proponi, capitano?»
«Se vinco io, mi darai questo schiavo» rispose Ben Plumm.
«No» ribatté Yezzan zo Qaggaz. «Ma se saprai battere il mio nano, potrai avere il prezzo che ho pagato per lui, in oro.»
«Affare fatto» disse il mercenario. I pezzi vennero raccolti dai tappeti, e i due contendenti si sedettero a giocare.
Tyrion vinse la prima partita. Plumm si aggiudicò la seconda, per il doppio della posta. Mentre si preparavano per il terzo confronto, il nano studiò il suo avversario. Pelle scura, guance e mascella ricoperte da una ispida barba brizzolata tagliata corta, il volto scavato da migliaia di rughe e da svariate cicatrici, Plumm aveva comunque un aspetto simpatico, soprattutto quando sorrideva. “Lo scagnozzo fedele” decise Tyrion. “Lo zio preferito di chiunque, tutto sorrisi accattivanti, vecchi proverbi e semplice saggezza.” Era solo una finzione. Quei sorrisi accattivanti non arrivavano mai fino agli occhi di Ben Plumm, nei quali l’avidità era nascosta dietro a un velo di prudenza. “Questo è affamato, ma prudente.”
Il mercenario era scarso quasi quanto il lord yunkai, ma il suo gioco era flemmatico, più tenace che audace. Lo schema di apertura cambiava ogni volta, eppure rimaneva identico: conservativo, difensivo, passivo. “Non sta giocando per vincere” capì Tyrion “sta giocando per non perdere.” Nella seconda partita, quando il Folletto aveva osato troppo con un attacco errato, quello schema aveva portato alla vittoria. Non così nella terza partita, e nemmeno nella quarta e nella quinta, che fu quella conclusiva.
Verso la fine dello scontro, con le torri in rovina, il drago abbattuto, gli elefanti davanti e i cavalli pesanti alle spalle, Plumm alzò lo sguardo e con un sorriso disse: «Yollo vince ancora. Morte in quattro mosse».
«Tre mosse.» Tyrion picchiò con il dito sul suo drago. «Sono stato fortunato. Forse, capitano, prima della prossima partita dovresti passarmi la mano sulla testa. Un po’ della fortuna di nano potrebbe rimanerti attaccata alle dita.» “Perderesti lo stesso, ma almeno mi faresti giocare una partita migliore.”
Con un sogghigno, Tyrion si alzò dal tavolo da cyvasse, prese di nuovo la caraffa del vino e ricominciò a versare, con Yezzan zo Qaggaz decisamente più ricco e Ben Plumm il Marrone decisamente più povero. Durante la terza partita, il suo pantagruelico padrone era scivolato in un sonno ubriaco, la coppa gli era scivolata dalle dita ingiallite, rovesciando il vino sul tappeto, ma forse al risveglio sarebbe stato comunque compiaciuto.
Quando il comandante supremo Yurkhaz zo Yunzak se ne andò, sostenuto da un paio di schiavi muscolosi, quello sembrò essere il segnale di ritirata per tutti gli ospiti. Una volta che la tenda si fu svuotata, riapparve Balia, dicendo che ora i servi potevano banchettare con gli avanzi. «Mangiate in fretta. Prima che andiate a dormire dovrà essere di nuovo tutto pulito.»
Tyrion era in ginocchio, con le gambe doloranti e la schiena coperta di sangue, a cercare di togliere la macchia che il vino del nobile Yezzan aveva lasciato sul tappeto del nobile Yezzan. Balia gli diede un paio di colpetti sulla spalla con l’impugnatura della frusta.
«Yollo. Vi siete comportati bene, tu e tua moglie.»
«Non è mia moglie.»
«La tua puttana, allora. In piedi, tutti e due.»
Tyrion faticò ad alzarsi, una gamba tremante non reggeva il suo peso. Aveva le cosce annodate, scosse da crampi così violenti che Penny dovette aiutarlo a mettersi in piedi. «Che cosa abbiamo fatto?»
«Di tutto e di più» disse il sorvegliante. «Balia aveva detto che se aveste compiaciuto vostro padre sareste stati ricompensati, non è forse vero? Per quanto il nobile Yezzan detesti privarsi dei suoi tesorucci, come avrete certo notato, Yurkhaz zo Yunzak lo ha persuaso che sarebbe un atto di egoismo tenersi simili eccellenti esibizioni tutte per sé. Gioite, dunque! Per celebrare la stipulazione della pace con Meereen, avrete l’onore di esibirvi nella Grande Fossa di Daznak. Migliaia di spettatori accorreranno per vedervi! Decine di migliaia! E noi rideremo, quanto rideremo!»